HO esitato a rispondere, vedendo le quattro lettere sul display. Telefono all’orecchio, mi sposto in cucina.

«Alice è lì vicino?»

«Sì.»

«Riattacca. Dille che hanno sbagliato numero e vai a farti un giro: ho parecchie cose da dirti.»

Nella luce fredda del sole che scendeva verso l’Estérel, ho imboccato il sentiero a picco sul mare, in direzione del forte della Revère. Ero arrivato alla macchia di ginestre quando Fred ha richiamato.

«Loro sono qui.»

«Qui?»

«I cani. A Parigi, al Palais-Royal.»

Mi sono bloccato sul bordo del precipizio, sbalordito. Come interpretare questo mutamento improvviso? D’un tratto Jules aveva cambiato parere, rinunciato a raggiungere il luogo dov’era nato, dov’era stato addestrato, dov’era stato felice di iniziare a servire la sua padrona. Ma non aveva fatto nemmeno inversione per raggiungere il paese di Victoire. No, aveva rivolto la prua in direzione dell’uomo che l’aveva salvato dal canile, quel dottor Vong tanto dedito al lavoro, che lui aveva mandato gambe all’aria per scappare da casa Bühler. Ma per quale motivo era tornato dal veterinario comportamentale? Per porgergli le sue scuse?

«Non solo», ha sospirato Fred. «Tra loro c’è un legame profondo, lo sai meglio di me.»

Allora ho rivisto la sala d’attesa primo Novecento affacciata sui giardini del Palais-Royal dove l’anno prima avevo trascinato – fra un hamster caduto in depressione, un chihuahua paranoico e un pappagallo autistico – questo labrador appiccicoso, al quale già quella volta il veterinario aveva dovuto rilasciare un certificato di buona salute mentale: il cieco irascibile che gli era toccato dopo la guarigione di Alice l’aveva denunciato perché Jules l’aveva buttato apposta contro un ponteggio di ferro, per poi correre a cercarmi a Orly, e solo la competenza di Eric Vong gli aveva evitato l’eutanasia. Commosso, ho rivissuto il turbamento provato in quell’ambulatorio che pareva una sala da tè giapponese, quando Jules per la prima volta aveva condiviso con il terapeuta le sue «immagini mentali».

«Alice è sempre arrabbiata con me per via di Ludivine, vero? Fortuna che Marjo mi ha tenuta informata sulle ricerche. Non puoi sapere che sollievo è stato per Eric quando alla fine ha capito perché Jules aveva aggredito il ragazzo. La cosa lo stava distruggendo.»

«Passamelo».

«Eric o Jules? Sto scherzando, però non va affatto bene. Sono scesa in giardino per chiamarti di nascosto. Non so che cos’abbia captato il cane, ma il rapporto fra i due ora si è invertito.»

«Vuoi smetterla di parlare per enigmi?»

«Eric è molto preoccupato.»

A furia di sentirla chiamare per nome quell’austero mandarino così refrattario a ogni confidenza, mi è venuto il sospetto che avesse cambiato gusti sessuali. Ma lei ha continuato: «Evidentemente tu non hai notato nulla. Ti è parso soltanto un po’ più autoritario ed esasperante, vero?»

Di fronte al mio silenzio perplesso, mi ha parlato dell’impressione che Vong le aveva fatto, e mi ha spiegato per quale ragione, dopo essergli stata accanto per un’ora al canile a perorare la causa di Jules, lo aveva raggiunto a Parigi.

«Sai, quelli nella nostra situazione si fiutano e si riconoscono senza bisogno di tante parole. È una questione di atteggiamento. Questo misto di distacco e insofferenza di fronte alla gente che si definisce ‘normale’, di fronte alle lungaggini, ai problemi lasciati in sospeso…»

«Puoi arrivare al dunque? Sto morendo di freddo, qui.»

«Okay, la faccio breve. A occhio e croce, direi che Eric e io abbiamo lo stesso cancro. Linfonodi e midollo. Le stesse remissioni, le stesse recidive: ti senti un Superman con le ali ai piedi quando esci dalla trasfusione e al capolinea a fine mese …»

Arriccio gli alluci sull’orlo del dirupo, rimproverandomi per il tono aggressivo con cui le ho risposto.

«Solo che adesso a lui si sono aggiunti anche fegato e pancreas. Ti puoi immaginare la sua reazione, quando all’improvviso si è trovato quell’altro matto ad abbaiare sotto le finestre! Jules gli ha fatto un sacco di feste, gli ha presentato la sua compagna… E poi, quando si è calmato, gli ha posato il muso esattamente nel punto dove aveva fatto la radio.»

Mi siedo su una roccia, frastornato dalle sconvolgenti prospettive implicite in ogni sua frase.

«Adesso i due cani stanno riposando nel suo studio. Deve averli imbottiti di sedativi e antibiotici, sono tutti raggomitolati, magri come chiodi, i polpastrelli feriti, con i geloni, pieni di pulci e di zecche. Eric è preoccupato soprattutto per Victoire, e lo è anche Jules: lei non mangia niente, riesce a malapena a reggersi in piedi. Che cosa facciamo? Eric ha detto che li tiene in osservazione fino a domani, ma dopo che succede? Venite a prenderli voi o li riporto io?»

Il riflesso del tramonto, il Mediterraneo ai miei piedi: sono rimasto qualche minuto in silenzio.

«Ci sei ancora, Zib? Dove siete? Marjo ne sta facendo un segreto di Stato.»

Esito, combattuto fra la compassione e la naturale diffidenza. La mia riappacificazione con Alice è ancora troppo recente per correre il rischio di incontrare colei che è riuscita così bene a dividerci.

«A ogni modo», ha ripreso Fred con una punta di irritazione, «Ludivine mi ha detto che non sei rientrato a De Haan.»

«Non voglio più sentir parlare di lei.»

«Lo so. D’altra parte, ti ha appena presentato le sue dimissioni: andrà a dirigere un progetto che sto realizzando in Russia. Ma questo non mi dice dove siete. Le possibilità sono due: costa normanna o Costa Azzurra. Visto che in lontananza sento cani ma non gabbiani, suppongo che Alice ti abbia portato a Èze. Dove ci siamo incontrate. Lo prendo come un segnale incoraggiante. Mi aiuti a sistemare un po’ le cose con lei? Se vi va bene, potrei portarvi i cani domani sera. Rispondimi semplicemente sì o no, adesso: non ho tutta la vita davanti.»

Ho creduto che alludesse al cancro, ma l’urgenza era di ordine puramente pratico. Data la sua allergia al pelo dei cani, preferiva evitare di farsi Parigi-Èze in Maserati, tuttavia, essendo previsto uno sciopero delle ferrovie, non voleva neanche costringere i suoi due accompagnatori a viaggiare nella stiva di Air France, visto che erano ammessi in cabina soltanto i cani da assistenza. Senza cambiare tono, si è informata: «Quanto tempo mi resta prima che i miei amici della Phytogreen scoprano dell’offerta pubblica d’acquisto presentata dal tuo avvocato: quarantott’ore? Eh, sì, caro mio, so tutto. Nel frattempo, posso chiedere senza problemi il jet privato al presidente, che mi crede ancora sua alleata. È magnifico, sai, il contratto che hai preparato. Inattaccabile. A meno che io non decida di smascherarti».

Sorridendo, mi sono inchinato davanti alla scaltrezza di quella truffatrice dal gran cuore. Le ho chiesto che cosa voleva in cambio del suo silenzio.

«Niente. Solo, informa il tuo socio Illan, adesso che è lui al comando, che non gli conviene snobbare i miei servigi: conosco a menadito gli imbrogli della Phytogreen, le società di comodo, i profitti nascosti, gli escamotage. A domani sera, caro: prenoto il jet. Un’ultima cosa, non dire niente dei miei problemi di salute ad Alice, promesso? Crede ancora che stia guarendo: non voglio diventare una palla al piede.»

Ho promesso, riattaccato e preso una bella boccata di aria fresca per andare a perorare la causa di Fred presso la sua ex.