Il secolo lungo
Che c’entra Mussolini con Salvini? E la scissione di Renzi con quella di Turati? La fondazione dei Fasci di combattimento con il ciclone delle elezioni in Umbria? Niente di niente. Eppure, il secolo lungo che va dal 1919 al 2019 è attraversato da un fiume carsico che ogni tanto riemerge nei ricordi, nelle speranze e nelle paure degli italiani.
La gente nel mondo ha sempre cercato gli uomini forti. Ieri Mussolini, Hitler, Stalin, Mao. Oggi Trump, Putin, Xi Jinping, Erdoğan e giù per li rami fino a Orbán, Kaczyński, Salvini. Ieri c’erano dittature, oggi (salvo che in Cina) democrazie autoritarie che hanno negli Stati Uniti contrappesi istituzionali e intellettuali formidabili, e in Italia una Costituzione che nessuno osa discutere nei princìpi fondamentali.
Che cosa unisce l’Italia di Mussolini a quella che invoca Salvini e che ha fatto del suo partito di gran lunga il più forte del nostro paese? Che cosa può apparentare la nascita di una dittatura alla solidissima democrazia di oggi?
Il lettore che avrà la pazienza di seguirci sgranerà gli occhi leggendo che, nel 1922, antifascisti a 24 carati invocavano Mussolini perché rimettesse in sesto un’Italia sfasciata, demotivata, indebitata e divisa. Giolitti gli riconosceva il merito di aver «tratto il paese dal fosso in cui finiva per imputridire». Amendola suggeriva di «secondare le mosse dell’onorevole Mussolini … perché questo è il solo mezzo per ripristinare la forma della legalità». Nitti scriveva a sua volta ad Amendola: «Bisogna che l’esperimento fascista si compia indisturbato». E Anna Kuliscioff a Turati: «Nessuno potrebbe raggiungere la pacificazione se non Mussolini». Salvemini, l’antifascista più irriducibile, arrivava a dire: «Bisogna augurarsi che Mussolini goda di una salute di ferro, fino a quando non muoiano tutti i Turati…».
Oggi, per fortuna, non veniamo da quattro anni di guerra di frontiera e tre di guerra civile. Ma veniamo da dieci anni di crisi globale e da più di venti di crisi italiana: non cresciamo da metà degli anni Novanta e, quel che è peggio, non abbiamo prospettive apprezzabili di crescita nell’immediato futuro. Salvini ha aperto la crisi del governo gialloverde illudendosi di votare. Avrebbe fatto una manovra economica in forte deficit per abbassare le imposte e finanziare investimenti. È nato, invece, un governo giallorosso, mai decollato e sbatacchiato ancor di più dopo il voto umbro. Il secondo governo Conte è stato concepito con l’obiettivo dichiarato di non consegnare l’Italia a Salvini. Quasi nessuno dei leader della sinistra lo considera fascista, ma tutti temono dai sovranisti – per dirla con il segretario del Pd Zingaretti – «una rapida involuzione autoritaria, illiberale, persecutoria». Siamo davvero a questo? Certo, la compagnia che la Lega si è scelta in Europa non è, a nostro avviso, la migliore possibile. E Salvini farà bene a cambiarla. Ma la democrazia può vivere di paure?
In questo libro cercheremo di spiegare con quale incredibile facilità l’Italia si consegnò al fascismo. Oggi abbiamo anticorpi sufficienti perché il fascismo non torni. Non può tornare. Ma in democrazia il popolo ha il diritto di veder trasformare il suo voto in scelte efficienti e, soprattutto, ha il diritto di assicurare ai propri figli un futuro migliore. Questo diritto, purtroppo, non c’è più. In tutto il mondo libertà è sinonimo di progresso. Vogliamo fare eccezione?
B.V.
Roma, 30 ottobre 2019