Soldi e minacce


Se quel mattino Samuel Nutkin non avesse lasciato cadere l'astuccio degli occhiali tra i cuscini del sedile, sul treno per i pendolari da Edenbridge a Londra, nulla di quanto segue sarebbe mai accaduto. Ma lo lasciò cadere, infilò la mano tra i cuscini per ricuperarlo, e con ciò il dado fu tratto.

Le dita annaspanti di lui trovarono non soltanto l'astuccio degli occhiali, ma anche una sottile rivista, ovviamente ficcata lì dalla persona che aveva occupato in precedenza lo stesso posto. Ritenendo che si trattasse di un orario ferroviario, Samuel Nutkin estrasse quel che aveva trovato. Non che gli occorresse un orario ferroviario. Dopo aver preso per venticinque anni lo stesso treno, dalla cittadina di Edenbridge piccola e senza peccati, alla stazione di Charing Cross, e dopo essere tornato sempre con lo stesso treno, e sempre alla stessa ora, ogni sera dalla stazione di Cannon Street al Kent, gli orari ferroviari non gli servivano affatto. La sua era soltanto una fuggevole curiosità.

Quando il signor Nutkin sbirciò la copertina della rivista, la faccia gli si colorò di scarlatto, ed egli si affrettò a ficcare di nuovo la pubblicazione tra i cuscini. Poi si guardò attorno nello scompartimento per vedere se qualcuno si fosse accorto di quello che aveva trovato. Di fronte a lui, due "Financial Times", un "Times" e un "Guardian"

dondolavano, assecondando il ritmo del treno, i loro lettori invisibili dietro la pagina delle quotazioni di Borsa. Alla sua sinistra, l'anziano Fogarty meditava sul cruciverba e alla sua destra, di là del finestrino, la stazione di Hither Green saettò via indifferente. Samuel Nutkin sospirò di sollievo.

La rivista era di formato piccolo con una copertina di carta patinata. In alto vi si potevano leggere le parole "Nuovo Circolo", evidentemente il titolo della pubblicazione, mentre in basso spiccava la frase: "Soli, a coppie, in gruppo? la rivista che mette in contatto tra loro i sessualmente consapevoli". Il centro della copertina era occupato invece dalla fotografia di una prosperosa signora dal seno prominente, il cui viso rimaneva nascosto da un quadrato bianco che la presentava come I'"Inserzionista H331". Il signor Nutkin non aveva mai visto una rivista come quella prima di allora, ma meditò sui significati della scoperta fino a Charing Cross.

Mentre gli sportelli del treno si spalancavano tutti insieme per riversare il carico di pendolari nel turbine del marciapiede n. 6, Samuel Nutkin tardò, prima di scendere, dandosi da fare con la borsa di cuoio, con l'ombrello arrotolato e con la bombetta, in modo da essere l'ultimo a uscire dallo scompartimento. Infine, allibito dalla propria audacia, fece scivolare la rivista dal nascondiglio tra i cuscini all'interno della borsa di cuoio, poi raggiunse il mare di altre bombette in movimento verso i cancelli dove venivano controllati i biglietti.

Fu un tragitto inquieto dalla stazione ferroviaria alla sotterranea, sul convoglio di quest'ultima fino alla fermata di Mansion House, su con la scala mobile di Great Trinity Lane e lungo Cannon Street fino al palazzo di uffici della società di assicurazioni presso la quale era impiegato.

Aveva sentito raccontare, una volta, di un tale che era stato investito da un'automobile e nelle cui tasche, vuotate all'ospedale, avevano trovato un pacco di fotografie pornografiche. Questo ricordo assillò Samuel Nutkin. Come avrebbe mai potuto spiegare, in nome del Cielo, una cosa simile? La vergogna, l'imbarazzo, sarebbero stati intollerabili. Starsene a letto con una gamba in trazione, sapendo che tutti erano a conoscenza delle tue predilezioni segrete! Quel mattino, egli fu particolarmente cauto nell'attraversare la strada per entrare negli uffici della società.

Da tutto ciò si può dedurre che il signor Nutkin non era abituato a questo genere di cose. Una volta vi fu un tale, che era convinto che gli esseri umani tendono a conformarsi ai nomignoli ad essi attribuiti in un momento d'ozio. Chiamate un uomo "Spaccone" e camminerà con una andatura spavalda; chiamatelo "Killer" e andrà in giro con gli occhi socchiusi, cercando di parlare come Humphrey Bogart. Gli uomini ritenuti spiritosi devono continuare a raccontare barzellette e a fare i buffoni finché non crollano per la fatica. Samuel aveva appena dieci anni quando un ragazzo, a scuola, gli aveva appioppato il nomignolo di "Scoiattolo", e questa era stata la sua condanna.

Aveva lavorato nella City di Londra da quando? giovanotto di ventitré anni? era stato congedato dall'esercito, al termine della guerra, con il grado di caporale. A quei tempi era una fortuna trovare un impiego, un impiego sicuro, con la pensione alla fine della carriera, in una gigantesca società di assicurazioni ramificata in tutto il mondo, solida come la Banca d'Inghilterra, non più lontana di cinquecento metri.

L'impiego aveva dato a Samuel Nutkin il diritto di entrare nella City, il quartier generale? vasto chilometri quadrati? di un'immensa piovra economica, commerciale e bancaria i cui tentacoli arrivavano in ogni angolo della terra.

Gli piaceva la City, a quei tempi, alla fine degli anni quaranta, mentre vagabondava all'ora di pranzo contemplando le antiche strade senza tempo? Bread Street, Cornhill, Poultry e London Wall? strade che risalivano al medioevo, quando vi si vendevano davvero pane, granturco, pollame, e quando delimitavano la città murata di Londra. Lo colpiva il fatto che, tra quelle tetre mura di pietra, mercanti avventurosi fossero riusciti a farsi finanziare per navigare poi lontano, verso terre popolate da uomini rossi, neri e gialli, per trafficare, scavare, ed estrarre minerali e razzolare dappertutto, mandando poi il bottino nella City, a consentirvi assicurazioni e banche e investimenti, finché le decisioni adottate in quei chilometri quadrati di sale di consigli d'amministrazione e di uffici amministrativi erano riuscite a stabilire se un milione di razze inferiori avrebbero lavorato o sarebbero morte di fame. Non gli era mai accaduto di pensare che quegli uomini erano stati, in realtà, i più abili saccheggiatori del mondo. Samuel Nutkin era una persona molto leale.

Il tempo era trascorso e, dopo un quarto di secolo, la magia aveva finito con il dileguarsi; egli faceva ormai parte dell'anonima e trotterellante marea di vestiti grigi, di ombrelli arrotolati, di cappelli a bombetta e di borse di cuoio che dilagava ogni giorno nella City per lavorare otto ore a una scrivania e fare poi ritorno nelle cittadine-dormitorio delle circostanti contee.

Come il suo nomignolo faceva pensare, nella foresta della City lui era una creatura amichevole e innocua, cresciuta con l'andare degli anni in modo da adattarsi alla scrivania, una simpatica e tonda palla di burro che aveva appena compiuto cinquantotto anni, con gli occhiali sempre sul naso per leggere o guardare le cose da vicino, una creatura dai modi blandi e compiti con le segretarie, dalle quali era giudicato gentile e viziato come un figlio, una creatura affatto abituata a leggere, e tanto meno a portarsi appresso pubblicazioni oscene. Eppure questo era proprio quanto stava facendo quel mattino. Sgattaiolò nella toilette, aprì la borsa, e lesse ogni singolo annuncio di "Nuovo Circolo".

Rimase allibito. Alcuni annunci erano accompagnati da fotografie, quasi sempre pose dilettantesche di quelle che erano certamente delle massaie in déshabillé. Altri annunci mancavano della fotografia, ma il loro testo era più esplicito e, in alcuni casi, offriva servigi che non avevano alcun senso, non, almeno, per Samuel Nutkin. Tuttavia, egli capì quasi tutto, e, in generale, gli annunci delle signore esprimevano la speranza di conoscere generosi gentiluomini professionisti. Nutkin lesse fino in fondo, rimise la rivista tra le pieghe più profonde della borsa di cuoio e si affrettò a tornare alla scrivania. Quella sera, riusci a portare la rivista a casa sua, a Edenbridge, senza essere fermato e perquisito dalla polizia, e la nascose sotto il tappeto accanto al caminetto. Sarebbe stato disastroso se Lettice l'avesse trovata.

Lettice era la signora Nutkin. Rimaneva quasi sempre a letto, in quanto accusava una dolorosa artrite e il cuore debole, mentre il dottor Bulstrode era dell'opinione che si trattasse di una notevole dose di ipocondria. Donna fragile ed emaciata, dal naso affilato e dalla voce querula, già da molti anni la signora aveva smesso di dare un qualsiasi piacere fisico a Nutkin, sia a letto, sia fuori del letto. Ma egli era un uomo leale e fedele, e avrebbe fatto qualsiasi cosa, proprio qualsiasi cosa, pur di non darle dispiaceri. Fortunatamente la signora Nutkin non faceva mai le pulizie di casa, tenuto conto dei dolori alla schiena, e pertanto non avrebbe avuto modo di andare a frugare sotto il tappeto davanti al caminetto.

Il signor Nutkin trascorse tre giorni assorto nei propri intimi pensieri, i quali, per la massima parte, riguardavano una inserzionista che, a giudicare dai pochi particolari elencati nel suo annuncio, doveva essere di statura molto superiore alla media e possedere forme prosperose. Il terzo giorno, chiamato a raccolta tutto il suo coraggio, egli si mise a sedere e preparò la risposta all'annuncio. La scrisse su un foglio di carta non intestata dell'ufficio, e risultò breve e pertinente. Cominciava con "Cara signora" e continuava spiegando come lui avesse letto l'annuncio e desiderasse molto conoscerla.

Esisteva un inserto, al centro della rivista, che spiegava come si dovesse rispondere agli annunci. Bisognava scrivere la lettera di risposta e metterla, insieme a una busta indirizzata a se stessi e affrancata, in una busta priva di intestazioni e sigillare quest'ultima. Bisognava scrivere a matita, sul retro di questa busta, il numero dell'annuncio cui si rispondeva. La busta senza intestazione doveva essere messa, insieme alle spese postali per l'inoltro, entro una terza busta da indirizzare alla redazione della rivista a Londra. Il signor Nutkin fece tutte queste cose, tranne che, per la busta indirizzata a se stesso, si servì delle generalità Henry Jones, e/o Acacia Avenue, il suo vero recapito.

Nei sei giorni che seguirono, egli fece in modo di trovarsi sullo stuoino del pianerottolo ogni mattina nel momento in cui arrivava il postino, e soltanto il sesto giorno scorse la busta indirizzata a Henry Jones. Se la ficcò in tasca e tornò di sopra a ritirare il vassoio della colazione di sua moglie.

Sul treno diretto in città, quel mattino, sgattaiolò nella toilette e apri la busta con dita tremanti. Conteneva la sua stessa lettera, sul cui retro era stata vergata la risposta. Quest'ultima diceva: "Caro Henry, grazie per aver risposto al mio annuncio. Sono certa che insieme potremmo spassarcela molto. Perché non mi telefoni al...? Con amore, Sally". Il numero telefonico era di Bayswater, nel West End di Londra.

La busta non conteneva altro. Samuel Nutkin annotò il numero su un pezzo di carta che ficcò nella tasca posteriore dei pantaloni, poi gettò la lettera e la busta nella tazza del water e scaricò l'acqua. Quando tornò al proprio posto, gli sembrò di avere farfalle nello stomaco e credette che gli altri lo stessero fissando, ma il vecchio Fogarty aveva appena risolto la quindici orizzontale e nessuno degli altri alzò gli occhi.

Egli formò il numero all'ora di pranzo, da una cabina telefonica nella più vicina stazione della sotterranea. Una rauca voce di donna disse: «Pronto?».

Il signor Nutkin infilò la monetina da cinque penny nella fessura, si schiarì la voce e disse: «Ehm... pronto, parlo con Miss Sally?».

«Esatto» disse la voce, «e io con chi parlo?»

«Oh, ehm, mi chiamo Jones. Henry Jones. Ho ricevuto una sua lettera, stamane, a proposito della risposta all'annuncio...»

Si udì un fruscio di carta all'altro capo del filo, poi ecco di nuovo la voce della donna. «Oh, sì, ricordo, Henry. Bene, allora, tesoro, ti farebbe piacere venire da me?»

A Samuel Nutkin parve di avere la lingua fatta di cuoio vecchio. «Sì, per favore» disse con voce rauca.

«Splendido» fece le fusa la donna all'altro capo del filo. «C'è soltanto una cosa, Henry caro. Mi aspetto un piccolo regalo dagli uomini miei amici, sai, tanto per aiutarmi a pagare l'affitto. Diciamo venti sterline, ma non c'è nessuna fretta. Va bene per te?»

Nutkin annuì, poi disse: «Sì» nel telefono.

«Splendido» esclamò lei. «E allora, sentiamo, quando vorresti venire?»

«Dovrebbe essere durante l'ora di pranzo. Lavoro nella City, e la sera torno a casa.»

«Va bene, allora. Ti fa comodo domani? Benissimo. A mezzogiorno e mezzo. Ora ti do l'indirizzo...»

Le farfalle nello stomaco si erano tramutate in piccioni svolazzanti, quando, l'indomani, a mezzogiorno e mezzo, Nutkin giunse davanti alla porta dell'appartamento nello scantinato, vicino a Westbourne Grove, in Bayswater. Bussò nervosamente e udì un ticchettare di tacchi nel corridoio dietro la porta.

Seguì un silenzio mentre qualcuno guardava attraverso lo spioncino situato al centro del pannello della porta, e dal quale egli era inquadrato.

Poi la porta si aprì e una voce disse: «Avanti». La donna si trovava dietro la porta e la chiuse quando egli entrò e si voltò verso di lei. «Devi essere Henry» gli disse sommessamente. Nutkin annuì. «Bene, vieni nel salotto, così potremo parlare» soggiunse lei.

La seguì nel corridoio fino alla prima stanza sulla sinistra, con il cuore che rullava come un tamburo. Era meno giovane di quanto si fosse aspettato, una trentacinquenne assai sfruttata, dal trucco esagerato. Lo superava in statura di almeno quindici centimetri, ma in parte la cosa poteva essere spiegata dai tacchi alti delle sue scarpe eleganti; le dimensioni del suo posteriore, sotto la vestaglia lunga fino al pavimento, mentre lo precedeva nel corridoio, lasciavano capire che aveva un corpo massiccio. Quando si voltò per farlo passare nel salotto, la vestaglia si dischiuse per un secondo, lasciandogli intravedere calze di nylon nere e un busto ricamato in rosso. Lei lasciò la porta aperta.

La stanza aveva un arredamento a buon mercato e non vi si vedeva più di una manciata di oggetti personali. La donna gli sorrise, incoraggiante.

«Hai il regalino per me, Henry?» domandò.

Samuel Nutkin annuì e le porse le venti sterline che aveva messo nella tasca dei calzoni. Miss Sally le prese e le ficcò in una borsetta sul buffet.

«Ora siedi e cerca di sentirti a tuo agio» gli disse. «Non è proprio il caso di essere nervoso. Dunque, che cosa posso fare per te?»

Il signor Nutkin si era seduto sull'orlo di una poltrona. Gli sembrava di avere la bocca piena di cemento a presa rapida. «È difficile da spiegare»

mormorò.

La donna tornò a sorridere. «Non devi assolutamente essere timido.

Che cosa ti piacerebbe fare?»

Esitante, lui glielo disse. Lei non tradì il benché minimo stupore.

«Va benissimo» disse disinvolta. «Molti gentiluomini amano questo genere di cose. Ora togliti la giacca, i pantaloni e le scarpe e vieni con me nella camera da letto.»

Nutkin fece come gli era stato detto e di nuovo la seguì nel corridoio fino alla camera da letto che, strano a dirsi, era vividamente illuminata.

Quando furono entrati, la donna chiuse la porta, girò la chiave nella serratura, la lasciò cadere nella tasca della vestaglia, si tolse quest'ultima e l'appese dietro la porta.

Quando la semplice busta marrone arrivò al numero 27 di Acacia Avenue, tre giorni dopo, Samuel Nutkin la tolse dallo stuoino insieme al resto della corrispondenza e la portò sul tavolo della colazione. V'erano tre lettere in tutto, una per Lettice da sua sorella, la fattura di alcune piante in vaso, e la busta marrone, con il timbro postale di Londra, indirizzata a Samuel Nutkin. Egli l'aprì senza sospettare di nulla, ritenendo si trattasse di pubblicità. Non era così.

Le sei fotografie che scivolarono fuori rimasero per un momento rovesciate sul tavolo mentre lui le fissava senza capire. Poi, quando capì, fu colto all'istante da un assoluto orrore. Le istantanee non avrebbero vinto un premio per la loro chiarezza e perfezione, ma erano eloquenti quanto bastava. In tutte si vedeva bene il viso della donna, e, in almeno due, si poteva riconoscere con facilità la faccia di Nutkin. Furiosamente egli frugò l'interno della busta cercandovi qualcos'altro, ma non c'era niente. Voltò tutte le fotografie, sulle quali, però non figurava alcuna scritta. Il messaggio consisteva, bianco e nero, in quello che ritraevano, senza necessità di parole.

Samuel Nutkin era nella morsa di un cieco panico quando ficcò le fotografie sotto il tappeto davanti al caminetto, dove si trovava ancora la rivista. Poi, ubbidendo a un secondo impulso, portò tutto fuori di casa e bruciò ogni cosa dietro il garage, calpestando con il tacco la cenere entro la terra umida. Mentre rientrava in casa, pensò di restarvi per tutto il giorno, fingendosi malato, ma poi si rese conto che questo avrebbe destato i sospetti di Lettice, in quanto lui godeva di una salute perfetta.

Ebbe appena il tempo di portarle di sopra la lettera della sorella, di togliere il vassoio della colazione e di correre a prendere il treno per la City.

La sua mente era ancora tutto un turbine quando, dal posto d'angolo, guardò fuori del finestrino e cercò di valutare le conseguenze del colpo di quel mattino. Soltanto quando il treno aveva superato New Cross si rese conto di come era potuto accadere.

«La giacca» disse, «la giacca e il portafogli.»

Il vecchio Fogarty, che stava meditando sulla parola numero sette, scosse la testa. «No» disse, «troppe lettere.»

Samuel Nutkin guardò disperato fuori del finestrino mentre i sobborghi del sud-est di Londra saettavano via accanto al treno. Non era abituato a una cosa del genere. Un gelido orrore gli afferrava lo stomaco e quel mattino non riuscì a concentrarsi sul lavoro più di quanto sarebbe riuscito a volare.

Durante l'intervallo per il pranzo cercò di formare il numero datogli da Sally, ma gli rispose la voce brusca di un uomo, il quale disse di non aver mai sentito parlare di una Sally; chi telefonava doveva avere sbagliato numero. Nutkin ritentò, questa volta ricorrendo al centralino, ma il numero era quello esatto e rispose lo stesso individuo.

Nutkin cercò di accertare a chi fosse intestato l'apparecchio rivolgendosi all'apposito ufficio, ma risultò che il numero non figurava sull'elenco telefonico e sarebbe occorsa l'autorizzazione del magistrato per rivelare il nome dell'abbonato.

Con un taxi, si recò direttamente all'appartamento nello scantinato di Bayswater, ma lo trovò chiuso, con un cartello "affittasi" appeso alla ringhiera, all'altezza del marciapiede. Entro la metà del pomeriggio il signor Nutkin si era ormai persuaso che anche rivolgersi alla polizia sarebbe servito a poco. Quasi certamente, la rivista aveva spedito le risposte a quell'annuncio a un recapito, che sarebbe risultato essere di comodo e abbandonato da tempo senza lasciare tracce. L'appartamento nello scantinato, a Bayswater, era stato probabilmente affittato settimana per settimana, sotto falso nome, e poi sgomberato. Quanto al numero di telefono, con ogni probabilità, era di un uomo il quale avrebbe detto di essersi assentato per un mese e di aver trovato la serratura della porta di casa forzata, al suo ritorno. In seguito, avrebbe soggiunto, vi erano state numerose telefonate che chiedevano di Sally e che lo avevano lasciato del tutto interdetto. Poi, dopo un paio di giorni, si sarebbe a sua volta dileguato.

Quando Nutkin tornò a casa, Lettice era in vena di lamentele più del solito. Aveva ricevuto tre telefonate, di un tale che chiedeva di lui chiamandolo per nome, e non le era stato possibile fare il pisolino pomeridiano. Non aveva dormito abbastanza.

La quarta telefonata arrivò subito dopo le otto. Samuel Nutkin balzò su dalla poltrona, lasciò Lettice intenta a guardare la televisione, e andò a rispondere nell'ingresso. La voce era quella di un uomo, ma poteva mai trattarsi dello stesso individuo con il quale aveva parlato all'ora di pranzo? Impossibile dirlo. La voce suonava soffocata, come se la persona parlasse tenendo un fazzoletto premuto contro il ricevitore.

«Il signor Nutkin?»

«Sì.»

«Il signor Samuel Nutkin?»

«Sì.»

«O dovrei chiamarla Henry Jones?»

Lo stomaco di Samuel Nutkin si rovesciò. «Chi parla?» egli domandò.

«Lasci perdere il mio nome, amico. Ha ricevuto il piccolo dono con la posta di stamane?»

«Che cosa vuole?»

«Le ho fatto una domanda, amico. Ha ricevuto le fotografie?»

«Si?»

«E le ha guardate ben bene, vero?»

Samuel Nutkin deglutì a stento, inorridito dal ricordo.

«Sì.»

«Be', allora è stato un po' cattivello, vero? Non vedo proprio come potrei evitare di mandarne una copia al suo direttore in ufficio. Oh, si, so dove lavora, e conosco anche il nome del direttore amministrativo. Inoltre potrei spedirne altre copie alla signora Nutkin. O al segretario del Circolo del tennis. Lei ha davvero molte informazioni nel portafoglio, signor Nutkin...»

«Senta, la prego, non faccia questo» esclamò Samuel, ma la voce interruppe le sue implorazioni.

«Non rimarrò a lungo a questo apparecchio. E non si dia la briga di rivolgersi alla polizia; non riuscirebbero nemmeno a cominciare a rintracciarmi. Quindi stia al gioco, amico mio, e potrà riavere anche i negativi. Ci pensi su. A che ora esce di casa per andare al lavoro, al mattino?»

«Alle otto e venti.»

«La richiamerò domattina alle otto. Le auguro la buonanotte.»

Si udì uno scatto nel telefono, e il signor Nutkin rimase lì ad ascoltare il segnale di linea libera.

Non trascorse una buona notte. Trascorse una notte orribile. Una volta coricatasi Lettice, con il pretesto di sistemare il fuoco perché ardesse lentamente, esaminò, cosa per cosa, il contenuto del suo portafogli.

Abbonamento ferroviario, libretto degli assegni, tessera di iscrizione al Circolo del tennis, due lettere indirizzate al suo recapito, due fotografie di Lettice e di se stesso, patente di guida, tessera di iscrizione al club dopolavoristico della società; ce n'era più che abbastanza per sapere tutto di lui e dove lavorava.

Alla fioca luce del lampione stradale di Acacia Avenue, filtrata dalle tende, egli guardò poi, al lato opposto della loro camera, l'aria di disapprovazione sulla faccia di Lettice in uno dei due letti? lei aveva sempre voluto che dormissero in letti separati? e cercò di immaginarla mentre apriva una busta marrone indirizzata a lei e pervenuta con la seconda distribuzione della posta, quando lui stava lavorando in ufficio.

Cercò di raffigurarsi il signor Benson, su al piano della direzione generale, mentre riceveva la stessa serie di fotografie. Oppure il comitato di iscrizione del Circolo del tennis che faceva passare le stesse istantanee, durante una riunione straordinaria indetta per "riesaminare"

l'appartenenza di Samuel Nutkin al Circolo stesso, non vi riuscì. Tutto ciò superava le sue capacità di immaginazione. Di una cosa, comunque, era certissimo: lo choc avrebbe ucciso la povera Lettice... si, l'avrebbe semplicemente uccisa, e lui non doveva consentire che questo accadesse.

Prima di scivolare in un sonno agitato e intermittente quando mancava ormai poco all'alba, disse a se stesso, per la centesima volta, che non era abituato a quel genere di cose, ecco tutto.

La telefonata arrivò alle otto precise. Samuel aspettava nell'ingresso, indossando come sempre un vestito grigio scuro, con camicia bianca e colletto, bombetta, ombrello arrotolato e borsa di cuoio, prima di incamminarsi per la puntuale trottata mattutina fino alla stazione.

«Ci ha ripensato, vero?» disse la voce.

«Sì» rispose Samuel Nutkin, con la voce tremula.

«Vuole i negativi di quelle foto, vero?»

«Sì, la prego.»

«Be', temo che dovrà pagarli, amico. Tanto per coprire le nostre spese, e anche per insegnarle una lezione.»

Il signor Nutkin deglutì varie volte. «Non sono ricco» disse in tono supplichevole. «Quanto vuole?»

«Mille sterline» rispose l'uomo al telefono, senza alcuna esitazione.

Samuel Nutkin era sbigottito. «Ma non le ho mille sterline» protestò.

«Be', in tal caso farà meglio a trovarle» lo schernì la voce al telefono.

«Può ipotecare la casa, l'automobile, o qualsiasi altra cosa. Ma le trovi, e presto. Entro questa sera. La richiamerò questa sera alle otto.»

E di nuovo l'uomo interruppe la comunicazione e il segnale di linea libera ronzò nell'orecchio di Samuel Nutkin. Egli salì al piano di sopra, diede a Lettice un bacetto sulla guancia e uscì per andare al lavoro. Quel giorno, però, non salì sul treno in partenza alle otto e trentuno per Charing Cross. Andò invece a un giardino pubblico, solo su una panchina, una sagoma strana e sperduta, vestita per l'ufficio e la City, ma seduta, simile a uno gnomo, tra gli alberi e i fiori, con tanto di bombetta e doppio petto scuro. Sentiva di dover riflettere, e sapeva che non avrebbe potuto riflettere a dovere sedendo al fianco del vecchio Fogarty con i suoi inesauribili cruciverba.

Supponeva che sarebbe riuscito a ottenere un prestito di mille sterline, se ci avesse provato, ma la cosa avrebbe fatto inarcare non poche sopracciglia in banca. Tuttavia, anche questo sarebbe stato niente in confronto alla reazione del direttore quando gli avesse chiesto l'intera somma in contanti e in banconote usate. Avrebbe potuto dire che gli occorreva per pagare un debito di gioco, ma non sarebbe stato creduto da nessuno. Sapevano tutti che non giocava d'azzardo. Non beveva nemmeno, tranne un bicchiere di vino di tanto in tanto, e neppure fumava, eccettuato forse un sigaro a Natale. Avrebbero pensato che ci fosse di mezzo una donna, egli suppose, ma poi scartò anche questa supposizione. Sapevano che non aveva un'amante. Che cosa devo fare, che cosa devo fare? Domandò più volte a se stesso, dondolandosi avanti e indietro in preda a quel tormento.

Avrebbe potuto rivolgersi alla polizia. Senza dubbio sarebbero riusciti a rintracciare quelle persone, nonostante le loro false generalità e gli appartamenti presi in affitto. Poi vi sarebbe stato un processo e lui avrebbe dovuto testimoniare. Si riferivano invariabilmente alla persona ricattata come al "signor X", lo aveva letto sul giornale, ma generalmente la cerchia dell'interessato riusciva a scoprire di chi si trattava. Non era possibile continuare ad andare in tribunale, un giorno dopo l'altro, senza che nessuno se ne accorgesse, non dopo aver condotto per venticinque anni un'esistenza di immutabili abitudini.

Alle nove e mezzo si alzò dalla panchina nel giardino pubblico ed entrò in una cabina telefonica dalla quale chiamò l'ufficio per dire al suo capo-sezione che era indisposto, ma sarebbe tornato al lavoro nel pomeriggio. Poi si incamminò verso la banca. Durante il tragitto si spremette il cervello alla ricerca di una soluzione, rievocando tutti i casi giudiziari di cui aveva letto, concernenti un ricatto. Come definiva, la legge, una situazione del genere? Estorcere denaro con minacce, era questa la frase. Una elegante frase giuridica, pensò lui, con amarezza, ma non molto utile per la vittima.

Se fosse stato scapolo, e più giovane, avrebbe detto loro di andare all'inferno. Ma era troppo anziano per cambiare lavoro, e poi c'era Lettice, la povera, fragile Lettice. Lo choc l'avrebbe uccisa, non ne dubitava affatto. Soprattutto, doveva proteggere Lettice, quanto a questo era deciso.

All'ingresso della banca, il coraggio gli venne meno. Non avrebbe mai potuto affrontare il direttore con una richiesta così strana e inesplicabile.

Sarebbe stato come dirgli, chiaro e tondo: «Mi ricattano, e ho bisogno di un prestito di mille sterline». E, a parte questo, dopo le prime mille, non sarebbero tornati alla carica chiedendogli altro denaro? Non lo avrebbero dissanguato, prima di fargli avere i negativi? Poteva accadere.

E in ogni modo, chiedere il prestito alla banca locale era escluso. La soluzione per lui, decise con riluttanza? poiché era un uomo sincero e buono? risiedeva a Londra. E là si recò, con il treno delle dieci e trentuno.

Arrivò nella City troppo presto per presentarsi in ufficio, e così, tanto per ingannare il tempo, andò a fare acquisti. Da uomo previdente, trovava inconcepibile andare in giro con una somma ingente come mille sterline non protetta in tasca. Non sarebbe stato naturale. Pertanto si recò in un emporio di attrezzature per uffici e acquistò una cassettina d'acciaio con chiave. In tutta una serie di altri negozi comperò una libbra di zucchero vanigliato (per la torta di compleanno di sua moglie, spiegò), una scatola di fertilizzante per rose, una trappola per topi da mettere in cucina, alcuni fusibili destinati all'interruttore di sicurezza nel sottoscala, due pile per lampadine tascabili, un saldatore per riparare il bricco del tè e un certo numero di altri oggetti innocui che ogni cittadino rispettoso della legge può, a buon diritto, tenere in casa.

Alle due del pomeriggio si trovava di nuovo alla scrivania; assicurò al capo sezione che si sentiva molto meglio e continuò il suo lavoro di contabile. Fortunatamente, l'idea che il signor Samuel Nutkin potesse anche soltanto pensare a un prelievo non autorizzato dei fondi della società era inconcepibile.

Alle otto di quella sera egli si trovava di nuovo davanti al televisore insieme a Lettice quando il telefono squillò nell'ingresso. Andò a rispondere e udì di nuovo la Voce Velata.

«Ha il denaro, naturalmente, signor Nutkin?» disse l'uomo, senza alcun preambolo.

«Ehm... sì» rispose il signor Nutkin e, prima che l'altro avesse potuto continuare, soggiunse: «Senta, perché non mi manda i negativi, per favore, e ci mettiamo una pietra sopra?».

Seguì un silenzio di allibito stupore all'altro capo del filo.

«È impazzito?» domandò la Voce Velata.

«No» rispose, serio, il signor Nutkin. «No, ma vorrei soltanto che lei si rendesse conto dell'angoscia causata da tutto questo se si ostinerà ad andare fino in fondo.»

«Ora stia a sentire me, lei è completamente pazzo» disse la voce, resa aspra dall'ira. «Deve fare come le viene detto, dannazione, altrimenti potrei anche mandare le fotografie a sua moglie e al suo capo, tanto per il gusto di farlo.»

Il signor Nutkin emise un profondo sospiro. «È quello che temevo»

disse. «Continui.»

«Domani, durante l'ora di intervallo per il pranzo, vada in taxi fino all'Albert Bridge Road. Volti nel Battersea Park e percorra la West Drive allontanandosi dal fiume. A metà strada volti a sinistra nella Central Drive. Continui a camminare finché non ne avrà percorso metà. Il quel punto ci sono due panchine. Non ci sarà nessuno lì attorno, non in questa stagione. Metta il denaro, avvolto in un foglio di carta da pacchi marrone, sotto la prima panchina. Poi prosegua finché non sarà uscito dall'altro lato del parco. Ha capito?»

«Sì, ho capito» disse il signor Nutkin.

«Bene» disse la voce. «Un'ultima cosa. Sarà sorvegliato dal momento in cui entrerà nel parco. Sarà sorvegliato mentre lascerà il pacco. Non creda che i piedipiatti possano aiutarla. Noi conosciamo il suo aspetto, ma lei non conosce me. Un solo indizio di complicazioni, o uno sbirro là a vigilare, e spariremo. Lei sa che cosa succederà dopo, non è vero, Nutkin?»

«Sì» disse fiocamente il signor Nutkin.

«Bene. Faccia dunque come le è stato detto e non commetta errori.»

Poi l'uomo riattaccò.

Pochi minuti dopo, Samuel Nutkin inventò un pretesto con la moglie e andò nel garage al lato opposto della casa; voleva restare solo per qualche tempo.

L'indomani, fece esattamente come gli era stato detto. Stava percorrendo la West Drive, sul lato ovest del parco, ed era arrivato alla svolta a sinistra nella Central Drive quando venne chiamato da un motociclista a cavalcioni del suo veicolo, intento a studiare una pianta della città a pochi passi di distanza. L'uomo portava un casco, occhialoni e una sciarpa avvolta intorno alla faccia. Gridò, attraverso la sciarpa: «Ehi, amico, può darmi un'indicazione?».

Il signor Nutkin si fermò, poi, essendo un uomo compito, percorse i due metri sin dove si trovava il motociclista contro la cordonatura del marciapiede, e si chinò per scrutare la pianta della città. Una voce gli sibilò nell'orecchio: «Lo prendo io il pacco, Nutkin».

Egli sentì che il pacco gli veniva strappato, udì il rombo del motore avviato con il pedale, vide il pacco cadere in un cestino aperto, appeso al manubrio della moto, e, pochi secondi dopo, il veicolo filò via, zigzagando nel traffico dell'ora di pranzo sul ponte di Albert Road. Tutto finì in pochi attimi, e, anche se la polizia si fosse trovata lì a vigilare, difficilmente avrebbe potuto catturare l'uomo, tanto era stalo fulmineo. Il signor Nutkin scrollò la testa malinconicamente e tornò in ufficio nella City.

L'uomo con la teoria sui nomi e i nomignoli si sbagliava di grosso nel caso del sergente investigatore Smiley1, assegnato al Dipartimento Indagini Criminali. Quando il sergente si presentò per parlare con il signor Nutkin, la settimana seguente, la sua lunga faccia equina e i malinconici occhi nocciola avevano un che di molto tetro. Rimase in piedi sulla soglia, nell'oscurità invernale, con un lungo cappotto nero, simile a un impresario di pompe funebri.

«Il signor Nutkin?»

«Sì.»

«Samuel Nutkin?»

«Sì... ehm, sì, sono io.»

«Sergente investigatore Smiley, signore. Mi domando se potrebbe concedermi qualche momento del suo tempo.» Mostrò il tesserino di riconoscimento, ma il signor Nutkin si limitò a fare un cenno affermativo con la testa, e disse: «Non vuole accomodarsi?».

Il sergente investigatore Smiley sembrava essere a disagio.

«Ehm... quello di cui devo parlarle, signor Nutkin, è un argomento di carattere alquanto privato, forse persino un po' imbarazzante» cominciò a dire.

«Santo Cielo» esclamò Nutkin, «non è proprio il caso che lei si senta in imbarazzo, sergente.»

Smiley lo fissò. «Non è il caso...?»

«Buon Dio, no. Si tratta dei biglietti per il ballo della polizia, senza dubbio. Noi del Circolo del tennis ne acquistiamo sempre alcuni. In quanto segretario, quest'anno, mi aspettavo per l'appunto che...»

Smiley deglutì a fatica. «Temo che non si tratti affatto del ballo della polizia. Sono qui per svolgere alcune indagini.»

«Be', non è ugualmente il caso che lei si senta in imbarazzo» disse il signor Nutkin.

I muscoli della mascella del sergente guizzarono spasmodicamente.

«Stavo pensando, signore, al suo imbarazzo, non al mio» egli spiegò, con pazienza. «Sua moglie è in casa, signore?»

«Be', sì, ma si trova a letto. Va a coricarsi presto, vede. La sua salute...»

Come rispondendo a un'imbeccata, una voce petulante li raggiunse nell'ingresso, dal primo piano della casa. «Chi è, Samuel?»

«È un signore della polizia, cara.»

«Della polizia?»

«Suvvia, non ti agitare, mia cara» gridò Samuel Nutkin, rispondendo.

«Ehm... si tratta soltanto del prossimo torneo di tennis con il circolo sportivo della polizia.»

Il sergente Smiley annuì, approvando cupamente il sotterfugio, e seguì il signor Nutkin nel soggiorno.

«Ora forse vorrà dirmi di che si tratta e perché dovrei sentirmi in imbarazzo» cominciò il padrone di casa, mentre si chiudeva la porta alle spalle.

«Alcuni giorni fa» disse il sergente, «i miei colleghi della polizia metropolitana hanno avuto occasione di perquisire un appartamento nel West End di Londra. Mentre effettuavano la perquisizione, hanno trovato una serie di buste in un cassetto chiuso a chiave.»

Samuel Nutkin stava fissando Smiley con benevolo interessamento.

«Ognuna di quelle buste, una trentina in tutto, conteneva una cartolina postale sulla quale era stato scritto il nome di un uomo, tutte persone diverse, insieme all'indirizzo di casa, e, a volte, all'indirizzo dell'ufficio. Le buste contenevano inoltre fino a dodici negativi fotografici, e in tutti i casi questi negativi risultarono essere fotografie di uomini, di solito uomini maturi, in quella che si potrebbe soltanto definire una situazione estremamente compromettente con una donna.»

Samuel Nutkin era impallidito e si inumidì le labbra nervosamente. Il sergente Smiley aveva un'aria di disapprovazione.

«In tutti i casi» continuò, «la donna delle fotografie era sempre la stessa, una persona nota alla polizia come una prostituta con precedenti penali. Temo di doverle dire, signore, che una delle buste conteneva il suo nome e il suo indirizzo, insieme a una serie di sei negativi nei quali lei figurava impegnato in una certa attività con la donna in questione. Abbiamo accertato che la donna, insieme a un certo individuo, aveva occupato l'appartamento perquisito dalla polizia metropolitana. Sta cominciando a seguirmi?»

Samuel Nutkin si prese la testa tra le mani per la vergogna. Fissò con occhi smarriti il tappeto. Infine emise un profondo sospiro.

«Oh, mio Dio» disse. «Fotografie. Qualcuno deve averle scattate. O, che vergogna, quando tutti verranno a saperlo. Glielo giuro, sergente, non avevo idea di fare qualcosa di illegale.»

Il sergente Smiley sbatté rapidamente le palpebre. «Signor Nutkin, mi consenta di chiarire una cosa. Qualsiasi cosa lei abbia fatto, non è stata illegale. La sua vita privata appartiene soltanto a lei, per quanto concerne la polizia, purché non violi la legge. E frequentare una prostituta non costituisce una violazione della legge.»

«Ma non capisco» balbettò Nutkin. «Lei ha detto che stava svolgendo un'indagine...»

«Non concernente la sua vita privata, signor Nutkin» disse con fermezza il sergente Smiley. «Posso continuare? Grazie. La polizia metropolitana ritiene che gli uomini siano stati adescati nell'appartamento di quella donna, o mediante contatti personali, o per mezzo di annunci, e poi fotografati di nascosto e identificati con l'intenzione di ricattarli successivamente.»

Samuel Nutkin fissò, con gli occhi spalancati, l'investigatore. Non era assolutamente abituato a questo genere di cose.

«Ricatto» bisbigliò. «Oh, Dio mio, questo è ancora peggio.»

«Precisamente, signor Nutkin. E adesso...» L'investigatore si tolse di tasca una fotografia. «Riconosce questa donna?»

Samuel Nutkin fissò un ritratto molto somigliante della donna che conosceva come Sally. Annuì in silenzio.

«Vedo» disse il sergente, e si rimise la fotografia in tasca. «E ora, signore, mi dica, se non le dispiace, con parole sue, in che modo ha fatto la conoscenza di questa signora. Per il momento non avrò bisogno di prendere appunti e, qualsiasi cosa lei possa dire, sarà considerata confidenziale a meno che, ora o in seguito, non risulti essere in rapporto con il caso.»

In modo esitante, vergognandosi e sentendosi mortificato, Samuel Nutkin riferì quanto era accaduto, sin dall'inizio: la rivista trovata per caso e letta nella toilette dell'ufficio, i tre giorni di lotta interiore con se stesso prima di decidere se rispondere o meno all'annuncio, il trionfo della tentazione e la stesura della lettera firmata Henry Jones. Parlò della risposta pervenutagli e spiegò come l'avesse distrutta dopo avere annotato il numero di telefono, per poi telefonare durante l'ora del pranzo ottenendo un appuntamento il giorno successivo, a mezzogiorno e mezzo. Descrisse l'incontro con la donna, in casa sua nello scantinato, e disse che lei lo aveva persuaso a lasciare la giacca nel soggiorno prima di condurlo nella camera da letto; soggiunse che aveva fatto una cosa simile per la prima volta in vita sua e che, dopo essere tornato a casa, quella sera, si era affrettato a bruciare la rivista con l'annuncio, giurando a stesso di non comportarsi mai più in quel modo.

«E ora, signore» disse il sergente Smiley, quando egli ebbe terminato, «questo è molto importante. Dopo quel pomeriggio ha ricevuto qualche telefonata, o ha saputo di telefonate fatte in sua assenza, per ricattarla e chiederle una somma di denaro in cambio delle fotografie scattate di nascosto?»

Samuel Nutkin scosse la testa. «No» disse, «assolutamente nessuna telefonata del genere. A quanto pare non era ancora venuto il mio turno.»

Il sergente Smiley sorrise, finalmente; un sorriso torvo. «Non erano ancora arrivati a lei, signore, e non ci arriveranno. In fin dei conti, le fotografie, adesso, le ha la polizia.»

Samuel Nutkin lo guardò con la speranza negli occhi. «Naturalmente» disse. «L'indagine. Devono essere stati scoperti prima che avessero potuto arrivare a me. Mi dica, sergente, dove finiranno, adesso, queste... orribili fotografie?»

«Non appena avrò fatto sapere a Scotland Yard che quelle riguardanti lei personalmente non hanno alcun rapporto con le nostre indagini, saranno bruciate.»

«Oh, ne sono davvero lieto, è un sollievo enorme. Ma mi dica, tra i vari uomini che la coppia era in grado di ricattare, ve ne sarà pure qualcuno con il quale il ricatto è stato tentato.»

«Senza alcun dubbio» disse il sergente, alzandosi per andarsene. «E stia certo che numerosi agenti di polizia, su richiesta di Scotland Yard, stanno interrogando la trentina di signori ritratti nelle fotografie.

Indubbiamente queste indagini consentiranno di accertare i nomi di tutti coloro già avvicinati con una richiesta di denaro prima che la polizia intervenisse.»

«Ma come potrete sapere con certezza chi è stato avvicinato e chi no?» domandò il signor Nutkin. «In fin dei conti, un uomo potrebbe essere stato ricattato e aver pagato, ma potrebbe anche essere troppo intimorito per rivelare la cosa, sia pure alla polizia.»

Il sergente Smiley fece un cenno affermativo all'impiegato della società di assicurazioni. «Accertamenti nelle banche, signore. La maggior parte delle persone ha soltanto un conto in banca, o al massimo due. Per mettere insieme una somma ingente, il ricattato dovrebbe rivolgersi alla propria banca, o vendere qualcosa di grande valore. Rimane sempre qualche traccia.»

Ormai erano arrivati alla porta di casa.

«Be', devo dirlo» osservò il signor Nutkin, «ammiro l'uomo che si è rivolto alla polizia e ha denunciato quei farabutti. Posso soltanto sperare, qualora avessero avvicinato me per ricattarmi, come senza dubbio sarebbe avvenuto prima o poi, posso soltanto sperare che, in tal caso, sarei stato altrettanto coraggioso. A proposito, io non dovrò testimoniare, vero? So bene che, in teoria, i testimoni conservano l'anonimo, in questi casi, ma la gente può venire a saperlo ugualmente, vede.»

«No, lei non dovrà testimoniare, signor Nutkin.»

«Allora compatisco il poveretto che li ha denunciati e che dovrà testimoniare» disse Samuel.

«Nessuno degli uomini compromessi sarà costretto a testimoniare, signore.»

«Ma non capisco. Disponete di prove contro entrambi i ricattatori. Senza dubbio procederete al loro arresto. Le indagini...»

«Signor Nutkin» disse il sergente Smiley, incorniciato dalla porta di casa, «non stiamo indagando a proposito di un ricatto, stiamo indagando a proposito di un assassinio.»

La faccia di Samuel Nutkin era l'immagine stessa dello stupore.

«Assassinio?» egli squittì. «Vuol dire che, per giunta, hanno ucciso qualcuno?»

«Chi?»

«I ricattatori.»

«No, signore, non hanno ucciso nessuno. Qualche burlone ha ucciso loro. L'interrogativo è: chi? Ma proprio qui sta la difficoltà, nel caso dei ricattatori. I due in questione potevano aver ricattato centinaia di vittime, e, in ultimo, una di esse è riuscita a rintracciarli nel loro nascondiglio.

Probabilmente svolgevano la loro attività servendosi soltanto di cabine telefoniche pubbliche. Non esistono prove concrete, tranne quelle contro le ultime vittime. Il problema è: da dove cominciare?»

«Da dove, infatti?» mormorò Samuel Nutkin. «Sono stati... colpiti con un'arma da fuoco?»

«No, signore. Chiunque sia stato, ha semplicemente consegnato un pacco al loro domicilio. Ecco perché l'assassino doveva sapere dove abitavano. Il pacco conteneva una cassetta metallica con la relativa chiave, a quanto pare, applicata ad essa mediante un pezzetto di nastro adesivo. Quando la chiave è stata adoperata, il coperchio si è aperto di scatto a causa della pressione esercitata da quella che, come hanno accertato gli esperti del laboratorio, era una trappola per topi; un congegno brillantemente escogitato ha fatto allora esplodere la bomba che li ha dilaniati entrambi.»

Il signor Nutkin fissò il sergente come se fosse disceso dall'Olimpo.

«Incredibile» alitò. «Ma come avrebbe potuto, un cittadino rispettabile, procurarsi la bomba, in nome del cielo?»

Il sergente Smiley scosse la testa.

«Al giorno d'oggi, signore, vi sono in giro troppi esplosivi, tra gli irlandesi, e gli arabi, e tutti quegli altri forestieri. Ed esistono anche libri al riguardo. Non è più come ai miei tempi. Al giorno d'oggi, disponendo dei materiali adatti, anche un ragazzo delle medie con qualche infarinatura di chimica riuscirebbe a costruire una bomba. Bene, buonanotte, signor Nutkin, credo che non verrò più a disturbarla.»

Il giorno dopo, nella City, il signor Nutkin passò dai Gussett, i corniciai, e ritirò la fotografia che si trovava nelle loro mani da quindici giorni. Aveva detto loro di trattenerla fino a quando non fosse passato lui a prenderla, e di sostituire la vecchia cornice con una nuova. Quella sera, la fotografia venne a trovarsi di nuovo, orgogliosamente, allo stesso posto di prima, sul tavolino accanto al caminetto.

Era una vecchia fotografia nella quale si vedevano due giovani con l'uniforme degli artificieri del Genio. Sedevano entrambi a cavalcioni di una bomba tedesca da cinque tonnellate. Davanti a loro, su una coperta, si trovavano le decine di pezzi dai quali erano stati formati i sei diversi congegni per fare esplodere la bomba al minimo urto. Sullo sfondo si vedeva la chiesa di un villaggio. Uno dei due giovani era magro, persino scarno con i gradi di maggiore sulle spalline. L'altro era grassoccio e tondo, con un paio di occhiali sulla punta del naso. In basso, sulla fotografia, figurava la dedica: "Ai Maghi della Bomba il maggiore Mike Halloran e il caporale Sam Nutkin, con la più viva gratitudine degli abitanti del villaggio di Steeple Norton, luglio 1943".

Il signor Nutkin la contemplò con fierezza. Poi sbuffò.

«Un ragazzo delle medie, figuriamoci!»

Inizio