16
O vivo!
La madre di Del voleva portarmi al pronto soccorso. Ha visto il livido sul collo, mi ha sollevato la maglietta e si è impietrita davanti al livido più grande e profondo a forma di Australia. Le ho detto che stavo bene, che avevo solo bisogno di starmene tranquillo a letto per un po'.
Si è affrettata a cambiare le lenzuola del mio vecchio letto. Quando mi sono steso, ha portato una sedia in camera e si è seduta accanto a me. Mi ha fatto delle domande, e le ho risposto dicendo la verità, pur sapendo che non avrebbe capito il più delle cose che le raccontavo. Bertram spuntava fuori e spariva, non voleva ascoltare ma non trovava pace. Chiedeva in continuazione se volevamo qualcosa da mangiare o da bere. Nessuno dei due aveva appetito, ma ho accettato di bere un po' di tè freddo. Quando Bertram è uscito, la madre di Del mi ha domandato: «Non capisco… perché sei andato in Kansas?»
Ho ripercorso mentalmente i sottilissimi indizi che avevo seguito: alcuni disegni, la pagina di un fumetto, una città inventata che, fatalità, esisteva davvero. Quella catena di ragionamenti aveva una sorta di logica onirica, ma come in un sogno, più la analizzavo e meno aveva senso. A prescindere dal fatto che si fosse rivelata la realtà. La sicurezza che avevo provato durante il viaggio, la spinta magnetica di quel puntino sulla cartina geografica… quelle provenivano da qualcos'altro. Da qualcun altro. Ero stato attirato a Olympia come tutti gli altri demoni.
«Devo partire dall'inizio» le ho spiegato. «Da quando Del è stato posseduto.» Ha fatto per dire qualcosa, ma ho continuato. «Non so come sia successo, ma dopo che tuo figlio è stato posseduto, sei riuscita in qualche modo a bloccarmi. E tuo figlio, Del…»
«Finiscila di dire queste cose» ha sbottato con rabbia. Un occhio brillava di lacrime, l'altro mi guardava freddamente. «Perché parli così di te stesso?»
«È la storia che devi sapere» ho risposto. «A cinque anni tuo figlio è stato posseduto da un demone. E il demone ha deciso di restare.»
Quando Piccolo Angelo si era chinato a baciare Bobby Noon, mi ero stretto le braccia intorno al corpo. Non avevo un'idea precisa di cosa aspettarmi: se un lungo boato del Pozzo Nero che apriva le sue fauci per risucchiarmi nella culla in cui ero nato, o un semplice black-out dato dall'interruzione del mio collegamento con il mondo.
In realtà eravamo rimasti tutti e tre a guardare il vecchio, poi ci eravamo guardati a vicenda. Dopodiché Piccolo Angelo era scesa dal letto ed era uscita dalla stanza salterellando. Boy Marvel, invece, era andato al capezzale di Bobby ed era caduto in ginocchio, straziato. Aveva fallito nella sua missione più importante.
Io ero andato dalla O'Connell. Era cosciente, ma non del tutto lucida. Mi aveva guardato con aria interrogativa, e le avevo detto soltanto: «Dobbiamo andare.»
Quando Truth era ripartito con la macchina, la polizia si era ben guardata dal tentare di fermarlo - non erano così stupidi.
Un poliziotto mi aveva strillato dietro mentre uscivo sorreggendo la O'Connell. Gli avevo intimato di stare distante e aveva obbedito. Poi avevo aiutato la O'Connell a risalire in auto ed ero tornato sulla statale. Un minuto dopo avevamo superato le autopompe. Il fumo della fattoria che bruciava era rimasto impresso nello specchietto retrovisore per diversi chilometri, un tornado nero che spiccava nel cielo blu.
La mandibola della O'Connell era viola come il mio petto. Più tardi avrebbe scoperto di avere perso un dente e di avere altri due denti traballanti. Le sue prime parole, dopo mezzora di macchina, erano state leggermente confuse. «È morto il vecchio?» aveva chiesto.
«Sì» avevo risposto.
«Perché sei ancora qui?»
«Non lo so.»
Si era appoggiata al finestrino, chiudendo gli occhi. La sua missione era riuscita, ma allo stesso tempo completamente fallita.
«Pensavo che lui fosse la soluzione» aveva detto con la voce spezzata. «Pensavo che con la sua morte sarebbero morti anche i demoni. Almeno alcuni di loro.» Guardava l'orizzonte piatto del Kansas fuori dal parabrezza. «Almeno la coorte, quei cinque o sei demoni che hanno rovinato centinaia di vite. Migliaia. Fermare anche solo loro era già qualcosa, no?»
«Vuoi che ti porti in ospedale?» le avevo chiesto.
Aveva scosso la testa. «Gesù, no.»
Dopodiché era rimasta in silenzio sull'altro lato dell'abitacolo, la testa appoggiata al finestrino. Forse aveva paura di me. Quando ci eravamo fermati al distributore, era entrata nel supermarket mentre facevo benzina. Alla pompa avevo usato la mia carta di credito, senza più curarmi del fatto che la polizia potesse risalire ai miei movimenti. Avevano trovato l'assassino del dottor Ram. O quantomeno una persona che aveva confessato.
La cabina del telefono fuori dal distributore era funzionante. Avevo tirato fuori dal portafoglio il bigliettino slavato dello Hyatt. L'inchiostro era colato e si era scolorito, ma il numero si leggeva. Quindi avevo preso la scheda telefonica e avevo iniziato a digitare i numeri.
Aveva risposto una donna. «Salve» avevo detto, tentando di assumere una voce normale. «Parlo con Selena?»
«S-sì» aveva risposto con circospezione.
«Sono Del Pierce. Ci siamo conosciuti un paio di settimane fa, alla CISP, ricordi?»
«Certo che mi ricordo.» Aveva un tono freddo. Forse Tom e Selena avevano parlato con la polizia, raccontando della mia invettiva contro il dottor Ram. Ero solo un ragazzo ubriaco che avevano conosciuto a una convention. Chi lo sapeva di cos'ero capace? «Come stai?» mi ha chiesto.
«Bene. Tutto bene. Ascolta, vorrei parlare con Valis, il signor Phil Dick. È in casa?»
«Mi dispiace. Ora sta dormendo.»
«Dormendo?» avevo ripetuto stupidamente. Chissà cosa sognavano gli uomini artificiali. «Okay, quando si alza, potresti… digli solo di chiamarmi, per favore. Ti lascio il mio numero. Stanotte non ci sarò, ma può chiamarmi in qualsiasi momento.» Selena mi era parsa riluttante, ma aveva annotato il numero. L'avevo ringraziata per poi riagganciare.
La O'Connell era uscita dal negozio con una bottiglia d'acqua, qualche spuntino e una scatola di aspirine. Aveva notato qualcosa nel mio viso e si era bloccata.
«Che c'è?» mi aveva chiesto.
«Voglio solo tornare a casa» le avevo risposto.
Quando di notte siamo arrivati nella casa dov'ero cresciuto, sono sceso dal pick-up, lasciandolo in moto. Non avevo nulla da prendere: avevo lasciato tutto alla fattoria. Ho chiuso la portiera e la O'Connell si è spostata dietro il volante. Guardava fisso davanti a sé, il finestrino laterale aperto tra di noi come un confessionale. «Ho tentato di ucciderti» mi ha detto.
«Facevi il tuo lavoro» ho replicato. «Ti avevo chiesto di essere la mia esorcista.»
La luce del portico si è accesa e mi sono incamminato verso la porta d'entrata. La O'Connell è uscita dall'abitacolo e mi sono voltato. «Ho violato il mio impegno con te. Ti avevo promesso di essere il tuo pastore.»
«No, avevi promesso di essere il pastore di Del. E lo sei ancora.»
* * *
Poco dopo le tre e mezza del mattino, la porta della mia camera si è aperta. Era Bertram: testa pelata, corona di capelli arruffati che catturavano la luce riflessa dal corridoio. È entrato e ha chiuso la porta dietro di sé.
«Sono sveglio, Bertram.» Sveglio perché non mi sincronizzavo più con quel corpo. Stava diventando un estraneo, un veicolo che riuscivo malamente a far sterzare. Il proprietario di quel corpo era un peso insistente che si muoveva e tirava sotto la camicia di forza che gli avevo creato. «Chiedo scusa per l'ora tarda» ha detto Bertram. Ma non era la voce di Bertram. Il tono era piatto, il ritmo troppo regolare, come se le parole venissero aggiunte una dopo l'altra da un database dentro un flusso di dati da trasmettere.
Mi sono drizzato. Si è avvicinato al letto e ha sistemato la sedia.
«Non serviva che facessi tutta questa strada» ho detto. «Potevi anche solo telefonare.»
Valis si è seduto lentamente e ha appoggiato le braccia sopra le cosce. «Non c'è problema. Comunque non posso fermarmi molto. Ora Phil sta dormendo beato, ma se succede qualcosa, dovrai scusarmi se mi congedo bruscamente.»
«Ah, lo monitori da qui? Fico come trucco.» Ha girato i palmi delle mani e ha sorriso. «Sono vasto.»
«È attivo. L'avevo sentito.» Ho incrociato le gambe in stile indiano, piantandomi nel letto. «Allora la O'Connell si sbagliava su di te.»
«Madre Mariette ha una concezione limitata della possessione. Quando mi rifiutai di tramutare le pietre in pane, decise che ero un impostore.» Non ho colto il nesso. «Di cosa volevi parlarmi, Del?» mi ha chiesto Valis. «O preferisci Hellion?»
«Per ora va bene il 'tu'.» Mi sono passato una mano tra i capelli. «Ieri ho visto un uomo morire» ho detto. «Un uomo vecchio. Era rimasto paralizzato per quasi tutta la vita. Aveva avuto un incidente negli anni Quaranta, quando aveva undici o dodici anni.»
«Gli anni d'oro della fantascienza» ha commentato Valis.
«Lui era l'origine» ho detto. «Di alcuni demoni, per lo meno. La mia coorte. Eravamo tutti -boh - delle storie. Dei personaggi. Lui ci aveva inventato e ci aveva mandati nel mondo.»
Valis ha fatto un sorriso incuriosito. «Magari penserai che Phil ha inventato anche me. Che tu e io siamo immaginari.»
Ho battuto le palpebre. Detto così sembrava stupido. «Per così dire.»
«Ora però il tuo autore è morto.»
«Non sto dicendo che mi torna tutto.»
«Non hai tutti i torti, suppongo. Esistono umani che hanno il dono di vedere i fili che tengono il mondo unito. Chiamali come vuoi. Il tuo vecchio era uno, Phil un altro. Chi lo sa quanti ce ne sono là fuori? Migliaia, come minimo. In questo momento ci sarà una ragazzina giapponese che sta divorando un manga, o un ragazzino indù che prega Shiva per vivere. Questi sensitivi sono un pochino più vicini ai limiti. Il loro controllo del mondo consensuale è un po' inconsistente.»
«Vuoi dire che sono pazzi.»
Ha scrollato le spalle. «Non discutiamo di causa ed effetto. Tutto ciò che sappiamo è che quando arriva il loro momento di morire, quando le tenebre li richiamano, alcuni di loro non ci vanno leggeri. Si rifiutano di entrare, quindi fanno uscire di nuovo fuori qualcosa.»
«I demoni.»
«Noi» ha precisato Valis. «Dovrai imparare ad accettare la tua natura.»
«Che sarebbe cosa? Siamo alieni? Archetipi?»
«Ancora non lo so. Forse gli junghiani hanno ragione, o forse no. Sappiamo di essere più che umani, immortali ma polimorfi, incorruttibili ma malleabili. Prendi il mio caso: io sono l'incarnazione del razionale, esattamente ciò di cui Phil aveva bisogno quando mi ha cercato. Tuttavia mi ha vestito in una forma che gli permettesse di darmi un senso. Così sono diventato la creazione di uno scrittore di fantascienza, un'intelligenza artificiale che proviene dallo spazio esterno. Questo sono io. Tu, invece, sei il monello dei cartoni, il combina guai, il bambino ribelle.»
«Non sono più quel bambino.»
«No.» Ha portato una mano sul mento sbarbato e si è guardato la mano. La mano di Bertram. «Tu e io siamo speciali. Abbiamo superato i ruoli che ci hanno conferito.» La mano è tornata sul ventre. «Siamo rimasti troppo a lungo. Nel momento stesso in cui abbiamo iniziato a bramare le vite che avevamo interrotto, abbiamo cominciato a muoverci oltre la monomania, oltre le personalità fittizie assegnateci. Ora il nostro compito è quello di sottrarci all'oblio e rivendicare il nostro posto nel mondo.»
«Sempre che qualcuno non trovi il modo di toglierci di mezzo» ho osservato. I miei pugni - i pugni di Del - hanno stretto forte le coperte. Conoscevo il rischio che comportava il confronto con Valis, ma dovevo sapere la verità. «Qualcuno come il dottor Ram.»
Ha inclinato la testa. «C'è qualcosa che devi chiedermi?»
«Lui stava tentando di sradicare l'Occhio di Shiva - è così che lo chiami, no? Voleva uccidere i demoni. Il ragazzo che hanno arrestato per l'omicidio, Kasparian, era un tuo fan. Sarebbe stato semplice travestirlo da Truth e fargli commettere il delitto. Se Truth ammazzava il dottor Ram, nessuno avrebbe più creduto che il dottore avesse una cura per la possessione.»
Valis ha annuito, come ad assentire alla mia logica.
«Ma il ragazzo ha capito» ho continuato. «Ha compreso cos'era accaduto, chi realmente lo aveva posseduto. Quindi ha simulato una confessione, in modo tale che il lavoro del dottor Ram potesse proseguire.»
«Non mi sembri molto convinto» ha ribattuto Valis.
«Sei stato tu?»
«Se mi stai chiedendo se ho posseduto Eliot Kasparian,» ha detto «la risposta è sì.»
L'ho fissato. Aveva un'espressione placida che Bertram non avrebbe mai potuto sostenere.
«Ma non quella notte a Chicago, comunque» ha aggiunto. «È stato solo qualche giorno fa. Come hai detto tu, Eliot era un mio fan. Un pazzo, com'è emerso, ma sempre un fan. Se avesse continuato a dichiarare di essere stato posseduto da Truth, il tuo collega demone lo avrebbe ucciso. Perciò ho ritenuto fosse mia responsabilità rettificare la situazione.»
«Aspetta un minuto… Kasparian ha ammazzato il dottor Ram da solo? È stata una sua iniziativa?»
«Influenzata, purtroppo, dagli scritti di Phil. Comunque sì. Avrei preferito che Eliot decidesse di assumersi la responsabilità dell'atto, ma non avendolo fatto, ho attuato le misure necessarie.»
«Tu… tu hai posseduto un uomo per fargli confessare che non era posseduto.» Ho scosso la testa. «Questo non è nemmeno un falso 'falso', questo è… non lo so cosa sia.»
Valis ha sorriso. «Opero in modi misteriosi.» Si è alzato e ha riposizionato la sedia esattamente dove si trovava prima. «Quando abbiamo parlato a Chicago, mi hai chiesto che bene facessi a Phil andandomene in giro nel suo corpo. È una domanda che continuo a pormi dal momento in cui ho compreso la mia vera natura. Ahimè, Philip K. Dick morirà. Quando arriverà quel giorno, non potrò più ignorare le mie più ampie responsabilità.»
Si è avviato alla porta.
«Aspetta!» gli ho detto, uscendo carponi dal letto. Il dolore mi ha trafitto il petto prima ancora di poterlo fermare. Nella mia testa, Del ha iniziato a scalciare e a dibattersi; il ritegno stava andando in frantumi. «Che hai intenzione di fare? Cosa devo fare io?»
«Siamo dèi» ha risposto con quella voce piatta. «È giunto il momento di agire come tali.»
La mattina Bertram ha dato un colpetto leggero alla porta ed è entrato di schiena con il vassoio della colazione. «Servizio in camera!» ha detto con un tono forzatamente allegro, poi si è fermato di colpo. «Del, cosa c'è che non va?»
«Sto bene.» Il bambino mi grattava dentro la testa con quelli che sembravano degli artigli, e ho serrato le mascelle. Mi sentivo così dal momento in cui Valis se n'era andato. Non riuscivo a restare concentrato, e ogni movimento acuiva il dolore alle costole.
Lentamente ho fatto un respiro. «Come hai dormito?» gli ho chiesto.
«Io? Bene, sono crollato come un sasso.»
Mi ha appoggiato il vassoio tra le cosce. Caffè, ciambella, giornale. Uno dei titoli diceva: 'Il Signore della Giungla libera gli scimpanzé allo zoo di Brookfield.' Non era cambiato nulla. Il mondo era infestato di demoni come sempre.
«Vuoi i cereali?» mi ha chiesto Bertram. «Ti preparo i cereali se vuoi. Che ne dici di prendere un'aspirina?»
Ho fatto cenno all'uscio. «Lei come sta?» ho chiesto.
«Tua madre? Sì, be', non bene. È rimasta giù un pochino, e si vedeva che aveva pianto» ha risposto. «Ha chiamato Lew, e fra poco dovrebbe arrivare con Amra. Sono tutti molto… scossi.» Ha fatto qualche passo indietro dal letto, ha urtato contro una pila di cestelli di plastica facendoli vacillare, e li ha bloccati. «Che le hai raccontato?»
Del ha barcollato, e ho fatto una smorfia. L'ho nascosta girando gli occhi e guardando fuori dalla finestra. Vedevo tutto il giardino - il grande salice con i gradini ancora inchiodati al tronco, la sommità del garage, il nuovo recinto di legno che Lew aveva piantato alcuni anni prima. Oltre la recinzione c'erano gli edifici della zona industriale. Quando eravamo piccoli c'erano solo campi aperti, un ruscello e un piccolo bosco. Avevano tenuto una parte degli alberi, e avevano costruito un sentiero pedonale e un ponte sopra il ruscello.
«Bertram, dovresti farmi un favore.»
Ha fatto il giro del letto, si è seduto sulla sedia e si è proteso verso di me. «Te l'ho detto, sono in debito. Quello che vuoi, Del. Qualsiasi cosa.»
«Questo è grosso» ho replicato.
Gli ho detto quello che volevo. È sbiancato, ma è rimasto sulla sedia ad ascoltarmi. Mi ha fatto un sacco di domande, per gran parte delle quali non avevo risposta. Ma ha accettato.
Dopo mezzora aveva già fatto i bagagli. L'ho sentito salutare la madre di Del, senza capire le parole. Gli avevo spiegato cosa doveva dire se gli avesse fatto domande, ma lei non ha opposto una grande resistenza. Poi dev'essere arrivato il taxi. Ho sentito la porta d'ingresso aprirsi e chiudersi, e Bertram se n'era andato.
Poco dopo sono arrivati Lew e Amra. Sono rimasti a lungo a parlare in cucina e poi sono saliti. Ho infilato le mani sotto le lenzuola, per stringere i pugni senza essere visto. Del si è scaraventato contro una parete della testa. Ero io che l'avevo fatto a me stesso, in realtà. L'avevo fatto uscire, e non avevo la forza di volontà per spingerlo di nuovo dentro.
La madre di Del ha aperto la porta. «Sei sveglio?» ha chiesto. Sembrava invecchiata di anni rispetto alla notte precedente.
Lew e Amra sono entrati dopo di lei. Amra si è chinata sul letto e mi ha abbracciato dolcemente. Ho respirato, per memorizzare il suo profumo. Lew zoppicava ancora, il ginocchio immobilizzato dentro un elaborato supporto. Aveva una cera molto migliore rispetto all'ospedale, ma era ancora un po' grigio, e sembrava dimagrito. Si è seduto piano piano sulla sedia e mi ha dato una pacca sullo stinco da sopra le lenzuola.
«Sembriamo due merde» ha detto.
Sono avvampato in viso e mi si è chiusa la gola, la risposta corporea ai segnali della colpa e della vergogna. L'avevo quasi ammazzato quella notte al lago. Ammazzato senza pensarci.
«Ehi vecchio,» ha detto Lew «non… non preoccuparti. Sto bene. I dottori dicono che mi riprenderò. Non sono messo poi così male, vero?»
Sono rimasti tutti e tre intorno al mio letto per qualche minuto. Amra ha tentato di fare due chiacchiere, ma la conversazione era troppo faticosa, troppo carica di silenzi. Da sotto le coperte ho affondato le unghie nei palmi. Alla fine Amra ha detto: «Vi lasciamo un po' soli per parlare, okay?»
Lew ha osservato le due donne che uscivano. «Mamma ci ha raccontato un bel po' di cose pesanti» ha cominciato.
«È tutto vero» gli ho detto io.
Ha fatto una smorfia. «Magari no. Te ne sono capitate di tutti i colori, è facile confondersi, saltare a delle conclusioni.»
«Già.» Ho tossito e mi sono schiarito la gola.
E passato un minuto. «Cazzo» ha esclamato Lew.
«È ancora dentro» ho detto. «Il bambino.»
Lew ha annuito. «È quello che ha detto mamma.»
«Devi ricominciare da zero» gli ho detto. «Papà è morto, e la mamma è troppo vecchia per sostenere questa cosa da sola. Tu e Amra dovrete aiutarla.»
Lew mi ha guardato atterrito. «Di che stai parlando?»
«Non posso restare, Lew. Qui mi trascino a malapena.»
«Oh Gesù.» Si è spinto in piedi. «Non puoi…» È andato verso la finestra.
«L'ultima volta si è svegliato gridando. Era impazzito, ecco. Era circondato da estranei. Tu devi solo tenerlo calmo e continuare a parlargli. Lui ti riconoscerà. So che ti riconoscerà.»
«Sono minchiate» ha detto. «Sono solo minchiate.»
«Lew.» Alla fine mi ha guardato. «Vieni qui. Dai.» Si è avvicinato a me. «Devi mettermi le mani sulle spalle. Nulla di più.»
Si è piegato su di me. Mi ha stretto i bicipiti tra le mani. «Così?» ha detto.
«Più forte.»
«Non credo di farcela» ha detto. Le lacrime gli entravano nella barba. «Sei troppo grande rispetto a una volta. Ho avuto un infarto due settimane fa.»
«Senti bambinone» ho detto a denti stretti. «Vuoi che ti prenda ora?» Del si è lanciato contro il mio cranio. Ho fatto un grugnito e ho chiuso gli occhi.
Sopra di me si è aperto il Pozzo Nero. Bobby Noon era morto, ma la rete di anime, la miriade di gallerie del pozzo, erano rimaste. Io ero nato da qualche parte in quell'oscurità.
In fondo al lago di Harmonia avevo reimparato a saltare. Devi solo interrompere quest'abitudine del respiro e del sangue. Prendi tutto quello che ami, tutti quelli che ami, e buttali via. Devi solo morire.
«Mamma! Amra! Correte!» ha gridato Lew.
«Sta' zitto» gli ho detto. «E non mollare.»