Appendice A.
Il ruolo del comunismo nella storia globale

La visione che ho esposto nel capitolo 3 sul ruolo del comunismo nella storia globale presenta due importanti implicazioni per quanto concerne l’interpretazione della storia del Novecento e, forse, anche quella del secolo successivo.

Punto 1. La mia conclusione implica, sotto molti aspetti sostanziali, una difesa della visione marxista secondo cui il capitalismo conduce alla concorrenza imperialista che genera la guerra. La Prima guerra mondiale ne è la prova evidente. È stata inoltre dimostrata la validità della tesi che il ruolo autonomo dello Stato è spesso circoscritto e che, a livello nazionale, i capitalisti spesso controllano il processo politico.

Punto 2. Ho spiegato come la concezione marxista fosse del tutto carente sotto due aspetti importanti. Innanzitutto, non ha tenuto sufficientemente conto della capacità del capitalismo di trasformarsi e di creare una variante socialdemocratica, che, come descritto nel capitolo 2, è una delle tre varianti del capitalismo moderno del xx e xxi secolo. Questa variante ha permesso un notevole incremento del reddito delle classi medio-basse, ha agevolato la diffusione dell’istruzione e della protezione sociale e, in generale, ha consentito ai paesi che l’hanno praticata di raggiungere i più alti livelli di prosperità e libertà politica di cui abbia mai goduto qualsiasi gruppo di persone nella storia.

In secondo luogo, la teoria marxista ha completamente frainteso il ruolo storico del comunismo o, per utilizzare una terminologia rigorosamente marxiana, del socialismo. Il socialismo, invece di sostituirsi al capitalismo dopo crisi e guerre, come avrebbe dovuto fare, ha invece spianato la strada allo sviluppo del capitalismo nel Terzo Mondo. In alcune parti di esso, l’ideologia comunista e i partiti comunisti hanno consentito al capitalismo di svilupparsi. Il comunismo nel Terzo Mondo ha assunto così lo stesso ruolo funzionale svolto in Occidente dalla borghesia. Pertanto, più che una fase di transizione fra il capitalismo e l’utopia del comunismo, in alcuni paesi del Terzo Mondo il socialismo è stato di fatto un sistema di transizione tra feudalesimo e capitalismo.

Per certi versi, questo risultato testimonia la validità di una posizione apparentemente paradossale adottata dai «marxisti legali» russi secondo i quali il ruolo delle organizzazioni comuniste nei paesi meno sviluppati doveva essere quello di favorire lo sviluppo del capitalismo.

Com’è nata questa astuzia della storia? Come mai solo oggi vediamo chiaramente il vero ruolo del comunismo?

La risposta sta nella supposizione che il percorso di sviluppo occidentale (Pso) sia universale, e questo è sbagliato. Questa ipotesi ci ha impedito di apprezzare la notevole differenza di condizioni fra le diverse parti del mondo in cui le rivoluzioni borghesi sono state autoctone e quelle in cui il capitale straniero giungeva principalmente per conquistare e, solo in seconda istanza e in via accessoria, per realizzare o trapiantare le istituzioni del capitalismo così come erano state create in Occidente. Infatti, se l’imperialismo e il colonialismo occidentali fossero stati più forti, e se il loro obiettivo fosse stato principalmente quello di creare istituzioni capitalistiche e non lo sfruttamento (cosa spesso facilitata, come sosteneva Rosa Luxemburg, attraverso lo scambio con formazioni sociali precapitalistiche), il Terzo Mondo avrebbe forse seguito il Pso e il colonialismo l’avrebbe trasformato a immagine e somiglianza dell’Occidente. La mission civilisatrice avrebbe avuto successo. E in effetti si sono affermate economie capitaliste in piccole aree autonome (come Hong Kong e Singapore) e in quelle parti del mondo in cui la popolazione locale era sparsa o era stata sterminata e dove gli europei, a contatto con altri europei, avevano potuto trapiantare le loro istituzioni (come in Argentina, Uruguay, Australia e Nuova Zelanda)1. Ma là dove gli europei non sono riusciti a trapiantare tali istituzioni, o dove lo sfruttamento era più redditizio e mantenere le vecchie istituzioni feudali un’opzione migliore, le istituzioni capitalistiche sono cresciute solo ai margini (in alcuni casi letteralmente, come per esempio lungo le coste dell’Africa), e il resto della popolazione ha continuato a vivere sotto l’ordine precedente. Il Vietnam, l’India e l’Indonesia, conquistati da tre diversi imperi europei, esemplificano l’esistenza fianco a fianco di un sottile strato di capitalismo sovrapposto a un sistema sociale immutato sotto il quale il 90 per cento o più della popolazione continuava a vivere.

La storiografia marxista, nella persona dello stesso Marx nei suoi scritti sull’India, sopravvalutava la volontà e la capacità dei colonialisti britannici di trasformare l’India in una società capitalista. Come scrisse Marx nel giugno 1853:

L’Inghilterra, è vero, ha provocato una rivoluzione sociale nell’Indostan mossa solo dagli interessi più vili, che ha realizzato nel modo più stupido. Ma non è questo il problema. Il problema è se l’umanità possa adempiere al proprio destino senza una rivoluzione fondamentale dello stato sociale in Asia. Se la risposta è no, checché abbia fatto di criminale, l’Inghilterra è stata lo strumento inconscio della storia nel provocare una simile rivoluzione2.

In un altro articolo, un paio di mesi dopo, scriveva: «L’Inghilterra in India ha una doppia missione da compiere: una distruttiva, l’altra rigeneratrice: demolire l’antica società asiatica, e gettare le basi materiali della società occidentale in Asia»3. Ma i capitalisti britannici non ci sono riusciti. L’India era troppo grande. Allo stesso modo, nel suo libro Imperialism (1980), Bill Warren assume una posizione molto forte a favore del Pso, coerente con la visione marxista originaria, sostenendo che l’errore cruciale, vale a dire l’abbandono del percorso di sviluppo occidentale, risaliva ai bolscevichi, che avevano accorpato la lotta proletaria a quella antimperialista. Secondo Warren, solo la prima era legittima dal punto di vista marxista, e avrebbe dovuto essere condotta allo stesso modo in Occidente e nel Terzo Mondo. Questo errore, a suo avviso, aveva portato i movimenti operai dei paesi del Terzo Mondo ad allinearsi con i settori anticolonialisti della borghesia locale e quindi a smussare i contorni del conflitto sociale.

La «svolta orientale» del Comintern e la diffusione del capitalismo nel mondo

E infatti l’unione delle due lotte fu la decisione cruciale, quella che prese le mosse dagli incontri al Congresso di Baku per la liberazione dei popoli dell’Oriente per arrivare a compimento nel Secondo Congresso dell’Internazionale comunista (Comintern), entrambi nel 1920, con la presa di distanza dalla visione del Comintern, fino a quel momento eurocentrica, in materia di Pso. Ma non fu un errore, come credeva Warren. Quella decisione ha permesso ai movimenti di sinistra e comunisti del Terzo Mondo di associare legittimamente la rivoluzione sociale e la liberazione nazionale in un modo che, come ho sostenuto, è stato il fattore chiave che ha permesso loro di conquistare il potere. L’astuzia della storia è stata quella di non «rivelare» loro che, come «guidati da una mano invisibile», stavano creando le condizioni per l’ascesa dei rispettivi capitalismi nazionali anziché, come invece pensavano, dare vita a una società comunista internazionalista e senza classi. In questo contesto si comprende come la svolta di Lenin e del Comintern verso i «lavoratori d’Oriente», insieme alla conseguente divisione del mondo in due campi – paesi imperialisti da una parte e paesi colonizzati dall’altra – sia stata assolutamente decisiva per quanto accadde dopo: non già per realizzare il comunismo, ma per realizzare il capitalismo4. Questa interpretazione ci permette di affermare – paradossalmente, a prima vista – che Lenin è stato forse il più importante sostenitore della storia della via capitalista (il cosiddetto capitalist-roader), poiché la sua idea di collegare la lotta proletaria in Occidente al movimento di liberazione nazionale in Africa e in Asia si discostava dal marxismo ortodosso occidentale e al tempo stesso liberava le forze che cinquanta o sessant’anni dopo avrebbero portato il capitalismo indigeno in paesi tanto diversi fra loro come il Vietnam, la Cina, l’Angola e l’Algeria. Senza quella decisione, il capitalismo non si sarebbe diffuso in tutto il mondo, o comunque il processo sarebbe avvenuto molto più lentamente.

Questo risultato invalida del tutto la visione marxista della storia? Credo di no. Il susseguirsi delle tappe dello sviluppo economico che hanno svolto un ruolo così importante nel marxismo è stato brevemente definito da Marx nella prefazione alla Critica dell’economia politica ed è rimasto irrisolto fino alla morte di Marx e Engels. Ma quel particolare susseguirsi di tappe, che, come ho sostenuto in questo libro, era sbagliato, non era la parte più importante della teoria del materialismo storico di Marx. Come ha osservato Eric Hobsbawm, «la teoria generale del materialismo storico richiede soltanto che ci sia una successione di modi di produzione, sebbene non necessariamente uno in particolare, e forse nemmeno in un particolare ordine predeterminato. [...] Ma se [Marx] si fosse sbagliato nelle sue osservazioni [sulla successione delle forme socioeconomiche], o se queste si fossero basate su informazioni parziali e per questo fuorvianti, la teoria generale del materialismo storico ne sarebbe risultata comunque intatta»5.

In che modo questa interpretazione permea la nostra visione del futuro? La prima cosa da capire è che non esiste un sistema che sia l’ovvio successore del capitalismo. La mia spiegazione del vero ruolo del comunismo chiarisce che ha fatto la sua parte. Il comunismo ha svolto la sua funzione ed è improbabile che possa avere un ruolo nel futuro della storia dell’umanità. Non è un sistema del futuro, ma un sistema del passato.

Ma il grande vantaggio dell’analisi marxista è che ci porta a considerare ogni sistema socioeconomico come necessariamente limitato nel tempo. Nulla rimane invariato a mano a mano che le condizioni di produzione di base si evolvono. Per dirla con Marx, «un modo di produzione o uno stadio industriale determinato è sempre unito con un modo di cooperazione o uno stadio sociale determinato e questo modo di cooperazione è anche esso una ‘forza produttiva’»6. Anche il capitalismo si evolverà, questo è certo. Non sappiamo se cambierà in modo drastico, a tal punto da far sì che il capitale privato cessi di essere dominante o il lavoro salariato perda la sua importanza. Potrebbe accadere, grazie ai nuovi progressi tecnologici, che la produzione su piccola scala organizzata da lavoratori autonomi, o da piccoli gruppi di persone che lavorano con capitali propri e attraverso prestiti a tassi agevolati contratti presso banche statali, diventi il modo standard di organizzare la produzione. Oppure ci potrebbero essere altre combinazioni che renderebbero marginale il capitalismo così come lo hanno definito Marx e Max Weber. Nulla al momento ci consente di azzardare previsioni perché il capitalismo oggi sembra essere più potente e onnipresente che mai nella storia, in entrambe le varianti ipercommercializzate e globalizzate che ho descritto: quella liberal-meritocratica e quella politica. Come ho sostenuto nel capitolo 5, il capitalismo è entrato nella sfera privata, fin dentro le nostre case, e influisce sul nostro modo di usare il tempo libero e i beni personali (che ora si sono trasformati in capitale), sui nostri rapporti con i familiari, sui modelli matrimoniali, e così via. Sappiamo quindi che il capitalismo è più forte che mai, ma non sappiamo se abbia raggiunto il picco complessivo, o se si tratti solo di un picco locale, con un’ulteriore espansione delle relazioni capitalistiche in futuro.

         

1 «La colonia di una nazione civilizzata che s’impadronisce di un paese desolato, o così scarsamente popolato che gli indigeni cedono facilmente il posto ai nuovi abitanti, raggiunge più rapidamente ricchezza e grandezza di qualsiasi altra società umana» (Adam Smith, La ricchezza delle nazioni, libro IV, cap. 7).

2 The British Rule in India, in «New York Tribune», 25 giugno 1853, in Marx (2007, pp. 218-219).

3 The Future Results of British Rule in India, in «New York Tribune», 8 agosto 1853, in Marx (2007, p. 220).

4 «Il capitalismo si è trasformato in un sistema di oppressione coloniale e di strangolamento finanziario della schiacciante maggioranza della popolazione del mondo da parte di un pugno di paesi ‘progrediti’» (Lenin, Opere complete, 19:87, citato in Sweezy [1953, p. 24]).

5 Eric Hobsbawm, Introduzione, in Marx (1965, pp. 19-20).

6 Karl Marx, L’ideologia tedesca, in Tucker (1978, p. 157) (citazione italiana tratta da Karl Marx e Friedrich Engels, Opere, V, 1845-1846, Editori Riuniti, Roma 1972, p. 28).