L'Imperatore


«E c'è un'altra cosa» disse la signora Murgatroyd.

Accanto a lei, sul taxi, suo marito represse un lieve sospiro. Con la signora Murgatroyd c'era sempre qualche altra cosa. Per quanto bene potesse andare tutto quanto, Edna Murgatroyd avanzava nella vita perennemente accompagnata da una inesauribile sequela di lagnanze, una litania interminabile di insoddisfazioni. In breve, era una rompiscatole.

Sul sedile accanto all'autista, Higgins, il giovane dirigente della sede centrale prescelto per la settimana di vacanze a spese della banca come "il più promettente nuovo arrivato dell'anno", taceva. Lavorava nell'ufficio scambi con l'estero ed era un giovanotto traboccante di vita, che avevano conosciuto appena dodici ore prima all'aeroporto di Heathrow, ma il cui innato entusiasmo era andato spegnendosi a poco a poco sotto gli assalti della signora Murgatroyd.

L'autista creolo, tutto sorrisi e parole di benvenuto quando avevano scelto il suo taxi per la corsa fino all'albergo, pochi minuti prima, era stato a sua volta contagiato dall'umore della passeggera sul sedile posteriore e aveva finito con lo scivolare nel mutismo. Sebbene la sua madre lingua fosse il francese dei creoli, capiva perfettamente l'inglese.

L'isola Mauritius in fin dei conti era stata per centocinquant'anni una colonia britannica.

Edna Murgatroyd continuò a cicalare, una sorgente inesauribile che alternava l'autocompatimento e le offese. Murgatroyd guardò fuori del finestrino mentre l'aeroporto Plaisance rimaneva alle loro spalle e la strada li conduceva a Mahebourg, l'antica capitale francese dell'isola, nonché ai forti in rovina dai quali i francesi avevano tentato di difendersi contro la flotta inglese nel 1810.

Murgatroyd guardava fuori del finestrino, incantato da quel che vedeva. Era deciso a godersi appieno quella vacanza di una settimana su un'isola tropicale, la prima vera avventura della sua vita. Prima di partire aveva letto due voluminose guide dell'isola Mauritius e studiato, da nord a sud, una carta a grande scala dell'isola stessa.

Attraversarono un villaggio mentre incominciava la regione delle canne da zucchero. Sulle verande dei cottage lungo la strada vide indiani, cinesi e negri, insieme ai creoli métis, vivere fianco a fianco.

Templi indù e buddisti si levavano lungo la strada a pochi metri di distanza da una cappella cattolica. Dai libri aveva appreso che Mauritius era abitata da un miscuglio razziale formato da una mezza dozzina di principali gruppi etnici e da quattro grandi religioni, ma egli non aveva mai visto, prima di allora, una cosa simile, o per lo meno non aveva mai visto un simile calderone vivere in buona armonia.

Stavano passando per un maggior numero di villaggi, adesso, non ricchi, e senza dubbio non puliti, ma gli abitanti sorridevano e salutavano con gesti delle mani. Murgatroyd rispondeva agitando a sua volta la mano. Quattro scarni polli fuggirono starnazzando davanti al taxi, sfidando la morte per pochi centimetri, e, quando loro si voltarono, erano di nuovo in mezzo alla strada a becchettare nella polvere un sostentamento che si sarebbe detto inesistente. L'automobile rallentò prima di una brusca curva. Un ragazzetto tamil che indossava una sorta di camicia uscì dalla sua capanna, si fermò sul margine della strada e sollevò l'indumento fino alla vita. Sotto era nudo. Cominciò a pisciare sulla strada mentre il taxi stava passando. Tenendo sollevata la camicia con una mano, salutò con l'altra. La signora Murgatroyd sbuffò.

«Disgustoso» disse. Si protese in avanti e toccò il taxista sulla spalla. «Perché non va al gabinetto?» domandò.

Il creolo rovesciò la testa all'indietro e rise. Poi si voltò per risponderle. L'automobile superò due curve come se fosse comandata a distanza.

«Pas de toilette, madame» disse il taxista.

«Cos'è che ha detto?» domandò lei.

«Sembra che la strada sia il gabinetto» spiegò Higgins.

La donna tirò su con il naso.

«Ehi, dico» esclamò Higgins, «guardate, il mare.»

Alla loro destra, mentre correvano per un breve tratto lungo un dirupo, l'Oceano Indiano si stendeva fino all'orizzonte, di un limpido azzurro nel sole del mattino. A circa ottocento metri dalla spiaggia si trovava la linea bianca della risacca, segnando la grande scogliera che protegge Mauritius dalle mareggiate. Al di qua della scogliera poterono ammirare la laguna, acqua liscia del verde più chiaro e talmente limpida da consentire di scorgere con chiarezza i grappoli dei coralli a sei metri di profondità. Poi il taxi si rituffò nei campi di canne da zucchero.

Dopo cinquanta minuti, attraversarono il villaggio di pescatori Trou d'Eau Douce. L'autista additò davanti a sé.

«Hotel» disse. «Dix minutes

«Sia ringraziato il Cielo» ansimò la signora Murgatroyd. «Non avrei potuto sopportare ancora a lungo questo maledetto trabiccolo.»

Voltarono nel viale d'accesso, tra prati ben curati, con palmizi.

Higgins si voltò con un sorriso.

«Ne abbiamo fatta di strada, da Ponder's End» disse.

Murgatroyd ricambiò il sorriso. «Davvero» approvò. Non che non avesse motivo di essere grato al sobborgo per pendolari di Ponder's End, a Londra, dove era direttore di agenzia. Un'industria leggera aveva aperto una fabbrica nelle vicinanze, sei mesi prima, e, da parte sua, vi era stata l'ispirazione di avvicinare sia i dirigenti, sia la mano d'opera, facendo osservare che i rischi di rapine si sarebbero ridotti al minimo se le paghe settimanali fossero state corrisposte mediante assegni, come gli stipendi dei funzionari. Non senza stupore da parte sua, quasi tutti si erano trovati d'accordo, con il risultato che l'agenzia aveva acquisito parecchie centinaia di nuovi conti correnti. Questo colpo di fortuna non era sfuggito all'attenzione della direzione centrale e qualcuno, là, aveva proposto l'idea di incentivi per il personale nelle provincie e per gli elementi più giovani. Nel primo anno di attuazione del progetto era toccato a lui vincere il premio, consistente in una settimana nell'isola Mauritius completamente a spese della banca.

Il taxi si fermò finalmente davanti al grande ingresso ad arco dell'Hotel St. Geran, e due facchini corsero a togliere le valigie dal portabagagli e dal tetto della macchina. La signora Murgatroyd scese dal sedile posteriore. Sebbene si fosse avventurata soltanto due volte a est dell'estuario del Tamigi? di solito trascorreva le vacanze con la sorella, a Bognor? ora cominciò immediatamente ad arringare i facchini come se, in una vita precedente, avesse avuto a sua disposizione una buona metà dell'India.

Seguiti dai facchini e dai bagagli, i tre passarono, per la porta ad arco, nell'ariosa frescura del grande vestibolo, la signora Murgatroyd in testa, con il vestito a fiori, molto sgualcito dal volo e dal viaggio in macchina; poi Higgins, con l'elegante abito tropicale di tela indiana color crema, e infine Murgatroyd con il sobrio completo grigio. Sulla sinistra si trovava il banco della portineria, e il portiere indiano che li accolse con un sorriso.

Fu il giovane funzionario a prendere l'iniziativa. «Il signor Murgatroyd e signora» disse. «E io mi chiamo Higgins.»

Il portiere consultò l'elenco delle prenotazioni, «Sì, certo» rispose.

Murgatroyd si guardò attorno. Il grande vestibolo era costruito con pietra locale, rozzamente squadrata, e sembrava davvero imponente. In alto, scure travi di legno sostenevano il tetto. A un'estremità la sala si estendeva con colonnati, e altri pilastri si susseguivano ai lati, lasciando entrare una brezza che rinfrescava l'aria. All'estremità opposta egli scorse il bagliore del sole tropicale e udì gli scrosci e le grida allegre di una piscina molto frequentata. Al centro del vestibolo, sulla sinistra, uno scalone di pietra conduceva a quelle che dovevano essere le camere da letto del primo piano. Sempre al pianterreno un altro arco consentiva di accedere ad appartamenti.

Da una stanza situata dietro il banco della reception, uscì un giovane inglese biondo che indossava una camicia stirata di fresco e pantaloni color pastello.

«Buongiorno» disse sorridendo. «Sono Paul Jones, il direttore.»

«Higgins» si presentò il giovane funzionario. «Il signor Murgatroyd e signora.»

«Sono i benvenuti» disse Jones. «Provvederò subito ad assegnare loro le camere.»

Una sagoma allampanata avanzò lentamente verso il gruppetto, nell'immenso vestibolo. Le magre gambe dell'uomo emergevano da un paio di calzoncini e una camiciola da spiaggia a fiori gli sventolava attorno. Il nuovo arrivato era senza scarpe, ma sfoggiava un allegro sorriso e stringeva in una delle grosse mani un barattolo di birra. Si fermò a parecchi metri di distanza da Murgatroyd e lo squadrò dall'alto in basso.

«Salve, appena arrivati?» disse, con un percettibile accento australiano.

Murgatroyd era stupito. «Ehm, sì» rispose.

«Come si chiama?» domandò l'australiano, senza cerimonie.

«Murgatroyd» disse il direttore di banca. «Roger Murgatroyd.»

L'australiano annuì mentre assimilava l'informazione. «Dove dimora?»

Murgatroyd fraintese. Credette che l'uomo avesse domandato: «Dove lavora?».

«Alla Midland» rispose.

L'australiano si portò il barattolo alle labbra e lo vuotò. Poi ruttò. «E quello chi è?» domandò.

«Quello è Higgins» disse Murgatroyd. «Della direzione centrale.»

L'australiano sorrise allegramente. Batté le palpebre varie volte per mettere a fuoco lo sguardo. «Mi piace» disse. «Murgatroyd alla Midland e Higgins alla direzione centrale.»

Nel frattempo Paul Jones aveva visto l'australiano. Uscì da dietro il banco, prese per il gomito l'uomo e lo ricondusse indietro nel vestibolo.

«Su, su, signor Poster, torni al bar, se non le dispiace, così io potrò sistemare comodamente i nostri ospiti...»

Poster si lasciò sospingere con dolcezza, ma con fermezza, lungo il vestibolo. Mentre si allontanava, salutò amichevolmente con la mano nella direzione della portineria. «Bravo Murgatroyd» gridò.

Paul Jones tornò accanto ai nuovi arrivati.

«Quell'uomo» disse la signora Murgatroyd, con gelida disapprovazione, «era ubriaco.»

«È qui in vacanza, mia cara» disse Murgatroyd.

«Questa non è una giustificazione!» esclamò la signora Murgatroyd.

«Chi è?»

«Harry Foster» rispose Jones, «di Perth.»

«Non parla come uno scozzese» osservò la signora Murgatroyd.

«È di Perth in Australia» disse Jones. «Mi consentano di accompagnarli nelle loro camere.»

Murgatroyd guardò, deliziato, dal balcone della camera a due letti, al primo piano. Sotto di lui, un prato non molto vasto arrivava fino alla distesa di splendente sabbia bianca sulla quale palmizi spargevano mobili ombre mentre la brezza ne agitava le fronde. Una dozzina di tettoie di paglia offriva una più stabile protezione. La tiepida laguna, lattea là ove l'acqua aveva smosso la sabbia, lambiva il bagnasciuga. Più avanti era di un verde translucido e più oltre ancora sembrava blu.

Cinquecento metri più in là si poteva scorgere la risacca candida e ribollente.

Un giovanotto, scuro come il mogano sotto la zazzera di capelli biondissimi, stava facendo il windsurf a un centinaio di metri dalla spiaggia. In equilibrio sulla piccola tavola, approfittò di una folata di vento, si inclinò nella direzione opposta alla spinta della vela, e saettò sulla superficie dell'acqua apparentemente con estrema facilità. Due bambini abbronzati, con i capelli e gli occhi neri, si schizzavano a vicenda, strillando nell'acqua bassa. Un europeo di mezza età, dalla pancetta prominente, emerse dall'acqua con le pinne da sub, reggendo in mano la maschera e il respiratore.

«Cristo» gridò, con l'accento sudafricano, a una donna che lo aspettava all'ombra, «ci sono tanti di quei pesci, là sotto! È incredibile!»

Alla destra di Murgatroyd, davanti all'edificio principale dell'albergo, uomini e donne con i fianchi fasciati dai pareo, si dirigevano al bar della piscina per bere un aperitivo gelato prima di pranzo.

«Andiamo a fare una nuotata» disse Murgatroyd.

«Arriveremo prima sulla spiaggia se mi aiuterai a disfare le valigie»

disse sua moglie.

«Lasciale perdere, le valigie. Ci servono soltanto i costumi da bagno, fino al pomeriggio.»

«No di certo» disse la signora Murgatroyd. «Non voglio che tu vada a tavola conciato come un indigeno. Eccoti i calzoncini corti e la camicetta.»

Dopo due giorni, Murgatroyd si era adattato al ritmo della vita di vacanza ai tropici, almeno per quel tanto che gli era consentito. Si alzava presto, come aveva sempre fatto, del resto, ma invece di essere accolto da ciò che era solito vedere attraverso le tende, vale a dire marciapiedi bagnati di pioggia, si metteva a sedere sul balcone e guardava il sole spuntare dall'Oceano Indiano, di là della risacca, facendo sfavillare a un tratto l'acqua scura e liscia come frammenti di specchio. Alle sette andava a fare la nuotata mattutina, lasciando Edna appoggiata ai guanciali, con i bigodini, a lagnarsi della lentezza con la quale veniva servita la colazione, mentre in realtà il servizio era quanto mai rapido.

Rimaneva per un'ora nell'acqua tiepida e una volta nuotò verso il largo per quasi duecento metri, meravigliando se stesso con la propria audacia.

Non era un gran nuotatore, ma stava migliorando parecchio. Per fortuna sua moglie non assistette all'exploit; era persuasa, infatti che squali e barracuda infestassero la laguna e niente riusciva a convincerla che quei predatori non potevano attraversare la scogliera e che le acque calme erano sicure come una piscina.

Murgatroyd cominciò a far colazione sulla terrazza della piscina, unendosi alle altre persone nella scelta dei meloni, dei manghi e delle papaie che accompagnavano cereali e rinunciando alle uova e pancetta, sebbene figurassero anch'esse nella lista. Quasi tutti gli uomini, a quell'ora, portavano mutandine da bagno e camiciole da spiaggia, mentre le donne indossavano leggeri pareo intorno ai bikini. Murgatroyd aveva sempre i calzoncini da ginnastica lunghi fino alle ginocchia e le camicie da tennis portate dall'Inghilterra. Sua moglie lo raggiungeva sotto la "loro" tettoia di paglia sulla spiaggia, subito prima delle dieci, dando l'avvio, per tutta la giornata, a continue richieste di bibite e di applicazioni di crema solare, sebbene non si esponesse quasi mai al sole.

Ogni tanto calava la propria rosea mole nella piscina dell'albergo, che circondava il bar sulla sua isoletta all'ombra, con la permanente protetta da una cuffia di gomma a increspature, e nuotava lentamente per qualche metro prima di risalire.

Higgins, essendo solo, si unì ben presto a un gruppo di inglesi molto più giovani, e non lo videro quasi più. Si considerava una specie di viveur e sfoggiava un cappello di paglia ad ampia tesa, acquistato nella boutique dell'albergo, come quello che aveva visto una volta in testa a Hemingway in qualche fotografia. Anche lui trascorreva la giornata in mutandine da bagno e camiciola e, come gli altri, si presentava a tavola per la cena con pantaloni color pastello e giacca safari munita di taschini e spalline. Dopo cena andava al casinò o alla discoteca. Murgatroyd si domandava come fossero quei locali.

Harry Poster, purtroppo, non aveva tenuto per sé il proprio senso dell'umorismo. Murgatroyd "alla Midland" divenne, così, molto noto ai sudafricani, agli australiani e agli inglesi che formavano il grosso della clientela dell'albergo, mentre Higgins, assimilandosi agli altri, riuscì a liberarsi dell'etichetta della direzione centrale. Senza volerlo, Murgatroyd era popolarissimo. Quando ciabattava sulla terrazza dove servivano la colazione, con i calzoncini che gli arrivavano alle ginocchia e le scarpe di tela dalla suola di gomma, veniva accolto da un gran numero di sorrisi e di allegri saluti: «Buongiorno, Murgatroyd!».

Ogni tanto incontrava colui che gli aveva affibbiato il suo titolo. Harry Poster gli passava accanto barcollante, perduto nella sua nube personale di spensieratezza, e la sua mano destra sembrava aprirsi soltanto per depositare un barattolo di birra e afferrarne un altro. Ogni volta, l'allegro australiano sorrideva cordialmente, alzava la mano libera in un gesto di saluto e gridava: «Come va, Murgatroyd?».

Il terzo mattino, Murgatroyd usci dal mare dove aveva nuotato dopo la colazione, si distese sotto la tettoia, appoggiato di spalle al palo di sostegno centrale, e contemplò se stesso. Il sole era ormai alto e stava diventando molto caldo, sebbene fossero appena le nove e mezzo. Egli abbassò lo sguardo sul proprio corpo che, nonostante tutte le precauzioni adottate e gli avvertimenti di sua moglie, stava diventando di un seducente color aragosta. Invidiava le persone che riuscivano a ottenere in breve tempo una sana abbronzatura. Sapeva che il segreto era quello di riuscire a conservarla, una volta ottenuta, evitando di tornare, tra una vacanza e l'altra, bianchi come il marmo. Un'impresa disperata a Bognor, pensò. I loro tre ultimi periodi di vacanza laggiù non erano stati altro che una sequela di piogge e di grigie nubi.

Le gambe gli sporgevano dalle mutandine da bagno sottili e pelose. La pancia era rotonda e prominente e i muscoli del torace pendevano flosci.

Anni trascorsi stando seduto a una scrivania gli avevano fatto diventare largo il sedere, e per giunta i capelli gli si stavano diradando. Aveva ancora tutti i denti e doveva mettersi gli occhiali soltanto per leggere, essendo le sue letture limitate quasi esclusivamente a relazioni d'affari e registrazioni contabili.

Sull'acqua si udì il rombo di un motore, e Murgatroyd alzò gli occhi e vide un piccolo motoscafo acquistare velocità. Trainava una corda alla cui estremità una testa dondolava sull'acqua. Mentre Murgatroyd guardava, la corda si tese all'improvviso e, dalla laguna, spargendo spruzzi, scuro come l'ebano emerse l'uomo che faceva lo sci d'acqua, un giovane ospite dell'albergo. Si reggeva su un solo sci, i piedi disposti l'uno davanti all'altro, e un pennacchio di schiuma scaturì dietro di lui mentre acquistava velocità insieme al motoscafo. L'uomo che guidava quest'ultimo girò il timone e lo sciatore descrisse un grande arco, sfiorando quasi la spiaggia davanti a Murgatroyd. Con i muscoli tesi, le cosce irrigidite contro l'ondularsi della scia dell'elica, sembrava scolpito nella quercia. Il suono della sua risata trionfante echeggiò sulla laguna mentre egli si allontanava di nuovo, velocissimo. Murgatroyd stette a guardarlo e lo invidiò.

Aveva, lo ammise, cinquant'anni, era basso di statura, grassoccio e per niente in forma, nonostante i pomeriggi estivi al circolo del tennis.

Mancavano solo quattro giorni alla domenica e lui avrebbe dovuto risalire su un aereo e volar via per non tornare mai più. Con ogni probabilità sarebbe rimasto ancora dieci anni a Ponder's End per poi andare in pensione, quasi certamente a Bognor.

Si guardò attorno e vide una ragazza molto giovane passeggiare lungo la spiaggia alla sua sinistra. La buona educazione gli avrebbe vietato di fissarla, ma non poté farne a meno: camminava a piedi nudi, con il portamento eretto e la grazia delle ragazze dell'isola. La pelle di lei, senza l'aiuto di olii e lozioni, era color bronzo. Portava un pareo di cotone bianco, con un disegno scarlatto, annodato sotto il braccio sinistro. Le arrivava appena subito sotto i fianchi. Murgatroyd suppose che dovesse avere qualcos'altro, sotto. Una folata di vento le spinse il tessuto contro il corpo, delineando per un secondo i sodi e giovani seni e la vita sottile. Poi lo zefiro cessò e la stoffa ricadde di nuovo.

Murgatroyd vide che la ragazza era una creola di pelle chiara, con occhi scuri ben distanziati, gli zigomi alti e lucidi capelli neri che le ricadevano ondulati sulla schiena. Mentre arrivava alla sua altezza, lei si voltò e prodigò a qualcuno un ampio e allegro sorriso. Murgatroyd fu colto di sorpresa. Non sapeva che ci fosse qualcun altro lì attorno.

Guardò freneticamente a destra e a sinistra per vedere a chi avesse potuto sorridere la ragazza. Ma non c'era proprio nessuno, lì. Quando lui tornò a guardare verso il mare, la ragazza sorrise di nuovo, i denti bianchissimi splendenti nel sole mattutino. Murgatroyd era certo che non gli fosse mai stata presentata. In tal caso il sorriso doveva essere spontaneo. Rivolto a uno sconosciuto. Murgatroyd si tolse gli occhiali da sole e ricambiò il sorriso.

«Buongiorno» gridò.

«Bonjour, m'sieu» rispose la ragazza, e proseguì. Egli la segui con lo sguardo mentre si allontanava. I neri capelli le arrivavano fino ai fianchi, che ondeggiavano lievemente sotto il cotone bianco.

«Figuriamoci se riesci a smettere di pensare a certe cose» disse una voce alle sue spalle. La signora Murgatroyd era venuta a raggiungerlo.

Anche lei segui con lo sguardo la ragazza che si allontanava.

«Sgualdrinanella» disse, e si distese all'ombra.

Dieci minuti dopo, egli voltò la testa e la sbirciò. Era assorta nella lettura dell'ennesimo romanzo storico di un'autrice popolare delle cui opere si era abbondamente rifornita. Murgatroyd tornò a contemplare la laguna e si domandò, come gli era accaduto di domandarsi tante altre volte in passato, come mai sua moglie avesse un appetito così insaziabile per la narrativa romantica mentre disapprovava, con viscerale impeto, la realtà. Il loro non era stato un matrimonio caratterizzato dalla passione, nemmeno nei primi tempi, quando Edna non gli aveva ancora detto che disapprovava "quel genere di cose" e che lui si illudeva se pensava vi fosse una qualsiasi necessità di continuare a farle. Da allora, e per più di vent'anni, egli era rimasto prigioniero di un matrimonio senza amore, il cui tedio soffocante veniva solo occasionalmente interrotto da periodi di intenso odio.

Una volta, nello spogliatoio del circolo del tennis, Murgatroyd aveva sentito dire da qualcuno, a un altro socio, che lui avrebbe dovuto "prendere a cinghiate" sua moglie già da anni. Sul momento, adirato, era stato sul punto di girare intorno agli armadietti e di mostrarsi per protestare. Ma subito dopo ci aveva ripensato, riconoscendo che quel tale aveva probabilmente ragione. Il guaio era che Murgatroyd non era il tipo da prendere a cinghiate le persone: inoltre dubitava che Edna potesse essere migliorata da un trattamento del genere. Lui era sempre stato mite, anche da giovane, e, anche se sapeva dirigere una banca, in casa la sua arrendevolezza aveva finito con il degenerare nella passività e, pertanto, nell'abiezione. Il fardello di queste intime riflessioni si estrinsecò sotto forma di un lungo sospiro.

Edna Murgatroyd lo guardò al di sopra degli occhiali. «Se hai acidità di stomaco va in camera a prendere una compressa» disse.

Higgins lo avvicinò venerdì sera, nel salone, mentre lui aspettava che sua moglie uscisse dalla toilette delle signore.

«Devo parlarle..,, a quattrocchi» sibilò con un angolo della bocca e con tanta segretezza da attirare l'attenzione di tutti entro un raggio di chilometri.

«Capisco» disse Murgatroyd. «Non può parlarmi qui?»

«No» grugni Higgins, esaminando una felce. «Sua moglie può tornare da un momento all'altro. Mi segua.»

Si allontanò con esagerata noncuranza, percorse parecchi metri nel giardino e andò a mettersi dietro un albero, contro il quale si addossò, aspettando. Murgatroyd lo seguì a passi silenziosi.

«Che cosa c'è?» domandò quando lo ebbe raggiunto nell'oscurità tra le piante. Higgins si voltò a sbirciare attraverso gli archi il vestibolo illuminato dell'albergo per accertarsi che la signora Murgatroyd non li avesse seguiti.

«Pesca d'altura» disse. «L'ha mai praticata?»

«No, naturalmente no» disse Murgatroyd.

«Nemmeno io. Ma mi piacerebbe. Almeno una volta. Mi piacerebbe provare. Stia a sentire, tre uomini d'affari di Johannesburg avevano prenotato un'imbarcazione per domattina. Ora sembra che non possano più andare. Così la barca è disponibile, con la metà della tariffa già pagata perché quei tre hanno rinunciato al deposito. Che cosa ne dice? Vogliamo prenderla noi?»

Murgatroyd era stupito dal fatto che si fosse rivolto a lui. «Perché non ci va con un paio di amici del suo gruppo?» domandò.

Higgins scrollò le spalle. «Vogliono trascorrere tutti quanti l'ultimo giorno con le loro amichette, e le ragazze non ci tengono affatto ad andare a pesca. Suvvia, Murgatroyd, facciamo questa esperienza.»

«Quanto viene a costare?»

«Normalmente cento dollari americani a testa» rispose Higgins, «ma, essendo già stata versata la metà, costerà solo cinquanta dollari per ciascuno.»

«Soltanto per poche ore? Sono venticinque sterline.»

«Ventisei sterline e settantacinque pence» disse Higgins, come un automa. In fin dei conti, lavorava nell'ufficio scambi con l'estero.

Murgatroyd si mise a fare rapidi calcoli mentali. Con la tariffa del taxi fino all'aeroporto e le varie spese extra del viaggio di ritorno a Ponder's End, gli restava poco di più di quella cifra. E la somma sarebbe stata destinata da sua moglie all'acquisto di prodotti esenti da dogana e di regali per la sorella a Bognor. Scosse la testa.

«Edna non approverebbe mai» mormorò.

«Non glielo dica.»

«Non dovrei dirglielo?» La sola idea lo lasciava allibito.

«Proprio così» lo esortò Higgins. Si fece più vicino e a Murgatroyd giunse una zaffata di un ponce molto diffuso sull'isola. «Venga e basta. In seguito sua moglie farà il diavolo a quattro, ma tanto lo farebbe lo stesso. Ci pensi. Probabilmente non torneremo mai più qui. Probabilmente non rivedremo mai l'Oceano Indiano. Perché non andare, allora?»

«Be', non saprei...»

«Soltanto una mattinata al largo su una piccola imbarcazione, amico. I capelli scompigliati dal vento, le lenze in acqua per i bonitos, i tonni, i pesci vela. Potremmo anche prenderne uno. Come minimo sarebbe un'avventura da rievocare a Londra.»

Murgatroyd si irrigidì. Pensò al giovanotto che, sullo sci d'acqua, volava attraverso la laguna.

«Ci sto» disse. «Può contarci. Quando si parte?»

Si tolse di tasca il portafoglio, staccò tre travellers's cheque da dieci sterline, lasciandone soltanto due nel libretto, li firmò e li diede a Higgins.

«Si parte prestissimo» bisbigliò Higgins, prendendo gli assegni. «Dobbiamo alzarci alle quattro. Ce ne andremo di qui in macchina alle quattro e mezzo per essere al porto alle cinque. Usciremo dal porto alle sei meno un quarto e ci troveremo su banchi di pesca subito prima delle sette. È l'ora migliore, verso l'alba. L'animatore verrà con noi, ci fa il favore di accompagnarci ed è uno che se ne intende. Ci vediamo nel vestibolo alle quattro e mezzo.»

Rientrò a grandi passi in albergo e si diresse verso il bar. Murgatroyd lo seguì, meravigliato dalla propria audacia e trovò la moglie che aspettava stizzita. La seguì nella sala da pranzo.

Non chiuse occhio per quasi tutta la notte. Sebbene avesse una piccola sveglia, non osò caricarla per paura che Edna la sentisse. Ma non poteva nemmeno permettersi di dormire oltre l'ora stabilita, costringendo Higgins a bussare alla porta dopo le quattro e mezzo. Si appisolò varie volte finché vide le lancette luminose avvicinarsi alle quattro. Al di là delle tende regnava la più fitta oscurità.

Scivolò silenziosamente giù dal letto e sbirciò sua moglie. Dormiva supina come sempre, respirando rumorosamente, con l'arsenale di bigodini tenuto a posto da una reticella. Egli lasciò cadere silenziosamente il pigiama sul letto, e si infilò le mutande. Prese le scarpe di tela, i calzoncini corti e la camiciola, uscì silenziosamente e si chiuse la porta alle spalle. Nel corridoio buio indossò il resto e rabbrividì per il freddo imprevisto.

Nel vestibolo trovò Higgins e la loro guida, un sudafricano alto e magro, a nome Andre Kilian, che organizzava tutte le attività sportive degli ospiti dell'albergo. Kilian sbirciò la sua tenuta.

«Fa freddo sul mare prima dell'alba» disse, «e un caldo maledetto, dopo. Il sole può friggere, al largo. Non ha un paio di pantaloni lunghi e una giacca a vento?»

«Non ci avevo pensato» disse Murgatroyd. «No, ehm, non li ho.» Non osava tornare adesso nella camera.

«Ho io un maglione in più» disse Kilian, e glielo porse. «Andiamo».

Viaggiarono in macchina per un quarto d'ora attraverso le buie campagne, passando accanto a capanne nelle quali un fioco bagliore lasciava capire che anche qualcun altro era già sveglio. Infine, dalla strada maestra discesero serpeggiando nel porticciuolo di Trou d'Eau Douce, così chiamato da qualche capitano francese scomparso da tempo, che doveva aver trovato in quel punto una sorgente d'acqua potabile. Le case del villaggio erano chiuse e buie, ma nel porto Murgatroyd riuscì a distinguere il profilo di un battello ormeggiato e alcune sagome che lavoravano a bordo alla luce di lampadine a pile. Si fermarono vicino al pontile di legno e Kilian tolse dal cassetto dei guanti una fiaschetta colma di caffè bollente e la fece passare. Il caffè fu graditissimo.

Il sudafricano scese dall'automobile e si incamminò lungo il pontile fino al battello. Brani di una conversazione sommessa, nel francese dei creoli, giunsero fino alla macchina. È strano come la gente parli sempre a bassa voce nell'oscurità che precede l'alba.

Dopo dieci minuti, l'uomo tornò indietro. Si intravedeva adesso una striatura chiara sull'orizzonte a est e alcune nubi sfrangiate fiocamente luminose, laggiù. L'acqua era visibile grazie ai suoi bagliori e i profili del pontile, del battello, degli uomini stavano divenendo più nitidi.

«Possiamo salire a bordo, adesso» disse Kilian. Dal portabagagli dell'automobile dell'albergo tolse un contenitore termico che più tardi doveva fornire la birra gelata, e lui e Higgins lo portarono lungo il pontile. Murgatroyd prese i cestini del pranzo e altre due fiaschette di caffè.

L'imbarcazione non era uno dei nuovi e lussuosi modelli in vetroresina, ma un vecchio e poderoso scafo di legno, col ponte in compensato marino. Aveva a prua una piccola cabina che sembrava piena zeppa di attrezzature varie. A dritta della porta della cabina si trovava una singola poltroncina imbottita, su un alto sostegno, di fronte alla ruota del timone e ai comandi essenziali. Questo settore dell'imbarcazione era coperto. Più indietro il ponte era scoperto, con panche di legno a ciascun lato. A poppa si trovava una poltroncina girevole, come quelle che si possono vedere negli uffici, a parte il fatto che era fissata solidamente al ponte e che ne pendevano cinghie per trattenere chi l'avesse occupata.

A ciascun lato del ponte di poppa, due lunghe canne da pesca sporgevano ad angolo simili alle antenne di una vespa. Per lo meno, Murgatroyd pensò a tutta prima che si trattasse di canne da pesca, ma venne a sapere in seguito che erano buttafuori per mantenere le lenze esterne a distanza da quelle interne e impedire che si imbrogliassero.

Un vecchio sedeva sulla poltroncina del pilota, una mano sulla ruota del timone, osservando in silenzio gli ultimi preparativi. Kilian spinse la cassetta della birra sotto una delle panche e, con un gesto, invitò gli altri a sedersi. Un giovane mozzo, appena adolescente, mollò la cima d'ormeggio a poppa e la lanciò sul ponte. Un abitante del villaggio sul pontile fece altrettanto a prora, poi scostò l'imbarcazione spingendola. Il vecchio avviò i motori e nella stiva si cominciò a udire un sordo rombo.

La barca mise adagio la prua verso la laguna. Il sole stava salendo rapidamente, adesso, subito al di sotto dell'orizzonte e la sua luce si diffondeva a ovest sull'acqua. Murgatroyd riuscì a distinguere con chiarezza le case del villaggio lungo la riva della laguna e i pennacchi di fumo che salivano verso il cielo mentre le donne preparavano il caffè. Di lì a pochi minuti, le ultime stelle si erano dileguate. Il cielo divenne celeste come le uova di pettirosso e lame di fulgida luce trapassarono l'acqua. Una folata di vento improvvisa, proveniente dal nulla, diretta verso il nulla, increspò la superficie della laguna e la luce si suddivise in frammenti d'argento. Poi il vento cessò. Tornò la calma piatta, turbata soltanto dalla lunga scia della barca, che da poppa arrivava al pontile sempre più lontano. Murgatroyd guardò fuoribordo e riuscì già a distinguere formazioni di corallo; la profondità era più di sette metri.

«A proposito» disse Kilian, «consentitemi di fare le presentazioni.» Con l'intensificarsi della luce, la sua voce divenne più forte. «Questo battello è l'Avant, che in francese significa Avanti. È vecchio, ma robusto come una roccia, e ai suoi tempi ha catturato alcuni grossi pesci. Il capitano è Monsieur Patient, e questo è suo nipote Jean-Paul.»

Il vecchio si voltò e fece un cenno di saluto agli ospiti. Ma non disse nulla. Indossava una camicia pesante di tela blu e un paio di calzoni dai quali sporgevano piedi nudi e nodosi. Aveva la faccia scura e raggrinzita come una vecchia noce, e portava un logoro cappello di paglia.

Guardava il mare con occhi circondati da una fitta rete di rughe.

«Monsieur Patient ha pescato in queste acque fin da ragazzo, per almeno sessant'anni» disse Kilian. «Lui stesso non sa per quanto tempo, e nessun altro riesce a ricordarlo. Conosce il mare e conosce i pesci. Questo è il segreto per prenderli.»

Higgins tolse dalla borsa che aveva a tracolla una macchina fotografica. «Vorrei scattare una fotografia» disse.

«Se fossi in lei aspetterei ancora qualche minuto» disse Kilian. «E reggetevi forte. Tra poco attraverseremo la scogliera.»

Murgatroyd fissò, a proravia, la scogliera che andava avvicinandosi.

Vista dal balcone dell'albergo, la spuma era sembrata soffice come piume e gli spruzzi gli avevano ricordato schizzi di latte. Ora, da vicino, poté udire il tuono delle ondate che si lanciavano contro gli scogli corallini, lacerandosi e dilaniandosi su file di affilati coltelli subito sotto la superficie. E non riuscì a scorgere alcun varco nella scogliera.

Immediatamente prima della spuma, il vecchio Patient girò bruscamente a destra la ruota del timone e l'Avant venne a trovarsi parallelo al candido turbinio, venti metri più in là. Murgatroyd vide allora il canale.

Si apriva là ove due banchi di corallo correvano affiancati, con uno stretto varco tra essi. Cinque secondi dopo si trovavano nel canale, con frangenti sulla destra e sulla sinistra e navigavano parallelamente alla costa, lontana circa ottocento metri a est. Quando il rifluire dell'acqua li investiva, l'Avant beccheggiava e rollava.

Murgatroyd guardò in giù. Adesso c'erano frangenti da entrambi i lati, ma dalla sua parte, quando la spuma si ritirò, poté vedere il corallo a tre metri di distanza, fragile e delicato da guardare, ma tagliente come un rasoio a toccarlo. Sarebbe bastato sfiorarlo e avrebbe squarciato barca o uomo con estrema facilità. Il capitano sembrava non guardare. Sedeva con una mano sulla ruota del timone e l'altra sul comando dell'acceleratore, lo sguardo fisso dinanzi a sé attraverso il parabrezza, come se avesse ricevuto segnalazioni da qualche faro noto soltanto a lui su quel deserto orizzonte. Ogni tanto modificava la rotta o aumentava la velocità e l'Avant si allontanava, sicuro, da qualche nuova minaccia.

Murgatroyd vedeva le minacce soltanto quando passavano, deluse, sotto i suoi occhi.

In sessanta secondi, che parvero un'eternità, tutto finì. Sulla dritta la scogliera continuava, ma a sinistra terminò e si lasciarono indietro il varco. Il capitano girò di nuovo la ruota del timone e la prora dell'Avant puntò verso il largo. Subito si trovarono ad affrontare i paurosi cavalloni dell'Oceano Indiano. Murgatroyd si rese conto che quella non sarebbe stata una navigazione per uno troppo delicato di stomaco, e sperò di non doversi coprire di vergogna.

«Ehi, dico, Murgatroyd, ha visto quel dannato corallo?» domandò Higgins.

Kilian sorrise. «Uno spettacolo, no? Caffè?»

«Dopo questo passaggio preferirei qualcosa di più forte» disse Higgins.

«Noi pensiamo a tutto» rispose Kilian. «C'è del brandy nel caffè.» E svitò il secondo thermos.

Il mozzo cominciò subito a preparare le canne. Ce n'erano quattro, che egli portò fuori della cabina, robuste canne da pesca in fibra di vetro, lunghe circa due metri e mezzo, con gli ultimi sessanta centimetri rivestiti in sughero per facilitare la presa.

Ognuna di esse era dotata di un grosso mulinello contenente settecento metri di lenza di nylon monofilo. Le estremità delle canne erano di ottone massiccio, intagliate in modo da incastrarsi in apposite incavature sulla barca per evitare che scivolassero. Il ragazzo sistemò le canne negli alloggiamenti e le fermò mediante corde e moschettoni affinché non finissero in mare.

Il primo arco del sole emerse dall'oceano e diffuse i propri raggi sul mare burrascoso. In pochi minuti, l'acqua scura aveva assunto un color blu-indaco intenso; poi, a mano a mano che il sole si alzava all'orizzonte, divenne più chiara e più verde.

Murgatroyd si puntellò contro il beccheggio e il rollio della barca mentre cercava di sorseggiare il caffè, e osservò affascinato i preparativi del mozzo. Da una grossa scatola di attrezzi da pesca egli tolse tratti di filo d'acciaio di varie lunghezze denominati terminali e tutta una gamma di esche. Alcune sembravano minuscoli e vividi calamaretti rosa o verdi, fatti di soffice gomma; c'erano poi piume rosse e bianche, e lucenti cucchiaini, fatti in modo da ruotare nell'acqua, così da attirare l'attenzione di un predatore in caccia. C'erano anche piombi spessi e pesanti a forma di sigaro, ognuno dei quali terminava con un anello per poter essere legato alla lenza.

Il ragazzo domandò qualcosa al nonno nella lingua creola e il vecchio borbottò una risposta. Il mozzo scelse allora due calamaretti, una piuma e un cucchiaio. A un'estremità ogni esca aveva una tirella d'acciaio lunga venticinque centimetri e un singolo o triplo amo a quell'altra. Il ragazzo collegò l'esca a uno dei terminali più lunghi e l'altra estremità di quest'ultimo alla lenza di una canna. Sia all'uno, sia all'altra attaccò un piombo per mantenere l'esca subito sotto la superficie mentre correva nell'acqua. Kilian osservò le esche che venivano impiegate.

«Quel cucchiaino» disse, «va bene per qualche barracuda vagabondo. Il calamaretto e la piuma ci potranno procurare un bonito, un dorado, o anche un grosso tonno.»

Monsieur Patient modificò all'improvviso la rotta e i due uomini allungarono il collo per cercare di vederne il motivo. Non c'era niente sull'orizzonte e a proravia. Sessanta secondi dopo, scorsero quello che il vecchio aveva già visto. Sul lontano orizzonte, uno stormo di uccelli marini si gettava in picchiata o ruotava sopra il mare; erano appena minuscoli puntolini, da quella distanza. «Rondini di mare» disse Kilian. «Hanno visto un banco di piccoli pesci e si tuffano per catturarli.»

«Andiamo forse in cerca di pesci piccoli?» domandò Higgins.

«Noi no» rispose Kilian, «ma i pesci grossi sì. Gli uccelli ci segnalano il banco. Ma i bonitos e i tonni danno la caccia agli spratti.»

Il capitano si voltò e fece cenno al ragazzo, che cominciò a lanciare sulla scia della barca una delle lenze già preparate. Mentre la lenza dondolava freneticamente sulla spuma, egli tolse il fermo dal rispettivo mulinello in modo che il filo di nylon potesse svolgersi liberamente. Il risucchio portò esca, piombo e lenza lontano lungo la scia, finché scomparvero completamente. Il ragazzo lasciò scorrere la lenza finché fu certo che la sua estremità si trovasse a più di trenta metri dalla poppa della barca, quindi bloccò il fermo. La punta della canna si piegò lievemente, poi sostenne la tensione e cominciò a trainare l'esca. In qualche punto, lontano nell'acqua verde, esca e amo correvano a velocità costante sotto la superficie, simili a un pesce veloce.

C'erano due canne piazzate a poppa dell'imbarcazione, una nell'angolo sinistro, l'altra in quello destro. Le altre due si trovavano negli appositi alloggiamenti più avanti a ciascun lato del ponte di poppa. Le rispettive lenze passavano attraverso grossi moschettoni inseriti su corde che salivano fino ai buttafuori; il ragazzo lanciò in mare le esche di queste lenze e poi fece scorrere i moschettoni fino all'estremità dei buttafuori; in tal modo le lenze sarebbero rimaste lontane da quelle interne e parallele ad esse. Se un pesce avesse abboccato, la lenza si sarebbe liberata dal moschettone facendo sì che fossero mulinello e canna a sostenere direttamente lo sforzo.

«Voi due avete mai pescato prima d'ora?» domandò Kilian.

Murgatroyd e Higgins scossero la testa. «Allora sarà meglio che vi mostri che cosa succede quando un pesce abbocca. Dopo sarebbe un po' troppo tardi. Venite a vedere.»

Il sudafricano sedette sulla poltroncina per la pesca d'altura e impugnò una delle canne. «Quando un pesce abbocca, succede che la lenza comincia improvvisamente a scorrere dal mulinello, il quale, girando, emette un ronzio acuto, e in questo modo si è avvertiti. Quando ciò accade, la persona cui tocca pescare prende posto qui e o Jean Paul o io le porgiamo la canna. Okay?»

Gli inglesi annuirono.

«Bene, impugnate la canna e ne appoggiate l'estremità qui, in questo alloggiamento tra le cosce. Quindi agganciate questo moschettone assicurato all'intelaiatura della poltroncina. Se vi viene strappata dalle mani, non correte il rischio di perdere una costosa canna con tutta la lenza. E ora guardate questo aggeggio...»

Kilian indicò una ruota d'ottone con piccoli raggi che sporgeva dal mulinello. Murgatroyd e Higgins annuirono.

«Questa regola la frizione» disse Kilian. «Attualmente è regolata per una trazione molto lieve, diciamo due chilogrammi, per cui, se un pesce abbocca, la lenza scorre e il suono ticchettante del mulinello che gira molto rapidamente è, come vi ho detto, simile a un ronzio acuto. Quando siete pronti, ed è necessario che siate rapidi perché, più lenza lasciate scorrere, più dovete ricuperarne in seguito, ruotate adagio in avanti il regolatore della frizione, in questo modo. L'effetto è quello di aumentare la resistenza del mulinello finché la lenza smette di scorrere. A questo punto il pesce viene trascinato dalla barca, invece di trascinare via la lenza.

«In seguito lo ricuperate. Afferrate il sughero, qui, con la mano sinistra e azionate il mulinello. Se la preda è molto pesante, afferrate la canna con entrambe le mani e tiratela indietro finché viene a trovarsi in posizione verticale. Poi abbassate la mano destra sul mulinello e ricuperate, abbassando al contempo la canna verso poppa. In questo modo il ricupero diventa meno faticoso. Quindi ripetete la manovra. Doppia presa sulla canna, canna portata indietro verticalmente e poi abbassata ricuperando al contempo. In ultimo, vedrete la preda emergere dalla spuma subito a poppa della barca. Allora il mozzo l'aggancerà con l'arpione e la isserà a bordo.»

«Che cosa sono questi segni sul regolatore della frizione e sulla scatola d'ottone del mulinello?» domandò Higgins.

«Indicano la massima tensione consentita» spiegò Kilian. «Queste lenze hanno un limite di rottura di sessanta chilogrammi. Quando sono bagnate si deve detrarre il dieci per cento. Per stare sul sicuro, il mulinello è segnato in modo che, quando queste tacche coincidono, la frizione lascia scorrere lenza soltanto se la trazione esercitata è pari a quarantacinque chilogrammi. Ma reggere molto a lungo a una trazione di quarantacinque chilogrammi, per non parlare del ricupero, vi strapperebbe quasi le braccia, e quindi non credo che sia il caso di arrivare a tale limite.»

«Ma che cosa succede, allora, se abbocca un pesce grosso?» insistette Higgins.

«In tal caso» rispose Kilian, «la sola cosa da fare è stancarlo. E allora comincia la battaglia. Bisogna filargli lenza, ricuperare, farlo correre ancora contro lo sforzo, ricuperare di nuovo, e così via, finché il pesce è cosi spossato da non poter più opporre resistenza. Ma a questo penseremo noi, se sarà il caso.»

Non aveva quasi finito di parlare che l'Avant venne a trovarsi tra le rondini di mare che turbinavano, avendo percorso le tre miglia marine in trenta minuti. Monsieur Patient ridusse la velocità e cominciarono a incrociare sul banco invisibile sotto di loro. I piccoli uccelli, con una grazia instancabile, ruotavano a sei metri d'altezza sul mare, la testa bassa, le ali rigide, finché i loro occhi acuti scorgevano qualche baluginio lungo le montagne d'acqua in moto. Allora piombavano giù, le ali spinte all'indietro, il becco simile a un ago proteso, infilandosi nel cuore dell'onda. Un secondo dopo, riemergevano con qualcosa di argenteo che guizzava nel becco e che all'istante scompariva entro l'esile collo. La loro caccia sembrava non avere mai fine, come la loro energia.

«Ehi, dico, Murgatroyd» osservò Higgins, «faremmo bene a stabilire chi si cimenterà per primo. Facciamo a testa o croce. Lanci lei la moneta.»

Si tolse di tasca una rupia dell'isola Mauritius e fu lui a vincere. Pochi secondi dopo, una delle canne interne oscillò con violenza e la lenza cominciò a scorrere sibilando. Il mulinello in moto emise un suono che rapidamente salì da una sorta di uggiolio a un urlo.

«Questo è mio!» gridò Higgins, felice, e balzò sulla poltroncina girevole. Jean-Paul gli passò la canna, la cui lenza scorreva ancora, ma più adagio, e Higgins ne conficcò l'estremità entro l'alloggiamento.

Agganciò il moschettone e cominciò a regolare la frizione, aumentando la resistenza. La lenza smise quasi subito di scorrere. La canna si curvò in punta. Reggendola con la mano sinistra, Higgins ricuperò con la destra. La canna si curvò ulteriormente, ma il ricupero continuò.

«Sento qualcosa che da strattoni alla lenza» ansimò Higgins. Continuò a ricuperare. Non vi furono ostacoli e Jean-Paul si porse da poppa. Presa in mano la lenza, portò a bordo un piccolo pesce argenteo e rigido.

«Bonito, circa due chilogrammi» disse Kilian.

Il mozzo prese un paio di pinze e staccò l'amo dalla bocca del bonito.

Murgatroyd vide che, ai due lati del ventre argenteo, il pesce era striato di blu-nero come uno sgombro. Higgins sembrava deluso. Lo stormo di rondini di mare rimase indietro a poppa; avevano ormai superato il banco di spratti. Erano le otto passate da pochi minuti e sul ponte di poppa cominciava a far caldo, ma in modo piacevole. Monsieur Patient fece percorrere una lenta curva all'Avant per tornare verso lo stormo di rondini intente a tuffarsi e sul banco di pesci, mentre suo nipote lanciava di nuovo in mare, per un'altra passata, l'amo con il calamaretto come esca.

«Magari potremo farlo cucinare per cena» disse Higgins. Kilian scosse la testa.

«I bonitos servono come esca» disse. «Gli indigeni li mangiano nella zuppa di pesce, ma il loro sapore non è un granché.»

Passarono una seconda volta sul banco e vi fu una seconda abboccata.

Murgatroyd impugnò la canna con un fremito di eccitazione. Era la prima volta che si cimentava in questo sport, o forse sarebbe stata l'ultima. Quando strinse le dita intorno al sughero, poté sentire i fremiti del pesce, sessanta metri più in là, all'estremità della lenza, come se si fosse trovato vicino a lui. Regolò lentamente la frizione in avanti e, in ultimo, la lenza smise di scorrere, si fermò e il suono cessò. L'estremità della canna si curvò verso il mare. Con il braccio sinistro teso e irrigidito egli sostenne la tensione e lo stupì la forza che occorreva per ricuperare.

Tese i muscoli del braccio sinistro e cominciò metodicamente a girare la manovella del mulinello con la mano destra. Girava, ma impegnando tutta la forza di cui disponeva nell'avambraccio. Forse è un pesce grosso, pensò, addirittura molto grosso. L'eccitazione consisteva in questo, se ne rese conto. Non sapere mai con certezza quale gigante delle profondità stesse lottando laggiù, nella scia della barca. E, anche se il pesce non fosse stato un granché, come il bonito di Higgins, be', quello successivo poteva essere enorme. Continuò ad azionare adagio il mulinello, sentendo che il petto gli ansimava per lo sforzo. Quando la preda venne a trovarsi a venti metri dalla barca, parve arrendersi e la lenza poté essere ricuperata molto facilmente. Egli credette di aver perduto il pesce, ma invece era lì. Diede un ultimo strattone mentre arrivava sotto poppa, poi tutto finì. Jean-Paul lo agganciò con l'arpione e lo portò a bordo. Un altro bonito, più grosso, di circa quattro chili e mezzo.

«È grosso, eh» disse Higgins, eccitato. Murgatroyd annuì e sorrise.

Avrebbe avuto qualcosa da raccontare agli altri, a Ponder's End. Seduto alla ruota del timone, il vecchio Patient seguì una nuova rotta, verso un tratto di mare azzurro scuro che egli riusciva a scorgere parecchie miglia più avanti. Osservò il nipote mentre estraeva l'amo dalla bocca del bonito e grugnì qualcosa al ragazzo. Quest'ultimo staccò terminale e esca e rimise l'uno e l'altra nella cassetta dell'attrezzatura. Piazzò la canna nell'alloggiamento, con il moschettone, all'estremità della lenza, che penzolava libero. Poi si portò a prora e si mise al timone. Suo nonno gli disse qualcosa e indicò al di là del vetro del parabrezza. Il ragazzo annuì.

«Non la useremo più quella canna?» domandò Higgins.

«Monsieur Patient deve aver avuto un'altra idea» rispose Kilian. «Lasciamolo fare. Sa quello che fa.»

Il vecchio venne avanti dondolando con disinvoltura sul ponte di poppa ove si trovavano loro, sedette, senza dire parola, a gambe incrociate, prese il bonito più piccolo e cominciò a prepararlo come esca. Il piccolo pesce, irrigidito dalla morte, la coda a falce di luna immobile a entrambi i lati, aveva la bocca aperta e fissava il nulla con i piccoli occhi neri.

Monsieur Patient tolse dalla cassetta un grosso amo a una sola punta collegato a un robusto filo d'acciaio lungo cinquanta centimetri e a una sorta di appuntito chiodo d'acciaio lungo trenta centimetri, simile a un ferro da maglia. Conficcò l'estremità di quest'ultimo nell'orifizio anale del pesce e continuò a spingere finché la punta non emerse insanguinata dalla bocca. All'altra estremità agganciò il terminale d'acciaio e, servendosi delle pinze, fece passare chiodo d'acciaio e terminale attraverso il corpo del pesce, finché il terminale penzolò dalla bocca.

Il vecchio affondò l'amo in profondità nel ventre del bonito, finché scomparve completamente tranne la curvatura e la punta sottile come un ago, con l'altra punta inclinata nel senso opposto. Quest'ultima sporgeva rigida, verso l'esterno e il basso, dalla base della coda, mentre la punta vera e propria era diretta in avanti. Egli estrasse il resto del terminale dalla bocca del pesce, finché non fu ben teso.

Poi prese un ago molto più piccolo, all'incirca come quello che si potrebbe usare per rammendare, e un metro di filo di cotone ritorto. La pinna dorsale e le due pinne ventrali del bonito erano appiattite. Il vecchio legò e avvolse varie volte il filo di cotone intorno alla spina della pinna dorsale, poi infilò l'ago attraverso una piega subito dietro la testa. Quando tesò il filo, la pinna dorsale, una serie di spine e membrane che consentono la stabilità verticale nell'acqua, si eresse.

Ripeté la stessa operazione con entrambe le pinne ventrali, e infine chiuse la bocca del pesce cucendola con punti minuscoli e regolari.

Allorché ebbe terminato, il bonito aveva all'incirca lo stesso aspetto di quando era stato vivo, con le tre pinne spiegate in perfetta simmetria per impedirgli di inclinarsi e ruotare. Una volta acquistata velocità, la coda verticale gli avrebbe fatto mantenere la direzione. La bocca ben chiusa avrebbe evitato turbolenze e bolle d'aria. Soltanto il filo d'acciaio, tra le labbra strette, e il perfido amo alla radice della coda tradivano il fatto che si trattava di un'esca. Come ultima cosa il vecchio pescatore collegò i pochi centimetri di terminale che sporgevano dalla bocca del pesce al secondo terminale penzolante dall'estremità della canna mediante un piccolo mulinello, e affidò la nuova esca all'oceano. Sempre con gli occhi spalancati e fissi, il bonito saltellò due volte sulla scia finché il piombo a forma di sigaro non lo ebbe trascinato sott'acqua a iniziare il suo ultimo viaggio nel mare. Il vecchio lasciò scorrere sessanta metri di lenza, dietro le altre esche, prima di fermare di nuovo la canna e di tornare alla ruota del timone. L'acqua intorno a loro era passata dal blu grigio ad un vivido blu verde.

Dieci minuti dopo, un altro pesce abboccò alla lenza di Higgins, al cucchiaino; questa volta Higgins fece forza sulla canna e ricuperò per ben dieci minuti. Qualsiasi creatura avesse catturato, si stava battendo con una furia pazzesca per liberarsi. A giudicare dalla violenza della trazione, tutti ritennero che potesse trattarsi di un tonno di dimensioni considerevoli, ma, quando la preda fu issata a bordo, risultò che si trattava di un pesce lungo un metro, dal corpo snello e sottile, dal colore dorato sul dorso e sulle pinne.

«Un dorado» disse Kilian. «Bravo; questi tipetti si battono sul serio; e sono buoni da mangiare. Chiederemo allo chef del St Geran di cucinarcelo per cena.»

Higgins era eccitato e felice. «Mi sembrava di tirare un autocarro in fuga» ansimò.

Il mozzo sostituì l'esca e di nuovo l'affidò alla scia della barca.

Il mare era adesso più tempestoso. Murgatroyd si avvinghiò a uno dei montanti che sostenevano il tettuccio di legno a proravia, per vedere meglio. L'Avant si tuffava sempre più selvaggiamente tra le alte ondate in movimento. Negli avvallamenti, potevano contemplare da ogni lato enormi pareti d'acqua, pendii in corsa la cui luminosità, resa sfolgorante dal sole, mascherava la tremenda forza sottostante. Quando salivano sulle creste, riuscivano a scorgere, per miglia e miglia, i profili piumati di bianco di tutte le immense onde, mentre a ovest si intravedeva nebuloso, all'orizzonte, il profilo dell'isola Mauritius.

I cavalloni venivano da est, spalla contro spalla, come ranghi serrati di enormi e verdi uomini delle Guardie intenti a marciare contro l'isola soltanto per morire nei rombi d'artiglieria della scogliera. Murgatroyd si stupì di non soffrire il mal di mare, perché una volta si era sentito malissimo durante la traversata in traghetto da Dover a Boulogne. Ma allora aveva viaggiato su una nave più grande, che si apriva un varco tra le onde cozzando contro di esse e i cui passeggeri respiravano gli odori della nafta, del grasso da cucina, dei cibi preparati in fretta e alla meglio, del fumo nel bar, e di loro stessi. Il più piccolo Avant non lottava contro il mare; lo assecondava e lo cavalcava, cedendo, ma soltanto per risollevarsi.

Murgatroyd contemplava l'acqua e provava quella soggezione che sconfina sull'orlo della paura, così consueta negli uomini a bordo di piccole imbarcazioni. Una nave può essere fiera e imponente, maestosa, costosa e robusta nell'acqua calma di un porto elegante, ammirata dalla gente di passaggio, l'orgoglio esibito del suo ricco proprietario. Ma sull'oceano è sorella del puzzolente peschereccio, dell'arrugginito trabiccolo da carico, un povero oggetto fatto di lamiere saldate o imbullonate, un fragile bozzolo che oppone la sua minuscola forza a una potenza incredibile, un esile giocattolo nel palmo di un gigante. Anche con altre quattro persone intorno a sé, Murgatroyd sentiva la propria inutilità e l'impertinente piccolezza dell'imbarcazione, la solitudine che soltanto il mare può far provare. Coloro che hanno viaggiato soli sul mare o nel cielo, o attraverso le nevi eterne e le nebbie del deserto, conoscono questo stato d'animo. Tutti questi luoghi sono vasti e spietati, ma più spaventoso d'ogni altro è il mare, perché si muove.

Subito dopo le nove, Monsieur Patient mormorò qualcosa, senza rivolgersi a nessuno in particolare. «Y'a quelque chose» disse. «Nous suit

«Che cosa ha detto?» domandò Higgins.

«Ha detto che c'è qualcosa là dietro» spiegò Kilian. «Qualcosa che ci sta seguendo.»

Higgins guardò il mare sconvolto intorno a sé. Non vide altro che acqua. «Come può saperlo, in nome del Cielo?» domandò.

Kilian si strinse nelle spalle. «Così come lei intuisce che qualcosa non va in una serie di cifre in colonna. Istinto.»

Il vecchio ridusse la velocità e l'Avant rallentò fino a sembrare quasi fermo. Il beccheggio e il rollio parvero intensificarsi a mano a mano che diminuivano i giri dei motori. Higgins dovette deglutire ripetutamente mentre la bocca gli si riempiva di saliva. Alle nove e un quarto, una delle canne si curvò molto e la lenza cominciò a scorrere, non rapidissima, ma con vivacità, mentre il crepitio del mulinello sembrava una palla che rimbalzava.

«Tocca a lei» disse Kilian a Murgatroyd, e tolse la canna dal sostegno per piazzarla davanti alla poltroncina. Murgatroyd venne avanti dall'ombra e sedette. Bloccò la canna con moschettone e con la mano sinistra afferrò saldamente il tratto rivestito di sughero. Il mulinello, un grosso Penn Senator, simile per la forma a un barilotto di birra, continuava a girare rapidamente. Egli cominciò ad aumentare la frizione.

La trazione sul braccio aumentò e la canna si curvò ulteriormente. Ma la lenza continuò a scorrere.

«Stringa di più» disse Kilian, «o le mangerà tutta la lenza.»

Murgatroyd irrigidì i bicipiti e strinse ulteriormente la frizione.

L'estremità della canna si abbassò fino ad arrivare all'altezza dei suoi occhi. La lenza, che stava scorrendo via, rallentò, poi riprese a scorrere.

Kilian si chinò per osservare la frizione. Le tacche sull'anello esterno e su quello interno si trovavano quasi di fronte l'una all'altra.

«Quel maledetto sta esercitando una trazione di trentasei o trentasette chilogrammi» disse. «Dovrà stringere ancora un po'.»

Il braccio di Murgatroyd stava cominciando a dolere e le dita gli formicolavano intorno al sughero. Egli regolò la frizione finché le due tacche combaciarono perfettamente.

«Basta così» disse Kilian. «Siamo a quarantacinque chilogrammi. Il limite. Stringa con entrambe le mani e resista.»

Con una sensazione di sollievo, Murgatroyd portò l'altra mano sulla canna, la impugnò saldamente, poggiò le suole delle scarpe di tela contro il parapetto, fece forza con le cosce e i polpacci e si spinse all'indietro. Non accadde niente. La parte bassa della canna rimase verticale tra le sue cosce, l'estremità puntò direttamente verso la scia. E la lenza continuò a scorrere, adagio, costantemente. La riserva sul tamburo del mulinello andava diminuendo sotto i suoi occhi.

«Cristo» esclamò Kilian, «è grosso. La trazione supera i quarantacinque chili. Resista amico.»

Nell'eccitazione, il suo accento sudafricano stava diventando più spiccato. Murgatroyd puntellò di nuovo le gambe, irrigidì le dita, i polsi, gli avambracci, i bicipiti, curvò le spalle, abbassò la testa, e resistette.

Nessuno gli aveva mai chiesto, prima di allora, di opporsi a una forza pari a quarantacinque chilogrammi. Dopo tre minuti, il mulinello smise infine di girare. Qualsiasi cosa si trovasse là sotto, si era preso seicento metri di lenza.

«Sarà meglio metterla nell'imbracatura» disse Kilian. Un braccio dopo l'altro, fece passare le cinghie sulle spalle di Murgatroyd. Altre due cinghie gli vennero assicurate intorno alla vita, mentre una, più larga, gli fu passata tra le cosce. Tutte e cinque erano fissate in una fibbia centrale sul ventre. Kilian strinse l'imbracatura. Questo gli procurò un certo sollievo alle gambe, ma sentì attraverso la camicetta di cotone, che la pelle delle spalle gli bruciava sul davanti. Per la prima volta, Murgatroyd si rese conto di quanto era cocente il sole lì al largo. La pelle delle cosce nude cominciava a bruciargli.

Il vecchio Patient aveva virato, manovrando il timone con una sola mano. Sin dall'inizio stava tenendo d'occhio la lenza. Ora, senza alcun preavviso, si limitò a dire: «Pesce spada».

«E fortunato» disse Kilian. «Sembra che abbia preso un pesce spada.»

«È buono?» domandò Higgins, che era impallidito.

«È il re di tutti i pesci d'altura» disse Kilian. «Uomini ricchi vengono qui, un anno dopo l'altro, e spendono migliaia di sterline per questo sport, senza catturare mai un pesce spada. Ma si batterà contro di lei, come in vita sua non ha mai visto battersi nessuno.»

Sebbene la lenza avesse smesso di scorrere e il pesce stesse nuotando con la barca, la resistenza non era cessata. La punta della canna continuava ad abbassarsi verso la scia. Il pesce stava esercitando una trazione tra i trentadue e i quaranta chilogrammi.

I quattro uomini stettero a guardare in silenzio mentre Murgatroyd resisteva. Per cinque minuti egli si avvinghiò alla canna e il sudore gli imperlò la fronte e le guance, scorrendogli a grosse gocce sul mento.

Adagio, la punta della canna si sollevò mentre il pesce aumentava la velocità per attenuare la pressione sulla bocca. Kilian si accosciò accanto a Murgatroyd e cominciò a dargli consigli come un istruttore di volo all'allievo che si accinge a pilotare per la prima volta un aereo.

«Ricuperi, adesso» disse, «adagio e con decisione. Riduca la frizione a trentasei chilogrammi, nel suo interesse, non in quello del pesce. Quando tenterà la fuga? e lo farà? lo lasci andare e riporti la frizione a quarantacinque chilogrammi. Non cerchi mai di ricuperare mentre sta opponendo resistenza; spezzerebbe la lenza come se fosse un filo di cotone. E, se correrà verso la barca, ricuperi a tutto spiano. Non gli lasci mai la lenza allentata; cercherà di sputare l'amo.»

Murgatroyd fece come gli era stato consigliato. Riuscì a ricuperare trenta metri prima che il pesce tentasse di liberarsi. Quando tentò, l'impeto per poco non gli strappò la canna. Murgatroyd fece appena in tempo a portare l'altra mano intorno al sughero e a resistere con tutte e due le braccia. Il pesce si prese altri cento metri di lenza prima di rinunciare alla fuga e di ricominciare a seguire la barca.

«Si è preso seicentocinquanta metri, fino ad ora» disse Kilian. «Lei ne ha soltanto ottocento.»

«E allora che cosa faccio?» domandò Murgatroyd, a denti stretti. La lenza divenne lasca e lui cominciò a ricuperare.

«Preghi» rispose Kilian. «Non può trattenerlo con una trazione di quarantacinque chilogrammi. E quindi, se arriverà all'estremità della lenza sul mulinello, la spezzerà.»

«Sta cominciando a fare un gran caldo» disse Murgatroyd.

Kilian sbirciò i calzoni corti e la camiciola. «Friggerà, qui al sole» disse. «Aspetti un momento.» Si tolse i pantaloni e li infilò sulle gambe di Murgatroyd, una alla volta. Poi li tirò su il più possibile.

L'imbracatura impedì che arrivassero fino alla vita, ma, per lo meno, le cosce e gli stinchi rimasero protetti. Il sollievo dal bruciore del sole fu immediato. Kilian andò a prendere nella cabina una maglia di ricambio con le maniche lunghe. Ruzzava di sudore e di pesce.

«Ora gliela infilo intorno alla testa» disse, «ma il solo modo per fargliela scendere più in basso consiste nel togliere l'imbracatura per qualche secondo. Speriamo soltanto che il pesce spada non tenti la fuga proprio in quei momenti.»

Furono fortunati. Kilian fece scivolar giù le due cinghie dalle spalle, abbassò la maglia fino alla vita di Murgatroyd, poi riagganciò le cinghie.

Il pesce si limitò a correre con la barca, la lenza tesa, ma non eccessivamente. Grazie alla protezione della maglia, il dolore intenso alle braccia si attutì notevolmente. Kilian si voltò. Dal suo posto, il vecchio Patient stava porgendo il cappello di paglia. Kilian lo piazzò sulla testa di Murgatroyd. Quel po' d'ombra gli riparò gli occhi, concedendogli altro sollievo, ma la pelle della faccia era già infiammata e rossa. Il sole riflesso dal mare può ustionare più dei raggi diretti.

Murgatroyd approfittò della passività del pesce spada per ricuperare altra lenza. Aveva ricuperato cento metri e ogni metro gli aveva fatto dolere le dita sulla manovella del mulinello, poiché la trazione era ancora pari a diciotto chilogrammi, quando il pesce tentò nuovamente la fuga. Si riprese i cento metri in trenta secondi, esercitando una trazione di ben quarantacinque chilogrammi sulla frizione che slittava.

Murgatroyd non fece altro che curvarsi e resistere. L'imbracatura gli mordeva la carne ogni volta che la toccava. Erano le dieci.

Nell'ora successiva, egli cominciò a imparare che cosa significava soffrire. Aveva le dita irrigidite e pulsanti. I polsi gli dolevano e gli avambracci trasmettevano spasmi fino alle spalle. I bicipiti erano come paralizzati e le spalle sembravano urlare esigendo una tregua. Anche sotto i pantaloni e la maglia il sole spietato stava ricominciando a scorticargli la pelle. Per ben tre volte, nel corso di quell'ora, egli sottrasse cento metri di lenza al pesce; per tre volte il pesce tentò la fuga e si riprese la lenza.

«Credo di non potercela fare ancora a lungo» disse Murgatroyd a denti stretti.

Kilian si trovava in piedi accanto a lui, con in mano un barattolo di birra gelata aperto. Aveva le gambe nude, ma abbronzate da anni di esposizione al sole. Sembrava che il sole non lo scottasse.

«Resista, amico. La battaglia si riduce a questo. Lui ha la forza, lei ha l'attrezzatura e la scaltrezza. È soltanto questione di resistenza. La sua capacità di resistenza contro quella del pesce.»

Subito dopo le undici, il pesce spada si drizzò sulla coda per la prima volta. Murgatroyd lo aveva avvicinato fino a cinquecento metri. La barca rimase per un secondo in equilibrio sulla cresta di un cavallone. Nella scia il pesce emerse sulla china di una montagna d'acqua verde, e Murgatroyd rimase a bocca aperta. Il becco affilato della mascella superiore si proiettò verso il cielo; sotto ad esso, la corta mascella inferiore pendeva aperta. Più in alto e più indietro degli occhi, la pinna dorsale frastagliata, simile a una cresta di gallo, era estesa ed eretta.

Seguì la mole lucente del corpo e poi, mentre l'ondata con la quale era venuto gli rifluiva sotto, il pesce spada parve restar ritto sulla coda a falce di luna. Per un attimo rimase così, fissandoli oltre la distesa di bianche creste. Poi ripiombò entro un'altra parete liquida in movimento e scomparve, in profondità nel proprio gelido e scuro mondo. Il vecchio Patient parlò, rompendo per primo il silenzio.

«C'est l'Empereur» disse.

Kilian si girò di scatto verso di lui. «Vous êtes sur?» domandò.

Il vecchio si limitò ad annuire.

«Che cosa ha detto?» domandò Higgins.

Murgatroyd fissava il punto nel quale il pesce era scomparso. Poi, lentamente e costantemente, ricominciò a ricuperare.

«Conoscono quel pesce, da queste parti» disse Kilian. «Se si tratta proprio di quello, e non mi risulta che il vecchio si sia mai sbagliato, è un "marlin blu" ritenuto più grosso del primato mondiale di quattrocentonovantacinque chilogrammi, la qual cosa significa che deve essere vecchio e scaltro. Lo chiamano l'Imperatore. È leggendario, per i pescatori locali.»

«Ma come potrebbero riconoscere un particolare pesce?» domandò Higgins. «Sembrano tutti uguali.»

«Questo è stato preso all'amo due volte» disse Kilian. «Ed entrambe le volte ha spezzato la lenza. Ma la seconda volta si trovava vicino alla barca, al largo di Rivière Noire. Videro il primo amo pendergli dalla bocca. Poi spezzò la lenza all'ultimo momento e se ne andò con un secondo amo. Entrambe le volte si drizzò ripetutamente sulla coda e tutti poterono vederlo bene. Qualcuno gli scattò una fotografia mentre era completamente fuori dall'acqua, e quindi è ben conosciuto. A me non è stato possibile riconoscerlo da cinquecento metri di distanza, ma Patient, nonostante tutti i suoi anni, ha gli occhi di una sula.»

A mezzogiorno, Murgatroyd sembrava vecchio e malaticcio a vedersi.

Sedeva ingobbito in avanti sulla canna, in un mondo tutto suo, solo con la sofferenza e una qualche decisione interiore mai provata prima di allora. Dalle vesciche sul palmo di entrambe le mani scorreva acqua, l'imbracatura zuppa di sudore gli incideva spietatamente le spalle flagellate dal sole. Ma lui, a capo chino, ricuperava lenza.

A volte la lenza veniva facilmente, come se anche il pesce si stesse concedendo un po' di riposo. Quando la tensione abbandonava la lenza, la sensazione di sollievo era tale che, in seguito, Murgatroyd non riuscì mai a descriverla. Quando la canna si incurvava e tutti i suoi muscoli indolenziti facevano forza, una volta di più, contro il pesce, il dolore superava ogni sua immaginazione.

Subito dopo mezzogiorno, Kilian gli si accosciò accanto e gli offrì un'altra birra. «Senta, amico, lei è molto stanco. Sta lottando da tre ore, e, davvero non si può dire che sia abbastanza in forma. Non c'è alcuna necessità di uccidersi. Se ha bisogno di aiuto, di un breve riposo, lo dica.»

Murgatroyd scosse la testa. Aveva le labbra spaccate dal sole e dagli spruzzi salsi.

«Il pesce è mio» disse. «Mi lasci in pace.»

La battaglia continuò mentre il sole martellava il ponte. Il vecchio Patient, appollaiato come un savio cormorano rosso sul suo alto trespolo, teneva una mano sul timone e lasciava i motori al minimo, la testa voltata scrutando la scia per scorgere un indizio della presenza dell'Imperatore. Jean-Paul rimaneva rannicchiato all'ombra della tenda.

Già da tempo aveva ricuperato le altre lenze e rimesso al loro posto le tre canne. Nessuno voleva più saperne dei bonitos, ormai, e le lenze in più non avrebbero fatto che imbrogliarsi. Alla fine Higgins aveva ceduto al mal di mare, e sedeva infelice, la testa china su un secchio nel quale era stato costretto a restituire i panini imbottiti portati per lo spuntino e il contenuto di due bottiglie di birra. Seduto di fronte a lui, Kilian trangugiava la quinta birra gelata. Di tanto in tanto essi sbirciavano lo spaventapasseri ingobbito sotto il berretto a visiera, sulla poltroncina girevole, e ascoltavano il ronzio del mulinello che ricuperava, o il disperato sibilo mentre la lenza filava di nuovo in mare.

Il pesce spada si trovava a trecento metri di distanza quando di nuovo "camminò sulla coda". Questa volta la barca era scesa nell'avvallamento tra due cavalloni e l'Imperatore irruppe alla superficie puntando direttamente verso di loro. Emerse con un balzo, spargendo spuma dal dorso. L'arco del salto lo conduceva verso il basso, dalla cresta dell'onda, e la lenza divenne a un tratto completamente lasca. Kilian balzò in piedi.

«Ricuperi» urlò. «Sputerà l'amo!»

Le stanche dita di Murgatroyd fecero turbinare la manovella del mulinello per ricuperare la lenza allentata. Ci riuscì appena in tempo. La lenza tornò a tendersi mentre il pesce spada si rituffava nel mare.

Murgatroyd aveva guadagnato cinquanta metri. Poi l'Imperatore se li rimangiò tutti. Giù, nelle immote e scure profondità, a parecchie braccia sotto le onde e il sole, il grosso predatore, con istinti affinati da un milione d'anni di evoluzione, si voltò contro la trazione del nemico, sostenne lo sforzo con l'angolo della bocca ossuta, e si immerse sempre più.

Sulla poltroncina, il piccolo direttore di banca tornò a ingobbirsi, strinse le dita indolenzite intorno al sughero bagnato, sentì l'imbracatura affondargli nelle spalle come cavi sottili, e resistette. Osservò la lenza ancora bagnata scorrere via, metro dopo metro, davanti ai suoi occhi.

Cinquanta metri erano andati, e il pesce continuava a immergersi.

«Dovrà voltarsi e tornare su» disse Kilian, guardando alle spalle di Murgatroyd. «Sarà il momento di ricuperare.»

Si chinò e scrutò la faccia spellata, color rosso mattone. Due lacrime sgorgarono dagli occhi semichiusi e striarono le guance flosce di Murgatroyd. Il sudafricano gli mise una mano compassionevole sulla spalla.

«Senta» disse, «non può più farcela. Perché non lascia che prenda io il suo posto, soltanto per un'ora, eh? Poi tornerà qui per l'ultima fase, quando l'Imperatore sarà vicino e pronto ad arrendersi.»

Murgatroyd osservò la lenza che rallentava. Aprì la bocca per parlare.

Una screpolatura nel labbro si ampliò e un rivoletto di sangue gli finì sul mento. Il sughero stava diventando scivoloso a causa del sangue che sgorgava dal palmo delle mani.

«Il pesce è mio» gracidò, «il pesce è mio.»

Kilian si raddrizzò. «Sta bene, inglese, il pesce è suo.»

Erano le due del pomeriggio. Il sole si serviva del ponte di poppa dell'Avant come di una propria incudine personale. L'Imperatore smise di immergersi e la trazione sulla lenza si ridusse a diciotto chilogrammi.

Murgatroyd ricominciò a ricuperare.

Un'ora dopo, il pesce spada balzò fuori dal mare per l'ultima volta.

Distava appena cento metri. Il balzo fece sì che Kilian e il mozzo accorressero al parapetto per guardare. Per due secondi, l'Imperatore rimase sospeso sopra la spuma, scuotendo la testa da un lato e dall'altro come un terrier per liberarsi dall'amo che lo trascinava inesorabilmente verso i suoi nemici. Da un angolo della bocca un tratto di filo d'acciaio baluginò nel sole mentre il pesce fremeva. Poi, con il tonfo della carne sull'acqua, lo spada ripiombò nel mare e scomparve.

«È lui» disse Kilian, con un tono di timore reverenziale nella voce, «è l'Imperatore. Deve pesare almeno cinquecentoquaranta chili, è lungo sei metri dalla testa alla coda, e quel suo becco a spada può trapassare venticinque centimetri di legno quando esso nuota alla sua massima velocità, quaranta nodi. Che animale!»

Gridò, rivolto a Monsieur Patient: «Vous avez vu

Il vecchio annuì.

«Que pensez vous? Il va venir vite

«Deux heures encore» rispose il vecchio. «Mais il est fatigué

Kilian si accosciò accanto a Murgatroyd. «Il vecchio dice che adesso il pesce è stanco» mormorò. «Ma si batterà ancora, forse per un altro paio d'ore. Vuole continuare?»

Murgatroyd fissò il punto in cui il pesce era scomparso. La stanchezza gli stava offuscando la vista, e tutto il suo corpo era una sola sofferenza lancinante. Spasimi di dolore più tagliente gli percorrevano la spalla destra, dove aveva uno strappo muscolare. Non era ancora stato costretto una sola volta a ricorrere alle sue estreme, ultime riserve di energia, e pertanto non sapeva se ce l'avrebbe fatta. Annuì. La lenza era ferma, la canna curva. L'Imperatore stava tirando, ma non arrivava alla trazione di quarantacinque chilogrammi. Il direttore di banca rimase dov'era e resistette.

Per altri novanta minuti continuarono a lottare, l'uomo di Ponder's End e il grande pesce spada. Quattro volte ancora il pesce scese in profondità e si prese lenza, ma le sue fughe stavano diventando più brevi e la fatica per vincere una trazione di quarantacinque chilogrammi contro la frizione del mulinello esauriva anche la sua forza primeva. Per quattro volte Murgatroyd, soffrendo le pene dell'inferno, ricuperò e guadagnò pochi metri ogni volta. La sua spossatezza stava ormai rasentando il delirio. I muscoli dei polpacci e delle cosce guizzavano follemente, come lampadine elettriche un attimo prima di bruciare. La vista gli si offuscava più spesso. Alle quattro e mezzo si era battuto per sette ore e trenta minuti e nessuno dovrebbe esigere una simile fatica anche da parte di un uomo in piena forma. Ormai era soltanto una questione di tempo, e non molto. Uno dei due doveva cedere.

Alle cinque meno venti la lenza divenne lasca. La cosa colse Murgatroyd di sorpresa. Poi egli cominciò a ricuperare. La lenza venne più facilmente. Il peso era sempre là, ma passivo. I fremiti erano cessati.

Kilian udì il ritmico ronzio del mulinello in azione e dall'ombra si avvicinò al parapetto. Guardò a poppa.

«Sta venendo» gridò. «L'Imperatore viene su.» Il mare si era calmato con l'avvicinarsi della sera. I cavalloni crestati di spuma non esistevano più, sostituiti da onde dolci e silenziose. Jean Paul e Higgins? che era ancora tormentato dalla nausea ma non vomitava più? vennero a vedere. Monsieur Patient fermò i motori e bloccò la ruota del timone.

Poi scese dal suo trespolo e raggiunse gli altri. In silenzio il gruppo contemplò l'acqua, subito a poppa.

Qualcosa emerse alla superficie dell'onda, qualcosa che guizzava e zigzagava, ma si avvicinava all'imbarcazione costretto dalla lenza di nylon. La pinna crestata sporse fuori dell'acqua per un momento, poi si reclinò di lato. Il lungo becco puntò in alto e, subito dopo, affondò sotto la superficie.

Da venti metri di distanza poterono distinguere la grande mole dell'Imperatore. A meno che non gli rimanesse qualche ultima, violenta riserva di energia nelle ossa e nei tendini, non sarebbe più fuggito verso la libertà. Si era arreso. A sei metri di distanza, l'estremità del terminale d'acciaio arrivò alla punta della canna. Kilian infilò un robusto guanto di cuoio e l'afferrò. Cominciò a issare con entrambe le mani. Tutti ignoravano Murgatroyd, afflosciato sulla poltroncina.

Per la prima volta dopo otto ore lui lasciò andare la canna e la canna cadde contro il parapetto. Adagio e dolorosamente Murgatroyd si liberò dell'imbracatura che scivolò giù. Appoggiò il proprio peso sui piedi e cercò di alzarsi. Polpacci e cosce erano troppo deboli e lui finì lungo disteso sul ponte accanto al dorado morto. Gli altri quattro uomini stavano scrutando quel che dondolava a poppa della barca. Mentre Kilian faceva forza sul terminale d'acciaio afferrato con il guanto, JeanPaul balzò in piedi sul parapetto, tenendo alto sopra il capo il grosso uncino dell'arpione. Murgatroyd guardò e vide il ragazzo in equilibrio lassù e l'uncino ricurvo tenuto alto nell'aria.

La voce gli scaturì dalla bocca più come un rauco gracidio che come un grido. «No.»

Il ragazzo si immobilizzò e abbassò gli occhi. Murgatroyd, inginocchiato sul ponte, stava esaminando la cassetta dell'attrezzatura.

Sopra gli altri attrezzi si trovava una pinza tagliafili. Lui la prese con l'indice e il pollice della mano sinistra e la premette sulla carne sanguinolenta del palmo destro. Lentamente le dita si chiusero sull'impugnatura. Aiutandosi con la mano libera egli si mise in piedi e si sporse a poppa.

L'Imperatore si trovava subito sotto di lui, spossato fin quasi a essere in punto di morte. L'enorme corpo giaceva di traverso sulla scia della barca, riverso sul fianco, la bocca semiaperta. Da un angolo della bocca pendeva il terminale d'acciaio di una precedente lotta con i pescatori d'altura, ancora lucente e come nuovo. Dalla mascella inferiore sporgeva un altro amo, da tempo arrugginito. Il loro terminale d'acciaio andava dalla mano di Kilian al terzo amo, quello di Murgatroyd, affondato in profondità nelle cartilagini del labbro superiore. Soltanto la sua estremità superiore era visibile.

Le onde, una dopo l'altra, coprivano il corpo azzurro-nero del pesce spada. Da sessanta centimetri di distanza, l'Imperatore fissava Murgatroyd con un occhio marmorizzato, grande come un piattino. Era vivo, ma non gli rimaneva più la forza per combattere. Il terminale, dalla bocca del pesce alla mano di Kilian, era teso. Murgatroyd si protese adagio verso il basso, avvicinando la mano destra alla bocca del pesce.

«Potrà accarezzarlo dopo, amico» disse Kilian, «ora issiamolo a bordo.»

Con deliberazione, Murgatroyd piazzò le ganasce della pinza a ciascun lato del terminale d'acciaio là ove esso era collegato all'amo. Poi strinse. Sangue gli sgorgò dal palmo, scorrendo nell'acqua salsa sulla testa del pesce spada. Egli strinse ancora e il terminale d'acciaio venne reciso.

«Che cosa sta facendo? Se ne andrà!» urlò Higgins.

L'Imperatore fissò Murgatroyd mentre un'altra ondata lo copriva.

Scosse la stanca, vecchia testa e affondò la spada del becco nell'acqua gelida. L'ondata successiva lo fece ruotare con il ventre in giù ed esso affondò ulteriormente la testa. Lontano, sulla sinistra, la grande coda a falce di luna si alzò e ricadde, stancamente smuovendo l'acqua. Quando prese contatto con il mare, guizzò due volte e spinse il corpo in avanti e in basso. La coda fu l'ultima cosa che videro, mentre spingeva stancamente il pesce spada sotto le onde, nella fredda oscurità del suo mondo.

«Inferno dannato» esclamò Kilian.

Murgatroyd cercò di raddrizzarsi, ma troppo sangue gli era affluito alla testa. Ricordò, in seguito, il cielo che ruotava adagio, una volta, tracciando un ampio cerchio e il crepuscolo che calava molto rapidamente. Il ponte saettò verso di lui, colpendolo dapprima alle ginocchia e poi in faccia. Svenne. Il sole pendeva sospeso sopra i monti dell'isola Mauritius, a ovest.

Era tramontato da un'ora quando l'Avant si diresse verso il porticciolo, attraverso la laguna, e Murgatroyd era ritornato in sé. Durante la traversata di ritorno, Kilian si era ripreso i pantaloni e la maglia, affinché l'aria fresca della sera potesse dare sollievo al corpo ustionato.

Murgatroyd aveva bevuto tre birre di seguito e sedeva su una delle panche, le spalle curve, le mani in un secchio d'acqua salata. Quando la barca si ormeggiò al pontile di legno e Jean-Paul corse verso il villaggio, non se ne accorse.

Il vecchio Monsieur Patient fermò i motori e si accertò che le cime fossero ben salde. Gettò sul pontile il grosso bonito e il dorado e mise al loro posto attrezzatura e esche. Kilian portò sul pontile la cassetta delle birre, poi balzò sul ponte scoperto.

«È ora di andare» disse.

Murgatroyd si mise in piedi e Kilian lo aiutò a salire sul pontile. I calzoni corti gli arrivavano sotto le ginocchia e la camiciola sbottonata gli sventolava intorno, macchiata di sudore. Le scarpe di tela schioccavano bagnate. Numerosi abitanti del villaggio si stavano allineando sul pontile, per cui loro due dovettero camminare uno dietro l'altro. Higgins li aveva preceduti.

La prima persona della fila risultò essere Monsieur Patient.

Murgatroyd avrebbe voluto scambiare una stretta di mano con lui, ma le mani gli dolevano troppo. Lo salutò con un cenno del capo e sorrise.

«Merci» disse.

Il vecchio, che aveva riavuto il cappello di paglia, se lo tolse. «Salut, Maître» rispose.

Murgatroyd percorse adagio il pontile. Ognuno degli abitanti del villaggio chinò il capo e disse: «Salut, Maître». Giunsero in fondo al pontile e passarono sulla ghiaia della strada del villaggio. Li c'era un gran numero di altre persone riunite intorno all'automobile. «Salut, salut, salut, Maître» dissero sommessamente.

Higgins stava mettendo nel portabagagli gli indumenti e i cestini della colazione. Kilian caricò la cassetta della birra, poi venne accanto alla portiera posteriore dove il direttore di banca lo aspettava.

«Che cosa stanno dicendo?» bisbigliò Murgatroyd.

«La stanno salutando» rispose Kilian. «Dicono che lei è un maestro in fatto di pesca,»

«Per via dell'Imperatore?»

«È una leggenda, da queste parti.»

«Dicono così perché ho catturato l'Imperatore?»

Kilian rise sommessamente. «No, inglese, dicono così perché gli ha ridato la vita.»

Salirono sulla macchina, Murgatroyd dietro, dove si lasciò cadere con gratitudine sul sedile, tenendo in grembo le mani a coppa, con i palmi che gli bruciavano. Kilian si mise al volante e Higgins prese posto accanto a lui.

«Ehi, dico, Murgatroyd» esclamò Higgins, «a quanto pare questa gente del villaggio la giudica in gambissima.»

Murgatroyd guardò, fuori del finestrino, le scure facce sorridenti e i ragazzetti che salutavano con la mano. «Prima di tornare all'albergo sarebbe meglio che ci fermassimo all'ospedale di Flacq a farle dare un'occhiata dal medico» disse Kilian.

Il giovane dottore indiano pregò Murgatroyd di spogliarsi, poi fece schioccare la lingua, preoccupato da quel che vide. Le natiche erano spellate e coperte di vesciche a furia di strisciare avanti e indietro sulla poltroncina. Profondi solchi viola gli attraversavano le spalle e la schiena, là dove avevano morso le cinghie dell'imbracatura. Braccia, cosce, stinchi erano spellati e ustionati dal sole e la gran calura gli aveva fatto gonfiare la faccia. I palmi delle mani sembravano bistecche al sangue.

«Oh, santo cielo» esclamò il medico, «ci vorrà un po' di tempo.»

«Devo ripassare a prenderlo, diciamo tra un paio d'ore?» domandò Kilian.

«Non è necessario» rispose il dottore. «L'Hotel St Geran è vicino alla strada che faccio per tornare a casa. Lo accompagnerò io.»

Erano le dieci quando Murgatroyd passò per l'ingresso principale del St Geran e si trovò nella luce vivida del vestibolo. Il dottore era ancora con lui. Uno degli ospiti dell'albergo li vide entrare e corse nel salone da pranzo per avvertire i ritardatari a cena. La voce si sparse fino al bar della piscina. Una folla di turisti si affrettò verso il vestibolo per complimentarsi. Si fermarono tutti a metà strada.

Murgatroyd era uno spettacolo a vedersi. Aveva le braccia e le gambe spalmate con uno spesso strato di lozione alla calamina, che, asciugandosi, era diventata color bianco gesso. Entrambe le mani, avvolte nelle bende bianche, sembravano quelle di una mummia. La faccia, color rosso-mattone, brillava a causa della crema. I capelli formavano uno scompigliato alone intorno alla faccia e i calzoni corti kaki gli penzolavano sotto le ginocchia. Lo si sarebbe detto il negativo di una fotografia. Lentamente, lui, si diresse verso la folla, che si separò per lasciarlo passare.

«Ben fatto, vecchio mio» disse qualcuno.

«Bravo, bravo, assolutamente» disse qualcun altro.

Stringergli la mano era escluso. Alcune persone pensarono di dargli pacche sulla schiena mentre passava, ma il medico li allontanò con un gesto. Altre avevano in mano bicchieri e li levarono per brindare.

Murgatroyd giunse ai piedi dello scalone che conduceva alle camere del primo piano e cominciò a salire. In quel momento, la signora Murgatroyd uscì dal salone del parrucchiere, attirata dal trambusto.

Aveva trascorso la giornata alimentando in se stessa un'ira crescente da quando, a metà mattina, sconcertata per non averlo trovato nel solito posto sulla spiaggia, si era messa a cercarlo, e aveva saputo dove era andato. Aveva il viso paonazzo, non tanto per il sole quanto per la rabbia. La permanente per il viaggio di ritorno non era ancora completata e i bigodini le sporgevano dalla testa come batterie di razzi Katiuscia.

«Murgatroyd!» tuonò? lo chiamava sempre per cognome, quando era arrabbiata. «Dove credi di andare?»

Sul pianerottolo intermedio Murgatroyd si voltò e contemplò dall'alto la ressa e sua moglie. In seguito Kilian avrebbe raccontato ai colleghi che egli aveva un'espressione strana negli occhi. La folla tacque.

«E guarda come ti sei conciato!» gridò risentita Edna Murgatroyd.

Il direttore di banca fece allora qualcosa che non faceva da molti anni.

Urlò.

«Zitta!...»

Edna Murgatroyd rimase a bocca aperta, come il pesce spada, ma assai meno dignitosamente.

«Edna, per venticinque anni» disse Murgatroyd, con voce sommessa, «hai minacciato di andare ad abitare con tua sorella a Bognor. Sarai lieta di sapere che io non ti tratterrò più. Non tornerò in Inghilterra con te, domani. Rimarrò qui, su quest'isola.»

La folla lo fissava, ammutolita.

«Non rimarrai priva di mezzi» continuò lui. «Ti lascerò la casa e i miei risparmi. Quanto a me, avrò la pensione e incasserò la mia esorbitante polizza di assicurazione.»

Harry Foster bevve una lunga sorsata dal barattolo di birra e ruttò.

Higgins disse, con voce tremula: «Non può andarsene da Londra, vecchio mio. Non avrà abbastanza per tirare avanti».

«Sì che posso» rispose il direttore di banca. «Ormai ho deciso e non cambierò idea. Ho pensato a tutto all'ospedale, quando Monsieur Patient è venuto a vedere come stavo. Abbiamo concluso un accordo. Mi venderà la sua barca e mi rimarrà ancora abbastanza per una casupola sulla spiaggia. Lui continuerà a essere il capitano e manderà il nipote a studiare all'università. Io farò da mozzo e per due anni imparerò da Monsieur Patient l'arte della navigazione e della pesca. In seguito, porterò a pescare i turisti e mi guadagnerò da vivere in questo modo.»

La folla degli ospiti dell'albergo continuò a fissarlo con attonito stupore.

Fu Higgins a rompere di nuovo il silenzio. «Ma Murgatroyd, vecchio mio, e la banca? E Ponder's End?»

«E io, allora?» piagnucolò Edna Murgatroyd.

Suo marito meditò giudiziosamente su ogni domanda.

«La banca può andare all'inferno» disse infine. «All'inferno Ponder's End. E, cara la mia donna, vai all'inferno anche tu.»

Ciò detto, si voltò e salì gli ultimi pochi scalini.

Un applauso scoppiò alle sue spalle e, mentre percorreva il corridoio, diretto in camera sua, lo seguì l'allegra approvazione dei bevitori.

«Bravo, Murgatroyd!»

Inizio