10

Poco dopo colazione comparve lo sceriffo Micha Peltz. Scambiò qualche parola con gli uomini della polizia di Stato, poi li lasciò in conversazione con Kit Sheehan e Roscoe Lucas sul portico. Quando mi vide affac-ciato alla finestra del soggiorno si diresse verso di me. Uscii, e assieme ci dirigemmo alla sua automobile.

«Così questa Flo Gilbert è risultata la ragazza di Willie Arnold» cominciò.

«È inutile che ve la prendiate con me. Io sto ligio ai patti.»

Comunque non era questo l’argomento che gli stava più a cuore. «Come ha preso la storia Weatherly?»

«L’ha presa. Però se lei dovesse essere implicata più a fondo, Willie Arnold potrebbe arrabbiarsi e fare qualche colpo di testa, mettendovi in un grosso pasticcio. Oppure potrebbe saltar fuori la sua presenza a Elmton, il che sarebbe anche peggio per voi.»

Diede un calcio a un sasso. «Non potete rispondere a una domanda senza fare troppo il furbo?»

«Cercherò. La storia di Flo è passata. Una ragazza sola, seduta in macchina, di notte, a piangere sul suo amore in fuga è un piatto di sicuro effetto per il pubblico americano. Abbiamo sempre fatto eroi nazionali dei fuo-rilegge, ed è naturale che una tenera storia d’amore con una bionda clamorosa è un bel colpo.»

«Che guaio» sospirò Peltz.

«Perché non cercate di persuadere Arnold a svignarsela?»

«Ho provato. Ma è fuori dagli stracci per l’assassinio di Kahle e vuol rimanere vicino alla Gilbert. È ostinato come un mulo e non vuole intendere ragione. Dio, che guai!» Mise un piede sulla macchina. «Mi sono sbagliato con voi, Train. Siete un ottimo ragazzo.»

«Risparmiatevi i complimenti. Anche se ne avessi voglia, proprio non vedo come potrei aiutarvi.»

«Capisco.» Entrò in macchina. «Be’, forse andrà tutto bene… a meno che l’assassino non sia uno che sia caro a voi o ad Arnold.» Mise in moto e se ne andò.

Sulla scala incontrai Monty che scendeva. Aveva un aspetto eccitato.

«Sai, Rick? Mi è venuta un’idea. Penso che Flo sia uscita ieri pomeriggio e poi ieri sera per incontrarsi con Willie Arnold.»

A qualcuno un’idea del genere, prima o poi, doveva pur venire, ma io mi limitai a rispondere: «Perché non vai a dormire anche tu?»

Continuai a salire. La porta della stanza dì Flo Gilbert era aperta. Quando vi passai accanto, ella uscì sulla soglia.

«Posso rubarvi un minuto, Rick?»

Entrai nella stanza ed ella chiuse la porta. Aveva addosso una veste da camera verde che le appesantiva la figura. Il suo trucco, indubbiamente rinnovato con costanza e di frequente, era troppo pesante per far effetto a distanza ravvicinata.

«Con il vostro aspetto e la vostra abilità d’attrice» le dissi «diventerete grande, sulle scene. Li avete quasi fatti piangere, e anch’io sono stato lì lì per credervi.»

«Avevo paura di voi.»

«Goldie vi ha detto che sapevo che il vostro amico è da queste parti?»

«Sì; Mi ha detto anche che siete un tipo di cui ci si può fidare.» Mi si avvicinò e confesso che la cosa non mi dispiaceva. «Vi ho chiesto di entrare per ringraziarvi.»

«Quello che non riesco a capire è come mai vi siate messa in mostra davanti a tutti quei giornalisti. Non avete pensato che uno di loro poteva ri-conoscervi o che vi si poteva identificare dalle fotografie che vi hanno preso?»

«Volevo starmene lontana dagli occhi indiscreti. Ma poi Goldie mi ha telefonato e mi ha detto di non andare da Willie. Naturalmente lo sapevo anch’io, questo. Io però le ho detto che avevo paura che la polizia scoprisse chi ero veramente. Goldie ha detto che prima o poi ci sarebbero arrivati di certo e che mi comportassi come se non avessi nulla da nascondere. Mi ha detto anche che se la polizia mi interrogava potevo ammettere ogni cosa sul conto mio e di Willie; eccetto, naturalmente, che lui è a Elmton, in questo momento.»

«Goldie è una donna intelligente.»

«Sì. È stata lei ad aiutarmi per telefono a mettere insieme quella storia di dove ero stata ieri sera. Che effetto ha fatto?»

«Ci sono cascati, ma poi ci ripenseranno e forse comincerà a sembrare un po’ fragile. Ma non spaventatevi. Insisteteci, mettetevi anche a piangere un po’, e anche se potessero non crederci, perderebbero un po’ di tempo a provarlo.»

«Credete? Ho paura.» Mi accarezzò una guancia. «Siete un caro ragazzo, Rick.»

«Quello che faccio lo faccio solo perché mi conviene.»

La mano di Flo continuava a rimanere sulla mia guancia. «Ve ne sarò sempre grata.»

Non stava cercando di farmi crollare. Probabilmente era del tutto fedele a Willie Arnold. Le detti la buona notte, perciò, e me né andai.

Quando fui nel corridoio il pensiero di passare la notte nella stanza info-cata e angusta dell’attico mi si presentò quanto mai deprimente. Andai a cercare Olive e la trovai sui gradini a tergo della casa, in compagnia di Zachary.

«Ho deciso dì trasferirmi nella stanza che occupava il signor Kahle.

Vuoi pensare tu a cambiarmi le lenzuola?»

Mi guardò con orrore da sopra la spalla sinistra. «La stanza dell’ucciso?

Porta sfortuna.»

«Ma non è calda come l’attico.»

«Il cadavere è stato steso in quel letto, la notte scorsa.»

«È appunto per questo che voglio che siano cambiate le lenzuola.»

Zachary fece schioccare la lingua. «Che razza dì donna!»

Portai la valigia giù dall’attico. Olive stava stendendo le lenzuola. Terminò e si avviò verso la porta, poi si voltò verso di me stringendosi al petto le lenzuola usate.

«Proprio là, accanto all’armadio; è proprio là che ho trovato quei pezzi del coso da grammofono.»

«Sono molto stanco» dissi. «Buona notte.»

Aprii la valigia, mi tolsi i calzoni e li misi nell’armadio. Tutte le grucce erano ancora piene degli abiti di Kahle. Il suo rasoio, le sue ciabatte, la sua biancheria mi diedero una certa emozione; come se qualcosa di tangibile dell’uomo fosse ancora nella stanza.

Mi spogliai, spensi la luce e andai a letto.

Fui destato di soprassalto. Il sudore mi ricopriva la pelle. Qualcuno stava camminando in punta di piedi nella stanza; poi si sentì uno scricchiolio.

Aprii gli occhi. Rimasi immobile, attentissimo, mentre gli occhi si muovevano nel buio alla ricerca della fonte di quei rumori. Una forma confusa era curva accanto all’armadio. Dalla finestra non entrava alcun chiarore; solo alla luce incerta di una lampada tascabile riuscii a distinguere i con-torni della figura.

La vista dell’intruso mi destò completamente. Spinsi un piede fuori dal letto: un nuovo cigolio che mi fece l’effetto di un tuono.

L’ombra accanto all’armadio si girò di scatto. Anche la lampada si girò e la sua luce mi fu proiettata sugli occhi; ne rimasi abbagliato. Poi la luce scomparve.

Un paio di pantofole ciabattarono attraverso la stanza. Mi alzai in piedi, consapevole che sarei riuscito a vedere chi era, non appena quello avesse aperto la porta. Nel corridoio c’era sempre una luce accesa. Ma anche l’altro dovette avere questa idea, dal momento che, d’un tratto, ogni movimento e ogni rumore cessarono.

Rimanemmo così immersi nel buio, a pochi metri uno dall’altro. Mi sembrò di udire il suo respiro affannoso: ma poteva anche essere il mio.

Poi, a piedi nudi, feci un passo avanti. Potevo tentare di raggiungere la lampada sul comodino e dargli cosi un’occhiata, ma se quello era armato la cosa sarebbe stata pericolosa. Forse era meglio tentare di mettermi tra lui e la porta, chiudendolo così in trappola.

Inciampai in luì prima che mi aspettassi di raggiungerlo. Un pugno mi colpì sul petto, senza troppa forza, per altro; riuscii ad afferrare una stoffa molle, forse una veste da camera. Mossi l’altro braccio in un gesto circola-re, per riuscire ad afferrarlo. Fu a questo punto che mi colpì con la lampada tascabile.

Se fosse stato in condizioni di vedere bene quello che faceva mi poteva rompere la testa. L’oggetto metallico mi colpì invece sulla clavicola e cadde a terra. Il braccio destro mi divenne inerte. Con un gesto disperato mossi a tastoni la sinistra. Quello spinse avanti la testa e mi colpì alla radice del naso.

Non finii a terra, ma la testa cominciò a girarmi, il mio stomaco subì uno sconvolgimento improvviso e gli occhi mi si riempirono di lacrime. Penso di aver barcollato, ma non ne sono certo. La porta, in quel mentre, si aprì, e riuscii a intravedere una figura informe immergersi nella luce indistinta.

Mi gettai avanti, ma la porta mi venne sbattuta in faccia.

Mentre cercavo a tastoni la maniglia, mi accorsi che stavo gridando con tutto il fiato che avevo in corpo. Sulle labbra avevo il sapore nauseante del sangue. Finalmente trovai la maniglia e uscii nel corridoio. Le lacrime non mi lasciavano veder niente: mi asciugai gli occhi con la manica del pigiama. Il corridoio era deserto.

Una porta si apri dietro di me. Mi voltai e vidi Eliot Hacker.

«Rick! Qualcuno ha gridato.»

«Io» risposi debolmente. Mi chinai contro il muro e mi asciugai con la manica il sangue che mi colava dal naso. L’intorpidimento del mio braccio destro stava scomparendo, lasciandosi dietro un dolore acuto.

«Rick, stai sanguinando!» esclamò Eliot. «Che cosa è successo?»

Si spalancò un’altra porta. Era quella di Hertha. Rimase sconvolta alla vista del sangue che mi colava sulla bocca e sul mento. Poi arrivarono anche gli altri: Roscoe Lucas e dopo qualche istante Nadine, zia Susan, Flo Gilbert, Kit Sheehan e Blythe Amster. Zia Susan non appena mi vide fu presa da un tremito convulso. Per qualche minuto dovetti adoperarmi a rassicurarla che si trattava soltanto di sangue dal naso.

Intanto Flo Gilbert, che più degli altri era riuscita a conservare il controllo dei suoi nervi, era andata a prendere un asciugamano bagnato, mi aveva ripulito del sangue e mi aveva detto di tenere l’asciugamano contro il naso.

Non dissi nulla del mio braccio. Non sentivo nulla di rotto, del resto.

«Fareste meglio a tornare in camera vostra» mi consigliò Lucas. «Siete pallido come un fantasma.»

Mi pose un braccio intorno alle spalle, sebbene non avessi particolare bisogno di aiuto. Tutti gli altri ci seguirono. Mi lasciai cadere sul letto.

Un uomo magro, con i capelli ricciuti, in pantaloni e canottiera, fece irruzione nella stanza. Aveva una pistola in pugno. Una delle donne lanciò un grido. Per un istante non riuscii a capire chi fosse; poi lo identificai per uno degli agenti della polizia, un certo Stacey.

«Che c’è?» gridò.

Era quello che tutti volevano sapere. Raccontai: «Mi sono svegliato e mi sono accorto che qualcuno era entrato nella stanza con una lampada tascabile. Stava cercando qualche cosa nell’armadio. Evidentemente non si aspettava che qualcuno dormisse qui. Penso che sia rimasto sorpreso di tro-varmici. Ha spento subito la luce e abbiamo avuto uno scambio di colpi al buio. Mi ha dato una testata ed è scappato.»

La tensione era al massimo nella stanza.

«Chi era?» chiese Stacey.

«Non sono riuscito a vederlo. Tutto quello che so è che aveva un paio di pantofole e una veste da camera o un accappatoio.»

Gli occhi di tutti si rivolsero ai reciproci abbigliamenti. Io lo avevo già fatto. Roscoe Lucas ed Eliot Hacker avevano l’accappatoio e le pantofole, Kit Sheehan era in pigiama e a piedi nudi.. Hertha e zia Susan avevano una veste da camera e Nadine una sciarpa a coprirle un completo da notte.

Blythe si era messa addosso una vestaglietta da spiaggia e Flo era inappun-tabile in un pigiama abbastanza modesto.

«Quel che si ha addosso ora non ha evidentemente alcuna importanza»

osservai. «Avrebbe fatto a tempo a correre nella sua stanza e togliersi la vestaglia, per uscire poi, sostenendo dì essere stato svegliato dal mio grido.»

Dovevo aver parlato a voce alta. Tutti guardarono Kit Sheehan. Blythe emise un piccolo grido di protesta.

Kit si rabbuiò. «Dite un po’, non starete cercando di…»

«No, no davvero. Sto soltanto facendo una considerazione. Non scher-ziamo. Potrebbe essere stato uno di voi, uomo o donna. Certo, forse proprio una donna. Non ho visto nulla di più di un’ombra indistinta. Non ho toccato la persona, solo una vestaglia, che poteva essere benissimo quella di una donna. E il modo con cui si è battuto e mi ha colpito con una testata, potrebbe benissimo essere quello di una donna spaventata. Sono stato colpito anche da un pugno sul petto; ma il colpo è stato così leggero che può essere stata una donna a sferrarlo.»

Tutti smisero di guardarsi a vicenda.

«Ma che cosa mai poteva cercare quella persona nella stanza?» chiese zia Susan.

«Non ne ho idea. Se non che il fantasma di Olive non ha trovato quello che cercava la prima volta.»

Si sentì un profondo sospiro. Non riuscii, però, a capire da chi venisse.

«Allora Olive diceva la verità!» mormorò Eliot.

«Sembra.»

D’un tratto Hertha esclamò: «Dov’è Monty?»

Nell’eccitamento del momento non ci eravamo accorti che mancava uno di noi dieci. Qualcuno si guardò attorno come se Monty potesse essere nascosto sotto i nostri piedi.

«Monty» gridò concitatamente Hertha e uscì dalla stanza.

Eliot la guardò con un’espressione di sorpresa e di malumore, poi la se-guì lentamente. Anche gli altri si avviarono verso la porta. Attesi che fossero usciti tutti, tolsi la chiave dalla toppa interna della stanza, la infilai in quella esterna e chiusi con due mandate.

Erano tutti raccolti davanti alla stanza di Monty che era oltre l’angolo del corridoio. Tenendo il braccio inerte teso lungo il fianco, entrai. Hertha e Stacey erano i soli che erano entrati nella stanza, e la ragazza se ne stava in piedi accanto al letto, con gli occhi abbassati, pieni di un’espressione di sollievo, su Monty che dormiva placidamente. Neppure la nostra presenza lo aveva destato.

Avrei dovuto pensarci prima. Monty aveva una singolare abilità, frutto di una lunga abitudine all’attività atletica, ad avvolgersi completamente nel sonno, svegliandosi poi pienamente riposato. E il fatto che la sua stanza si trovasse all’estremità opposta della casa doveva averlo aiutato.

Nel corridoio si sentì una risata sommessa. Hertha spinse me e l’agente fuori della stanza, spense la luce e chiuse con cautela la porta.

Lungo il corridoio si stava avvicinando uno scalpiccio frettoloso. Com-parvero un secondo agente, un tipo roccioso di nome Tremp, e Zachary.

Rimanemmo fermi in piedi, mentre Stacey metteva al corrente il suo collega.

«Strano» disse Tremp, quando l’altro ebbe finito. «Qualcuno ha anche cercato di entrare nella macchina di Kahle.»

«Volete dire che avete visto qualcuno?» chiesi.

«No. È stato lui» e puntò un dito su Zachary. «L’ho visto che si muoveva nel posto dove sono parcheggiate le automobili. L’ho raggiunto e mi ha mostrato che il baule della macchina era stato forzato.»

Stacey si voltò verso Zachary. «Che cosa ci facevate là così tardi?»

«Do sempre un’occhiata attorno prima di andare a letto» rispose Zachary con arroganza. «Non ho bisogno di molto sonno, io: e così sto alzato sino a tardi.»

«Non usate quel tono con Zachary» protestò zia Susan. «Rispondo io di lui.»

«Nessuna intenzione di offendere, signora» replicò Stacey. «Del resto, sembra che qualcuno stia cercando qualcosa che apparteneva a Kahle.

Prima ha provato nel baule della macchina, poi ha pensato di trovarlo in camera.»

«Mettiamoci tutti a cercare» suggerì Blythe, come se stesse per proporre un gioco.

«È affare della polizia, questo» rispose seccamente Tremp. «Voi, gente, potete tornare a letto. Non abbiate paura. Il mio socio e io staremo qui nel corridoio.»

Gli consegnai la chiave della stanza. Tutti ritornarono verso le loro camere. Mi trattenni un poco con i due agenti, per raccontare in modo più particolareggiato il mio incontro. Poi tutti e tre ci dirigemmo verso la stanza.

Zia Susan ed Hertha mi attendevano accanto alla porta.

«Sii prudente, mi raccomando» raccomandò zia Susan. «Se qualche cosa dovesse succederti…»

«Chiuderò la porta. Fate lo stesso anche voi.»

«Non penserai…» cominciò Hertha.

«Un po’ di prudenza non guasta.»

Accompagnammo zia Susan in camera sua e le augurammo la buona notte, poi io accompagnai Hertha sulla soglia della sua.

Si chinò contro di me e le cinsi le spalle con un braccio. «E tutto questo perché la mamma ha bucato una gomma e Kahle si è trovato a passare di là. Si sarebbe del tutto felici, ora, senza quell’avvenimento.»

«Anche tu?» chiesi. «Anche se ti prepari a non sposare l’uomo che a-mi?»

Alzò il volto verso di me, per incontrare i miei occhi con franchezza.

«Lo dici perché mi sono spaventata tanto quando mi sono accorta che Monty non era in mezzo a noi?»

«Spaventata è poco. Eliot ne è rimasto colpito.»

«Davvero? Mi dispiace. Io amo Eliot, caro. Forse amo anche Monty, o forse è perché lo conosco da tanto tempo ed è stato lui la mia prima cotta.

Non so.»

Non era il momento più adatto, diavolo, per parlare degli affari di cuore, così le diedi la buona notte. Andai in bagno, mi lavai il viso e mi massag-giai la spalla con il linimento. Potevo a malapena muovere il braccio.

Quando tornai in camera mia, Tremp e Stacey stavano mettendo tutto sottosopra. Mi sedetti sul letto e rimasi a guardarli. Fecero un lavoro perfetto, ma non ebbero più successo di Weatherly e Valentine.

Appena mi accorsi che avevano più o meno finito ed erano sul punto di andarsene, dissi: «Tenete gli occhi aperti questa notte, amici. Io posso badare a me stesso, spero, ma ci sono di quelli che non ce la farebbero.»

«Lasciate fare a noi» mi rassicurò Tremp. «Prima eravamo a dormire nell’attico in maniche di camicia, ma ora credo che rimarremo tutti e due alzati.»