Demonologia
Il Capitano

Srinagar, Jammu e Kashmir, India, 2004

Il primo dei quattro veicoli del convoglio di marines aveva quasi raggiunto l'estremità occidentale del ponte quando gli ordigni esplosero. I quattro veicoli - tre Hummer seguite da un autoblindo M113 - stavano transitando sul Fateh Kadal, uno dei nove ponti a due corsie che attraversavano il fiume Jhelum nel centro di Srinagar. Erano le 2:15 del pomeriggio, c'erano dieci gradi ma era soleggiato, il manto stradale ancora bagnato dall'acquazzone primaverile che era venuto giù mezzora prima.

Il soldato scelto Peter Gruen guidava il terzo veicolo del convoglio. Strizzava gli occhi contro il sole che entrava dallo stretto parabrezza della Hummer, quando all'improvviso il veicolo davanti a lui si catapultò in aria esplodendo in una nube di fuoco e pezzi di cemento. L'onda d'urto fu simile a un pugno in pieno volto. Gruen pestò forte sul freno e diede un giro violento al volante. La sua Hummer colpì il parapetto di cemento e si fermò di colpo, scagliandolo contro il piantone dello sterzo. La Hummer che lo precedeva atterrò sul fianco alla sinistra di Gruen, gli pneumatici in fiamme. Il portello circolare in cima al veicolo si staccò, rimbalzò sulla portiera di Gruen e rotolò verso l'altro lato della strada. Tetto e cofano furono colpiti da una pioggia di pezzi di cemento con un rombo di tuono.

Sulla strada tra Gruen e i primi due veicoli si era aperto un cratere frastagliato grande quasi quanto la sua Hummer. Dal bordo sporgevano tondini di ferro deformati. Al di sotto scorreva l'acqua nera del Jhelum.

Il sergente Stevens, sul sedile di fianco a lui, urlò alla radio: «Fuori! Fuori! Fuoco di copertura!»

Dopo l'urto contro il volante Gruen si sentiva i polmoni schiacciati. Rantolò, nel tentativo di risucchiare un po' d'aria. Fuoco di copertura. La sua arma da fianco era alla cintura, ma il suo M-16 era riposto di fianco al sedile, incastrato tra le scatole di munizioni sulla grossa protuberanza che ricopriva l'albero motore. I due marines seduti dietro, Koslow e Mack, tenevano i fucili d'assalto appoggiati sul ventre. Mack si mosse per primo. Aprì la portiera con un calcio e uscì.

Un suono simile a un grido e a un fischio. Gruen si girò dall'altra parte e la granata a razzo li colpì con uno scoppio tremendo che fece oscillare la Hummer sulle ruote del lato guida. Gruen fu scagliato contro la portiera. Il veicolo traballò per un attimo, poi ricadde sulle quattro ruote con un sobbalzo.

Koslow gridò qualcosa che Gruen non riuscì a distinguere. Non sentiva altro che un fischio intenso.

Il sedile posteriore e l'uniforme di Koslow erano coperti di sangue. Sul sedile anteriore, il sergente si era accasciato sul cruscotto, quasi afflosciato sul fondo del mezzo, morto o privo di conoscenza. Dov'era Mack?

Gruen diede uno strattone alla sua portiera, che si aprì con un cigolio. Afferrò il sergente da sotto le braccia e tirò, avvicinandolo a sé. Attraverso il fischio sentì un crepitio di colpi distanti. Il calibro 50 sull'APC dietro di loro aveva aperto il fuoco.

Gruen tirò fuori il sergente dalla macchina e lo adagiò sulla strada, sdraiato di schiena, la testa sostenuta dall'elmetto. In quel momento erano al riparo dal fuoco incrociato: il parapetto del ponte li copriva alle spalle, la Hummer rovesciata e in fiamme li riparava a ovest, la loro a est. Il suo veicolo era stranamente inclinato, la ruota posteriore destra ripiegata sotto il pianale come un animale con una zampa rotta.

La mano del sergente sanguinava, la manica era inzuppata. Gruen sollevò il braccio dal petto di Stevens e questi si lamentò. La mano sembrava una poltiglia senza ossa. Gruen gli appoggiò il braccio a terra e gli strappò la manica. «Koslow, prendi il kit del pronto soccorso!»

Koslow era ancora seduto nel retro del veicolo. Per un attimo parve non udirlo, ma poi si protese verso il kit ancorato al fondo del mezzo e riemerse con la scatola di metallo. Aprì la portiera e mosse qualche passo. Delle pallottole risuonarono sul metallo che gli proteggeva la testa, e si accovacciò accanto a Gruen e al sergente.

«Mack è morto» disse Koslow a voce alta. Aprì il kit e Gruen afferrò un rotolo di garza e uno di cerotto bianco. «È grave, il sergente?»

«Se la caverà» rispose Gruen a solo beneficio del superiore; in realtà non aveva idea di quanto fosse grave. Aveva ricevuto l'addestramento di pronto soccorso come chiunque altro, ma non era di certo un medico. Mise una compressa di garza sul palmo dell'uomo, causando un altro lamento, e cominciò a fasciare la mano e il polso. Il sergente mormorò qualcosa in modo confuso. Stava entrando in shock. «Se la caverà, signore» gli disse Gruen, e poi, rivolto a Koslow: «Dove si sono posizionati?»

Koslow sbirciò attraverso i finestrini della cabina della Hummer. «Alle due estremità del ponte, credo. Cristo, probabilmente anche sotto di noi; mi sembra di aver visto dei battelli sul fiume prima che attraversassimo il ponte.»

«Nazi» disse il sergente a bassa voce.

«Be', non penso, signore» lo corresse Gruen. Gli mancava solo quella: il sergente si era messo a dare i numeri. In effetti, però, non si capiva chi stesse sparando contro di loro: le Forze di Al Fatah, il PFL, i LeT, un gruppo di estremisti sostenuti dal Pakistan. Potevano anche essere i controrivoluzionari sostenuti dall'India. Chiunque in città - chiunque nell'intero Jammu e Kashmir - li avrebbe voluti cacciare. Strappò un pezzo di cerotto, ne fece aderire una parte al bordo della garza e poi lo avvolse tre volte intorno al polso del sergente, come un cowboy che prende al lazo un vitello.

«Dobbiamo rimettere Mack e il sergente sull'APC» disse a Koslow. «Poi dobbiamo andare là davanti e vedere chi è vivo. Dobbiamo andarcene da qui.»

«Gruen, stanno costruendo delle barricate.»

Gruen lo fissò. Ma che cazzo!

Si accovacciò, poi alzò la testa sopra il cofano della Hummer. L'APC dietro di loro era ancora in piedi. Era un cingolato squadrato con i lati piatti ed era più corazzato delle Hummer. Ma soprattutto aveva solo quattro uomini a bordo, e spazio per altri otto.

Uno degli occupanti dell'APC era al cannone calibro 50 montato sul tetto e sparava nella direzione da cui erano arrivati. Altri due marines facevano fuoco sdraiati accanto alle ruote. Il quarto uomo era probabilmente al volante.

A circa trenta metri da loro, all'estremità del ponte, era apparso come per magia un mucchio di pneumatici alto quasi un metro che copriva tutta la larghezza del ponte. Ogni secondo si aggiungevano alla catasta nuovi pneumatici, nonostante i marines riempissero l'aria di pallottole. Gli abitanti del luogo sciamavano dagli edifici vicini baracche di legno a cinque piani che sporgevano sul fiume - e si precipitavano sulle strade in pendenza dirette al ponte, portando pneumatici, mobili, lamiere. Era come se l'intera città avesse accumulato quei rottami nei cortili delle case e avesse atteso il momento giusto per metterla nel culo al soldato Gruen.

«Si stanno allineando là dietro» disse Koslow. «Sembra che abbiano un sacco di AK-47. Ci hanno bloccato, almeno fino a quando non arriva il supporto aereo. Se riusciamo a farci mandare un elicottero d'assalto per fare pulizia…»

Gruen lo guardò con disgusto. «Supporto aereo? Non abbiamo tempo per accamparci qui, Koslow. Dimenticati i fucili, hanno i lanciagranate. Dobbiamo muoverci adesso, prima che ci facciano saltare.»

«Nazi!» disse il sergente. Aveva lo sguardo fisso sul parapetto dietro a Gruen. Gruen seguì la direzione del suo sguardo. Sul cemento c'era una svastica dipinta con dello spray rosso. Ma era anche una specie di simbolo sacro in quelle zone, no? Una cosa indù o roba simile.

«Vai là davanti» ordinò a Koslow. «Vedi se riesci ad aggirare la voragine e a scoprire cos'è successo al veicolo di testa. Torniamo con l'APC.» L'M113 era tecnologia che risaliva al Vietnam, lento e instabile, ma era blindato per andare all'inferno. «Torna qui in fretta, okay?»

«Merda» rispose Koslow. Si acquattò, e poi si mosse verso ovest attraverso il fumo.

Gruen si voltò e vide che il sergente Stevens si era alzato e stava accovacciato, con l'elmetto per terra. Poi lo vide strapparsi un pezzo di cerotto e incollarlo sul davanti dell'elmetto. Gruen non avrebbe mai pensato che il sergente potesse muovere la mano destra in quel modo.

«Che sta facendo, sergente? Deve rimettersi l'elmetto.»

Il sergente lo ignorò. Incollò un altro pezzo di cerotto sul copricapo, formando una V rovesciata, e strappò un'altra striscia dal rotolo.

«Sergente, per favore…»

Stevens sistemò la terza striscia e balzò in piedi all'improvviso; ogni traccia di shock era sparita. Schiena dritta, spalle indietro, sembrava quindici centimetri più alto. Le pallottole gli fischiavano intorno alla testa, ma lui le ignorava. Abbassò lo sguardo su Gruen con un sorriso fiducioso. Gruen non aveva mai notato quanto fossero azzurri gli occhi del sergente.

«Oh merda» esclamò. Gli stava venendo la nausea. «Dovrebbe sedersi, sergente.»

«Non sergente» rispose Stevens.

Si piazzò saldamente in testa l'elmetto. Il cerotto sul davanti formava una A squadrata.

«Sono il capitano.»

Stevens camminò impettito attraversando la strada e raggiungendo il portello di acciaio che si era staccato dal fuoristrada capovolto. Afferrò la maniglia interna con la mano sinistra e lo sollevò come uno scudo. Pesava quindici o venti chili, ma lui lo reggeva con la massima naturalezza da quell'unica scomoda maniglia.

«Raduna gli uomini» ordinò Stevens. Non c'era certo da discutere con quel tono di voce. «Io mi occupo della barricata.»

E si mise a correre verso l'estremità del ponte, in mezzo a una pioggia di proiettili. Gruen si alzò in piedi, gridando: «Sergente! Sergente!» Non aveva mai visto nessuno correre a quella velocità, in modo così leggiadro, coprendo la lunghezza del ponte in quella che parve una serie di fotogrammi separati. Stevens teneva lo scudo sollevato davanti a sé, e le pallottole colpivano l'acciaio sprizzando scintille e rimbalzando via - una, due, e poi una grandinata. Più volte sembrò che i proiettili lo avessero colpito alle braccia o alle gambe, causandogli incertezze appena percettibili, ma paradossalmente la sua velocità aumentava.

A tre metri dalla barricata spiccò un salto con le gambe divaricate a V, lo scudo davanti a sé, simile a un ariete, il pugno destro bendato allungato in avanti. Due nemici volarono via, altri tre crollarono sotto di lui. E poi scomparve, svanì dietro al muro di fumo e copertoni, in mezzo al mucchio di assalitori.

Gruen si guardò intorno sconvolto. Koslow riapparve dal fumo; con un braccio sosteneva un marine, e altri due lo seguivano. Uno dei due portava un compagno morto. «Andiamo!» urlò Gruen. «Dai, dai, dai!» Girò intorno al fuoristrada di corsa e recuperò il cadavere coperto di sangue di Mack. Gli mancava il braccio sinistro, ma non riusciva a vederlo da nessuna parte sull'asfalto. Il fuoristrada capovolto era ancora in fiamme. Per i corpi all'interno non c'era più nulla da fare.

I marines corsero verso l'unico veicolo rimasto, l'APC. I soldati avevano smesso di sparare. Le armi automatiche crepitavano ancora dall'estremità occidentale del ponte, ma dal loro lato sembrava non sparasse più nessuno. Il soldato alla guida aprì il portellone dall'interno e i marines si arrampicarono dentro il veicolo rombante, calpestandosi l'un l'altro. Ci vollero minuti per salire e sistemarsi. Gruen si era seduto sulla panca e proteggeva Mack con le braccia. L'APC fece lentamente retromarcia e girò.

«Aspettate un attimo» disse l'autista. Il motore sibilò e i cingoli grattarono e stridettero. L'APC si mise in movimento con uno scossone e accelerò. Dal piccolo finestrino, Gruen vide l'asfalto scorrere di fianco a loro. Il veicolo sobbalzò passando sopra qualcosa - un copertone, un cadavere? - finché non si trovarono dirimpetto alla barricata.

L'APC sfondò il muro di pneumatici scaraventando via i detriti come un'esplosione. Con una mano Gruen si tenne alla maniglia sopra di sé, con l'altra sorresse Mack. Il muso dell'APC si sollevò e ritornò fragorosamente a terra. Il veicolo si fermò. Gruen si alzò da terra e si mise a sbirciare dal finestrino, in cerca del sergente.

Era là.

Stevens era in mezzo a un ammasso di corpi immobili, il portello circolare ancora nella mano sinistra. Il bordo dello scudo era imbrattato da una striscia uniforme di colore rosso. La divisa gli penzolava addosso, ridotta in brandelli. La carne al di sopra della vita era strappata in strisce vermiglie, come se fosse stato colpito direttamente al petto da parecchi proiettili. Del suo braccio destro non era rimasto più nulla al di sotto del gomito.

Gruen si stupì che non fosse ancora morto dissanguato.

Stevens sorrise, mostrando denti di un bianco inverosimile, e sollevò il moncherino in una parvenza di saluto. I marines lo fissarono dai finestrini. Nessuno parlò.

Poi lo scudo gli scivolò dalla mano. Stevens cadde in ginocchio e stramazzò a terra.