OGNUNO ha il suo metodo: Zibal ha attaccato foto sugli alberi, Marjorie ha chiesto all’unità cinofila della polizia di localizzare tramite GPS il microchip inserito nel collo di Victoire, mentre io, seduta nel mezzo davanti al caminetto, disegno il mio cane alla luce tremula del televisore senza audio. È la prima volta che riprendo in mano i carboncini da quando ho ritrovato la vista. Ma adesso chiudo gli occhi. Voglio ristabilire il legame, la connessione dei nostri spiriti. Parlargli a distanza, inviargli immagini d’amore, di comprensione, di sicurezza… Instaurare di nuovo un rapporto di fiducia.

Fiducia… Non mi sento per niente a mio agio fra questa donna che mi sfiora e quest’uomo che mi manca. Durante il soggiorno in Thailandia credevo di essere riuscita a smettere di amarlo. A parlare di lui «al plurale», per neutralizzarlo, per persuadermi di avere chiuso con gli uomini. Ma non ci posso fare niente. Che mi abbia tradito o no, a lui ci tengo sempre. Eppure non voglio tornare indietro.

«Su, andiamo a dormire», ordina Marjorie alzandosi. «I miei colleghi dell’antiterrorismo sono in allerta attentati ai mercatini di Natale, non avrò collegamento satellitare fino a domani. Bisogna rispettare le urgenze…»

Incrocio lo sguardo di Zibal. Lui si affretta a rispondere che resta a guardare la televisione, forse per evitare un’eventuale delusione o mantenere le distanze che io gli impongo. Senza aggiungere altro Marjorie gli mostra come funziona il divano letto e gli dà un piumino. Lui mi manda un bacio, io gli auguro la buonanotte. Incerta sia dei suoi che dei miei sentimenti, seguo Marjorie in corridoio.

«Non ti dà fastidio dormire nelle lenzuola di Fred», dice con uno sbadiglio aprendo la porta di fronte alla cucina.

Non è una domanda, e io non rispondo. Scatoloni dell’Ikea, il vogatore, una spalliera: la camera che era stata della figlia le serve da ripostiglio e da palestra. Atmosfera da metallari, poster degli Evildead e dei Black Sabbath, un Charlie Hebdo di tre anni fa… Tutto sa di provocazione adolescenziale da due soldi, e tutto è rimasto com’era, nell’eventualità di un ritorno.

«Jade ha scelto il padre», sospira con tono conciliante. «Sono andati a vivere nel furgone-chiosco convertibile: l’estate fanno la pizza, d’inverno la raclette.»

Scostando le lenzuola, trovo uno dei suoi cerotti. Marjorie sostiene il mio sguardo alzando le spalle, con piccolo segno di diniego e una smorfia rassegnata. Le sorrido e le sfioro la guancia con un bacio. E le restituisco il suo quadratino adesivo.

Fra il rumore dei notiziari al di là della parete e i suoni smorzati del videogioco provenienti dalla camera al piano di sopra, ho dormito a sprazzi avvolta dalle zaffate di Habit Rouge, il profumo di Fred, che mi riportava ai tempi delle mie notti buie. Nei miei incubi, Jules si faceva investire da una macchina della polizia, Zibal e Marjorie saltavano in aria davanti a Fred trasformata in mummia di cerotti, mentre io tenevo al guinzaglio un elefante guida per ciechi. Il resto del tempo, fissavo la maniglia della porta sperando che si abbassasse, senza sapere con sicurezza quale mano avessi voglia di vedere nella penombra bluastra della radiosveglia.

«C’è un segnale!» grida Marjorie spuntando alle undici del mattino, con lo schermo dell’iPhone in bella vista. «A nordest di Épinal, sulla 57 all’altezza di Jeuxey. Prendete la Berlingo, restiamo in collegamento GPS.»

Da ieri ero riuscita a non restare mai sola con Zibal, e ora mi ritrovo come se niente fosse al suo fianco, a percorrere le strade della Lorena. Il nostro primo attimo d’intimità dopo il mio ritorno, in questo furgoncino tappezzato di foglie secche, che odora di cane e di polli. Un’intimità nella quale si inserisce di continuo Marjorie, in viva voce, che aggiusta la nostra direzione in funzione della localizzazione satellitare di Victoire.

«D 420, Jaucourt. Si spostano a quarantacinque chilometri all’ora; sono saliti sul cassone di un camion oppure hanno fatto l’autostop. Prendete la A 36, in direzione Vesoul.»

Così radiocomandati ci distraiamo dalle nostre emozioni, e la tensione si scioglie. Non per molto. La mano di Zibal lascia il cambio e si appoggia sul mio ginocchio.

«Cambierà tutto, Alice. Venderò la mia parte dell’azienda al mio socio, lui è d’accordo, e noi due torniamo a stare in Francia, o da un’altra parte, se preferisci. Se vuoi, anche in Thailandia. Finora è stato il mio lavoro a decidere della nostra vita, ora sarà la tua pittura.»

Vinta dall’emozione, ho difficoltà a schiudere le labbra. Come fa uno notoriamente taciturno a trovare sempre al primo colpo le parole che fanno male, le parole che fanno centro?

«Che c’entra la mia pittura?»

«Ieri sera ti guardavo disegnare Jules. Riprendere in mano il tuo destino, esprimere ciò che senti, ciò che ti sfugge… Trasformare il dolore, lo sconforto, in bellezza… Questa sei tu, Alice. La donna che amo, la donna con cui voglio vivere.»

Deglutisco e alzo il ricevitore. «Sì, Marjorie?»

«Sono a Vesoul, rue des Cordes; devono essere scesi dal veicolo, andatura normale, cinque chilometri all’ora.»

«Grazie», dico riattaccando.

«È la stessa concentrazione che avevi anche nell’amore, prima che mi costringessi a spegnere la luce per non vedermi più chiudere gli occhi… vero? Convinta che io, con il pensiero, stessi scopando con un’altra.»

Le mie proteste ridiscendono in gola. A che scopo smentirlo o dargli ragione? Anche se la sua interpretazione è sbagliata, va dritta al cuore della verità.

A Vesoul, ci infiliamo negli ingorghi del centro cittadino, mentre il nostro obiettivo se ne allontana. Marjorie ci manda in una direzione che i sensi unici e i lavori in corso ci impediscono di seguire. Ci lascia in attesa e torna cinque minuti dopo, mentre stiamo tentando una retromarcia in mezzo ai clacson per imboccare un’arteria quasi scorrevole. I cani, dice, si stanno di nuovo spostando a più di cinquanta all’ora.

«Ma a che gioco stanno giocando?» chiede Zibal furioso.

«Località Les Trois-Croix, Chabrenolle. Non è una strada, devono aver preso il treno. Direzione sudest.»

Facciamo inversione di marcia, rinfilandoci negli ingorghi.

«Marjorie, non potresti chiedere ai tuoi colleghi dell’antiterrorismo di prelevarli direttamente con una pattuglia?»

«Victoire non è più parte dell’organico, Alice; sono già carinissimi a localizzarla con il GPS. Hanno ben altro da fare che del volontariato! Vi richiamo, sta suonando il postino.»

Zibal, contro il parere del GPS sul telefonino, imbocca un raccordo autostradale libero. Stiamo viaggiando verso nord, ma alla prima biforcazione invertiremo la marcia.

Qualche chilometro dopo, Zibal mi fa notare con dolcezza: «Alice, non mi hai risposto».

«Prima recuperiamo i cani, okay?»

«Sì, li recuperiamo e dopo dovremo pensare solo a loro, e nel frattempo io ho già ricevuto diecimila sms da Ludivine in un’ora: aumento di capitale e tutto il resto… Alice, se non parliamo adesso di noi, poi avremo sempre altre urgenze di cui occuparci…»

«Mandala via.»

«Già fatto.»

«Non solo dal tuo letto.»

«Sono stato con lei solo dopo che sei partita, e l’incidente è chiuso.»

«Mandala via e basta: Fred mi ha detto che sta lavorando per la Phytogreen.»

«Lo so.»

Resto senza parole.

«Una notte in guardina aiuta a riflettere. Ho messo insieme tanti piccoli dettagli, strane manovre finanziarie, alcune reazioni di Fred… Ti ha detto qualcos’altro?»

Eludo la domanda.

«Tu lo sai e la lasci fare?» chiedo invece.

Zibal mi risponde che è il suo socio Illan che se ne sta occupando.

«Si sta occupando di cosa?»

«Di Ludivine. Lei non sa che noi sappiamo. Lui le permette di fare piccoli trasferimenti azionari a vantaggio dei suoi amici della Phytogreen, ma nel frattempo sta preparando un’offerta pubblica d’acquisto per acquisirli. Dopo la fusione caccerà Ludivine. Quindi, tutto è bene quel che finisce bene, però non sarò più io alla guida all’azienda. Sono stufo, Alice. Non è questo che desidero. Rispondi alla mia domanda. La sola che m’importi, quella che ti ho fatto poco fa. Mi vuoi ancora come compagno di vita? Della ‘tua’ vita? Darai una possibilità al nostro amore?»

«Affermativo, Alice. È un treno merci, Vesoul-Belfort. Arriverà alla stazione di Illsbourg fra mezz’ora, ce la fate?»

Sollevata per l’interruzione, inserisco i dati nel GPS di Zibal.

«Waze mi dà cinquanta minuti.»

«Ti richiamo.»

Appoggio i cellulari sulla coscia. Zibal attende la risposta guardandomi con la coda dell’occhio, senza insistere.

«Certo che darò una possibilità al nostro amore. Ma ora restiamo concentrati sui cani, d’accordo?» gli rispondo.

«Ti disturba che ti dica quali sono le mie priorità?»

«Quello che mi disturba è che ho l’impressione che tu mi stia preparando al peggio.»

«Quale ‘peggio’?»

«Il dopo-Jules.»

Il suo silenzio mi serra la gola. Ce l’ho con me stessa per quella reazione, ma so che lui la comprende. Jules ha già nove anni. Se lo riprendiamo con noi, dopo quest’avventura, che prospettive abbiamo da offrirgli? Il nostro affetto, la pensione e la fine della vita…

Le dita di Zibal tornano a posarsi sul mio ginocchio, come a chiudere la parentesi. Le copro con la mano.

«Scusa.»

L’abbiamo detto insieme. Il cellulare vibra sui miei jeans. Esito, poi libero la mano per rispondere.

«Si ferma quattro minuti in stazione, il tempo di attaccare un vagone cisterna, poi riparte per Belfort. Ma se faccio prolungare la sosta e chiedo alla polizia del posto di effettuare una perquisizione, i cani se la svigneranno lungo i binari. Accelerate: se viaggiate a centosessanta fino all’uscita 45, ce la potete fare. Mi occupo io degli autovelox.»

«Comodo avere un’amica poliziotta», sorride Zibal, e toglie la mano dal mio ginocchio per farsi strada sulla corsia di sorpasso lampeggiando a tutto spiano.

Non rispondo. È tornata l’angoscia e io m’immagino la fuga dei cani sui binari, i fischi dei ferrovieri, lo spostamento d’aria di un treno che li falcia…

«Tutto bene, Alice?»

«Tutto bene.»

Abbasso le palpebre, cancello la scena, e al suo posto proietto la loro fuga nel fitto di un bosco. I cacciatori, i cinghiali, la notte che sta scendendo… E prego, con tutte le mie forze. Li vedo fermarsi sulle rive di un ruscello, riposarsi, aspettare. Immagino l’abbaiare frenetico di Jules appena ci sente arrivare. E la loro corsa a perdifiato per raggiungerci… Perché non riesco a crederci? Perché questa scena, a differenza delle varianti tragiche, non sta in piedi?

Riapro gli occhi. Come amuleti a sostegno della mia preghiera, tengo in mano i loro due giocattoli, l’osso di gomma e il vecchio peluche che mi ha dato Marjorie: la scimmietta Marsupilami senza coda, tanto lisa, mordicchiata e scolorita dalla saliva, che le macchie nere sono quasi sparite dal mantello giallo. È molto più che il gioco di Victoire. È la chiave della sua vocazione, del suo addestramento e dei suoi sei anni di carriera. Marjorie mi ha spiegato che la pelliccia di Marsupilami è impregnata di ogni possibile componente di esplosivi, affinché il cane da ricerca memorizzi l’odore di ciascuna molecola. In seguito, quando l’addestratore nasconderà il giocattolo, l’animale dovrà impegnarsi a ritrovarne la traccia olfattiva in un perimetro ben definito: stadio, aeroporto, scuola, sala per spettacoli, appartamento, strada, mezzo di trasporto… In termini di motivazione, il ritrovamento di una cintura esplosiva si fonda non sulla caccia all’uomo, ma sul gioco. Per questo nessun kamikaze può sfuggire a un cane che insegue il proprio giocattolo.

Mi fa bene concentrarmi su Victoire: il racconto della sua padrona mi ha impressionato. Dopo l’esplosione che l’aveva privata del fiuto, la cagnetta ha continuato a coccolare il giocattolo ormai inodore, come le femmine di alcune specie con il cucciolo che pur ha smesso di vivere. E l’ha abbandonato, quando Jules le ha fatto dono del suo osso sonoro. Ma Marjorie mi ha assicurato che solo con Marsupilami riusciremo a farci ubbidire dai due fuggitivi. Anche se il nostro cane non si fida più di noi, dopo quello che gli uomini gli hanno fatto patire, la sua protetta risponderà al segnale visivo di allerta, al richiamo al dovere militare, e Jules vi si conformerà per empatia.

Staremo a vedere.

Malgrado la media tenuta in autostrada, la guida stile rally sui tornanti in salita e i sorpassi azzardati, quando arriviamo alla stazione di Illsbourg il treno merci è già partito.

Ci prepariamo a riprendere il viaggio, ma la voce di Marjorie ci blocca. «Non sono più sul treno. Il segnale ora è fermo, a ore cinque nordest partendo dall’acquedotto, lo vedete?»

Attraversiamo la massicciata e ci inoltriamo nella foresta dei Vosgi. Marjorie continua a indicarci la direzione, ma il sottobosco s’infittisce, i sentieri diventano impraticabili, la ricezione peggiora man mano.

«Il segnale è ripartito in direzione sud. C’è una provinciale che attraversa la foresta… Pronto? Mi sentite?»

È l’ultima frase che captiamo. A forza di cercare campo, con i telefoni in alto sulla testa, ci siamo persi.

Al calare della sera abbiamo smesso di girare in tondo. La batteria del telefono di Zibal era scarica e la mia era al venti per cento, non c’era campo. Grazie alla pila del cellulare, abbiamo potuto raccogliere dei rami e accendere un fuoco. Di colpo, la mia batteria è scesa al cinque per cento. Dato che il display diceva «Solo chiamate d’emergenza», ho tentato con il pronto intervento. Il telefono si è spento.

La notte era senza luna e il mio accendino a corto di gas costituiva la nostra unica fonte di luce, adesso che il fuoco si era spento. I primi fiocchi di neve si sono sciolti sulla cenere. Ho detto a Zibal che se anche fossimo morti di freddo, almeno ci eravamo ritrovati. Ha recepito solo la parte bella. Ha costruito un igloo di tela unendo la lampo del suo giaccone a quella della mia sahariana, e ci siamo abbracciati sotto quel cono di illusorio calore.

Dopo essermi immersa per qualche minuto nel suo profumo, non ho potuto evitare di chiedergli quando Marjorie gli aveva dato il suo numero.

«Due giorni dopo la tua partenza. Mi è venuta nostalgia, così mi sono messo in macchina e sono andato a Nancy per passare qualche ora con Jules… L’ho trovata al cancello della scuola a guardare da lontano i cani che si addestravano. Una simulazione d’annegamento: dovevano tirare fuori dall’acqua un epilettico… Lei era nel mio stesso stato d’animo. Siamo andati a bere qualcosa, le ho parlato di te, ci siamo scambiati i numeri… e sono ripartito. Tutto qua. E non ho neanche avuto il coraggio di disturbare Jules.»

«E… lei ti piace?»

«Meno che a te.»

«Sai, io non so più chi sono. Zero desiderio sessuale, e non torna. Vorrei tanto avere voglia, quando ti guardo… Con lei, credo che potrei farlo, perché siamo uguali. Non prova più nessun desiderio da quando hanno ferito Victoire, così mi ha detto. Anche se, alla serata della ESCAPE, un piccolo brivido per me l’ha sentito.»

«Sì, ho riconosciuto il cerotto. La confezione sul lavandino, stamattina…»

«Solo perché i nostri cani ci avevano mostrato la strada… Sei scioccato?».

«No. Diventeremo tutti zoofili…»

«Stronzo.»

«Ti amo anch’io.»

Mi sono sottratta al bacio. Ho deglutito per cambiare tono. «Sei sicuro? Sei sicuro che ci tieni ancora a me?»

Si è scostato, quanto lo permetteva il nostro igloo di stoffa. Non si vedeva nulla, ma lui si teneva a distanza per guardarmi.

«Alice, io non voglio mai più perderti. Anche il giorno, molto, molto lontano, in cui Jules non sarà più con noi. E anche se non riusciremo ad avere figli.»

«Adotteremo.»

«Un cane o un bimbo?»

«Entrambi. Si faranno compagnia a vicenda, quando vorremo stare soli.»

«Davvero?»

Abbiamo immaginato dei nuovi domani, accarezzandoci finché le nostre dita non si sono completamente intorpidite. Allora abbiamo rovesciato la nostra tenda esquimese nell’erba indurita dal gelo, e ci siamo addormentati bocca sulla bocca.