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Il dottor Ram era stato preso d'assalto ancora prima di scendere dal podio. Ero rimasto indietro, aspettando il momento giusto per attirare la sua attenzione, ma i suoi ammiratori - colleghi, studenti, fan - si erano dilungati con le domande, e lui aveva continuato ad annuire e a rispondere, sganciando il microfono, mettendo in borsa il computer e avviandosi all'uscita. La folla lo stava seguendo, costringendolo a procedere a passi lenti, come un uomo sott'acqua.
La donna pelata che Valis aveva detto essere un'esorcista, madre Mariette, non c'era. Non si era fatta vedere nemmeno alla presentazione.
Non serviva essere presenti per sapere che il discorso era stato un successo. Il dottor Ram era già una celebrità in ambito neuroscientifico. Il disturbo della possessione non aveva ancora trovato una teoria in grado di superare prove ripetute. Negli ultimi anni i ricercatori avevano appoggiato l'ipotesi che la possessione fosse legata a delle esperienze extracorporee, artificialmente indotte. Quasi tutte le équipe di ricerca stavano inseguendo la spiegazione chimica, ma poi un'equipe svedese, durante un impianto di elettrodi nella testa di una donna volto ad alleviare le sue debilitanti crisi epilettiche, le aveva bersagliato il lobo parietale, in un'area denominata 'giro angolare'. La paziente, che durante l'operazione era cosciente, aveva riferito di aver fluttuato sopra il proprio corpo. In seguito l'esperimento era stato ripetuto da altri ricercatori, tuttavia la maggior parte delle équipe mediche anteponeva considerazioni di tipo etico: non si poteva aprire il cranio di una persona e iniziare a sparare scariche elettriche così, senza una necessità estrema.
Il dottor Ram aveva scelto un altro approccio e aveva cominciato a sottoporre ex vittime di possessioni a RMN funzionali, nella speranza di notare un incremento dell'attività neurale nel giro angolare, o magari qualche deformazione comune a tutti i pazienti nella stessa area. Forse tutti avevano un'alterazione che li rendeva inclini alla possessione; forse in seguito alla possessione evidenziavano una lesione simile. Così aveva esaminato più di un'ottantina di ex posseduti nell'arco di due anni.
Senza scoprire nulla. Nulla per ventiquattro mesi.
Dopodiché il dottor Ram aveva avuto il classico colpo di fortuna. Uno dei suoi pazienti (ovviamente l'anonimato era d'obbligo) era stato posseduto dal Piper durante una di quelle risonanze. La seduta era andata a monte. Nei suoi articoli il dottor Ram non aveva mai spiegato i particolari, ma sembra che lui fosse stato cacciato fuori dalla stanza e un'infermiera fosse stata 'offesa'. Trattandosi del Piper, tutti avevano dedotto lo stupro.
A ogni modo, la risonanza aveva registrato quanto era successo nel cervello del paziente prima che questi avesse tirato fuori la testa dal tunnel della macchina, si fosse strappato le cuffie e avesse iniziato a cantare. Non era mai accaduto nulla di simile in nessun posto al mondo; le RMN erano nate negli anni Ottanta, e i demoni di certo non si sottoponevano volutamente a esami medici.
Il dottor Ram aveva pubblicato sul suo sito le immagini e alcuni mini filmati della famosa risonanza. Mi ricordavano le mappe radar del meteo che trasmettono in TV: colorati sistemi di alta pressione cerebrale che si rivoltavano su un'isola a forma di cavolfiore, sviluppando aree di rosso, giallo e verde virulento. Quando poi il dottor Ram aveva riletto la scansione, era rimasto scioccato: il lobo parietale e il giro angolare erano neri, ma una parte del lobo temporale si era illuminata come una scarica di lampi.
La funzione (o disfunzione) cerebrale, aveva sostenuto il dottor Ram, poteva essere in grado di spiegare completamente il fenomeno, strappandolo così dal dominio di guaritori religiosi, junghiani e ufologi. Una volta trovato il modo per attaccare la malattia scientificamente, tutto sarebbe stato possibile: rilevatori di demoni, diagnosi inequivocabili di possessione, trattamenti sperimentabili… una cura.
«Dottor Ram.»
Non mi aveva sentito. Ho continuato a seguirlo lungo il corridoio che portava agli ascensori, sebbene stesse spazzando via uno per uno anche i membri del suo entourage. Aveva una scarpa slacciata, ma sembrava non essersene accorto.
«Dottor Ram, se avesse solo un secondo…»
Mi ha guardato, ma è stato subito distratto da un tizio con la barba trasandata che gli stava di fianco. Ha borbottato una risposta a qualcosa che il tizio gli aveva detto, poi l'ascensore si è aperto e le persone intorno sono entrate, seguite dal dottor Ram e dal tizio con la barba. Il dottor Ram ha alzato la testa e mi ha fatto segno di entrare. Ho allungato una mano per non far chiudere le porte, e mi sono incastrato dentro.
«Grazie. Bel discorso. Ero…»
Ma il tizio con la barba gli stava ancora parlando, di qualcosa che aveva a che fare con i calcio-antagonisti. Siamo saliti.
Al diciottesimo piano il dottor Ram è uscito, e quando le porte hanno accennato a richiudersi il tizio con la barba stava ancora parlando. Mi sono spinto fuori di scatto, e il dottor Ram ha sgranato gli occhi. Dietro, le porte si sono chiuse.
Il dottor Ram è rimasto immobile. Probabilmente non voleva che vedessi dov'era la sua stanza. Ho aperto la bocca e l'ho richiusa. «Non sono un molestatore» mi era venuto l'istinto di dirgli.
«Lei è uno studente del dottor Slaney?» mi ha chiesto.
«Come?»
Ha indicato il mio tesserino. «Il dottor Slaney. O forse del dottor Morgan?» Aveva un marcato accento californiano, le vocali leggermente più allungate di uno del Midwest.
«Voglio farle vedere una cosa» ho detto. Ho aperto la cerniera dello shopper, ho scorso le altre pagine che avevo raccolto e ho estratto le copie delle RMN funzionali. Gliele ho date. «Vorrei che ci desse un'occhiata.»
«Mi dispiace, non ho tempo, davvero. Ho un appuntamento…»
Sono rimasto immobile, continuando a porgergli le copie. Alla fine le ha prese.
Ha guardato la prima, l'ha infilata sotto le ultime, e ha guardato quella successiva.
«Queste da dove vengono?» ha domandato con attenzione. Ha osservato di nuovo la prima risonanza.
«Sono io.»
Ha alzato gli occhi, con un'espressione guardinga.
«Ho seguito il suo lavoro» ho detto. «Quello che lei ha evidenziato sull'attività nel lobo temporale… la vede li?»
«Vedo qualcosa, sì.» Ha girato una pagina, piegando la testa. «Ma anche supponendo che queste risonanze siano valide - cosa che non suppongo - potrebbero voler dire praticamente tutto. Che stava ricordando il suo più compleanno più bello, o anche solo meditando di cambiare taglio di capelli.» Mi ha restituito le copie, ma il suo tono era più gentile. «So che lastre del genere possono essere allarmanti agli occhi di un profano, ma l'incremento dell'attività neurale nel lobo temporale non significa assolutamente che lei fosse posseduto mentre faceva l'esame.»
Sono arrossito per l'imbarazzo. «Non so…» Ho inspirato. «Non so davvero come spiegarle. Sono posseduto anche ora. Sento… avverto questa presenza dentro di me. So che è così che ci si sente, so che è solo una sensazione soggettiva che potrebbe essere un sintomo della malattia, ma…» Ho fatto un mezzo sorriso rigido. «È come se avessi intrappolato questa cosa dentro di me.»
Dovevo dargli merito: non mi aveva nemmeno cacciato all'istante. Ciò che sostenevo era impossibile: nessuno, per quanto ne sapessi io, se ne andava in giro così dicendo di essere posseduto.
Tuttavia ha riflettuto un minuto e poi mi ha chiesto: «Cosa vorrebbe che facessi?»
«Pensavo solo… se la sua teoria fosse corretta…» Stavo quasi per schiantarmi contro una pianta di dimensioni giurassiche, e l'ho schivata passandoci intorno. «Se quest'area del cervello fosse responsabile delle possessioni, e noi riuscissimo a disabilitarla…»
«Disabilitarla? Come?»
L'ho guardato. Ha sollevato la mano. «No. No.» Si è girato e si è incamminato verso il corridoio, con i lacci della scarpa che sbattevano sul pavimento.
Gli sono corso dietro.
«Dottore, almeno ci pensi. Operazioni simili le fanno anche ai malati di tumore.»
«Ma lei non ha un tumore! Io non posso tagliarle il cervello sulla base di una teoria. Che non è nemmeno una teoria, è un'ipotesi, e anche non sperimentata. Forse fra qualche anno ci saranno delle soluzioni chirurgiche…»
«Allora anche lei ha valutato questa possibilità.»
Si è fermato davanti a una porta. Ora sembrava sinceramente arrabbiato. «Senta giovanotto. Nessuno farebbe quello che lei mi sta chiedendo, nessun medico rispettabile. Lei si sta appigliando a speranze ridicole.»
Gli ho ributtato in mano le copie. «La prego, le guardi soltanto. Forse non si tratta di operare, forse c'è un modo chimico per… non so, interrompere il processo.»
Ha scosso la testa, cercando la chiave in tasca. «Anche se le credessi, non esiste alcun modo per fare quello che dice.»
«Non mi sto inventando nulla. Le chiedo solo di guardarle. Lì c'è il mio nome, e ho scritto un paio di numeri di telefono dove potrà contattarmi.» Ha guardato la porta, poi il corridoio, tutto tranne me e i fogli che aveva in mano. «La prego» ho detto ancora.
«Mi dispiace» ha risposto il dottor Ram. «Non posso aiutarla.» È entrato nella stanza e ha chiuso la porta senza guardarmi.
«Bugiardo» ho esclamato.
Più tardi il mio nuovo amico Tom mi stava dirottando verso il bar.
«Fidati» mi ha detto. «A te serve un'altra cazzo di birra.»
«No, sto bene così…»
«Altre tre birre» ha ordinato al barista. Poi si è girato verso di me. «Sul serio, sembri uno a cui hanno appena investito il gatto.»
Sono scoppiato a ridere e ho alzato le spalle. «Ma il tuo amico è veramente un demone?»
Tom si è voltato a guardare il tavolo. Eravamo in un salone al secondo piano dello Hyatt. Era gremito di gente, di cui la metà in costume. Valis, con la sua barba ben curata e la giacca di tweed, sembrava un professore di Oxford. Sedeva accanto alla bella donna, la moglie di Tom, Selena. Erano circondati da una mezza dozzina di persone che nell'ultima ora si erano tutte coalizzate intorno a Valis. Tom mi aveva notato seduto da solo al bar e mi aveva risucchiato dentro il loro campo gravitazionale.
Tom ha fatto un sospiro. «Phil ha avuto una vita difficile. Dopo l'ictus, be', anche prima dell'ictus, aveva iniziato a sentire delle voci. Amici immaginari, capito? Poi nell'82, appena recuperò l'uso della parola, come prima cosa disse che da quel momento in poi voleva essere chiamato Valis.» Ha scrollato le spalle. «Chiesi a un'esorcista di parlargli…»
«Madre Mariette?»
Ha sparato in alto le sopracciglia. «Ah, vero, l'hai vista! A ogni modo, lei lo dichiarò un falso. Valis non saltava, non figurava nel registro pubblico, ed era più semplice dire che alla fine Phil… ecco, Phil aveva preso un sacco di farmaci in vita sua, e non era di certo la sua prima allucinazione. E comunque, diciamoci la verità, l'arrivo di Valis non è stato affatto male. Guardalo… non diresti mai che una volta aveva metà corpo paralizzato. È completamente guarito. Anzi, più che completamente! Mangia meglio di prima, fa sport, non prende farmaci. Vive con me e Selena, ma si prende cura di noi tanto quanto noi ci prendiamo cura di lui. Voglio dire, cazzo, si diverte! È più forte di lui. Lui ci prova a fare il Valis silenzioso della situazione, ma poi qualcuno gli tocca la corda giusta e parte.»
Il barista è tornato con tre bicchieroni pieni di acqua di rubinetto appena scolorita. Abbiamo riportato le birre al tavolo, muovendoci tra i corpi, in mezzo al fumo. Selena non diceva quasi una parola, Tom discorreva in continuazione, e Valis perlopiù ascoltava; ma quando apriva bocca, come in quel momento, la gente si ammutoliva. Sul tavolino basso davanti a lui era appoggiato un bicchiere di ginger ale, intatto.
«Invece distinguere la fantascienza dalla fantasy è impossibile,» ha detto Valis «e se ci si pensa un attimo si capisce il perché. Prendete il caso della parapsicologia, o i mutanti che troviamo in Nascita del superuomo. Se il lettore crede nell'esistenza di questi mutanti, allora considererà il romanzo di Sturgeon un'opera di fantascienza. Se invece crede che tali mutanti, come stregoni e draghi, non esistano e non esisteranno mai, allora lo considererà fantasy. La fantasy tratta di ciò che il senso comune ritiene impossibile; la fantascienza tratta invece di ciò che il senso comune considera possibile, date particolari condizioni. Quest'affermazione, in essenza, è arbitraria, dato che il possibile e l'impossibile non possono essere conosciuti oggettivamente e sono, piuttosto, una credenza soggettiva del lettore.»
C'è stata una breve pausa, e poi il ragazzo ispanico in T-shirt nera e pantaloni di tela perfettamente stirati, più giovane di me, ha preso la parola: «Ma conta davvero quel che il lettore ritiene possibile? A me sembra che il tipo di libro sia determinato dal comportamento che assumono i personaggi del romanzo. Un personaggio di un romanzo fantascientifico crede che il mondo sia razionale, che esista una risposta, la verità assoluta, e va in giro a cercarla. In Nascita del superuomo, i personaggi si considerano il passo successivo dell'evoluzione, parte di un processo scientifico…»
«No, è proprio il fatto che non esiste una verità assoluta che lo rende fantascientifico.» Il commento proveniva da un uomo magro e alto, all'incirca dell'età di Valis. Era seduto su una sedia bassa, con le ginocchia alla stessa altezza delle spalle. «Possiamo continuare a fare domande all'infinito. Ma fondamentalmente la magia resta inspiegabile.»
Dietro di lui, ho visto la nuca di una testa rasata che avanzava tra la folla. Madre Mariette? Mi sono spostato da una parte per intravedere il suo profilo. Se fossi riuscito a fermarla…
«Nessuno in un romanzo fantasy cerca di capire come funziona la magia» ha detto l'uomo magro. «È così e basta. Gesù trasforma l'acqua in vino, punto. Nel mondo reale…»
«Nemmeno nel mondo reale le persone cercano di capire come vanno le cose» ha replicato il ragazzo ispanico. «L'elettricità funziona premendo un interruttore.»
L'avevo persa. Se era lei. Mi sono riavvicinato al gruppo e Selena mi stava guardando incuriosita. Ho alzato le spalle.
Poi l'uomo alto ha detto: «Sì, la maggioranza è fatta di filistei. Ma se volessero capire, niente in teoria è inspiegabile…»
Una tipa riccia con addosso una gonna alla campagnola ha controbattuto: «Un attimo, guarda che la maggior parte delle cose importanti sono inspiegabili: l'anima è inspiegabile, i demoni sono inspiegabili, la coscienza è inspiegabile…»
Qualcuno ha riso - un ragazzo pallido in camicia da smoking e con l'eye-liner, appoggiato sul bracciolo di una sedia. «Vuol dire che sei un personaggio fantasy un po' confuso che irrompe in un mondo fantascientifico. Quasi tutti gli scienziati, gli scienziati della CISP almeno, dicono che un giorno saremo in grado di capire tutte queste cose. Il fatto che non le capiamo ora…»
«Nella sua attuale condizione, l'uomo non e in grado di comprendere» ha ribattuto Valis con la sua voce distante. «E se anche comprende, non è in grado di ancorarsi alla propria comprensione. L'Occhio di Shiva si apre e si chiude.» La sua voce sembrava raggiungere distanze smisurate rispetto a un volume tanto basso, come un segnale radio che trova il rimbalzo fortunato nella ionosfera. O forse era solo che le persone aguzzavano l'udito per non perdersi una parola. Era famoso, era ricco, era uno scrittore. O quantomeno, era tutto questo prima di decidere di essere posseduto da un Vast Active Living Intelligence System. Io non avevo letto i libri, ma avevo visto un paio di film.
«Okay, allora al massimo riusciamo ad avere un secondo d'illuminazione… che tristezza.» Non vedevo chi stava parlando. «Almeno in un romanzo fantasy, tutti riescono a trovare la verità. L'ordine morale viene ripristinato, l'unico vero re torna al potere, Gesù resuscita dai morti.»
Qualcun altro ha detto: «Tu confondi il tema con il genere.»
«No, lui parla del destino» ha osservato Tom. «Nel momento in cui introduci il concetto di destino, sei nella fantasy, anche se poi la travesti da Matrix o Guerre stellari. Quando l'universo inizia a risponderti personalmente, allora è magia; riesci a sfilare la spada dalla roccia solo se ti chiami re Artù…»
«O Bugsy Siegel» ha soggiunto qualcun altro.
«Ah, certo» ha detto Tom, facendo un gesto con la mano come per allontanarlo. «Ma in un mondo fantascientifico impersonale, chiunque conosca il trucco, il modo per estrarre la spada, alla fine diventa il re della Britannia.»
«Oppure puoi sempre immergerti nel profondo delle acque e lottare contro la Dama del Lago per prenderla.»
«'Una strana donna a mollo in uno stagno che distribuisce spade,'» ha recitato il tizio pallido con un accento non propriamente inglese «'non è una base per un sistema di governo.'»
Improvvisamente la conversazione è degenerata in una raffica di citazioni dei Monty Python, frammentandosi ancora in una serie di discussioni isolate. L'uomo alto se n'era andato con la tipa riccia, ma nel frattempo si erano unite altre persone. Tom sembrava conoscere tutti, e tutti riconoscevano quantomeno Valis. Il volume delle chiacchiere e il fumo si alzavano, e non solo a causa nostra; da tutti i piani delle torri dello Hyatt stavano scendendo le anime festanti del DemoniCon. A un certo punto della serata, o della notte - forse era l'una, sicuramente mezzanotte passata - mi sono ritrovato in bagno, con Valis nell'orinatoio accanto al mio. Stavo pisciando ettolitri di birra, divertito dal fatto che usciva dello stesso colore che aveva prima di entrare.
Sulla parete sopra l'orinatoio qualcuno aveva scritto: 'Dogma: io sono Dio.'
«Allora…» ho detto. «Pisci anche tu.»
A quel punto mi sentivo leggermente più fradicio di quanto pensassi.
Ha annuito senza voltarsi a guardarmi. «Gli imperativi del corpo» ha risposto.
Come dargli torto? Fuori sentivo una risata stridula proveniente dal bar.
«Le persone non ti trattano come un demone» ho detto. «Adorano parlare con te.»
«Adorano parlare con Phil.» Ha fatto qualche passo indietro dall'orinatoio, ha chiuso la lampo e si è diretto verso il lavandino. «Preferiscono pensarmi come un vecchio amico che è ancora tra loro, solo che è impazzito. Pensare questo li aiuta.»
«Aspetta… tu fai credere alla gente che stai fingendo, ma in realtà…» Ho elaborato il concetto in testa per un secondo. «Sei un demone che finge di essere un uomo che finge di essere un demone.»
«Esatto. Un falso 'falso'.»
Ha aperto il rubinetto. Solo quello dell'acqua calda.
Mi stupiva il fatto che in fondo gli credevo, o se non altro gli concedevo il beneficio del dubbio.
«D'accordo, allora se sei veramente un demone,» ho detto «perché non hai mai posseduto nessun altro? Entrare in un'altra persona sistemerebbe la faccenda, o no?»
Mi ha guardato attraverso lo specchio mentre si lavava le mani, il vapore gli copriva progressivamente il viso. Non sembrava affatto infastidito dalla temperatura dell'acqua.
«L'intervento divino non è sempre un'invasione divina. Sono entrato nella vita di Phil per ventidue volte. Diciannove di quelle irruzioni erano finalizzate soltanto a trasmettere informazioni, compresse in segnali cifrati che dovevano innescare il processo di anamnesi.»
«Di?»
«Anamnesi. La perdita della dimenticanza.»
Ero a bocca aperta.
«Il recupero totale della memoria.»
«Ah.»
«In certi casi è stato necessario intervenire con un'azione più diretta. La prima volta aveva tentato di ammazzarsi,» continuava a parlare con quella voce distante «così entrai nel suo corpo, gli scrissi il numero del pronto soccorso sul palmo della mano e lo svegliai. La svolta però fu nel 1982. Phil ebbe un ictus seguito da arresto cardiaco, il suo terzo attacco e quello più invasivo. Per rianimargli il cuore e riattivare la circolazione sanguigna al cervello, dovetti assumere il controllo totale delle funzioni biologiche. Fui costretto a installargli un frammento olografico della mia essenza.»
«L'hai posseduto.»
Si è scrollato l'acqua dalle mani - due frugali colpetti dei polsi - e ha preso un fazzoletto di carta dal mucchietto appoggiato sopra il lavandino. Da fuori sentivo urlare qualcuno, ma non distinguevo le parole. «E ora continuo a pompare questo cuore, a far lavorare questi polmoni. Temo che se lasciassi questo corpo per un po' di tempo, potrebbe morire.»
«D'accordo, ma…» Ho scrollato la testa. «Perché?» Sono scoppiato a ridere. Mi ha guardato con aria pacata, il che mi ha fatto ridere ancora più forte. «Voglio dire, perché non lasciare che muoia? Era la sua ora, no? Che bene gli fai andandotene in giro con il suo corpo?»
Ha piegato la testa e ha sorriso. «Questa è la domanda che ognuno di noi si deve porre.»
Ha aperto la porta del bagno e subito si è riversato dentro lo schiamazzo del bar: strilli furiosi, fischi divertiti, grida ubriache. Poi il frastuono simile a un enorme pezzo di vetro - o forse un centinaio di piccoli pezzi - sbattuto contro qualcosa di duro e andato in frantumi.
Valis mi ha tenuto la porta. Dall'altra parte del salone c'era un uomo a petto nudo appeso per un braccio sopra il bancone, le gambe ripiegate sotto di sé, che si dondolava dalla rastrelliera dei bicchieri da vino. La rastrelliera dal lato corto del bancone era già catapultata a terra.
L'uomo era vestito unicamente con una specie di perizoma coperto di foglie. Aveva la faccia dipinta di rosso, e dalla testa spuntavano delle piccole corna. Con la mano libera teneva una zampogna di legno. Nell'istante di massimo ciondolamento si è lasciato andare, si è curvato nel vuoto e planando è finito di piedi su un tavolino rotondo.
«Aprite le danze, crapuloni!» ha gridato.
«Oddio, è come alle olimpiadi» ha esclamato un tale accanto a me.
Era la stessa cosa che il Piper aveva strillato nel 2002. Un pattinatore velocista finlandese, Arttu Heikkinen, si trovava sull'ultimo tratto dei cinquemila metri che stava disputando, a metà giro di vantaggio rispetto al secondo concorrente, e si accingeva a battere il record mondiale. All'improvviso rallentò, si guardò intorno, individuò le telecamere e sorrise radiosamente. Il secondo pattinatore iniziò a superarlo sulla corsia esterna. Heikkinen gli fece lo sgambetto, mandandolo a sbattere contro le barriere imbottite, e scoppiò a ridere. Si strappò la tuta di lycra fino a metà corpo, lasciandola penzolare come una pelle in muta. Poi roteò in un cerchio e ordinò agli spettatori dell'arena di ballare. Heikkinen non si riprese mai dalla vergogna e non partecipò più ad altre gare.
A quel punto gran parte delle persone che erano al bar cercavano di uscire, mentre altre restavano congelate ai propri posti. Mi sono spinto tra la calca che si precipitava all'uscita, rimbalzando contro i corpi, nel tentativo di avvicinarmi. Il Piper è salito sulla sedia gialla del bar, ha superato con un balzo lo schienale di un divanetto ed è atterrato vicino a una donna con i capelli rossi. La donna ha lanciato un urlo.
«Ho detto… aprite le danze!» ha gridato ancora il Piper. Poi ha strattonato i piedi alla donna, ridendo come un pazzo. Lei, longilinea e forse intorno ai quarant'anni, ha scosso la testa convulsamente, con le lacrime che le scendevano sulle guance.
«Ehi capo» gli ho detto.
Il Piper si è girato e mi guardato di sottecchi. «S-sììì?»
Non so cosa ci fosse nel bicchiere - acqua, gazosa, vodka - comunque qualcosa di trasparente. Gliel'ho tirato addosso, insudiciandogli la faccia. Lui ha sputacchiato e ha battuto le palpebre. La donna si è liberata il braccio con uno strattone.
«Fuori dai piedi» ho detto. «Non la racconti a nessuno.»
Mi ha fissato. Quello che aveva usato per dipingersi la faccia gli stava colando sul petto in rigagnoli scarlatti.
«Ho detto fuori dai piedi.»
È sceso dal divanetto. «Uuuh… sta' calmo. Non si può più scherzare?» Tutto prostrato si è avviato verso il lato aperto della sala che si collegava all'hotel vero e proprio. Dopo un lungo istante, mi è passato di fianco uno dei baristi che lo stava rincorrendo per acciuffarlo.
Qualcuno mi ha dato una pacca sulla spalla. Qualcun altro mi ha messo in mano uno shottino. Tom, ridendo, mi ha detto: «Come facevi a saperlo, vecchio? Come cazzo facevi a saperlo?»
«…Non mi ha nemmeno ascoltato. Ha preso e se n'è andato. Io dico solo che bisogna smontare l'antenna. C'è un congegno nel nostro cervello che riceve i programmi della radio dei demoni, e bisogna trovare un modo di staccare la spina, o perlomeno di cambiare questo cazzo di canale. Io non dico un'operazione chirurgica, non dico di bucare il lobo. Basterebbero le microonde, sai, le microonde incrociate che usano per distruggere i tumori, quelle a bassa potenza, non invasive, che agiscono solo nel punto esatto in cui si sovrappongono. Ma dico, cosa gli costava pensarci?»
Selena annuiva in segno di comprensione. O magari lo faceva solo per assecondarmi. Io preferivo la comprensione.
«Non puoi fare una cosa del genere» è intervenuto il ragazzo ispanico, interrompendomi. Che poi avevo scoperto non essere ispanico, bensì armeno. «Ho letto qualcosa su questo dottor Ram, e lui parla di eliminare l'Occhio di Shiva.»
«Il cosa?» Ricordavo vagamente di averlo già sentito nominare da qualcuno.
«L'occhio nascosto che secondo gli antichi apriva le porte a Dio» ha detto Tom. «Phil dice che è stata la cosa che gli ha permesso di ricevere le informazioni che Valis gli stava lanciando. Se pensi al…»
Improvvisamente Tom ha barcollato in avanti, versando il suo drink sul tappeto. Un tipo gigantesco in T-shirt e calzoncini di tela lo aveva urtato. «Qualcuno mi ha rubato il costume! Era qui! Chi è che mi ha rubato il costume?» Quando si è voltato, ho riconosciuto il bisonte grassone che avevo visto di mattina davanti allo Hyatt, quello vestito da Truth.
«Nessuno di noi, bello mio» gli ha detto Tom.
Allora il grassone si è imbronciato e ha cambiato direzione. «Dove cazzo è il mio cappello!»
Il ragazzo ispano-armeno mi ha stretto un braccio. «Del, ascoltami. Tu davvero vuoi che qualche ciarlatano in camice bianco interrompa la tua connessione con Dio?»
«Dio? Ma tu pensi veramente che queste cose siano Dio? Johnny Ciminiera, il Piper, il Ciccione?» Ho allungato il braccio per prendere il bicchiere, il mio bicchiere pieno di roba marrone. «Ma allora Dio è da neuro.» Dovevo concentrarmi: mi sentivo le punte delle dita intorpidite, le labbra insensibili, e avvicinare il bicchiere alla bocca richiedeva livelli di concentrazione che in genere raggiungevo solo per vincere alle macchinette pesca-pupazzi. Per la serie: inserisci la monetina e vinci un bicchiere di bourbon.
Di chi era quella stanza?
«L'Occhio può anche distruggere» ha continuato il ragazzo. «Valis dice che il segnale portante è anche una fonte di radiazioni nocive. Forse ci sono persone che non riescono a gestire le informazioni ricevute. Magari questi devianti vengono sopraffatti dalla purezza del flusso informativo.»
«È meglio andare» ha detto Selena.
«Oppure è il messaggio vero che passa» ha ribattuto Tom. «Shiva ha due facce, amico mio: è il protettore dei deboli ma anche il distruttore dei malvagi. Se provi a interrompere il flusso, togli l'essenza divina all'umanità.»
«Essenza divina?» ho esclamato. «Okay, allora io sono il Ciccione, possiedo un tizio e gli faccio mangiare dieci chili di cioccolata alla volta. Ah che bel gesto divino, ah quanta cazzo di profondità, è come…» Non riuscivo a trovare un termine di paragone. Comunque era paragonabile a qualcosa. «Cioè, noi non possiamo dover vivere con questa paura. Voglio dire, cazzo, da quando è stato ammazzato Eisenhower trattano i giapponesi come delle bestie e il presidente non può ancora andare in TV… è tutta una cazzo di registrazione. E quelli dei servizi segreti stanno lì con tanto di tranquillanti nel caso in cui dovesse decidere di fare piazza pulita di loro, come Nixon.»
«Ma Nixon non era posseduto» ha osservato qualcuno. «Era solo pazzo.»
«Io dico solo…»
«Che non possiamo continuare a vivere così» mi ha incalzato il ragazzo. «Però lo facciamo. Viviamo così. Anche gli israeliani tornano sugli autobus.»
«E meglio andare» ha ripetuto Selena. E non era la seconda volta: aveva continuato a dirlo da quando Valis se n'era andato un'ora prima, scortato da un trio di giovincelli.
«Fammene prendere un'altra per il viaggio» le ha risposto Tom. Ha preso un'altra lattina di birra dalla cassetta, poi ha tirato fuori qualcosa dalla tasca - un'etichetta di vinile. L'ha avvolta intorno alla birra, trasformandola in una rispettabile e più democratica lattina di gazosa.
«Sai una cosa?» gli ho detto, illuminato da un pensiero geniale. «Se ora ci versassi dentro la gazosa al posto della birra, avresti un falso 'falso'.»
«Ma che dici!» ha detto Tom.
«Una specie di Valis!»
Selena si è preoccupata di chiedermi: «Tu non devi guidare, vero Del?»
Ho scosso la testa vigorosamente e ho mosso la mano per salutarli.
Più tardi mi sono guardato attorno e ho realizzato che non conoscevo nessuno. Era sparito anche il ragazzo armeno. Me ne sono andato dalla festa e ho iniziato a concentrarmi sulla strada da fare per salire fino in camera. Ho superato un cartello da bar che annunciava la proiezione di alcuni film sulla possessione in una sala da ballo Omen: il presagio, Essere John Malkovich, A prova di errore, 2001: Odissea nello spazio - e ho girato proseguendo verso le porte, ma poi ho notato la fila di ascensori e ho corretto la direzione di marcia. Si è aperta una porta e mi sono infilato dentro insieme a un gruppetto. «Diciottesimo piano» ho detto. Un minuto dopo l'ascensore si è aperto sibilando come una bolla d'aria, e qualcuno da dietro mi ha battuto un colpetto tra le scapole. Quel poco di energia cinetica mi ha aiutato a trascinarmi lentamente lungo il corridoio.
La mia vista si era incanalata nell'estremità sbagliata di un telescopio da quattro soldi: era tutto troppo piccolo e troppo distante. Ho arrancato fino alla mia camera.
Alla fine il tesserino della chiave mi si è materializzato in mano, uno strano trucco di magia. L'ho infilato, l'ho sfilato, l'ho infilato di nuovo… sesso da camera. La luce rossa lampeggiava, si rifiutava di diventare verde. Ho afferrato la maniglia e ho osservato dentro la lente a bolla dello spioncino. La cosa in testa pestava e batteva. Apri la saracinesca esterna, Hal. Apri questa cazzo…
Ho fatto un passo indietro e ho guardato il numero della porta.
Quello non era il mio piano. Però c'ero già stato, l'avevo già vista quella pianta di dimensioni preistoriche…
Ah, giusto. Il dottor Ram.
Quel cazzo di dottore.
Il demone dentro la testa si è dimenato. Mi stavo impanando. Blocchi di processori in lucite cominciavano a spegnersi dentro il mio cervello, uno dopo l'altro, schiacciati da alcol e demoni. Giro giro tondo…
In quel momento mi sono ricordato delle catene. Non potevo andarmene in giro in quel modo. Dovevo mettere le catene.
Mi sono voltato, senza sapere bene da che parte si tornasse agli ascensori. Il corridoio si allungava in lontananza, porta dopo porta dopo porta, l'infinito regresso di uno specchio riflesso.