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Quando Stanley vide il signor Sneider che lo aspettava in piedi accanto al carro attrezzi, si portò le dita della mano destra al labbro spaccato, senza volere, e valutò l'opportunità di fiondarsi di nuovo in galera.

«È tutto a posto, signor Sinkiewicz» disse Sneider, alzando una mano. «Sono venuto per riportarla a casa».

Sneider aprì la portiera, e Stanley si arrampicò sul sedile del passeggero. Sneider salì a bordo e rimase a lungo con le mani sul volante, lo sguardo fisso sul parabrezza. Era un tipo irsuto, una sorta di orso con un barbone cespuglioso che si era lasciato crescere al termine della carriera militare. Le unghie erano ormai annerite dalla morchia, e a Stanley parve di sentire un vago odore di birra.

«Tutta questa faccenda si è rivelata una maledetta farsa, signor Sinkiewicz, e di questo mi scuso. Non avevo alcun motivo di colpirla, anche se pensavo che lei intendesse scappare. È solo che non avevo le idee chiare, ecco tutto, dopo aver sentito mia moglie e la sua. E poi, è stata anche una giornataccia. Un figlio di puttana su una Electra azzurra mi ha fregato venti bigliettoni di benzina. Si è rifornito al self-service e poi se l'è filata via a cento all'ora. Vabbe', questo non c'entra. Mi spiace, davvero, ma sono cose che capitano quando due donne isteriche ti strillano nelle orecchie».

«Io… io non ho fatto niente di male a Pammi».

«Adesso lo so, ma prima non lo sapevo. Vede, quando sono tornato a casa mi sono fatto una bella chiacchierata con Pammi, in camera sua, e sono riuscito a tirarle fuori la verità. Adesso lo so che non è stato lei, perché è già da qualche tempo che la sera Pammi si dava da fare con un paio di vecchi tromboni, giù al parco. La facevamo uscire dopo cena perché diceva che andava a giocare con la sua amica Ileana, che sta poco più in là. Invece andava al parco, sotto la tettoia dove quei vecchi coglioni giocano a carte. A quanto pare, la faccenda andava avanti da settimane. Comunque è ancora vergine. Ho controllato di persona, è ancora tutta intera. Ma ne ha fatte altre, di schifezze, con quei vecchiacci, cose che non voglio neanche nominare. Tanto, immagino che possa arrivarci da solo».

«Io stavo dormendo, e lei mi ha ficcato la lingua in bocca. Poi mi ha chiesto una monetina».

Sneider mollò un sospirone. «Lo so. Me l'ha detto Pammi. Lei è fuori dai guai, signor Sinkiewicz, e mi spiace di averle creato fastidi. Ma quella testa di cazzo su quell'Electra mi aveva già fatto andare su di giri, e… ma che importa adesso? Ha già cenato? Se no, ci fermiamo per un Big Mac e un frullato prima di andare a casa». Sneider avviò il motore e innestò la prima.

«Non ho fame. Ho mangiato un pezzo di focaccia, e comunque il labbro mi fa troppo male».

«Ci vorrebbero un paio di punti, ma se a casa ha un po' di cerotto adesivo posso provare a inventarle qualcosa io, e in un paio di giorni si sistema tutto».

«Dovrei averne, nell'armadietto dei medicinali. Ma sarà vecchio».

«Non fa differenza. È roba che dura per anni, se non si bagna o si secca al sole».

Lungo il tragitto per l'Ocean Pines Terraces, Sneider raccontò a Stanley che un paio di settimane prima aveva beccato un ragazzino a scassinargli la macchinetta della Coca-Cola. «Non mi aveva ancora fregato nulla, ma quando l'ho riportato a casa ho detto al padre che nell'ultimo mese suo figlio mi aveva fottuto Coca per una decina di dollari, e quello me li ha restituiti». Sneider scoppiò a ridere per la soddisfazione.

Quando il carro attrezzi si infilò nel vialetto di casa sua, Stanley si accorse che non c'era traccia della Escort. «Maya è ancora da sua moglie, sergente Sneider?»

«No. Mia moglie è andata a non so quale dei suoi incontri, e l'ho obbligata a portarsi dietro Pammi. Dov'è andata la sua, non lo so. Entriamo in casa, che le sistemo il labbro».

Stanley trovò il rotolo di cerotto adesivo, oltre a un paio di forbici nel cestino del cucito di Maya, e Sneider gli sistemò alla bell'e meglio la ferita. «Non lo tocchi, per due o tre giorni. Stia anche attento a come si rade, là attorno, e vedrà che il labbro le torna come nuovo».

Alla porta, i due si strinsero la mano, e Sneider si scusò di nuovo, per poi ripartire a bordo del suo carro attrezzi. Stanley ispezionò la casa in cerca di un biglietto, senza trovarne. Poi smise di cercare: visto che Maya lo sapeva in prigione, cosa lo lasciava a fare un biglietto? Mica pensava che lui sarebbe tornato a casa a leggerlo. Stanley andò a bussare alla porta dei vicini, gli Agnew. La porta non si aprì; le gelosie sì, ma di poco.

«Se ne vada!» disse la signora Agnew.

«Mia moglie è mica lì da lei, signora Agnew?»

«No, non c'è. Se ne vada, razza di pervertito, o chiamo la polizia!»

«Sa per caso dov'è andata?»

Le gelosie furono richiuse con forza. Stanley udì i passi della signora Agnew sul pavimento in graniglia, diretti in cucina. Tornò in casa e si sedette sulla poltrona reclinabile. Era troppo agitato per guardare la TV, e lo sapeva. Dopo un po', andò in camera da letto a togliersi la camicia. Nel gettare l'indumento insanguinato nella cesta della biancheria da lavare, accanto alla porta aperta dell'armadio, si accorse che la Samsonite doppia non era più sul ripiano. Passò in rassegna i vestiti. Gli sembrava che mancasse qualcosa, ma non ne era certo. Cercò l'album delle fotografie in cui Maya conservava le istantanee di famiglia, comprese quelle dei nipotini che Junior mandava di tanto in tanto. Non trovandolo, capì che Maya se n'era andata. Era sparito anche il libretto di assegni di sua moglie, conservato nella piccola scrivania d'angolo su cui faceva i conti di casa, e il piccolo schedario delle ricette.

Se n'era andata. Nessun dubbio.

Stanley cercò il numero e chiamò suo figlio a Hamtramck. Dapprima la sua voce gli parve poco chiara, ma era perché Junior aveva la bocca piena.

«Sono io» disse Stanley «e ti sto chiamando dalla Florida. È un'interurbana. Hai notizie di tua madre?»

«Un attimo solo, pa'». Junior finì di masticare. «Stai chiamando dalla prigione?»

«No. Sono a casa. Sto chiamando da casa».

«La mamma ha detto che eri in prigione, quando mi ha telefonato. Come hai fatto a uscire? Ha detto che ti avevano messo dentro per aver molestato una bambina».

«È stato tutto un equivoco, figliolo. Maya ha visto una cosa per un'altra, e adesso tutto si è chiarito».

«Mamma è ancora lì, pa'? Me la passi?»

«No, non è più qui. Mi chiedevo solo se ti aveva chiamato. Non lo so dov'è andata».

«In questo caso, pa', se n'è proprio andata. Mi ha detto che se ne stava tornando a Detroit, per questo mi aveva telefonato, e basta. Adesso, capisco che la casa quassù è di tua proprietà, eccetera eccetera, però le ho detto che qui non c'è posto per lei. Cristo, pa', abbiamo solo due camere da letto e un bagno. Dove la mettiamo, la mamma?»

«Ah, allora ha preso la macchina? Secondo me mica ci riesce, ad arrivare a Detroit. E poi alla Escort serviva anche un cambio d'olio».

«Se è già partita, mi sa che non possiamo farci più niente. Ma quando arriva qui, la rimando indietro dopo un paio di giorni. Più di quello, non possiamo tenerla. Magari posso prenotarle una stanza allo Howard Johnson, o a qualche altro motel vicino casa. Peccato che non sei uscito di prigione in tempo per fermarla. All'età di mamma non ci si dovrebbe mettere al volante da soli per attraversare mezza America».

«Finirà per perdersi. Non c'è verso».

«No, pa', secondo me non si perde. Può sempre chiedere la strada per il Michigan a una stazione di servizio. Vuoi dire due parole ai ragazzi, già che sei al telefono?»

«No. Hai mica chiamato la prigione, Junior, per cercare di tirarmi fuori?»

«Non ho chiamato proprio nessuno. Stavo cercando di convincere mamma a non venire quassù, e lei mi ha riagganciato in faccia. Adesso sto tentando di cenare. Ho avuto una giornata di merda. Mamma aveva una fretta del diavolo e mi ha detto che mi avrebbe raccontato tutto al suo arrivo. Insomma, cos'è successo?»

«Proprio nulla. Fattela raccontare da tua madre, la sua versione, quando arriva. E puoi anche dirle che io, in casa, non la riprendo, che può anche tenersela, quella maledetta Escort, e che si cerchi un lavoro. E guai a lei se soltanto prova a incassare un assegno da quel libretto che si è portata via, perché d'ora in avanti quel conto è chiuso!»

Stanley riappese. Era rosso in viso, e gli tremavano le dita. Andò in cucina a scaldare dell'acqua per farsi una tazza di caffè solubile. Il telefono squillò prima che l'acqua iniziasse a bollire. L'impulso iniziale fu di non rispondere, perché era sicuro che fosse di nuovo suo figlio, ma visto che non smetteva di suonare si decise a sollevare la cornetta all'ottavo squillo.

«Ascolta, pa'» disse Junior «e cerca di non riagganciare. Visto che è stato tutto chiarito, se mamma mi dovesse chiamare da non so dove lungo la strada, le dirò di tornare a casa. Va bene? Chiaro che lo sa lei quel che ha visto, eccetera eccetera, ma penso di riuscire a convincerla, specialmente adesso che sei uscito di prigione. Ci farebbe piacere vederla, a me e ai ragazzi, ma davvero non sapremmo dove metterla, quassù. È la pura verità».

«Junior, io a casa non la rivoglio. Adesso te la vedi tu con tua madre, non certo io. Se dopo tutti questi anni è questa la considerazione che Maya ha di me, non la voglio più tra i piedi. Tanto, stare qui in Florida non le è mai piaciuto fin dall'inizio. Quindi, d'ora in poi, sono…»

«Parliamone un momento, pa'».

«Non c'è proprio nient'altro da dire. Lei ha preso la sua decisione, e io la mia. Basta solo che ti ricordi di mandarmi l'affitto tutti i mesi, non sognarti di darlo a Maya. Devo ancora finire di pagare il mutuo. Capito?»

«Okay, pa', ma forse è meglio se ne parliamo più tardi, dopo che tu e mamma vi sarete dati una calmata. Vedremo di trovare una…»

«L'abbiamo già trovata, una soluzione, Junior. Un bacio ai ragazzi da parte mia. Stavolta mi hai chiamato tu, e guarda che è un'interurbana».

«Giusto, pa'. Ti serve aiuto? Vuoi che ti trovi un avvocato? Se te ne serve uno, posso sentire qua attorno, e…»

«Non mi serve nessun avvocato, visto che non sono nei guai. È tua madre nei guai, mica io. Trovalo a lei, un avvocato. Buonanotte, figliolo».

Stanley riappese e provò a calmarsi. Si sedette al tavolo di cucina a bere il caffè. Il cuore gli batteva all'impazzata; riusciva quasi a sentirselo in petto. Oltre che Maya, anche suo figlio lo aveva deluso. Nella situazione opposta, se fosse stato Stanley a scoprire che Junior era in prigione per aver molestato una bambina, si sarebbe attaccato al telefono, avrebbe marciato sulla prigione con l'avvocato a rimorchio. E non avrebbe certo creduto Junior colpevole di una cosa del genere, nonostante le accuse. Invece Junior non si era nemmeno degnato di telefonare alla prigione per scoprire cosa ne avessero fatto, di suo padre.

Con la partenza di Maya, la vita di Stanley si sarebbe fatta un po' più dura. Gli sarebbe toccato cucinare, pulire la casa e farsi il bucato, ma era sempre meglio che riprenderla indietro. Tanto, il loro matrimonio si era ridotto a una divisione di compiti tra due persone che vivono sotto lo stesso tetto. Erano mesi che Maya stava cercando di convincerlo a ritornare a Hamtramck, e ogni volta che lei tirava fuori l'argomento Stanley si rifiutava persino di discuterne.

"La nostra decisione l'abbiamo presa quando siamo venuti qui" le diceva "e ormai ci siamo sistemati. Se vuoi tornare in visita, fallo da sola. Io, ghiaccio e neve non ho intenzione di rivederli mai più. Tu chiama Junior e digli che vuoi fermarti da lui per un paio di settimane o un mese, vedrai cosa ti risponde".

Maya aveva provato a buttarla lì, con Junior, l'eventualità di una visita, ma lui non aveva mai raccolto, e dal canto suo lei non si era mai azzardata a chiederlo esplicitamente, perché sapeva che sarebbe stato inutile; e anche Stanley lo sapeva. Di conseguenza l'incidente con Pammi aveva rappresentato la prima vera scusa per andarsene, la sua prima opportunità, colta al volo perché Junior non l'avrebbe certo mandata via di casa con Stanley in prigione. Be', se era per Stanley, da Junior poteva restarci eccome. Stanley Sinkiewicz aveva il suo orgoglio, e non l'avrebbe mai ripresa indietro. Oppure sì, se lei l'avesse pregato; ma gli sembrava un'eventualità molto improbabile. A suo modo, Maya aveva la testa dura proprio come lui; la Florida non le andava a genio, e non aveva bisogno di Stanley più di quanto Stanley avesse bisogno di lei.

Insomma, poteva farcela anche da solo. Ormai era tutto finito, e Stanley si sentiva troppo esausto per pensarci un solo istante di più. Senza finire il caffè, andò in camera da letto a sdraiarsi qualche attimo, per placare i battiti accelerati del cuore.

Un minuto più tardi già dormiva, e non si risvegliò fino al mattino.

Quando si alzò, erano le cinque, ed era ancora buio. Si fece la barba, si preparò due uova al burro e due fette di pane tostato. Il caffè lo prese solubile, invece di usare la Mr Coffee, perché non sapeva come far funzionare quell'ordigno e non era riuscito a trovare il libretto di istruzioni nel cassetto di cucina in cui Maya teneva tutte le garanzie degli elettrodomestici.

Suo figlio lo aveva deluso, certo, ma non ce l'aveva più con lui. Il ragazzo (Junior aveva quasi quarant'anni) non era venuto su bene come Stanley aveva sperato, anche con quei due anni di corso parauniversitario. Incapace di adattarsi alla catena di montaggio, era stato licenziato sia dalla Ford sia dalla Chrysler. Dopo una serie di lavoretti mal pagati, era finalmente riuscito a trovare un impiego come venditore di auto nella concessionaria Chrysler di Joe "Madman" Stuart, a Detroit. L'ultima volta che Stanley gli aveva parlato al telefono, l'aveva trovato sull'orlo di una crisi di nervi. Il capo di Junior era un direttore delle vendite esigente e privo di senso della realtà, che si era fatto costruire una baracca di cartone, una sorta di cesso esterno di quelli all'antica, con tanto di quarto di luna applicato alla porta. Il venditore che aveva realizzato i peggiori risultati della settimana veniva confinato in quel cacatoio durante la riunione settimanale della forza vendite. E chi finiva nel cacatoio per tre settimane di fila perdeva automaticamente il posto. Una o due riunioni al mese Junior le passava rinchiuso nella baracca, e in due diverse occasioni aveva scansato per un pelo la terza, fatidica settimana. Per qualche tempo Stanley si era trastullato con l'idea di suggerire a Junior di trasferirsi in Florida, se mai l'avessero licenziato (cosa che tanto, prima o poi, sarebbe successa), così da poter iniziare una nuova vita. Ma adesso la faccenda era fuori discussione. E se Junior avesse cominciato a pagare l'affitto in ritardo, Stanley l'avrebbe cacciato di casa. Tanto, era un affitto simbolico; sul mercato, la casa di Hamtramck valeva almeno trecentoventicinque dollari al mese, per non dire trecentocinquanta.

Dopo colazione, Stanley prese un taccuino dalla scrivania e buttò giù una lista di cose da fare. Quando ancora lavorava nel deposito vernici della Ford, aveva preso l'abitudine di compilare una lista simile tutte le mattine, come prima cosa, e programmare le sue giornate in maniera così metodica gli era sempre stato di grande aiuto.

In primo luogo, era necessario chiudere il conto in banca e aprirne uno nuovo, in un diverso istituto e soltanto a suo nome. Avrebbe anche incassato i tre certificati di deposito da diecimila dollari, nonostante la penale prevista in caso di ritiro anticipato. In tal modo, poteva acquistare altri tre nuovi certificati, soltanto a suo nome. Gli seccava perdere i soldi della penale, ma se fosse stata Maya a incassarli lui ci avrebbe rimesso fino all'ultimo cent.

Era il caso di comprare una nuova macchina? No, poteva aspettare. L'autobus per il centro di Riviera passava ogni ora, e poteva usare quello. Non era mai stato senza macchina, per quanto riusciva a ricordarsi, ma poteva tenere d'occhio l'elenco delle auto pignorate, che le banche rendevano noto tutte le settimane, fin quando non avesse trovato una buona occasione. Acquistare una macchina su due piedi non era mai un buon affare, nuova o usata che fosse. E forse la soluzione migliore era una macchina usata. Proprio com'era successo quando era morto Saul, il vecchio Airedale di Maya. Lei avrebbe voluto procurarsi subito un altro cane, ma Stanley le aveva fatto notare che alla loro età qualunque cucciolo sarebbe vissuto più a lungo di loro, e chi si sarebbe - alla loro morte - preso cura dell'animale? Stanley non aveva mai sopportato quello scorreggione, e non voleva tra i piedi un altro cane fetente, sempre pronto a elemosinare gli avanzi della tavola. Allo stesso modo, vecchio com'era, non sarebbe certo durato più di una macchina nuova, quindi tanto valeva comprarne una di seconda mano, oltretutto più economica.

Al ritorno dalla banca poteva fermarsi al supermercato e comprare una dozzina di cene pronte, quelle da mangiare di fronte alla TV. A prepararle, non ci voleva niente. Bastava metterle in forno a 220° per venticinque minuti, ed ecco fatto. Aveva spesso chiesto a Maya perché non si procurasse cene pronte, invece di perdere giornate intere a cucinare pasti completi dalla A alla Z, ma lei non sentiva ragioni. Forse perché non sapeva cos'altro fare per impiegare il tempo, pensò Stanley.

Prima di andare in centro doveva fare il bucato, che avrebbe messo nell'asciugatore appena tornato a casa. Una cosa da nulla. Sapeva usarli, sia la lavatrice sia l'asciugatore. Poi, mentre la biancheria si asciugava, aveva tutto il tempo di scendere giù al parco e dire ai Wise Old Men che era tornato scapolo.

Stanley si raggelò.

Dovevano già saperlo. A questo punto già lo sapevano, che era stato arrestato per molestie a una bambina. Certo, era innocente, ma il sergente Sneider gli aveva detto che c'erano altri due anziani coinvolti nella faccenda di Pammi, ed era abbastanza ragionevole che almeno uno di loro, se non entrambi, facesse parte dei Wise Old Men. Chiunque fosse, di sicuro in quel momento volava parecchio basso, ma basta essere accusati una sola volta - come era capitato a lui, anche se era innocente - per essere sospettati per sempre. Stanley non pensava che qualcuno dei Wise Old Men avrebbe tirato fuori quest'argomento in sua presenza, ma di sicuro ci avrebbero pensato, immaginando che fosse stato lui, e non voleva certo starsene seduto lì mentre quei vecchiacci lo guardavano di traverso chiedendosi se fosse colpevole. No, ne sarebbe passato di tempo prima che si decidesse, se mai, a tornare al parco. D'altra parte, meno si faceva vedere in giro, più l'avrebbero considerato colpevole.

Ci avrebbe rimesso comunque.

Separò i suoi abiti da quelli di Maya e mise gli indumenti sporchi della moglie in una busta di carta marrone, di quelle della spesa. Col cazzo che glieli avrebbe lavati, i suoi vestiti. Quando si fosse decisa a chiederglieli indietro, le avrebbe spedito un bel pacco di roba sporca. Passò in rassegna i taschini della camicia insanguinata e gli capitò tra le mani il ritaglio di giornale che gli aveva dato Troy Louden. Non che se ne fosse dimenticato; l'aveva solo messo in disparte per un attimo, a livello mentale, il che non era proprio lo stesso. Di tutte le cose che doveva fare, questa era senza dubbio la più urgente, ma non gli andava tanto giù l'idea di spedire un messaggio del genere. Non l'avrebbe certo aiutato, quel giovanotto. Ma ormai gli aveva detto che l'avrebbe fatto, e quindi tanto valeva. Sulla scrivania di Maya c'era un grosso quaderno Big 5. In stampatello, Stanley scrisse il messaggio.

SE NON RITRATTI LE ACCUSE, PRIMA AMMAZZO TUO FIGLIO E TUA MOGLIE, E POI FACCIO FUORI ANCHE TE.

Una volta scritto, il messaggio aveva senza dubbio un'aria sinistra, ma sembrava anche un po' improbabile. Sotto le due righe Stanley firmò, sempre in stampatello, ROBERT SMITH e chiuse il tutto in una delle buste rosa pastello di Maya, assieme al ritaglio. Poi, sulla busta, scrisse l'indirizzo di Collins. Ce n'era soltanto uno, di Henry Collins, sull'elenco abbonati di West Palm Beach.

Anche se il messaggio rischiava di non aiutare Troy, di certo non l'avrebbe danneggiato. Ammettendo che il signor Collins lo facesse vedere alla polizia, Troy poteva pur sempre negare di averlo mandato lui. E come avrebbe fatto? Era in galera. Stanley si infilò la busta chiusa nella tasca dei calzoni, prese i libretti di assegni e di risparmio, oltre ai certificati di deposito, ma arrivato alla porta si fermò. Erano le otto del mattino, e il sole già picchiava. Si calcò in testa il cappellino con visiera e gli occhiali da sole, ripescò il bastone da passeggio dal portaombrelli accanto alla porta, senza tuttavia decidersi a uscire. La signora Agnew era in giardino e annaffiava gli oleandri che le crescevano in prossimità della casa. Bastava che Stanley uscisse, che lei gli avrebbe voltato le spalle. Di questo era sicuro. Ma tutti gli altri vicini, per i due isolati di distanza che lo separavano dalla fermata dell'autobus, si sarebbero messi a sbirciare dalle finestre e segnarlo a dito come quel laido vecchiaccio che aveva molestato la piccola Pammi Sneider. Stanley non conosceva un gran che i suoi vicini, se non di vista, mentre Maya li conosceva tutti quanti per via degli incontri mattutini all'arrivo del furgoncino del fornaio. Tutte le massaie della strada uscivano di casa in vestaglia a comprare ciambelle e panini dolci, e a turno si ritrovavano nella cucinaci una di loro a prendere il caffè. Era così che Maya aveva saputo i vari pettegolezzi su questo o quel vicino, e aveva spesso cercato di raccontare a Stanley che il figlio dislessico della signora Meeghan andava male a scuola, o che il signor Featherstone (che faceva l'imbianchino) era un alcolizzato, ma lui aveva sempre tagliato corto. Di questa gente non poteva fregargliene di meno. Non li conosceva, non voleva conoscerli, non voleva sapere i fattacci loro. Fossero stati colleghi di lavoro, o roba del genere, magari avrebbe provato interesse per le loro questioni private; ma di certo non gli importava di queste donne di casa, né dei loro mariti, né dei loro rumorosi figlioli.

Ma adesso si rendeva conto che le suddette donne si sarebbero messe a spettegolare su di lui e su Maya che lo aveva piantato, perché questa era la loro specialità: ficcanasare nelle vite altrui. Stanley si armò di coraggio e si avviò alla fermata dell'autobus, senza mai voltare lo sguardo.

Scese al centro commerciale di Sunshine Plaza, alla fermata di fronte al Publix. La banca non era ancora aperta, e quindi si recò da Hardee a prendere un caffè, cacciandosi in tasca una decina di bustine di dolcificante Sweet 'n Low. All'apertura della banca (in realtà si trattava di una Cassa Mutua che funzionava anche da banca), Stanley incassò i suoi certificati di deposito senza alcun problema, ritirando l'importo sotto forma di assegno circolare. Si era aspettato che trovassero qualcosa da ridire. Ma perché avrebbero dovuto? Incassando in anticipo i suoi tre certificati di deposito annuali, Stanley faceva loro guadagnare una bella sommetta.

«Ci spiace perderla come cliente» disse il funzionario, signor Wheeler, mentre Stanley faceva per andarsene. «Immagino che le servano contanti per la cauzione».

«Cauzione? Ma cosa sta dicendo?»

«Ne hanno parlato alla radio stamattina. Del suo, ah, guaio e tutto quanto, sa com'è. Così ho pensato che avesse bisogno di pagare l'avvocato e la cauzione».

«No». Stanley scosse il capo. «È stato tutto un equivoco, e si è già chiarito».

«Lieto di saperlo, signor Sinkiewicz» disse il signor Wheeler, con un sorriso. «È stato un piacere esserle utile».

Stanley se ne tornò alla US One e si mise ad aspettare l'autobus per West Palm Beach. Solo in quel momento si rese conto che per tutto il tempo che era rimasto a discorrere con il signor Wheeler, il funzionario non aveva fatto altro che guardargli il cerotto sul labbro, morendo probabilmente dalla voglia di chiedergli cosa fosse successo, ma senza averne il coraggio. E magari Wheeler era convinto di trovarsi davanti a un pedofilo appena rilasciato - ma solo temporaneamente - su cauzione. Se alla radio avevano fatto menzione del suo arresto, era probabile che avessero detto qualcosa anche al notiziario della TV locale. Stanley sentì di nuovo il cuore balzargli in petto, e si accasciò sulla panchina della fermata.

Alla fine arrivò l'autobus per West Palm Beach. Stanley scese alla fermata di Clematis Street, in centro. Versò l'assegno circolare (38.314 dollari e 14 centesimi) in un conto vincolato e, prima di andarsene, ritirò cinquanta dollari col suo nuovo, temporaneo libretto d'assegni. I tassi d'interesse sui certificati di deposito erano calati, e ciò che poteva guadagnare dal suo nuovo conto vincolato era lo stesso che avrebbe ottenuto con l'acquisto di nuovi certificati. Inoltre voleva poter accedere facilmente al suo danaro, qualora avesse deciso di acquistare una macchina. Compilò anche dei moduli per l'accredito delle sue pensioni (metalmeccanici e previdenza sociale) sul nuovo conto.

Nell'uscire dalla banca, chiese alla ragazza che gli aveva aperto il conto come fare a raggiungere Spring Street, a West Palm Beach. Lei gli fornì una serie di complicate indicazioni, che comprendevano due cambi d'autobus, e Stanley non ci capì un accidente. Un uomo senza macchina ha tutta un'altra visione del mondo. Gli era sempre parso di conoscerla bene, West Palm Beach, col fatto che guidava e andava in biblioteca, ma del trasporto pubblico non ne sapeva proprio nulla. Si recò alla stazione della Greyhound e prese un taxi della Veteran. Anche il conducente, un nero con in testa un berretto ricavato da una calza di nylon annodata in cima, ignorava l'esistenza di Spring Street, e fu costretto a chiamare la centrale per chiedere lumi. La corsa fino alla casa di Collins costò a Stanley tre dollari e cinquanta. Scese dal taxi e chiese all'autista di aspettarlo.

La casa di Collins era in una corta strada senza fondo, in mezzo ad altre undici case simili: due camere da letto, costruita in blocchetti di cemento e stucco, intonacata in giallo limone. Una giovane donna, grassa e di bassa statura, stava spargendo sabbia con fare distratto su un prato ormai morente. Sulla veranda, dentro un anonimo box in legno di pino, si scorgeva un bambinetto sui diciotto mesi, due anni al massimo. La donna era scalza, indossava calzoncini blu stinti e un top giallo, di quelli elastici e senza spalline. La pila di sabbia giallastra arrivava quasi a due metri d'altezza, e la donna ne estraeva una piccola palata alla volta per poi spargerla goffamente sul prato. Sudava alla grande. Stanley confrontò il numero civico con quello che aveva sulla busta.

«Mi scusi. È lei la signora Collins?»

La donna annuì, col respiro un po' affannoso, e spostò da Stanley al taxi (e ritorno) uno sguardo nient'affatto incuriosito. L'autista aveva la portiera spalancata e si era messo a leggere un giornalino a fumetti con Bugs Bunny in copertina.

«Suo marito è in casa?»

Lei scosse il capo. «No, non c'è. È andato a farsi fare una perizia sulla macchina. Ieri ha avuto un incidente, e per farsi risarcire i danni dall'assicurazione deve presentare tre perizie diverse. Almeno, così gli hanno detto al telefono. Domani deve tornare al lavoro a Jacksonville, e quindi ha bisogno di avere la macchina riparata entro oggi. Non ho idea di quando rientrerà».

Stanley si sentì molto sollevato. Trattare con una giovane donna era molto più facile che con un camionista. «Non ho per forza bisogno di vedere suo marito, signora Collins. È che ho trovato questa busta in Clematis Street. Ho pensato che potesse trattarsi di qualcosa d'importante, e visto che non aveva francobollo, ho preso un taxi e sono venuto a consegnarla di persona». Cercò di porgere la busta alla donna, ma lei non ne volle sapere.

«Guardi, adesso ho parecchio da fare, e non posso perdere tempo a starla a sentire. Lo so che mi vuol vendere qualcosa. Invece io devo spargere un po' di questa sabbia prima che sia troppo caldo, e già adesso si comincia a scoppiare».

«La prenda, è meglio. Non voglio mica niente, sa, però il tassametro corre e non posso restare a far conversazione».

La donna gettò in terra la pala, si asciugò le mani sui calzoncini e prese la busta. La aprì proprio mentre Stanley iniziava a retrocedere, lesse il breve messaggio e aggrottò la fronte. Alzò gli occhi, sconcertata, e iniziò a spiegare il ritaglio di giornale.

«Non ci capisco niente. Chi è lei?»

«Sono un caporeparto in pensione» disse Stanley, fermandosi accanto al taxi «e quando ho trovato quella busta stavo facendo shopping in centro. Ecco tutto. Non sono altro che un buon samaritano, immagino. Ma una cosa posso dirgliela, questo sì, una cosa che ho imparato a forza di vivere quaggiù in Florida. Se sono state le cimici a farle secco il prato, la sabbia non serve a niente. Le serve un insetticida, da spruzzare qua sopra, e le costerà almeno trentacinque dollari».

Stanley batté sul giornalino dell'autista con la punta del bastone da passeggio, salì sul sedile posteriore e chiuse la portiera. La signora Collins arrivò di corsa. «Un attimo! Ma cos'è questa storia? Cosa significa? Non ci capisco niente!»

«Neanch'io» disse Stanley, abbassando la sicura. «È indirizzata a suo marito, quindi può darsi che lo sappia lui. Forza, muoviamoci».

Anche l'autista chiuse la portiera, per poi posare il giornalino e fare inversione a U in direzione di Pierce Avenue. La donna rimase sul marciapiede, con lo sguardo ancora fisso sul taxi che si allontanava, poi spiegò di nuovo il ritaglio di giornale.

Stanley prese l'autobus che tornava a Riviera Beach e scese all'International Shopping Mall. Per una mezz'oretta rimase nell'atrio del centro commerciale a guardare l'esibizione di un gruppo di ballerine di aerobica, tutta gente di mezza età, poi andò da Cozzoli a farsi un trancio di pizza e una Diet Coke in attesa che aprissero le multisale, all'una. Acquistò un biglietto Early Bird e si guardò due volte Terminator. Poi tornò nell'atrio. Non era ancora abbastanza buio per tornare a casa, e quindi gironzolò nel centro commerciale fino alla partenza dell'autobus delle nove per l'Ocean Pines Terraces.

Fare i due isolati a piedi, quella mattina, era stato tremendo - con tutti i vicini che gli puntavano gli occhi addosso - e quindi voleva essere certo che fosse buio, prima di rientrare. Era stata una lunga giornata, e si sentiva esausto, anche perché non aveva fatto la sua pennichella pomeridiana. Neanche al cinema era riuscito a chiudere occhio, da quanto sparavano in quel film. Andò a letto e si addormentò di colpo, scordandosi di infilare la biancheria umida nell'asciugatore. La mattina dopo, il bucato sapeva di muffa, e gli toccò lavare tutto quanto da capo.