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La sanguinosa rapina al supermercato trovò ampio spazio sulla stampa di Miami e presso le stazioni radiotelevisive. La Squadra Omicidi lasciò trapelare pochissime informazioni ai media, ma sui giornali apparvero delle foto, e un titolo come SUPERMASSACRO AL SUPERMERCATO ebbe il potere di terrorizzare i lettori, specialmente l'ala più conservatrice e quelli che da più tempo risiedevano a Miami. L'articolo rivelava che tutte le vittime erano di razza bianca, protestanti e americane di nascita. In precedenza c'erano già state altre piccole stragi, a Miami, con quattro o cinque vittime alla volta, uomini donne e bambini, ma si trattava di colombiani o altri ispanici, oppure di neri; e di solito era tutta gente implicata in qualche modo nel traffico di droga o nel crimine organizzato. Invece le vittime attuali non erano soltanto bianche: si trattava di gente rispettabile, della classe media, che viveva in un quartiere come Green Lakes, abitato in prevalenza da americani di nascita.

Il responsabile del turno serale, Victor Persons, aveva quarantacinque anni, sposato, tre figli, voce solista (e pagata) alle funzioni del sabato sera presso la Chiesa Metodista di Green Lakes.

La sua assistente, Julia Riordan, di anni ne aveva cinquantotto, ed era un'ex insegnante di quarta elementare che aveva lavorato per ventidue anni in varie scuole della Dade County. Secondo uno dei suoi vicini di casa, era andata in pensione ancora con il vecchio sistema in vigore in Florida, ovvero prima che dallo stipendio degli insegnanti venisse detratta la previdenza sociale, e quindi era stata costretta ad accettare un lavoro serale al supermercato per poter ottenere la pensione d'anzianità, al compimento dei sessantadue anni. Le macabre fotografie del signor Persons e della signora Riordan accanto alla cassaforte aperta, apparse su entrambi i quotidiani di Miami (ma non alla TV") provocarono decine di furibonde lettere di protesta ai direttori di entrambe le testate.

Sally Metcalf, anni ventitré, la cassiera bionda o "assistente alla lettura ottica", come era definita la sua funzione dalla catena di supermercati (a quanto pare, il suo lavoro consisteva nell'assistere il sistema di lettura ottica nello svolgimento dei suoi compiti) aveva fatto parte della squadra di pallavolo del South Campus al Community College di Miami-Dade, prima del diploma, e aveva già programmato le nozze con un suo compagno di liceo non appena quest'ultimo avesse terminato il primo periodo di ferma a Fort Benning, Georgia.

Randolph Perkins, anni diciassette, l'inserviente, frequentava il liceo alla Miami-Norland, e i suoi compagni lo ricordavano come "un tipo a posto, sempre pronto a ridere e scherzare". Il preside del suo liceo dichiarò al medesimo giornalista che Randy aveva già superato l'esame finale del suo anno di corso, e che aveva "un'ottima media del sei" in tutte le materie. Sul giornale saltò fuori anche una foto in bianco e nero di quattro amici di Randy e due ragazze in lacrime, tutti quanti con un nastrino nero appuntato alla Tshirt in segno di lutto per il loro compagno.

Fred Pickering, il ventottenne responsabile del reparto ortofrutta che quella sera aveva tagliato la corda in anticipo per filare a casa a guardare una videocassetta di Ghostbusters, attribuì al suo videoregistratore Sony il merito di avergli salvato la vita. "Evidentemente Nostro Signore" dichiarò a un reporter "aveva altri piani, per me! " Poi scoppiò in lacrime davanti alla telecamera. "E pensare" singhiozzò "che mentre stavo ridendo a crepapelle davanti a Ghostbusters, in negozio la signora Riordan stava crepando sul serio! Potevo esserci io. Potevo esserci io!"

Il sindaco (di origine cubana) e i membri multietnici del consiglio comunale furono bersagliati da un gran numero di lettere, variabili nel tono ma molto meno nel significato, e che in sostanza ricordavano ai consiglieri tutti - un posticino da seimila dollari l'anno - la promessa che avevano fatto in campagna elettorale, ovvero quella di servire l'intera comunità di Miami, e non soltanto i rispettivi gruppi etnici. Tali lettere ricordavano pure che i WASP, anche se rappresentavano all'incirca solo l'otto per cento della popolazione di Miami, avevano ancora un sacco di soldi da investire nelle prossime elezioni.

Il sindaco e i consiglieri comunali saltarono alla gola del city manager. Costui, che aveva l'autorità di assumere e licenziare il capo della polizia, fece altrettanto col capo della polizia in questione, perché scoprisse gli assassini. Il capo della polizia, a sua volta, nominò un'apposita Task Force, agli ordini del maggiore Willie Brownley. Quest'ultimo nominò capo delle operazioni il comandante Bill Henderson; e Bill annullò subito il permesso non retribuito di Hoke Moseley, richiamandolo in servizio per occuparsi delle indagini, assieme all'agente investigativo Speedy Gonzalez.

All'interno della Squadra Omicidi e del dipartimento, Hoke e Gonzalez trovarono un'enorme disponibilità. Ellita, non solo perché si trattava di una collega ferita, ma anche a causa del suo carattere allegro e della sua disponibilità a prestare piccole somme di danaro, era molto ben vista da tutti i detective della Squadra Omicidi. Costoro offrirono volontariamente a Hoke il loro tempo libero, al termine dei turni. Hoke affidò loro tutta una serie di compiti, come i controlli di routine su rapinatori neri e alti e con precedenti penali, ai quali fu poi chiesto dove si trovassero al momento del massacro. Questi interrogatori non sortirono effetto alcuno, ma erano considerati indispensabili per sfoltire la lista dei sospetti, e nell'eventualità che qualche informazione utile saltasse comunque fuori.

Gonzalez e il sergente Armando Quevedo andarono al supermercato a parlare con gli impiegati del turno di giorno, e il direttore riconobbe all'istante la foto del mulatto ucciso come quella di un inserviente che aveva licenziato per furto un paio di mesi addietro. Il nome di quel tale, secondo la scheda dell'ufficio personale, era John Smith, ma sulla scheda stessa non era riportato alcun indirizzo, e il numero della previdenza sociale corrispondeva a quello di un altro John Smith, un quarantasettenne di Portland, Oregon.

«Non è che facciamo controlli sugli inservienti» disse il direttore. «Danaro non ne maneggiano, e vanno e vengono troppo in fretta. Smith aveva un accento caraibico, e se ci aveva fornito un nome falso e un numero di previdenza sociale che non era il suo è perché magari si trattava di un immigrato clandestino. A volte capita, con gli stranieri che entrano con un visto da studente e che quindi non potrebbero lavorare. Tutto quel che so di Smith è che era un ladro, e che appena l'ho beccato a rubare l'ho sbattuto fuori».

Poi Quevedo andò a controllare i vestiti del morto in laboratorio, assieme al capo della scientifica. Fu qui che la loro fortuna cambiò per il meglio, e saltò fuori un indizio.

A Hoke, com'è ovvio, toccava leggere ogni rapporto supplementare e metterlo a confronto con gli altri, tanto che la pila di documenti sulla sua scrivania cresceva di ora in ora. I suoi telefoni, come quelli di Bill Henderson, squillavano senza tregua, giorno e notte, da quando i numeri erano stati pubblicati sui giornali. Ma Hoke era contento di tutta questa frenesia perché sapeva, in base all'esperienza, che era proprio un'impostazione del genere a fornire, prima o poi, la svolta a qualunque indagine. Hoke sarebbe tomato lo stesso a Miami, permesso revocato o no. Si considerava in parte responsabile di quanto era capitato alla sua partner. Fosse stato a casa, invece che a cercare di "ritrovare se stesso" a Singer Island, sarebbe stato lui ad andare al supermercato al posto di Ellita, e lei non sarebbe stata ferita.

Il suo viso, disse il chirurgo a Hoke quando ci fu modo, in ospedale, di parlare con più calma, sarebbe tornato a posto al termine della convalescenza. Il buco si poteva riempire con un pezzetto di plastica, che sarebbe stato poi ricoperto dalla pelle. A parte un piccolo incavo, e una sottile cicatrice sulla guancia, che si poteva facilmente nascondere col fondotinta, nessuno avrebbe notato l'intervento, a meno di non guardare molto da vicino. La ferita al braccio, purtroppo, era un problema più serio, perché il nervo era stato danneggiato. Con molta riabilitazione, Ellita avrebbe riacquistato l'uso parziale del braccio, diciamo dall'ottanta all'ottantacinque per cento, ma questo significava comunque la fine della sua carriera in polizia, almeno per quanto riguardava il servizio attivo.

Il chirurgo avrebbe caldeggiato l'assegnazione di una pensione d'invalidità del trenta per cento, e visto che in polizia le pensioni d'invalidità sono ben più alte di quelle d'anzianità, Ellita avrebbe tirato su quasi gli stessi soldi che se fosse rimasta in servizio attivo per altri vent'anni. Anzi, alla lunga, ne avrebbe fatti di più, perché aveva ancora undici anni prima della pensione d'anzianità, e in questi undici anni avrebbe ritirato la pensione senza lavorare. Oltretutto, la pensione d'invalidità le sarebbe stata erogata vita natural durante, con un adeguamento al costo della vita del tre per cento annuo. Ellita ricevette anche una medaglia al valore, da parte del capo della polizia, e notevole spazio sui giornali.

Avrebbe potuto quindi restarsene a casa a crescere il suo bambino, Pepé Roberto St. Xavier Armando Goya y Goya Sanchez, un vero splendore: bello, sano e dagli occhi azzurri. E, aggiunse il chirurgo, se Hoke aveva su di lei una qualche influenza, poteva chiederle di ripensarci e far circoncidere il bambino prima che madre e figlio lasciassero l'ospedale.

Hoke rispose che ci avrebbe pensato su, anche se non aveva la minima intenzione di farlo.

Quando Hoke e Sue Ellen andarono a trovare Ellita, in ospedale, vi trovarono il signore e la signora Sanchez, i suoi genitori, che a turno non l'avevano lasciata sola per un istante dal momento il cui la ragazza era stata trasferita dal pronto soccorso a una camera privata. Entrambi sedevano accanto al letto, su seggioline pieghevoli. Il signor Sanchez, che aveva disconosciuto sua figlia quando aveva scoperto che era incinta, ancora non le rivolgeva la parola, ma il fatto che fosse lì, e che sorridesse senza volere, ogni volta che le infermiere portavano il bambino per l'allattamento, faceva sperare in una qualche riconciliazione futura. Hoke strinse la mano all'uomo, in pieno sciopero della parola, e sorrise alla signora Sanchez, che si limitò ad arricciare le labbra e scuotere il capo. Hoke dette un lieve bacio a Ellita, sulla fronte.

«Hai già visto il bambino?» gli chiese lei con un sorriso.

«Certo che sì. È un vero gigante, capelli neri e occhi azzurri».

«Non te l'avevo detto che era un maschio?»

«Non ne ho mai dubitato. Però Sue Ellen non l'hanno fatta entrare, laggiù, e sta morendo dalla voglia di vederlo».

«Tanto lo porteranno qui per l'allattamento, tra non molto. Però dovrai andartene tu».

«Ho lasciato il lavoro, Ellita» disse Sue Ellen. «Così potrò darti una mano col bambino, appena torni a casa».

«Non dovevi farlo».

«È stata un'idea mia» disse Hoke. «Aileen tornerà da L.A. sabato prossimo e passerà il resto dell'estate a Singer Island, da mio padre. Quelle suore, al convento, l'hanno rimessa in riga in un batter d'occhio. Ma all'inizio della scuola rientrerà a casa, e il gestore dell'autolavaggio ha detto che Sue Ellen può avere indietro il suo posto in qualunque momento».

«Come procedono le indagini?»

Hoke si girò verso Sue Ellen. «Va' in sala d'aspetto, tesoro. Puoi tornare quando arriverà il bambino. Perché non chiedi ai tuoi genitori di uscire un attimo, Ellita?»

Ellita disse qualcosa ai genitori in spagnolo. Loro non aprirono bocca, ma neanche si mossero.

«Non se ne vanno, Hoke». Ellita fece spallucce. «Ma saranno più muti di una tomba, non preoccuparti».

Sue Ellen uscì, chiudendosi la porta alle spalle.

«Il morto con la calza in testa è stato identificato» disse Hoke. «Sul giubbotto aveva il cartellino giallo di una lavanderia, che ho passato al sergente Quevedo. Lui si è messo a caccia, ha passato quattro ore al telefono, ed è risalito alla Bayside Cleaners. È andato fin laggiù, e in archivio la lavanderia non aveva alcuna ricevuta per il lavaggio. Però la donna della lavanderia, una tipa di Eleuthera, ha riconosciuto la foto, per via della macchina del morto. Era una macchina piccola, una vecchia Morris Minor, e quando lui era entrato in negozio lei gli aveva detto che non vedeva una macchina del genere da almeno quindici anni, da quando stava ancora a Nassau. Si erano messi a parlare dei Caraibi, e la donna si è ricordata che quel tizio le aveva detto di aver portato con sé la macchina dalle Barbados. Così Quevedo si è messo le gambe in spalla, ha fatto il giro di Bayside e ha trovato un postino che conosceva il morto perché gli recapitava la posta dalle Barbados. Abitava in un appartamento sopra un garage, di proprietà di Sidney Shapiro, e teneva d'occhio la casa di quest'ultimo quando lui e sua moglie andavano in vacanza nel Maine. Il suo nome era James Frietas-Smith, e la piccola Morris era ancora parcheggiata in cortile, piena zeppa della sua roba, mentre in garage c'erano ammassati dei dipinti ben strani. Quevedo ha chiamato il padre di Smith alle Barbados, che prenderà non so che accordi con una ditta di trasporti per riportare il corpo in patria».

«Se l'è cavata bene, Quevedo, direi».

Hoke ridacchiò. «È per questo che lui è sergente, e che sto pensando di rispedire Gonzalez in servizio di pattuglia a Liberty City. Gonzalez non ce la farà mai, come detective. Dovrebbe tornare in uniforme».

«Dagli tempo, Hoke».

Hoke fece spallucce. «Comunque, l'appartamento sopra il garage era pulito in maniera incredibile. Mobili tirati a lucido, e nemmeno un granello di polvere. Da non credere. Neanche un piatto sporco. Non c'era il minimo indizio che ci abitasse qualcuno. Quevedo ha chiesto a Shapiro di venire a controllare se per caso dalla casa padronale mancasse qualcosa. Shapiro è salito su un aereo, e quando lui e Quevedo hanno passato in rassegna la casa, hanno trovato il cadavere di un uomo e di un bambino dentro un tappeto arrotolato, in una delle camere degli ospiti al secondo piano».

«Il cadavere di un bambino? Non capi…»

«Il bambino, di circa diciotto mesi, era stato strangolato, mentre l'uomo - un certo James C. Davis - era stato ucciso con una doppietta. Il bambino era stato rapito a Doleland, ed è già stato riconosciuto dalla madre. Hanno preso macchina e bambino, poi si sono disfatti della macchina e hanno tenuto il bambino per ucciderlo. Davis faceva l'informatore…»

«Informatore?»

«…farmaceutico, per la Lee-Fromach, una ditta del New Jersey. Sai, quella gente che fa il giro dei medici per propagandare i medicinali? È gente che lavora da sola, e il suo territorio era la Dade County. Per questo nessuno ne ha denunciato la scomparsa. Era scapolo, aveva un appartamentino al Grove. Abbiamo trovato la sua macchina, una Lincoln Town Car, parcheggiata presso un Denny's di Biscayne Boulevard».

«Ancora non capisco perché uccidere un bambino, Hoke». Ellita si asciugò gli occhi col dorso della mano. «A diciotto mesi, chi potrai mai identificare? A malapena riconosceva sua madre».

«Era una femmina. Lo so, è una cosa senza senso. Ma abbiamo a che fare con un pazzo figlio di puttana, un mostro a due teste. Lo stesso tipo che ti ha sparato deve aver ucciso la bambina, e lui e il suo compare hanno di sicuro fatto secco Davis per rubargli la macchina da usare nella rapina. Si tratta di un pericoloso assassino».

«Impronte nella macchina?»

«Nessuna, se non qualche sbaffo e quelle di Davis. Hai detto che chi guidava poteva essere sia uomo sia donna, e forse era una donna per via del foulard attorno alla testa, ma non abbiamo modo di controllare. Tu, poi, non sei in grado di descrivere il tipo con la doppietta, che era controluce, e quindi non sappiamo se fosse bianco oppure nero».

«Quella luce rossa intermittente sembrava stroboscopica, Hoke. Non posso essere sicura di nulla».

«Be', intanto sappiamo che il baiano era molto chiaro, uno high yellow, e così anche quello con la doppietta potrebbe essere nero. Ma tutto questo ancora non chiarisce la posizione del vecchietto bianco. Tu dici che stava facendo la spesa nel supermercato, ma se è scappato con il rapinatore ferito deve essere anche lui della banda. L'assortimento di generi alimentari che aveva nel carrello era troppo assurdo, il che vuol dire che per un motivo o per un altro stava soltanto perdendo tempo. Comunque sia, abbiamo fatto circolare un identikit del vecchio, così come l'hai descritto tu, e ho già chiesto alla televisione di farlo vedere alla prossima puntata di 'Crime Stoppers'. Dapprima l'avevamo pensata come te, ovvero che si trattasse di un semplice cliente che si era messo a fare il buon samaritano trasportando un ferito all'ospedale. Ma nessun ospedale ha segnalato il ricovero di un ferito da arma da fuoco che corrisponde alla sua descrizione. Se il rapinatore aveva una così brutta ferita, come dici tu, aveva certo bisogno di cure. Abbiamo telefonato a cliniche e ospedali, da Key West a West Palm Beach, ma finora niente. Sulle due armi che abbiamo recuperato non c'era nemmeno un'impronta, il che significa che quel tale indossava i guanti».

«Quanto sono riusciti a portare via?»

«Sui diciottomila dollari. Avrebbero dovuto essercene di più, ma di recente la Wells Fargo ha cambiato l'orario del trasporto valori, per via delle rapine del mese scorso, quelle ai mezzi blindati. Hanno raccolto i soldi sabato a mezzogiorno, invece di aspettare il lunedì. La catena era assicurata, per quanto riguarda il danaro, ma è probabile che debba chiudere il supermercato. La clientela è spaventata a morte. Adesso il negozio non apre più la sera, e alcuni esercenti che avevano già preso accordi per aprire nel nuovo centro commerciale stanno facendo marcia indietro. Willie Brownley ha chiesto alla catena di alzare la ricompensa da venti a venticinquemila dollari, e forse andrà così. Se non becchiamo l'assassino, nessuno metterà mai piede in quel centro commerciale, all'apertura definitiva. Non certo la sera».

«Avrei dovuto stare più attenta, Hoke. Ero accucciata proprio dietro la Honda e non ho neanche guardato il numero di targa. Non mi è proprio venuto in mente. Però ho notato il portapacchi sul tettuccio, che non è una cosa così frequente».

Hoke le dette un colpetto sul braccio. «Mi avessero sparato in faccia e mi fossero venute le doglie, non credo che avrei pensato di guardare un numero di targa. L'identikit è venuto bene, tu dici, ma hai idea di quanti vecchietti ci sono, da queste parti, assolutamente uguali a quello? Tutti i pensionati della Dade County hanno almeno un vestito di tela non-stiro a righine».

«E il bastone, Hoke? Aveva un'impugnatura d'ottone, la testa di un cane. Mica tutti i vecchi hanno un bastone. Perché non allegare un disegno anche di quello, assieme alla foto?»

«Che razza di cane era?»

«Non lo so. Ma era un'impugnatura lucida, a forma di testa di cane, non di anatra o di serpente. Ne sono quasi sicura».

«A orecchie alzate o abbassate?»

«Abbassate, di quelle che sbattono, e il naso era leggermente appuntito. Ma non mi sembrava una razza specifica. Non che ci facessi molta attenzione, ma quando il vecchio si è infilato il bastone sottobraccio, alla cassa, l'ho notato».

«Okay. Vedremo di preparare anche un disegno del bastone. Forse era la testa di un cocker spaniel».

«Avrei voluto saperti dire di più, Hoke». Gli occhi le si riempirono di lacrime, ancora una volta. «Quando penso a quella bambina morta…»

«Non ci pensare. Ti lascio qui Sue Ellen, che vuole vedere il tuo piccolo, e passerò a riprenderla stasera, quando torno a casa. Ti serve qualcosa?»

«Be', se puoi, portami una lattina di Stroh's». Ellita si asciugò gli occhi con l'angolo del lenzuolo. «Dice mia madre che una lattina di birra ogni tanto migliora la qualità del latte. Per via del luppolo. Pensa che il dottore mi aveva detto di non berne».

«Certo, piccola, che ti porto un paio di birre, zitto zitto. Non è che ti serve qualcosa per calmare il dolore? Qualche compressa di codeina?»

«No, sto bene. È un dolore costante, dentro la spalla, e ogni tanto mi parte giù per il braccio, ma riesco a sopportarlo. Mi danno del Darvon, ogni quattro ore, e fa effetto».

«Li conosco questi farabutti, Ellita. Il dolore, i medici lo chiamano 'disagio', e non gliene fotte niente se tu senti male o no. Se diventa troppo forte, dimmelo, che ti procuro della codeina».

Hoke batté leggermente la spalla buona della ragazza, salutò i Sanchez con un cenno del capo, e uscì per rientrare al comando di polizia. I Sanchez, con suo gran divertimento, sospettavano che fosse il padre del figlio di Ellita, e ce l'avevano con lui per non voler ammettere la verità e non sposare la loro bambina dopo averla messa incinta. Ellita gliel'aveva detto, che il padre non era Hoke, ma loro non le avevano creduto. A Hoke, naturalmente, non fregava un tubo dell'opinione dei Sanchez, né di cosa avessero pensato quando lui aveva detto nel suo spagnolo esitante, mentre Ellita era sotto i ferri, che avrebbe trovato il figlio di puttana che aveva sparato a lei e al suo bambino, anche a costo di metterci venticinque ore al giorno.

Il caso ebbe una nuova svolta quando un nero che disse di chiamarsi Marvin telefonò al comandante Bill Henderson per dichiararsi in possesso di informazioni sulla rapina. Marvin disse che bisognava mettersi d'accordo, prima che aprisse bocca, che voleva i soldi della ricompensa e una dichiarazione scritta in proposito. Altrimenti non avrebbe detto una parola.

«Ce ne capitano un sacco, di telefonate strane, Marvin» disse Bill Henderson. «Tu cos'hai?»

«Ci mettiamo d'accordo, prima?»

«Dipende dalle tue informazioni, e dal tipo d'accordo che vuoi».

«Sono fuori su cauzione» disse Marvin «per avviamento di minore alla prostituzione, dovete ritirare le accuse».

«È un reato grave. Quanti anni aveva, la ragazzina?»

«Non era una femmina, era un maschio. Ha quattordici anni, ma quando l'ho reclutato io già batteva. È un'accusa del cazzo, ma a Miami Beach non sono molto ben visto, e hanno cercato di incastrarmi».

«Sai che Miami e Miami Beach sono due giurisdizioni diverse?»

«Sì che lo so, ma so anche che gli accordi si fanno eccome, specialmente su roba tipo questo massacro».

«Vedrò quel che posso fare, Marvin. Ma dovrai venire fin qui a parlarmi».

«Non posso. Me l'ha detto uno sbirro della buoncostume di non rimetterci mai più piede a Miami, altrimenti mi avrebbe fatto secco a vista».

«Chi te l'ha detto? Come si chiama?»

«Uno della buoncostume di Miami. Non lo so come si chiama, ma lui conosce il mio nome e conosce anche me. Ci vediamo oggi pomeriggio alle quattro e mezza a Watson Island. Nel giardino giapponese, all'entrata. Le faccio vedere le prove di quel che sto dicendo, così poi trattiamo».

«Okay, Marvin. Quattro e mezza».

Bill Henderson passò l'informazione a Hoke, e tornò a compilare le tabelle dei turni per la settimana entrante. Doveva trovare anche il tempo di calcolare un ruolino paghe integrativo per l'intero reparto.

Quel pomeriggio, Hoke e Gonzalez si recarono a Watson Island, a otto minuti di macchina dalla stazione di polizia, e parcheggiarono vicino all'entrata del giardino giapponese. Il giardino, dono che un miliardario di Tokyo aveva fatto alla città di Miami nel 1961, non era mai stato curato, ma restava aperto al pubblico tutti i giorni, fino alle cinque.

All'entrata non c'era nessuno. Gonzalez guardò quella sorta di giungla e scosse il capo. «Qualche anno fa questo posto era davvero incredibile, sergente. La domenica ci portavo la mia ragazza a fare una passeggiata. Laggiù, vicino al ponte, c'era un bellissimo lucernario in pietra».

«L'avranno rubato di sicuro. Il comune non può permettersi di sorvegliare un posto del genere ventiquattr'ore al giorno».

«Forse no, ma è un peccato lasciarlo andare in malora così. Pensa che questo Marvin si farò vivo?»

«Va' a saperlo, Gonzalez. Di solito gli anonimi come lui la prima volta non si fanno mai vedere. Però, se davvero hanno qualcosa in mano, richiamano sempre. Vedrai che succederà anche stavolta. I soldi della ricompensa servono a stanarla, questa gente, e sul giornale di oggi c'era scritto che erano saliti a venticinquemila».

Alle quattro e mezza, Marvin Grizzard uscì dal suo nascondiglio dietro la casa da tè giapponese col tetto cadente, caracollò sul ponte ad arco e venne a presentarsi. Era nero e alto, con un paio di calzoni grigi con la piega, una camicia sportiva a fiori a maniche lunghe e scarpe bianche di Gucci, belle lucide. La manica sinistra, arrotolata di un giro, metteva in mostra un Rolex d'oro. Marvin porse a Hoke un riquadro di plastica nera, all'incirca di quindici centimetri di lato.

«È un pezzo» disse.

«Un pezzo di che?» ribatté Hoke.

«Della prova, amico. L'ho ritagliato io dal sacco della spazzatura».

«Che sacco?»

«Quello con i soldi della rapina».

«Cazzo» disse Gonzalez. «Un pezzo di plastica tagliato via da un sacco della spazzatura non vuol dire niente».

«Altroché» disse Marvin sollevando il mento. «Aspettate di vedere il resto del sacco, che è tutto intero fatto salvo questo pezzo che gli ho tagliato via. A dirla tutta, i sacchi sono due, uno dentro l'altro. E ho anche tutti i quattrini».

Marvin si sbottonò la camicia e ne estrasse un fascio di banconote da venti, fermate da un elastico verde che recava scritte, a inchiostro nero, le iniziali VP.

Hoke arraffò le banconote e le studiò per un momento. «Manette» disse a Gonzalez, poi si diresse verso una panchina in pietra, si sedette e si mise a contare il danaro. Mille dollari precisi. Al di là di ogni aspettativa, le iniziali sembravano corrispondere a quelle di Victor Persons, il direttore del supermercato di Green Lakes rimasto ucciso nella rapina.