IL rumore di un motore mi ha svegliato di soprassalto all’alba. Senza saperlo, avevamo eretto la nostra tenda di fortuna a meno di cinquanta metri dalla strada cantoniera. Sono corso a segnalare la nostra presenza, ho fermato il camion della manutenzione, poi sono tornato per aiutare Alice, che camminava a malapena.
Il cantoniere ci ha lasciato al primo caffè aperto, dove ci siamo scongelati con un cappuccino, mentre le batterie dei telefoni si ricaricavano. A raffica sono arrivati venti messaggi di Marjorie, contraddittori e obsoleti, che si annullavano a vicenda per culminare in una constatazione disperata: il chip di Victoire aveva smesso di mandare segnali. Secondo lei c’erano solo due spiegazioni possibili: o l’aveva disattivato una scarica elettrica, tipo recinzione elettrificata, o la cagnetta era stata investita. L’ordine di ricerca rimaneva attivo, ma il tono di Marjorie lasciava poche speranze.
Alice era furiosa con se stessa. Si era sempre rifiutata di impiantare a Jules un microchip, nel timore che potesse migrare dalla gola fino a un’articolazione: in alcuni casi era accaduto che questo dispositivo di sicurezza avesse reso infermo il cane. Per attenuare il suo senso di colpa, le ho proposto una terza ipotesi: dei ladri avrebbero potuto portarsi via i fuggitivi. Di recente, vari servizi sui media avevano parlato del valore di mercato dei cani da assistenza, che si riconoscono per la medaglietta, il collare o la pettorina blu in. Pertanto, per poter rivendere gli animali, i ladri si sarebbero affrettati a togliere il chip a Victoire, e avrebbero fatto lo stesso con quello di Jules, se l’avesse avuto.
Questa spiegazione, che aveva lo scopo di rassicurarla, alla fine le è parsa così plausibile che Alice è andata nel panico. Allora ho cercato di smentirla subito, ricordandole che se generalmente Jules era un animale molto socievole, Victoire aveva invece ricevuto un’educazione militare. Addestrata a tutte le tecniche di combattimento, era capace di neutralizzare qualunque potenziale aggressore per difendere il suo compagno.
«A meno che l’aggressore non le spari», ha ribattuto Alice.
A corto di obiezioni, ho prenotato una camera nel piccolo hotel sopra il bar. Bagno caldo, letto fresco, raffreddore sepolto sotto il piumone. Continuavo a ripetere che niente era perduto: anche se Victoire per qualche ragione non era più tracciabile, rimaneva il collare di Jules con l’indirizzo della ESCAPE.
«E poi, e nessuno può saperlo meglio di me, quando vorrà ritrovarci, ci ritroverà.»
All’improvviso Alice si è messa seduta sul letto. Afferrando il pacchetto di sigarette ha detto, convinta: «Hai ragione! Se è vivo, so dove sta portando Victoire».
«A Trouville?»
Fa no con la testa.
«Oscar, il suo amichetto, è guarito, come me. Lui non si sente più al sicuro con le persone che sono guarite. In quanto maschio dominante, vuole offrire un rifugio a Victoire. Rifugio e lavoro. Gli occorre una base solida, una struttura affidabile, nuovi portatori di handicap…»
«A che cosa stai pensando?»
Mi guarda con una specie di nostalgia piena di speranza, e mormora: «A un ritorno alle origini».