19
Il sabato mattina, Hoke andò all'aeroporto internazionale di Miami a prendere Aileen, e la portò a Singer Island. La ragazza, anche ammesso che in partenza ci fosse stato qualche problema serio, sembrava aver recuperato in fretta. Aveva messo su quasi sei chili, e indossava un paio di pantaloni neri di velluto da torero e un bolerino in tinta che le aveva comprato sua madre per il viaggio. Curly Peterson, felice di vederla sparire dalla sua casa e dalla sua vita, le aveva ficcato nella borsetta due bigliettoni da cinquanta dollari belli croccanti, come regalo d'addio. Aileen era entusiasta di tornare, anche se il viaggio e quel che ne era conseguito erano stati un'avventura memorabile. Aveva anche conosciuto questo ragazzo che abitava tre case dopo quella di Patsy, a Glendale. Si chiamava Alfie, e suo padre scriveva colonne sonore. Aileen aveva una foto, di Alfie, e l'aveva già fatta vedere a Hoke, dicendogli che avrebbero continuato a mantenere contatti epistolari.
Hoke aveva dato un'occhiata alla foto - un teenager sorridente, spettinato e senza spina dorsale - dicendo alla figlia che gli sembrava un bel ragazzo. In realtà a Hoke quel tipo era parso un idiota congenito, ma il lato positivo della faccenda era che Aileen stesse sviluppando un qualche interesse nei confronti dei ragazzi. Dopo tutto, Aileen era sua figlia, e quindi era abbastanza sveglia da essersi ormai accorta che ai ragazzi non interessavano le tipe tutte pelle e ossa che sembravano maschi anche loro.
Comunque, d'ora in avanti Hoke avrebbe tenuto d'occhio Aileen e Sue Ellen con molta più attenzione. E forse anche questo non era un lato negativo.
Quando imboccarono la Sunshine Parkway, Hoke raccontò ad Aileen la storia della rapina-strage al supermercato, molto più in dettaglio di quanto avesse già fatto al telefono, e dei loro progressi nelle indagini. Aileen però era molto più preoccupata per Ellita che per l'esito della caccia all'uomo. Era anche dispiaciuta di non aver potuto ancora vedere Ellita e il suo bambino.
«Invece di andare a stare col nonno, non sarebbe meglio se me ne tornassi a casa? Potrei dare una mano a Sue Ellen nelle faccende di casa, mentre Ellita fa la sua terapia».
«Ci avevo già pensato, tesoro. Il fatto è che la signora Sanchez verrà a vivere con noi per un mesetto, quando rimanderanno Ellita a casa, e quindi finiremmo per stare un po' stretti. Inoltre, voglio che tu metta su qualche altro chilo, e Inocencia ti farà seguire una dieta specifica, che ti ha prescritto il medico. Mi preoccupi più tu, che Ellita. Avrei dovuto prestarti più attenzione, invece di avvilupparmi così tanto nei miei problemi personali. Forse avrei dovuto mandarti subito a L.A.».
«No». Aileen scosse la testa riccia e posò una mano sul braccio di Hoke. «È stata colpa mia, papà. Adesso capisco che stavo solo cercando di ottenere più attenzione da te, e ha funzionato fin troppo bene. È per questo che andavo sempre a vomitare sotto la finestra del professore. Sapevo che prima o poi sarebbe venuto a dirtelo».
«D'ora in avanti, piccola, qualsiasi cosa ti passa per la testa, vieni da me che ne parliamo, okay? Negli ultimi tempi sono stato più impegnato di uno sciame d'api, e certe volte finisce che mi dimentico di essere anche un padre».
Aileen attaccò a piangere, ma si fermò di colpo. Si asciugò le guance con le mani e si sporse per dare un bacio alla mano destra di Hoke, impegnata a reggere il volante.
«Cos'è quella cosa che hai appeso alla catenina?»
«Una medaglia di san Giuseppe» disse Aileen, facendogliela vedere. «Me l'ha data la madre superiora. Mi ha detto che siccome sono proprio carina, quando avrò messo su qualche chilo i ragazzi faranno la fila per baciarmi. Allora, invece di farmi baciare, devo fargli baciare la medaglia di san Giuseppe».
«È un buon consiglio se decidi di frequentare i ragazzi cubani di Miami, ma con quelli WASP non funziona. Da qui a un anno vedrai che ti toccherà tenerli lontani con un bastone, questi e quelli».
«Magari l'anno prossimo Alfie potrà venire a trovarci dalla California. Lui non c'è mai stato, in Florida, ma suo padre ha un mucchio di quattrini».
«Perché no? Ma un anno è lungo a passare. Prova a chiedermelo di nuovo la prossima estate, e se non avrai cambiato idea scriverò a suo padre. Oppure posso fargli una telefonata».
«Davvero?» Aileen si appoggiò allo schienale e guardò suo padre con tutt'altri occhi.
«Sicuro. Perché no?»
Hoke si fermò al Pelicano per prendere la sua roba, gli scatoloni di Aileen e la bicicletta, prima di dirigersi a casa di Frank. A macchina carica, disse ad Aileen di precederlo in bici, mentre lui dava un'ultima occhiata nell'appartamento e salutava il professor Hurt.
Il minuscolo appartamento aveva bisogno di una bella pulita, ma a Hoke fece ancora un bell'effetto. Sapeva che ne avrebbe sentito la mancanza. No, non si era scordato niente. Per un lungo istante, si fermò a guardare dalla finestra, oltre la spiaggia affollata, fino a raggiungere con gli occhi il mare. Era stato un esperimento che non aveva funzionato; ma ne era comunque valsa la pena, malgrado i risultati negativi. Gli scienziati consideravano comunque validi anche i risultati negativi, perché non dovevano più ripetere gli esperimenti falliti. Potevano passare ad altro. Hoke aveva imparato che non era possibile semplificare la propria esistenza. Nel mandare avanti il Pelicano, anche se quell'attività gli era parsa semplicissima, si sarebbe trovato ad affrontare gli stessi problemi che aveva da sergente investigativo. Certo, futili problemi; piccole stupide cose che andavano comunque fatte, e che gli avrebbero portato via un sacco di tempo senza fornirgli in cambio né soddisfazione né autostima. In quel momento, gli sembrava di avere raggiunto un punto morto, nella sua caccia al killer, ma nel suo cuore sapeva che prima o poi l'avrebbe beccato.
Non gli piaceva il pensiero della torva signora Sanchez che stava per trasferirsi in casa sua, ma almeno gli veniva risparmiato il marito. Il che stava a indicare un trasferimento temporaneo. Senza la moglie ad accudirlo, il vecchio Sanchez non avrebbe saputo come cavarsela, quindi lei non sarebbe certo rimasta più del necessario. E all'inizio dell'anno scolastico tutto sarebbe tornato a posto, fatta eccezione per Ellita, non più sua partner. Le ragazze avrebbero dovuto assumersi molta più responsabilità e cercare di sbrigarsela da sole il più possibile, ma stavano maturando alla svelta, e Sue Ellen - malgrado i capelli verdi - era salda come una roccia. Hoke fece spallucce, prese i tre volumi sui tafani e scese a bussare alla porta del dottor Hurt.
Itai fu lieto di vederlo.
«Un po' di vino?» gli disse, sorridendo. «Ho preso una cassa di Beaujolais Nouveau dell'anno scorso. Era in offerta da Crown».
«Non ho tempo, Itai. Devo andare a pranzo da mio padre, e poi rientrare a Miami».
«Ci mancherà, da queste parti, Hoke. Però anch'io ho deciso di ritornare a Gainesville, a settembre. Negli ultimi due giorni ho scritto soltanto diciotto parole. Così ho deciso di abbandonare per qualche tempo il mio romanzo, proprio come diceva Valéry a proposito di una poesia. Ho nostalgia dell'insegnamento e del mio laboratorio, e le vacanze mi hanno stufato».
«Che dirà il direttore del suo dipartimento, se non gli porta un manoscritto completo?»
«Sarà contento di avermi indietro, gli ho già scritto per dirgli che voglio dare un taglio al mio anno sabbatico. Adesso non dovrà più assumere un supplente. Inoltre, posso sempre finire il libro all'università. Ci ho lavorato molto, non mi va di buttarlo via così. Ma di romanzi ce ne sono fin troppi, mentre di libri sui tafani no. Ho deciso di risparmiare un po' di soldi e prendere un altro permesso non pagato, tra un anno o più, e andare in Etiopia. Tanto, i tafani saranno sempre lì ad aspettarmi».
Hoke gli porse il suo biglietto da visita. «Lo tenga, Itai, e mi scriva due righe. Oppure, se capita a Miami, mi telefoni, che andiamo a farci qualche birra. Alla cena dell'altra sera mi sono divertito un sacco».
«Anch'io, anche se il maggior Brownley ha vinto una cazzo di partita dopo l'altra. Un gioco coi dadi dovrebbe essere questione di fortuna, ma la sua era qualcosa di incredibile. Mai una volta che finisse sui terreni degli altri; sempre sui suoi».
«Con i suoi figli, gioca a Monopoli dalla mattina alla sera, ecco perché è così bravo. Ma almeno sono riuscito a convincerlo a non giocare soldi veri».
«Sicuro che non vuole un bicchiere di vino?»
«No, devo proprio andare».
«L'accompagno alla macchina. A proposito, Hoke, stamattina è venuto a cercarla quel detective di Riviera Beach».
«Figueras?»
«Già, proprio lui».
«E ha detto cosa voleva?»
«No, solo che dovrebbe mettersi in contatto con lui. Mi sa che gli è giunta voce che lei sta partendo, e magari voleva salutarla. Sull'isola, tutti quanti hanno seguito il caso, sa com'è. Il suo nome è su tutti i giornali, anche se da queste parti la gente la chiama 'il tipo con la tuta gialla'».
Hoke scoppiò a ridere. «La porto ancora, in casa». Si strinsero la mano. «Comunque, se Figueras si fa ancora vivo, gli dica che lo chiamerò io».
Ad Aileen fu assegnata la grande camera degli ospiti, sul retro; la stessa stanza in cui Hoke aveva trascorso tre giorni felici, in tranquilla contemplazione. Da questa stanza, la ragazza poteva aprire le porte scorrevoli che davano sul patio e tuffarsi in piscina a proprio comodo. Hoke e Frank le portarono in camera gli scatoloni, e Helen restò ad aiutarla a sistemare le sue cose. Frank e Hoke andarono a farsi un bicchiere di gin con ghiaccio, nell'attesa del pranzo.
«Non è che ho molta fame, Frank» disse Hoke. «E devo proprio rientrare a Miami. Dovresti vedere quell'accidente di scrivania, in ufficio. È piena fin quassù di risultati di autopsie, di fascicoli, di carte su carte. Non puoi credere quanta carta sia capace di produrre un caso come questo. Ogni cosa deve essere scritta, verificata, riscritta, distribuita…»
«Tutto questo può aspettare un'altra oretta, figliolo. Il detective Figueras mi ha appena chiamato, e gli ho detto che saresti stato a pranzo da noi. Farà un salto qui verso mezzogiorno».
Hoke consultò il suo Timex. «Sono le undici e mezza. Lo chiamo al lavoro e gli risparmio il viaggio».
Hoke andò in cucina a telefonare alla stazione di polizia di Riviera Beach. «Che succede, Jaime?» disse, quando ebbe Figueras all'apparecchio. «Sono Hoke Moseley».
«Credo di avere quello che potrebbe essere un indizio per la strage al supermercato, Hoke. Può anche rivelarsi un buco nell'acqua, ma promette molto bene, e questo pomeriggio avevo intenzione di andare a controllare. Ma quando suo padre mi ha detto che oggi lei sarebbe stato qui, ho pensato che magari le avrebbe fatto piacere accompagnarmi. Come le ho detto, può rivelarsi un buco nell'acqua, ma credo di aver identificato il vecchio con ragionevole certezza. Non tanto per lui, quanto per il bastone. La donna dice che il vecchio aveva un bastone come quello, col pomello a forma di testa di cane».
«Che donna?»
«Una certa signora Collins. Mi ha raccontato una storia così stramba che poteva anche essere vera, così ho controllato. È successo, a sentir lei, che questo vecchio le ha detto di riferire a suo marito Henry di lasciar cadere le accuse contro un tale di nome Robert Smith, altrimenti l'avrebbero ammazzato. Questo Smith era un autostoppista che Collins aveva tirato su, ma che poi gli aveva puntato una pistola contro. Collins era andato a sbattere contro un ponte appena fuori Riviera, e l'autostoppista era finito nella prigione della Palm Beach County. Fatto sta che Collins ha creduto a queste minacce e ha lasciato cadere le accuse. Non sono state ritrovate armi, quindi Smith è stato rilasciato. Ho dato un'occhiata ai registri della prigione, e ho scoperto che un vecchio di nome Stanley Sinkiewicz senior ha passato qualche ora in cella assieme a Smith. L'avevano arrestato per molestie su una minore, ma l'accusa era caduta perché il padre della bambina aveva dichiarato che era stato tutto uno sbaglio. Interessante parallelo, non trova? Accuse lasciate cadere dai querelanti, in entrambi i casi. Anche il vecchio è stato rilasciato, e il padre della bambina, un tipo di nome Sneider, l'ha riaccompagnato a casa».
«E la signora Collins ha identificato con certezza il vecchio dal disegno sul giornale?»
«Esatto. Suo marito era a Jacksonville, quando mi ha chiamato, e ieri sono andato a parlargli. Fa il camionista, è tornato a casa solo ieri. Era incazzato a morte con sua moglie per avermi chiamato, e non voleva essere coinvolto. Col fatto di stare via di casa tre, a volte quattro giorni la settimana, aveva paura che questo Smith combinasse qualcosa, in sua assenza, a moglie e figlio. Insomma, ho controllato, e il rapporto sulle impronte digitali, quando l'FBI si è deciso a mandarlo, è stato semplicemente archiviato, perché ormai Smith era già uccel di bosco. Ma questo Smith è in realtà un criminale professionista il cui vero nome è Troy Louden, ricercato a L.A. per aver ucciso durante una rapina il titolare di una bottiglieria e sua moglie. Quando sono riuscito a farmi mandare una copia della sua fedina penale, mi è arrivato un papiro di oltre mezzo metro. È un pericoloso figlio di puttana, e Collins ha fatto benissimo a lasciar cadere le accuse».
«Hai mica l'indirizzo del vecchio?»
«Ce l'ho sì. Vuol venire con me a vedere se è in casa? Ne dubito, ma forse possiamo trovare qualcosa di interessante che ci fa fare qualche passo avanti».
«Dove ci vediamo?»
«Nel parcheggio dietro il cinema Double X, all'angolo tra Dixie Highway e Blue Heron Road».
Hoke riagganciò e disse a suo padre che non poteva fermarsi a pranzo. Forse sarebbe tornato più tardi a salutare tutti, ma adesso doveva proprio andare a controllare una cosa assieme a Jaime Figueras.
«Capisco» disse Frank. «Ma ti farò preparare qualche sandwich da Inocencia, prima che tu rientri a Miami».
«Sarebbe un'ottima cosa».
Con Figueras al volante, in pochi minuti raggiunsero l'Ocean Pines Terraces.
«Quando me ne sono andato da Riviera» disse Hoke «qui era tutta campagna».
Figueras prendeva le curve a bassa velocità, affrontava i dossi artificiali di taglio e cercava la casa di Sinkiewicz.
«Adesso è un quartiere misto. Per metà pensionati, per l'altra metà famiglie con bambini. Non credo che a Riviera verranno più costruiti quartieri del genere. Adesso, quasi tutti i bianchi stanno costruendo a nord di North Palm Beach. Tempo dieci anni, questa zona sarà completamente in mano ai neri. Basta solo che i tassi d'interesse calino di qualche punto».
C'era una Honda marrone, sotto la tettoia di casa Sinkiewicz. Figueras accostò e fermò la macchina due case più avanti. «Una macchina c'è. A quanto pare, c'è qualcuno in casa».
«E la Honda ha un portapacchi sul tettuccio. Va' alla porta principale, Jaime, che io mi sposto su quella posteriore. Nessuno chiude mai a chiave le verande. Entrerò da lì».
«Non crede che dovremmo chiamare dei rinforzi?»
«Se in casa non c'è nessuno, i rinforzi non servono a niente. Se invece c'è qualcuno e oppone resistenza, voglio provarci io, con quel farabutto. Tu che vuoi fare?»
«Sto con lei, sergente. Perché non vediamo che succede?»
Hoke estrasse la pistola e fece il giro della casa per tagliare dai cortili. Figueras rimase in attesa, per dare a Hoke il tempo di raggiungere il cortile di Stanley, poi percorse il vialetto di cemento fino all'ingresso principale. Batté sulla porta con la canna della pistola.
Stanley Sinkiewicz venne ad aprire la porta, la lasciò aperta, e tornò al tavolo da pranzo. Senza dire una parola, si sedette e iniziò a infilarsi in bocca cucchiaiate di minestra di pomodoro. Figueras lo seguì all'interno e chiuse la porta col piede, tenendo sotto tiro il vecchio. Dalla veranda, anche Hoke entrò in sala da pranzo, puntando ugualmente la pistola su Stanley. Fissò il volto del vecchio, rugoso e grigiastro, e scosse il capo. Hoke sapeva riconoscere un avanzo di galera, quando ne vedeva uno, ed era certo, al solo guardarlo in faccia, che quel vecchio galeotto aveva passato quasi tutta la vita in prigione. Di sicuro aveva una fedina penale lunga un metro.
«Sinkiewicz?» chiese Hoke. «Siamo agenti di polizia».
«Vi aspettavo». Stanley annuì. «Ma sono due giorni che non mangio. Mi sono appena fatto questa minestra, non che ne avessi davvero voglia, ma dovevo buttar giù qualcosa in fretta. Maya - Maya è mia moglie - me la preparava sempre con un po' di panna montata. Il latte in frigo è andato a male, e ho dovuto metterci l'acqua. Ma non è poi così malvagia, una volta che si comincia a mangiarla».
«È solo, Sinkiewicz?» chiese Figueras.
Stanley annuì, e sbriciolò nella minestra due gallette sottili.
«Conosce Troy Louden?» disse Hoke.
Stanley annuì.
«Sa per caso dove si trova?»
Stanley indicò il corridoio col cucchiaio. «In camera da letto».
«Mi era parso di capire che fosse solo». Hoke aveva riposto la pistola nella fondina, ma la estrasse di nuovo, in fretta. «Le manette, Jaime».
Hoke si avviò lungo il corridoio. Figueras ammanettò i polsi di Stanley dietro la schiena. Davanti alla porta chiusa della camera da letto, Hoke esitò aspettando la copertura di Figueras, che gli si mise alle spalle, a tre metri di distanza, tenendo la pistola con ambo le mani. Hoke girò la maniglia, spalancò la porta e zompò nella stanza a pistola spianata.
Non c'era nessuno, là dentro. Arrivò anche Figueras. Il letto era sormontato da una mezza dozzina di lenzuola, una trapunta, un copriletto e un impermeabile di plastica rossa, da donna. Sotto quella montagna di roba si distingueva una sagoma. Hoke iniziò a togliere un pezzo alla volta, partendo dalla testata del letto, e mise allo scoperto Troy Louden tino alla cintola. Il cadavere era ormai enfio, e la spugna sul volto di Troy era asciutta da un bel pezzo. Circospetto, Hoke tolse anche quella e gli parve di sentire odore di mandorle amare, anche se in seguito non riuscì a capire se fosse vero o no. La piccola calibro 25 di Dale, una pallottola dumdum di piombo dalla punta a croce, l'aveva colpito alla guancia sinistra, penetrando nell'osso. I frammenti erano stati spinti verso l'alto, facendo esplodere l'occhio destro, per poi scivolare lungo l'orbita. Prima di morire, Troy doveva aver sofferto le pene dell'inferno. Hoke ricoprì il volto del morto con la pezza di spugna asciutta, e il torso e la testa con un lenzuolo. Poi tornò con Figueras in sala da pranzo.
Stanley, con le braccia magre ammanettate dietro la schiena, si era messo a fissare la minestra ormai quasi fredda, ma sembrava averne perso ogni interesse.
«Da quant'è che è morto?» chiese Figueras al vecchio.
«Tre giorni. Non sapevo che altro fare. Soffriva, ma non voleva che chiamassi un dottore o che lo portassi all'ospedale. Così l'ho portato a casa, e quando ho visto che non ce la faceva più gli ho dato due compresse di cianuro. Non sapevo che altro fare».
«Cianuro?» disse Hoke. «E dove cazzo l'ha pescato, il cianuro?»
«Dentro il mio bastone. Certe volte la gente ha dei cani che mordono i bambini e le persone che non conoscono. Non mordono i padroni, sa com'è, perché gli danno da mangiare, ma basta passare su un qualunque marciapiede e vedrà come le saltano addosso. Così ho preso l'abitudine di portarmi dietro un po' di veleno per rifilarlo a uno di questi cagnacci, ogni tanto, quando mi capita l'occasione. Troy era un bravo figliolo, almeno con me, forse perché anch'io gli davo da mangiare, ma per certi versi era come un cane mordace. Non volevo fare una cosa del genere, ma non sapevo cos'altro fare. Ho anche pensato di prenderla io, qualche compressa, ma poi ho pensato che non ce n'era motivo. Mica ho fatto niente di male, io. Troy è riuscito a tenermi lontano da ogni cosa, così da non coinvolgermi, e l'unica colpa che posso avere è quella di aver dato eterno riposo all'unica persona che mi abbia mai voluto bene. Chiunque si sarebbe comportato come me, se avesse sentito Troy lamentarsi in quel modo. Non ve lo potete immaginare».
«Perché ha ammazzato tutta quella gente?» chiese Hoke. «Gliel'ha detto?»
Stanley scosse il capo. «Non l'ha mai detto, ma credo di saperlo io. È tutta questione di responsabilità. Verso di me, Dale e James. Gli eravamo troppo di peso, e non è riuscito a sopportare tutta questa responsabilità. Ecco cos'è stato…»
Stanley cominciò a piangere, e Hoke non fece nulla per fermarlo. Aveva capito che il vecchio se la teneva dentro da un pezzo, questa cosa, e che era meglio lasciarlo sfogare. Tempo per le domande, ce ne sarebbe stato in abbondanza.
«Gli recito io la Miranda, Jaime. Tu va' a chiamare il capo Sheldon. Questa faccenda sarà un incubo per chi deve stabilire la competenza territoriale, ma a me non importa cosa ne pensate voi della Palm Beach County. Io questo vecchio coglione me lo porto a Miami, perché per prima cosa viene la strage al supermercato».
«Che differenza farà mai, Hoke» disse Jaime «se lo processano prima a Miami e poi per quel tizio?» Figueras indicò il corridoio.
«Ci sono un sacco di ragioni, ma te ne dirò una che capirai a meraviglia. Prima che il vecchio e la puttana finiscano fritti sulla sedia a Raiford, questo caso mi farà diventare tenente. Sta' sicuro che quando renderanno note le nuove promozioni, il mio nome sarà in cima alla lista».
Hoke era così soddisfatto di come gli suonava l'intera faccenda che riuscì a sorvolare sulle risposte al questionario che stavano ancora nella valigetta del maggiore Willie Brownley.
Erano passate da un pezzo le nove di sera quando Hoke imboccò la Sunshine Parkway in direzione sud, verso Miami. Stanley, ammanettato all'anello a D che Hoke aveva saldato alla portiera del passeggero, sedeva tranquillo al suo fianco, al buio. Aveva promesso a Hoke che non avrebbe tentato la fuga, e Hoke non gli aveva messo i ceppi alle caviglie. Di solito, il tragitto fino a Miami sarebbe stato di quelli da sei o forse sette sigarette, e per la prima volta Hoke sentì la mancanza delle sue Kool. Ma ormai si era tolto il vizio, e non avrebbe fumato mai più. Senza tabacco, e contando il peso perduto, aveva riacquistato una pressione quasi normale per un uomo della sua età.
Per aggirare il folle, pesantissimo traffico allo svincolo di Golden Glades, che tutti i residenti con un minimo di sale in zucca cercavano di evitare, Hoke uscì dalla Sunshine Parkway all'uscita di Hollywood ed entrò in città dalla I-95. Via via che le migliaia di finestre illuminate dei grattacieli di Miami si paravano alla vista, per la prima volta da quando erano partiti Stanley si decise ad aprire bocca.
«E adesso cosa mi capiterà, sergente?»
«Cazzo, paparino» disse Hoke, con un certo garbo. «A parte le scartoffie, le è già capitato di tutto».