CAPITOLO 16
Per un pezzo, dopo che furono andati via, Darling Jill si torse le dita. E non osava guardare sua sorella, seduta di faccia a lei. Tremava.
Ma stando così, senza guardare, si sentiva sola.
Ciò la spaventava e finì per farsi coraggio, guardò.
Allora rimase sorpresa di vedere che Rosamond era calma. Essa sedeva, dondolandosi un poco, sempre con le mani riunite sul grembo. E aveva un’espressione di meravigliosa serenità sulla faccia.
Pluto, accanto a lei, era stravolto. Quanto era accaduto lo aveva sbalordito, ma non lo aveva commosso. Darling Jill aveva sentito passare nella stanza i cavalloni di vita che irrompevano da Will e da Griselda. Anche Rosamond lo aveva sentito. Ma Pluto no. Egli era un uomo e non poteva sentire queste cose.
Dalla porta aperta si vedeva ricadere sul letto e sul pavimento della stanza vicina la luce dei lampioni tutta arabescata di foglie d’ombra. In quella stanza c’erano Will e Griselda.
“Raccatterò questa filaccia,” disse Rosamond.
Essa lasciò la sua seggiola e s’inginocchiò per terra, si mise a radunare i brandelli di cotone e di seta sparsi sul pavimento.
Disse: “Faccio da me. Non occorre che mi aiutiate. ” Quando ebbe finito essa andò in cucina e ne tornò con un sacchetto di carta. Darling Jill la guardava sbalordita. La guardò ficcare nel sacchetto tutta la filaccia dei panni di Griselda.
A Darling Jill pareva che Will e Griselda fossero da ore nell’altra stanza. Come non li sentiva più parlare si domandò se non si fossero addormentati.
Ma si ricordò che Will aveva detto di non voler dormire quella notte, e lo pensò sveglio accanto a Griselda addormentata.
“Buck ucciderà Will,” disse.
“Lo so,” disse Rosamond.
“Da me non saprà nulla, ma riuscirà lo stesso a saperlo,” disse Darling Jill.
“Sì,” disse Rosamond.
“Forse si è già messo in cammino. Forse sta per venire… Aspettava Griselda prima di sera.“ “Non credo che verrà stasera stessa. Ma domani verrà.” “Bisognerebbe che Will non si facesse trovare.
Bisognerebbe che andasse via.“ “Will non andrà via. Egli resterà qui.” “Ma Buck lo ucciderà, Rosamond.” “Sì. Lo ucciderà.” Rosamond andò in cucina a vedere che ore fossero.
Vide che erano le tre passate. E tornò a sedersi nella stanza, con le mani intrecciate sul grembo.
“Non partiamo?” Pluto chiese.
“No,” disse Darling Jill. “Chiudi il becco.” Disse Pluto: “Ma io debbo…” “Tu non devi far niente,” disse Darling Jill.
“Chiudi il becco.” Allora Will apparve sulla porta, a piedi scalzi.
Non portava altro che un paio di pantaloni corti, e aveva l’aria di un tessitore, così a torso nudo, pronto per mettersi al telaio.
Egli sedette, e si prese la testa tra le mani.
Darling Jill sentì l’ondata di selvaggia bramosia risollevarsi nel suo sangue. Lo rivide come l’aveva visto dianzi, mentre lacerava i panni addosso a Griselda.
Restò seduta finché le fu possibile, poi corse da lui e si gettò ai suoi piedi, gli abbracciò le gambe, gli baciò le ginocchia.
Will le posò una mano sul capo e cominciò a carezzarle i capelli.
Ma questo non bastò a placarla. Essa si sollevò sulle ginocchia, e s’introdusse tra le gambe di lui, gli cinse forte con le braccia il torace. Come sentì la sua mano passarle sulla faccia la fermò sotto le labbra, e gli baciò, gli leccò le dita. E ancora non era soddisfatta; non si placava.
Mentre la carezzava egli chiese: “Che ore sono?” Rosamond andò di nuovo a guardare l’orologio in cucina.
“Le quattro e venti, Will,” gli rispose.
Will tornò a coprirsi la faccia. Aveva la mente così chiara che poteva seguire un pensiero lungo tutto il tubo interminabile del cervello. Ogni pensiero giungeva a una grande profondità, ma poi risaliva. Ed egli avrebbe potuto, ogni momento, fermarlo nel giro e indicare sul cranio col dito il punto preciso dov’era fermo.
Vedeva una per una le porte delle case operaie, vedeva le finestre delle fabbriche tra le muraglie coperte d’edera. Egli andava per tutta la valle da una porta all’altra, e a Langley, a Clearwater, a Warrenville, a Bath, a Graniteville si intratteneva con gli uomini e le ragazze che varcavano la soglia delle filande.
Tornava poi nella sua stanza, a Scottsville, e udiva passare camion, automobili, corriere sulla strada maestra che portava ad Augusta. Vedeva nel sole del mattino le schiere delle ragazze, schiere e schiere. E vedeva dietro i vetri, su nella fabbrica, i loro volti simili ad ipomee. Ma nelle strade c’erano gli uomini dalle labbra sporche di sangue. Erano gli amici suoi, i fratelli suoi. Stavano sul marciapiede, dinanzi alle fabbriche, e sputavano i loro polmoni sulla polvere gialla della Carolina.
Al levar del sole Griselda si affacciò sulla porta.
Essa non aveva dormito. Era stata sul letto, nell’altra stanza, sperando che la notte non finisse più, prolungandola. Ma era giorno ormai, il rosso bagliore del sole era entrato nella casa, e lei si era alzata.
Rosamond lasciò la sua seggiola.
“Vado a preparare la colazione,” disse.
Uscirono le tre donne, e prima pensarono a vestire Griselda.
Poi Will le sentì nella cucina: al fornello e alla tavola. Senti l’odore dei fiocchi d’avena che bollivano. L’odore del prosciutto messo a friggere e l’odore del caffè, l’odore nella nuova giornata che cominciava.
Attraverso la finestra vide qualcuno accendere il fuoco nella cucina della casa accanto. Presto, dal comignolo sul tetto, sgorgarono le prime volute di fumo azzurro. Dovunque la gente si era alzata all’alba, quel giorno. Era un gran giorno; la fabbrica avrebbe ricominciato a lavorare, dopo diciotto mesi. Tra poco la corrente sarebbe stata ristabilita.
Egli si alzò e andò in cucina, pieno d’impazienza.
Voleva riempirsi di cibo caldo lo stomaco e poi correr fuori a chiamare gli amici. Essi sarebbero venuti sulle porte, tutti insieme avrebbero risalito la strada fino alla fabbrica. E lì avrebbero strappato via, palo per palo, il reticolato che ne sbarrava la via d’accesso.
“Siediti, Will,” gli disse Rosamond.
Egli prese posto alla tavola, guardando le tre donne che si davano da fare per servirlo. Darling Jill gli portò un piatto e una tazza. Griselda gli portò il coltello, il cucchiaio e la forchetta. Rosamond gli riempì d’acqua il bicchiere. Esse correvano, premurose, avanti e indietro per la cucina.
“Sono le sei,” Rosamond disse.
Egli si voltò a guardare la faccia dell’orologio posato sullo scaffale, al di là della tavola. Avrebbero ristabilito la corrente tra poco. L’avrebbero ristabilita, e se quelli della società cercavano di toglierla di nuovo, perdio! sarebbe stato peggio per loro.
Disse Griselda: “Ecco lo zucchero.” Ne mise due cucchiai nella tazza. Essa sapeva.
Non tutte le donne potevano sapere quanto zucchero bisogna mettere nella sua tazza. Ma Griselda aveva il più bel paio di gambe che un uomo avesse mai vedute… Disse Darling Jill: “Ecco un piatto per il prosciutto.” Rosamond si era messa dietro la sua seggiola e lo guardava mangiare. Il prosciutto lo aveva regalato loro Tai Tai, di quello dei suoi porci.
Gli chiese: “Quando tornerai per il desinare?” “Alle dodici e mezzo,” Will rispose.
Già passavano operai per la strada, diretti alla fabbrica. Molti erano stati alzati tutta la notte, sedendo alle finestre a guardar le stelle, e ora passavano, diretti alla fabbrica, in pantaloni corti. Tra le muraglie coperte d’edera i vetri delle finestre riflettevano il sole, ne rimandavano i raggi sulle facciate delle piccole case e sulle facce degli uomini.
Tra poco, nella città operaia, si sarebbe sentito di nuovo il fragore delle macchine.
Gli chiese Darling Jill: “Puoi darci lavoro nella fabbrica? Puoi darne a Buck e a Shaw?
Puoi darne a me?“ Egli scosse il capo.
“Oh,“ disse Darling Jill, ” vorrei che tu ci dessi lavoro nella fabbrica. Verremmo a stabilirci tutti qui.“ “Questo non è posto per voi,” Will rispose.
“Pure, tu e Rosamond ci vivete,” disse Darling Jill.
“ Per me e Rosamond è diverso,” Will rispose.
“Restate dove siete, voialtri.” E di nuovo scosse il capo, una volta, due volte.
“Vorrei poter vivere qui,” Griselda disse.
“No,” disse Will.
Rosamond gli portò le scarpe e le calze. S’inginocchiò sul pavimento a mettergliele. E lui infilò le scarpe, lei gliele allacciò.
“Sono quasi le sette,” poi disse.
Egli guardò l’orologio. La lancetta dei minuti era tra il dieci e l’undici.
Passava gente per la strada, anche donne e bambini, e tutti andavano nella medesima direzione.
Quelli del comitato locale prendevano una paga per sconsigliarli dal ristabilire la corrente. Cani! E la Confederazione mandava loro denaro, mentre gli altri non avevano che fiocchi d’avena da mangiare.
Passava la gente, passava, e non guardava in terra, guardava le finestre piene di sole della fabbrica. Tutti gli occhi guardavano in alto, guardavano il sole sui vetri delle finestre tra le muraglie coperte d’edera.
I bambini correvano.
Qualcuno entrò nella casa, entrò difilato in cucina.
Si prese una seggiola e sedette accanto a Will, con la testa un po’ piegata da una parte, una mano sulla spalliera della seggiola di Will. Guardò Will Thompson mangiar fiocchi d’aveva e prosciutto.
“Prosciutto! Dov’è che lo hai trovato, Will?” “Hanno fatto venire delle guardie in borghese.” “O quando lo hai saputo, Mac?” “Le ho viste arrivare in tre automobili. Si capisce lontano un miglio che sono guardie.“ Will si alzò e andò alla porta. Mac lo seguì, sbirciando le tre donne mentre usciva. Nella stanza accanto Pluto dormiva sulla seggiola.
Griselda si mise a lavare i piatti. Tutte e tre non avevano ancora mangiato. E non mangiarono, bevvero solo un po’ di caffè mentre lavavano e asciugavano i piatti. Non avevano tempo da perdere.
Bisognava che facessero presto.
Disse Griselda: “Dovremmo tornare a casa, ma io preferirei restare.” “Resteremo,” disse Darling Jill.
“E se viene Buck?” Griselda chiese.
“Certo che verrà,” Rosamond disse. “Non possiamo impedirglielo”.
“Mi dispiace,” disse Griselda.
Le altre capirono che cosa volesse dire.
“Non parlare così,” disse Rosamond.
E Darling Jill: “Non ci pensare, Griselda. Non ti preoccupare per questo.
Io conosco Rosamond meglio di te.“ Disse Rosamond: “Buck ucciderà Will. è questo solo che mi dispiace. Che sarà di me senza Will?“ Disse: “Buck lo ucciderà.” “Ma non possiamo fare qualcosa per impedirglielo?” disse Griselda. “Dobbiamo fare qualcosa… Sarebbe orribile se Buck lo uccidesse.“ “Che cosa possiamo fare?” Rosamond disse. “Pluto parlerà.” “Ci penso io a Pluto,” disse Darling Jill.
“Oh, Pluto non è capace di tacere,” Rosamond disse. “Basterà che Buck glielo domandi e lui se lo lascerà leggere sulla faccia.“ “Ti ripeto che a Pluto ci penso io,” disse Darling Jill.
“Lo istruirò io.” Andarono nella stanza davanti, a prepararsi per uscire.
Pluto dormiva sempre.
“Lasciamolo dormire,” disse Darling Jill.
Griselda indossò un vestito di Rosamond. Le stava molto bene. E le altre due si fermarono ad ammirarla.
“Dov’è andato Will?” poi chiese Darling.
“Alla fabbrica.” “Facciamo presto.” “Presto. Sono quasi le otto.” “Ora ristabiliscono la corrente.” Corsero fuori. Corsero per la strada verso la fabbrica dalle muraglie ricoperte d’edera. Tutti gli occhi guardavano il sole che brillava sui vetri delle finestre.
Disse Griselda: “ Buck lo ucciderà.” “Lo so,” disse Rosamond. “Noi non possiamo impedirglielo.” “Dovrà uccidere me per prima,” Darling Jill esclamò.
“Sì,“ disse ”quando lui punterà il fucile su Will io mi metterò in mezzo. Io non voglio restar viva se lui uccide Will.“ Rosamond alzò una mano.
“Guardate!” disse.
Si fermarono, e cercarono di guardare di sopra alla folla. Gli uomini della città operaia erano raccolti tutti sul prato dinanzi alla fabbrica. Le tre pecore che si erano ingrassate mangiando erba in pace per un anno e mezzo furono cacciate via. I pali del reticolato vennero strappati dai loro buchi.
“Dov’è Will?” Griselda gridò. “Mostratemi Will!”