IV

 

Terzo ciclo (settembre 2007-luglio 2008)

 

 

Il club di Yale

 

 

Nuova riunione del club di Yale. Continuità dei partecipanti e riservatezza delle discussioni sono molto importanti. Così come lo sono i contatti con gli studenti (quest’anno ho parlato della controversia sull’aborto in Italia), le conferenze (Cass Sunstein ha tenuto una bella lezione) e i colloqui informali negli intervalli dei lavori. Si sono discussi cinque temi, principali quelli dei modelli deboli di controllo di costituzionalità, dei rapporti tra corti nazionali e corti sovranazionali e della dignità. I modelli deboli, quale quello inglese, quello canadese, quello australiano, fondati sulla nozione della supremazia del parlamento, rimettono l’ultima parola ai rappresentanti del popolo, in forme diverse. Nella prassi, si fa ricorso poco frequente al rinvio alla decisione ultima del parlamento. Di fatto, le forme deboli di controllo non si presentano in modo molto diverso dalle politiche di self-restraint.

 

 

Corte italiana e Corte di Strasburgo

 

 

La discussione sull’indennità di espropriazione e sull’occupazione espropriativa continua da prima dell’estate ed è ben preparata da colloqui a due. Circola uno schema delle due sentenze. Le proposte sono coraggiose: riconoscere che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo ha rango superiore alla legge ordinaria nazionale, anche se deve rispettare la Costituzione italiana e dichiarare illegittime le indennità che abbattano automaticamente del 40% il valore del bene e le occupazioni usurpative (che sono veri abusi di potere). Nella discussione, conclusasi con una maggioranza larghissima, si affacciano preoccupazioni e punti di vista erronei. C’è chi dichiara di aver paura, di essere preoccupato. C’è chi si interroga sulla natura di diritto fondamentale del diritto di proprietà. Chi confonde riserva di legge e principio di legalità.

 

La conclusione val bene il lavoro che è stato dedicato a queste due decisioni. Si riconosce che l’ordinamento italiano deve rispettare anche questa parte del diritto europeo. Si dà un significato al primo comma dell’art. 117 della Costituzione. Si riconosce che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo va rispettata nei termini in cui viene interpretata dalla Corte di Strasburgo. Si apre la porta all’ingresso nel diritto italiano, in una posizione superiore a quella della legge, del diritto internazionale pattizio, specialmente quello presidiato da corti (come quello dell’Organizzazione mondiale del commercio). Il riconoscimento della superiorità della Costituzione italiana (che fa da pendant ai contro-limiti per il diritto europeo) è un placebo destinato a far tacere le preoccupazioni delle «animelle» timorose delle cessioni di sovranità.

 

 

Clemenceau e il diritto penale

 

 

«Come Clemenceau diceva che la guerra è cosa troppo seria per farla fare ai generali, direi che il processo penale è cosa troppo seria per lasciarlo ai processual-penalisti»: biglietto pervenutomi durante una delle nostre discussioni. Sentenze che alternavano «Bignami» di procedura penale, riferimenti alla discrezionalità del legislatore (quando si capirà che è un errore?), timore di «disegnare» e «costruire», ossequio all’art. 23 e alla relativa riserva di legge. Quest’ultimo passaggio è il più interessante: la riserva di legge sulle prestazioni personali imposte è più forte delle altre riserve di legge della Costituzione? E una riserva di legge ha la forza di mettere a tacere la Corte costituzionale? È un punto di vista che si sposa con quello per cui non bisognerebbe muoversi, occorrerebbe tacere, per rispetto al legislatore (e perché il costituente ha voluto la Corte delle leggi?).

 

Il punto di vista del controllo debole viene esposto in un convegno con apprezzamenti del self-restraint e della «necessità di mantenersi all’interno dei confini segnati», del controllo della correttezza formale delle questioni di costituzionalità, e critiche delle «ingerenze» che vi sarebbero state in precedenza.

 

 

Tante questioni di costituzionalità, poche questioni di costituzionalità

 

 

Gli atti di promovimento sono tanti, ma solo un quarto di essi contiene questioni nuove. Gli altri riguardano questioni «coperte» (decise in casi analoghi), riproposte, manifestamente inammissibili o «esaurite» per il sopravvenire di nuove norme.

 

 

Durata e salari dei giudici costituzionali

 

 

Per Alexander Hamilton la nomina dei giudici a vita era «the best expedient which can be devised in any government» per proteggere la loro indipendenza. Ma una volta questo voleva dire quindici anni in carica. Ora i tempi si sono raddoppiati e si moltiplicano le proposte per stabilire un termine alla durata, specialmente dopo che Bush ha cominciato a nominare nuovi giudici cinquantenni. A fronte della durata a vita, i membri della Corte suprema americana hanno però un salario di 203.000 dol- lari, la metà del salario dei più alti giudici inglesi.

 

 

L’opinione dissenziente

 

 

Ha il grande svantaggio di consentire di individuare l’opinione di questo e di quello, e di etichettarlo (così in Spagna, oltre che negli Stati Uniti, dove vi sono i conservatori e i progressisti). Ma consente anche di individuare le diverse maggioranze che vengono a crearsi, così smentendo anche la stabilità dei due fronti. Anche a causa della visibilità delle posizioni dei diversi giudici, il Tribunale costituzionale spagnolo sta attraversando una grave crisi, con ricusazioni e astensioni di giudici. Una causa è anche l’esistenza di norme precise su quest’ultimo tema, che in Italia è, invece (e direi per ora), saggiamente lasciato alla discrezione dei giudici (e del collegio, anche se in questi due anni di esperienza, le poche questioni che si sono presentate sono state affrontate dal singolo giudice d’intesa con il presidente).

 

 

Intercettazioni

 

 

Le intercettazioni di conversazioni telefoniche di parlamentari, non autorizzate, debbono essere distrutte o conservate (ed utilizzate nei termini di legge)? Dilemma non poco grave. Se non vanno distrutte, possono essere in vario modo sfruttate da chi le ha fatte e da chi le ha richieste, come insegna l’esperienza. Ma il giudizio di costituzionalità si deve fare carico di questo malfunzionamento della macchina giudiziaria, oppure deve considerare solo il pericolo che in tal modo vadano distrutte prove a carico o a favore di qualcuno (l’altro interlocutore)?

 

 

La «rule of law» all’estero e a casa propria

 

 

Si può chiedere il rispetto della rule of law all’estero e non applicarla a casa propria? È questa la domanda che si pone oggi in America. Gli Stati Uniti sostengono una guerra in Iraq perché questo paese rispetti il diritto, ma, poi, applicano nel loro paese una politica che viene definita court-stripping, nel senso di sottrarre al giudice naturale la difesa di alcuni diritti fondamentali per alcune persone recluse a Guantánamo. La Corte suprema americana non ha avuto il coraggio di affermare che le procedure di tutela dei prigionieri sono strutturalmente inadeguate (come è stato affermato da uno degli avvocati difensori di alcuni detenuti algerini).

 

L’altro problema importante è quello della distinzione tra cittadini e non cittadini nella garanzia dei diritti fondamentali: basta classificare persone detenute in un modo o in un altro, per riconoscere o non riconoscere loro diritti costituzionalmente garantiti? Questi non dovrebbero essere assicurati, dove una Costituzione così dispone, a tutti gli esseri umani?

 

 

Diritti dei cittadini ed efficienza dell’amministrazione

 

 

Due gruppi di sentenze sottolineano il legame tra diritti ed efficienza. Il principio del merito nella scelta dei dipendenti pubblici non è solo questione di efficienza amministrativa (così si scelgono i migliori), ma anche questione di diritti e di eguaglianza (così tutti possono accedere su un piede di parità agli uffici pubblici). Occorre assicurare la concorrenza nell’assegnazione dei contratti pubblici non solo per far spendere meno allo Stato, ma anche per consentire a tutte le imprese parità di trattamento.

 

 

Giudici e politica

 

 

«It is the province and duty of the judicial department to say what the law is»: così la Corte suprema americana nella sentenza Marbury (1805). Ma questo compito può essere svolto da una corte che, come il Tribunal Constitucional spagnolo, è «un teatro de luchas personales y conflictos políticos entre sus miembros» («El País», 2 dicembre 2007)? E perché le lotte personali e i conflitti politici, che si possono supporre presenti in tutte le Corti costituzionali, sono venuti tanto prepotentemente alla superficie in Spagna? Forse perché lì è stata adottata l’opinione dissenziente, estranea alla tradizione dei paesi di formazione romanistica?

 

 

Un altro bilancio dell’attività della Corte

 

 

Incontro milanese di dicembre sulla giurisprudenza costituzionale 2007. Preparo, ma non svolgo, un intervento-bilancio. Eccone i punti fondamentali.

 

Oggi tutte le Corti costituzionali hanno davanti a sé due problemi: in quale misura le Corti possono opporsi alla volontà degli organi elettivi (in termini anglosassoni, counter-majoritarian difficulty)? In quale misura le Corti possono stabilire legami con altri ordinamenti?

 

La risposta italiana alla prima domanda è quella definita della passive virtue. Le inammissibilità sono salite tra il 2003 e il 2006 dal 33 al 44%. Superano il 50% se si considerano le sole questioni incidentali. Gli accoglimenti si aggirano intorno al 10%. Dunque, una Corte preoccupata, cauta. Se, poi, si esaminano le argomentazioni, si nota la frequenza dei riferimenti al potere discrezionale del legislatore, alla pluralità di soluzioni aperte, alla riserva di legge, tutti ragionamenti che inducono a non decidere. Quella della discrezionalità del legislatore è l’argomentazione più debole. La discrezionalità amministrativa sta alla legge come la discrezionalità del legislatore sta alla Costituzione: è una equazione impossibile. E, d’altra parte, parlare di discrezionalità del legislatore è un ossimoro, perché è il legislatore che pone vincoli alla discrezionalità di altri soggetti.

 

In prospettiva storica, la Corte italiana non è stata sempre tanto cauta. Faceva una volta parte di un circuito: ascoltava ed era ascoltata. Ad esempio, sull’aborto aprì la strada, poi seguita dal parlamento e dal referendum. In questo senso la Corte ha fatto parte in passato della living Constitution (Bruce Ackerman), organismo, non macchina, del quale fanno parte le grandi leggi sui diritti e le grandi decisioni della Corte costituzionale.

 

Oggi la Corte decentra, perché richiede ai giudici rimettenti di sperimentare una interpretazione conforme alla Costituzione (quindi, si riserva un ruolo solo nel caso in cui si debba annullare la legge). Non formula regole. Evita la questione di costituzionalità, se vi sono altri motivi per non decidere. Non anticipa i tempi. Evita la collisione con altri poteri. Cerca di ridurre le tensioni. Rispetta la supremazia legislativo-parlamentare per quanto possibile. Ha un atteggiamento di deference. Il contrario della «politique saisie par le droit» di cui parlava Favoreu. Dunque, vi sono esigenze insoddisfatte, bisognerebbe ristabilire il dialogo con il parlamento e con il popolo (del tipo vicenda dell’aborto).

 

Questa evoluzione – o involuzione – si colloca in un momento storico peculiare. Una volta esistevano corti marshalliane (parti dell’ordine giudiziario e operanti in un sistema di controllo di costituzionalità diffuso) e corti kelseniane (corti-organi costituzionali, titolari esclusive del controllo di costituzionalità). In ambedue i tipi di corti, sono accettati casi concreti. Gli americani dicono che la questione deve essere ripe, che deve trattarsi di un case or controversy. Dal 1982 al 1998, è emerso un nuovo tipo di controllo di costituzionalità, a carattere debole, negli ordinamenti di origine britannica, dove vale il principio detto di «supremazia legislativa», per cui il legislatore non può abdicare ai suoi poteri.

 

Si tratta dei controlli previsti in Canada (clausola del «nonostante»), nel Regno Unito (dichiarazione di incompatibilità che non produce l’invalidità della legge, ma consente un remedial order di emendamento della legge) e in Nuova Zelanda. In Israele è stata presentata una proposta dello stesso tipo del Canada (la Knesset può approvare una legge che per tre anni può produrre effetti, anche se incostituzionale). Lo sdoppiamento tra riesame giudiziale della legge e dichiarazione di invalidità consente un dialogo Corte-parlamento, ma indebolisce la prima.

 

Perché tutto ciò è rilevante? Perché una Corte che coltiva un atteggiamento passivo finisce per comportarsi di fatto nello stesso modo di Corti con controllo debole di costituzionalità.

 

 

«Völkerrechtsfreundlichkeit»

 

 

Per almeno quattro mesi la Corte ha soppesato le varie soluzioni da dare alle questioni che riguardavano i rapporti tra Costituzione italiana e Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Si intrecciavano diversi problemi: dare un contenuto all’art. 117, primo comma; stabilire se i rapporti con la Convenzione sono simili a quelli con l’Unione europea; risolvere – di questo per ora si tratta – la questione dell’indennizzo a seguito di espropriazione o di occupazione acquisitiva.

 

La sentenza Granital aveva escluso la Corte costituzionale dal dialogo con la Corte di giustizia. Le soluzioni aperte erano di due tipi. Quella austriaca del 1987, relativa all’art. 6 della Convenzione: la Corte costituzionale nazionale, in questo caso, si era posta in aperta opposizione alla Corte di Strasburgo. Quella delle Corti post-comuniste (tipo Ungheria), che hanno recepito molto rapidamente gli standard internazionali e stabilito una forte cooperazione con le Corti sovrastatali.

 

La mia posizione è sempre stata favorevole all’apertura e al dialogo. Dobbiamo riconoscere che ormai abbiamo almeno tre corpi normativi costituzionali (nazionale, comunitario, europeo) e che, in assenza di dialogo tra le Corti, ogni cittadino cercherà la migliore protezione. Bisogna prendere atto che il potere estero non spetta più al solo esecutivo, che i giudici sono i migliori organi di connessione (solo loro sono presenti a tutti i livelli, nello spazio ultrastatale, dove, ad esempio, non sono sempre presenti né organi elettivi diretti, né potenti esecutivi), che l’arena ultra-statale è un «pluralismo ordinato» (Delmas-Marty), nel quale vi è una sovranità condivisa (Poiares Maduro). Questo il motivo per cui si parla tanto frequentemente di judicial conversation e di consensual jurisdiction.

 

Se si accettano queste premesse, diventa importante stabilire le migliori tecniche di dialogo o di judicial comity. I giudici sovrastatali ricorrono a strumenti come le tradizioni costituzionali comuni (così riconoscendo l’importanza del ruolo «inferiore»), al margine di apprezzamento (così lasciando un ambito libero), alla distinzione tra primazia e supremazia (così stabilendo una superiorità non assoluta). I giudici nazionali ricorrono ai «contro-limiti» (così Solange 1 nel 1974 e Granital nel 1984, seguite da altre decisioni di altre Corti, riconoscendo il primato del diritto comunitario, ma la superiorità – sempre affermata, ma quasi mai fatta valere – dei principi essenziali costituzionali), alla distinzione tra disapplicazione e inapplicabilità, alla doppia pregiudizialità.

 

 

Pressioni sulla Corte?

 

 

Quella delle pressioni sulla Corte è questione giornalistica, alla quale sono sensibili solo coloro che ignorano le istituzioni. Perché il costituente ha voluto differenziare tanto attentamente la scelta dei giudici, se non per consentire una ponderazione migliore e un sistema di contrappesi interni tale da neutralizzare eventuali pressioni? Posso testimoniare per esperienza che pressioni non ce ne sono state. Ma – se ce ne fossero – il corpo nel suo insieme è composto in maniera tale da neutralizzarle.

 

 

Referendum

 

 

Altra scelta difficile. Lunga preparazione, con molti colloqui a due, a tre, o con ancora più persone. Conclusione rapida, in un solo giorno. Il mio ragionamento è fondato su alcuni punti. La corretta rappresentazione della volontà popolare è difficile: Condorcet l’aveva dimostrato qualche secolo fa. E la storia, anche precedente, dimostra quanto sia difficile stabilire in che modo vada attuato il principio quod omnes tangit. Se il giudice delle leggi si arresta quando una materia non è regolata dalla Costituzione (deference rispetto al legislatore), a maggior ragione deve arrestarsi quando deve valutare solo una tappa di un procedimento la cui fase si conclude con una proposta al popolo. L’eguaglianza del voto non comporta uno o altro modo di ponderare i voti. Il giudizio di ammissibilità è funzione materialmente amministrativa, anche se affidato alla Corte (basti pensare all’iniziativa, alle parti, al contenuto necessario della decisione, alla natura della decisione: si decide solo di passare oppure non passare alla fase successiva del procedimento), che qui svolge una funzione «arbitrale» (ciò che spiega le oscillazioni della giurisprudenza). Dunque, si applica il motto «Glissez, mortels, n’appuiez pas». Nel merito, se la possibilità di dare un premio alla lista era prevista, escludere il premio alla coalizione costituisce una espansione di un principio del sistema. Se la proposta referendaria vuole spingere a integrarsi piuttosto che a coalizzarsi, allora essa ha coerenza interna. Tutti gli argomenti rivolti contro la proposta referendaria possono essere rivolti alla legge oggetto del referendum.

 

 

Diritti aeroportuali

 

 

Conclusa, un anno dopo, la vicenda dei diritti aeroportuali, con un compromesso: materia statale, ma interferente con materia regionale. Quindi parere della Conferenza unificata. Attiene all’ordinamento civile, ma con legame anche con la concorrenza. Non ne sono soddisfatto, ma è il meglio che si potesse ottenere. La decisione mette in luce la pochezza dell’atteggiamento puristico per cui tutela della concorrenza si identifica con la legge n. 287 del 1990. Come se non esistessero tante altre norme a tutela della concorrenza, specialmente nell’ambito dei servizi pubblici. Una vicenda lunga, quella in materia di diritti aeroportuali. Liberalizzato il trasporto aereo, resta il monopolio naturale degli aeroporti, la cui redditività aumenta a misura che diminuisce quella delle compagnie aeree. Può lo Stato stabilire un price cap sul prezzo dei servizi resi dagli aeroporti? Le regioni sono azioniste degli aeroporti e non vogliono vederne limitata la redditività. Ma a quale titolo lo Stato interviene in questa materia? Sostengo che lo fa in nome della concorrenza. I puristi della materia sostengono che la tutela della concorrenza può attenere solo a settori concorrenziali e che gli aeroporti non lo sono. In sostanza, tutela della concorrenza equivale a legge n. 287 del 1990 (come se non esistessero altre norme in materia). Si giunge al compromesso: lo Stato esercita la competenza a titolo «ordinamento civile», che interseca la concorrenza e la materia degli aeroporti civili (concorrente). Spetta allo Stato fissare il price cap, ma sentita la Conferenza unificata.

 

 

«Imperatoria brevitas»

 

 

Lo stile delle sentenze è molto diverso. Vi è chi scrive trattati, chi si limita al punto, chi aspira a esprimere proprie idee (talvolta anche esposte in scritti già pubblicati: c’è un precedente tedesco, che fece scalpore), chi cerca di condizionare successive decisioni. Seguo la linea di uno stile asciutto, che si ferma al punto in questione, senza sbavature e inutili orpelli. Meglio lo stile del Conseil d’État francese che sentenze sbrodolate, con lunghi riassunti della legislazione ordinaria e voli pindarici. Ma questa diversità di stile pone il problema del laisser faire presidenziale e della breve durata dei presidenti. La Corte parla con stili diversi anche a causa di ciò, oltre che per la disomogeneità dei suoi componenti.

 

 

Democrazia e giustizia

 

 

Jeffrey Rosen, nello scritto su The Most Democratic Branch, ritorna sulla litania secondo la quale la democrazia americana funzionerebbe meglio se le Corti lasciassero la guida agli organi elettivi. Piuttosto che interpretare a suo modo la Costituzione, la Corte suprema dovrebbe «defer to the constitutional views of the country». Errore di confondere democrazia con giustizia. Errore di non tener conto della circostanza che i giudici giocano di rimessa. Errore nell’ignorare i diversi materiali con cui è costruita la fabbrica dello Stato.

 

 

Il teatro Petruzzelli e l’urgenza legislativa

 

 

Il teatro Petruzzelli di Bari brucia. Dopo molti anni, non si è fatto nulla. Interviene il governo con un decreto legge di espropriazione (in realtà un atto amministrativo). Questo viene convertito nel più strano dei modi. C’era urgenza? Vi è chi ritiene che questa sia un’ulteriore prova del nostro sgangherato sistema delle fonti, ma che, ciononostante, occorra estrema prudenza. Se i «casi straordinari di necessità e di urgenza» nei quali la Costituzione consente al governo di emanare un atto con forza di legge divengono uno schermo fragile, il potere legislativo si sposta dal parlamento al governo. La cosa è tanto più contraddittoria in quanto, da un lato, il governo è il «comitato direttivo della maggioranza parlamentare» (cioè, in un sistema parlamentare, indirizza l’attività legislativa del parlamento); dall’altro, il potere esecutivo è dotato di potestà normativa secondaria (regolamentare), che può essere ampliata attraverso la delegificazione. Conclusione: la Corte deve vigilare attentamente sul rispetto dei tre elementi (straordinarietà, urgenza e necessità), perché non venga operata una modificazione di fatto dell’equilibrio costituzionale dei poteri. Si aggiunga a ciò che la Corte ha, nel maggio 2007, iniziato un nuovo corso, controllando l’urgenza della decretazione governativa con effetti legislativi. Nella discussione si fanno sentire le voci tradizionali della judicial modesty, che si appellano alla prassi (sicuramente incostituzionale) e ai pericoli di aprire una cataratta (inesistenti, sia perché, dopo quasi un anno dalla prima sentenza, il caso Petruzzelli è il solo sulla questione, sia perché, se il governo tiene conto della Corte costituzionale, si avvierà un corso virtuoso).

 

 

Incapacità del fallito e Convenzione europea dei diritti dell’uomo

 

 

Ritorna il dialogo tra le Corti nella questione dell’incapacità del fallito. In questo caso, la Corte di Strasburgo si è pronunciata proprio sulla norma impugnata dinanzi alla Corte costituzionale. E le disposizioni della Convenzione europea sono collimanti con quelle della nostra carta costituzionale. Ottima occasione per confermare la recente giurisprudenza, e per aprire la porta ai nuovi casi che arriveranno (caso Dorigo).

 

Invocando la Cedu come norma interposta, la Corte ha ampliato l’ambito della sua giurisdizione, anche se si è sottoposta alla Corte di Strasburgo, sia pur facendo salvo l’intero corpo delle norme costituzionali italiane, di cui è giudice.

 

 

Può la Corte costituzionale fare rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia?

 

 

La risposta a questa domanda è stata negativa, finora, perché – si è detto – la Corte costituzionale italiana non è un giudice. Argomento sbagliato per una tesi sbagliata.

 

Si comincia a parlare di un caso nel quale si potrebbe aprire questa nuova strada, alla quale sono molto favorevole per diversi motivi. Non esclude la Corte italiana dal dialogo tra i giudici. Riconosce espressamente il valore costituzionale del diritto comunitario. Consente di risolvere l’aporia creata dalle recenti sentenze che, aprendo al dialogo con Strasburgo, hanno distinto tra rapporti con Strasburgo e rapporti con Bruxelles.

 

 

Come ne usciamo?

 

 

Un giudice emerito mi racconta che un suo collega, poi presidente della Corte, una volta ascoltata la relazione e la discussione, chiedeva, invariabilmente: «come ne usciamo?». Gli interessava uscirne, non decidere. Bell’esempio di judicial modesty, al quale si contrappone l’attivismo delle Corti supreme di nove paesi di common law, su cui ha attirato l’attenzione un libro recentissimo (a cura di B. Dickson, Judicial Activism in Common Law Supreme Courts, Oxford, Oxford University Press, 2007).

 

 

Sotto accusa a Strasburgo

 

 

La Corte costituzionale italiana sotto accusa a Strasburgo. Abbiamo dichiarato inammissibile un conflitto tra Camera dei deputati e un giudice, relativo alle accuse mosse da Bossi a Cofferati in merito all’uccisione di Biagi. Cofferati ha fatto ricorso alla Corte di Strasburgo, lamentando che gli è stato impedito l’accesso a un giudice. Ci difendiamo, anche con argomenti di qualche peso (ad esempio, il conflitto può essere riproposto da un giudice di appello), ma il ricorso deve insegnare qualcosa: non si può continuare con le inammissibilità fondate su argomenti formalistici (in questo caso, il giudice non aveva virgolettato le parole attribuite a Bossi). Anche perché è evidente l’uso discrezionale e strumentale delle inammissibilità.

 

 

Quel che piace e quello che non piace a Strasburgo

 

 

Nella discussione informale sulla questione Cofferati, emerge che forse la Corte di Strasburgo è meno contenta di quanto io credessi delle due sentenze recenti della nostra Corte. Avrebbe preferito che lasciassimo la porta aperta alla strada, presa da molti giudici, di dichiarare inapplicabili norme interne in contrasto con il diritto della Convenzione e con i giudicati della Corte di Strasburgo, così mettendo in parallelo i rapporti con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e quelli con i Trattati europei.

 

 

«Law is Everywhere»

 

 

È il bel titolo del tributo del costituzionalista di Yale Owen Fiss ad Aharon Barak (in «Yale Law Journal», November 2007, vol. CXVII, n. 2, p. 257). Fiss passa in rassegna le quattro gravi violazioni costituzionali fatte negli Stati Uniti in nome della war on terror (tortura, intercettazioni non autorizzate da un giudice, limitazioni della libertà personale, assenza di garanzie nel disporre tali limitazioni) e compara ad esse la civilissima giurisprudenza della Corte suprema israeliana presieduta da Barak.

 

 

Vero e falso federalismo

 

 

La Corte suprema americana ha discusso il potere di uno Stato di assicurare maggiori garanzie in materia penale di quelle garantite dalla Costituzione a livello federale. Si potrebbe porre la questione in Italia?

 

 

Conflitto tra poteri sul referendum

 

 

Il comitato promotore solleva conflitto con il governo circa la data nella quale si deve tenere il referendum. Troppo potere al comitato promotore, che parla a nome del popolo? Può certamente farsi portatore dell’interesse allo svolgimento del referendum, non di quello allo svolgimento in una certa data. Specialmente se non viene affrontata dal promotore del conflitto la questione di merito, che riguarda la circostanza peculiare dell’attuale referendum, relativo alle elezioni, che passa dopo le elezioni (meglio chiedere al corpo elettorale se vuole cambiare le regole prima di andare a votare, piuttosto che dopo).

 

 

Tutto il potere promana dal popolo

 

 

Si sente spesso l’eco di una concezione rousseauiana del potere pubblico, per cui tutto il potere promana dal popolo, e va quindi rispettata la volontà del parlamento. Ma Aristotele non aveva già insegnato che la formula più diffusa è quella del governo misto? Perché si è voluta una Costituzione con forza superiore a quella della legge? Perché è stata istituita la Corte costituzionale?

 

 

Una Corte senza regole certe di procedura

 

 

Tra le cause del malessere che serpeggia una è costituita dall’assenza di regole certe di procedura. Alcune sono nella legge del 1953 sulla Corte, altre sono quelle del Consiglio di Stato, a cui la prima rinvia, altre ancora nel codice di procedura civile. Per cui si sente spesso dire: «uscirò dalla Corte senza sapere se si possa o debba esaminare il fascicolo, oltre all’atto di rimessione», oppure: «uscirò dalla Corte senza sapere la differenza tra inammissibilità e merito».

 

 

Le centrali elettriche

 

 

Si discute se i beni mobili posti nelle centrali elettriche debbano essere considerati alla stregua degli immobili, ciò che porta qualche entrata alle casse comunali. Ma la legge fa un trattamento diverso ai soli beni mobili delle società elettriche, così palesemente discriminando queste. Conclusione negativa, alla quale concorrono il desiderio di consentire ai comuni di «far cassa» (e agevolare così anche la realizzazione di centrali elettriche), una certa antipatia per i monopoli pubblici e – probabilmente – una istruttoria incompleta.

 

 

Segreto di Stato

 

 

I servizi segreti sono accusati di aver concorso alla extraordinary rendition di Abu Omar (cioè al suo sequestro illegale). I giudici possono utilizzare documenti acquisiti durante una perquisizione e successivamente dichiarati segreti? La questione viene lungamente discussa, ma poi rinviata, perché le parti del conflitto, governo e magistrati milanesi, concordano per un rinvio. La questione è all’origine di una grande agitazione e di conflitti interni.

 

 

Il caso Dorigo

 

 

Dorigo, un terrorista, è stato condannato sulla base di prove che – secondo Strasburgo – sono state acquisite in modo invalido, perché non in contraddittorio. Il Tribunale di Bologna ci chiede di dichiarare illegittima la norma del codice di procedura penale che non consente la revisione del processo a seguito di una pronuncia della Corte di Strasburgo che accerta l’invalidità nell’acquisizione delle prove.

 

È una questione che andrebbe accolta. Ma si erige un muro. La questione è considerata inammissibile, perché richiederebbe una «sentenza di sistema», cioè la scelta tra numerose opzioni. Questa può essere fatta solo dal legislatore. Nella discussione sento frasi di questo tipo: c’è bisogno del legislatore per porre rimedio all’iniquità; i parametri (cioè gli articoli della Costituzione di cui si lamenta la violazione) non si possono cambiare; condizione della legittimazione della Corte costituzionale è il suo self-restraint; non si possono aprire buchi nell’ordinamento processuale; quando c’è una riserva di legge, l’adattamento all’ordinamento sovranazionale può essere fatto solo dal legislatore; non si può porre in dubbio la certezza del diritto, travolgendo il giudicato. Dall’altra parte viene ricordato che l’Italia ha firmato la Convenzione europea dei diritti dell’uomo senza riserve; che quando si sono presi impegni internazionali, bisogna rispettarli; che non bisogna aver paura di un altro grado di giurisdizione: il sistema della Convenzione è fondato sull’esaurimento dei mezzi interni, quindi sul giudicato.

 

Sostengo che la tesi dell’inammissibilità è frutto di estremismo giudiziario. Se la si accetta, bisognerà respingere tutte le questioni che richiedono l’adattamento dell’ordinamento italiano a quelli sovranazionali, perché ogni adattamento richiede aggiustamenti. Va mantenuta ferma la giurisprudenza recente della Corte, rispetto alla Convenzione, specialmente se si tratta di terrorismo, dopo il brutto esempio americano (i diritti vanno rispettati, anche quelli dei terroristi). Faccio notare che vi sono molti modi per risolvere il problema, a partire da un accoglimento, e li elenco: riconoscimento che vi sono norme consuetudinarie riconosciute in trattati, così accettando la questione di costituzionalità attraverso l’art. 10 della Costituzione; correggere il parametro costituzionale, facendo ricorso all’art. 117 anziché all’art. 10 invocato dal giudice rimettente (con la conclusione dell’accoglimento); oppure rigettare per un motivo più limitato, quale quello che la Corte di Strasburgo non indica nuovi fatti, come richiesto per la revisione del processo, ma impone solo il rispetto di una regola, quella del contraddittorio, nella raccolta dei fatti; dichiarare inammissibile la questione, ma, nel contempo, richiedere sia al giudice sia al legislatore di trovare una strada per la soluzione di un problema che coinvolge valori costituzionali essenziali, quale quello del contraddittorio. Concludo richiedendo di tenere fede alla recente giurisprudenza della Corte, di apertura verso la Convenzione e il suo giudice, di mostrare sensibilità verso il rispetto dei diritti e di non creare una rete di sbarramento, a difesa dell’approccio nazionalistico, intorno alla materia penale. La conclusione – insoddisfacente – è di infondatezza per erronea indicazione del parametro: in sostanza, il giudice non doveva lamentare la violazione dell’art. 10 della Costituzione, ma la violazione dell’art. 117 della Costituzione.

 

 

Primitivismo costituzionale

 

 

Esce una raccolta di saggi su The Paradox of Constitutionalism. Constituent Power and Constitutional Form (a cura di M. Loughlin e N. Walker, Oxford, Oxford University Press, 2007), in cui gli autori sostengono essere un paradosso, cioè una contraddizione, che il potere pubblico richieda il consenso del popolo, ma, nello stesso tempo, debba essere retto da regole e debba essere diviso tra istituzioni diverse. Ma Aristotele non aveva scritto di governo misto? E che cosa è il governo diviso? Perché il costituzionalismo non si interroga sulle varie componenti della fabbrica costituzionale e continua a meravigliarsi della coesistenza di materiali diversi?

 

Analoga meraviglia suscita la scoperta di The Constitution Outside the Constitution (titolo di un articolo di E.A. Young, pubblicato sullo «Yale Law Journal», December 2007, vol. CXVII, n. 3, p. 408). Non aveva Gramsci già ricordato come cosa ovvia che anche una circolare ministeriale può essere più importante di una solenne dichiarazione costituzionale? E Bruce Ackerman non ha ricostruito la storia costituzionale americana attorno alle principali leggi ordinarie sui diritti?

 

 

«Alluvionati mentali»

 

 

Mi dicono che Pugliatti definisse in tal modo persone nella cui mente non c’è ordine, ma un’accozzaglia di idee e nozioni. La categoria è rappresentata anche alla Corte.

 

 

La Corte e la politica

 

 

Il caso di cui sono relatore, relativo alla indeducibilità dell’Irap dalle imposte sui redditi, già rinviato in attesa di un intervento legislativo, sollecitato informalmente, viene ulteriormente rinviato in considerazione della consultazione elettorale. Il costo potrebbe oscillare intorno ai 7 miliardi (i giornali parlano di 10). La Corte non è indifferente alla politica, almeno nella scelta dei tempi.

 

 

I criteri dell’eguaglianza

 

 

Viene alla Corte il problema del criterio di computo del reddito per gli invalidi parziali e per quelli totali. Questi ultimi si lamentano che il loro reddito è calcolato su base familiare, criterio più sfavorevole di quello degli altri invalidi, per cui si misura su base personale. Ricordo che lo Stato, per assicurare l’eguaglianza in senso sostanziale, può, a sua volta, creare diseguaglianze. Che l’indicatore di situazione economica è stato introdotto per evitare ciò. Che esso va generalizzato. Che non si può invocare uno strumento peggiore, perché altri se ne vale. Ma non vengo capito. Bisognerebbe aver fatto tante letture.

 

 

«Judicial modesty»

 

 

Ecco, nell’inutile conferenza stampa annuale, le cifre della judicial modesty della Corte. Le decisioni dei giudizi di legittimità costituzionale in via incidentale nel 2007 sono state per il 45% di inammissibilità, per il 18% di restituzione atti, per il 25% di infondatezza, solo per il 12% di accoglimento. Nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale, le decisioni di inammissibilità (con quelle di cessazione della materia del contendere e di estinzione del processo) sono state del 42%, quelle di infondatezza (con quelle interpretative di rigetto) del 35%, quelle di accoglimento del 23%.

 

 

Finalmente si decide sulla questione Petruzzelli

 

 

Altra lunga discussione sulla opportunità di ribadire il principio che i decreti legge debbono essere emanati solo in casi straordinari di necessità ed urgenza. Sento argomenti tipici del quieto vivere. Principale quello per cui si provocherebbe una valanga di ricorsi. Intanto, già la decisione del 2007 dovrebbe aver prodotto questo risultato, e così non è stato. Poi, questo non è un argomento corretto: se vi è una stortura costituzionale così vistosa, la Corte dovrebbe arretrare dinanzi al «pericolo» di aver più lavoro da fare? Infine, non si deve sperare che i governi decidano una buona volta di rispettare la Costituzione, senza abusare dello strumento del decreto legge fuori dei casi eccezionali?

 

L’altro argomento, anche questo già sentito, è che l’abuso da parte del governo sarebbe sanato dalla conversione in legge da parte del parlamento. Insomma, tra moglie e marito non mettere il dito. Lascia che, se il governo invade illegittimamente l’area del potere normativo, sia il parlamento, titolare di questo potere, a sanzionarlo, non convertendo in legge il decreto.

 

 

Insofferenza nei confronti dei giudici costituzionali

 

 

Il Conseil constitutionnel ha stabilito, in febbraio, che la rétention de sûreté dei criminali recidivi va trattata come una pena e, quindi, non può essere retroattiva. Dunque, non può essere applicabile prima di quindici anni. Il Presidente Sarkozy non è contento della decisione e chiede al primo presidente della Cassazione proposte perché l’istituto possa trovare attuazione immediatamente.

 

 

Malessere

 

 

Affiora continuamente un certo malessere. Ha più origini. Il rispetto sacrale del precedente è una gabbia per molti. La possibilità di non poter far constare il proprio dissenso un peso per altri. La perentorietà di qualche giudice, che si considera il depositario della verità di un settore, disturba molti. L’assenza di discussione su molti problemi organizzativi e del lavoro in comune, che si vuole evitare per non far emergere conflitti, grava su tutti. Propongo che si facciano almeno ogni mese riunioni della Camera di consiglio in sede amministrativa. Che si faccia anche quest’anno un convegno (su proposta di un giudice, sulla delega legislativa). Che si discuta della datazione delle sentenze, della disciplina della procedura, delle ricerche, del modo di organizzazione del nostro lavoro.

 

 

Inammissibilità

 

 

Mi pare inammissibile che si faccia un uso tanto abbondante e discrezionale delle inammissibilità. Sono spesso, come è stato detto, «un’autostrada per uscire dalla questione di costituzionalità». Cioè per evitare di fare il proprio lavoro. Ad esempio, alcune volte si chiede che il rimettente indichi puntigliosamente gli articoli della Costituzione che ritiene violati, altre volte ci si accontenta di una indicazione generica. Non è meglio l’interamente discrezionale diniego di certiorari della Corte suprema americana?

 

 

Gli usi dell’eguaglianza

 

 

Tutti guardano nel giardino del vicino e vogliono ciò che ci vedono, invocando il principio di eguaglianza. Questo finisce per diventare un modo per rendere più grandi storture ed ingiustizie. Ad esempio, tracciata una via privilegiata di accesso alla posizione di professore associato per i tecnici laureati dell’università, con il riconoscimento dell’anzianità acquisita in precedenza, perché non fare la stessa cosa per i tecnici laureati che siano divenuti ricercatori? Si allarga così una concezione non meritocratica, gerarchica, piramidale, dell’università. Che tutti facciano concorsi e che ai concorsi si acceda in posizione di eguaglianza, ivi compresa la base di calcolo della pensione. Nella sentenza che debbo scrivere cerco almeno di limitare il danno, ricordando che la legge invocata prescrive che il tecnico laureato debba almeno aver svolto tre anni di ricerca.

 

 

Stato e regioni: un sistema solare o un sistema consociativo?

 

 

Nel complicato sistema creato dalla riforma costituzionale del 2001, le competenze delle regioni e dello Stato dovrebbero essere ripartite, e potere centrale e poteri periferici dovrebbero muoversi come i corpi in un sistema solare. Ma le interferenze sono molte e il compromesso si raggiunge nella Corte sempre con la tesi dell’intreccio, che finisce per richiedere collaborazione, intese, pareri ecc., ma così si modifica di fatto la prescrizione costituzionale. Si potrebbe dire che i riformatori del 2001 erano degli astratti e non si rendevano conto di quel che facevano. La Corte, quindi, è costretta a riconoscere ciò che il federalismo cooperativo (e quello associativo) ha riconosciuto da molti decenni, se non secoli, altrove.

 

 

La riserva di legge contro la Corte costituzionale

 

 

Qualcuno vorrebbe vedere un limite del sindacato della Corte derivante dalla riserva di legge, specialmente in materia penale. Errore madornale. Talune materie sono riservate dalla Costituzione alla legge per evitare gli interventi del governo e della pubblica amministrazione. Le riserve di legge sono diverse. Talora sono generiche (la legge determina programmi e controlli). Talaltra più precise (nei soli casi e modi indicati dalla legge, oppure nei casi indicati tassativamente dalla legge). Far valere la riserva di legge contro la Corte, per impedirne o attenuarne l’intervento, è paradossale, e indica una insufficiente riflessione su un secolo di storia del costituzionalismo e sul ruolo della Corte come organo di garanzia e di giudice delle leggi. Si capisce che questo ragionamento affiori in coloro che iniziano i loro interventi con l’espressione sono preoccupato oppure ho paura o che affermano di sentirsi i «reazionari che tappano la bocca alla Corte quando questa fa conquiste di civiltà».

 

 

I tre paradossi della Corte

 

 

Riunione a porte chiuse con i giudici del Conseil constitutionnel francese, da me promossa e organizzata. Sono presenti sei dei nove giudici francesi e una parte dei giudici italiani. Si discute del giudizio incidentale di costituzionalità (in Francia la riforma costituzionale in corso di approvazione introduce per la prima volta il potere di alcuni giudici di rinviare alla Corte una legge sospettata di incostituzionalità) e dei rapporti con il diritto europeo.

 

Intervengo per illustrare tre paradossi della Corte italiana. La Corte italiana, nata perché si nutriva sfiducia nei giudici, è alimentata dai giudici. Concepita come strumento di controllo di costituzionalità accentrato, ha sviluppato un controllo decentrato. Dipende, per il suo successo, dai giudici; ma sbatte tante volte la porta in faccia ad essi, con le decisioni di inammissibilità.

 

Inizialmente, i giudici vennero ritenuti troppo conservatori. Per cui fu istituita la Corte costituzionale. Gli ispiratori della Costituzione, Calamandrei, Mortati e Giannini, ritenevano che alla Corte ci si dovesse rivolgere con un’azione diretta di cittadini, organi pubblici, partiti. Ma il Partito comunista era prigioniero dell’ideologia giacobina della sovranità parlamentare e della legge espressione della volontà generale. La Costituzione lasciò aperto il punto, ritenuto da Kelsen, in un famoso saggio del 1928, capitale, dell’accesso alla Corte. Questo fu risolto poco dopo con una legge costituzionale, che adottò un compromesso, limitando l’accesso ai giudici.

 

La scelta iniziale era, proprio a causa della sfiducia nei confronti dei giudici, a favore del controllo accentrato, rimesso alla Corte costituzionale. Ma la stessa Corte costituzionale ha ampliato il numero dei rimettenti, che si può oggi stimare in circa 3.000. Inoltre, ha richiesto ai giudici rimettenti di sperimentare una interpretazione della legge conforme alla Costituzione. Solo quando ciò non sia possibile ed occorra un intervento «demolitorio», interviene la Corte costituzionale. Dunque, la Corte è giudice costituzionale di ultima istanza.

 

L’alimentazione della Corte costituzionale dipende dai giudici rimettenti. Ma questi vengono maltrattati. La Corte non è benevola nei loro confronti. È severissima nei giudizi di ammissibilità (salvo essere compiacente quando vuole esserlo). Il controllo sempre più stringente della rilevanza è un possibile motivo di crisi. Quando la Corte stessa chiude la fonte di alimentazione del proprio giudizio, si dà la zappa sui piedi.

 

 

La Corte «ricorda» che la norma esiste

 

 

Grande chiasso intorno a una mia ordinanza del novembre 2007, nella quale si ricordava semplicemente che una norma richiede di indicare nelle cartelle esattoriali il responsabile del procedimento. Interviene anche il governo con un decreto legge per salvare le cartelle di pagamento precedenti, che non indichino il responsabile del procedimento. Il principio è salvo, ma viene sanata l’inadempienza precedente. Dunque, la Corte serve anche a ricordare che la norma esiste e va rispettata (salvo intervento in sanatoria del governo). Ragion di Stato contro diritto.

 

 

Ammissibilità e merito

 

 

A chi osserva che il giudizio sull’ammissibilità viene prima di quello sul merito, i «vecchi» della Corte raccontano che anche loro, alle prime armi, l’avevano detto, ma che i loro colleghi più anziani avevano loro riso in faccia.

 

 

Prudenza e paura

 

 

A un giudice che ha sempre paura di decidere un altro giudice ricorda che si insegna la giurisprudenza, non la giurispaura. Ciò andrebbe ricordato a quanti propongono di «uscire» dalla questione, lasciandola aperta per il futuro.

 

 

Diritto internazionale e diritto costituzionale

 

 

L’apporto maggiore della Corte costituzionale, negli ultimi tempi, è stato quello costituito dall’apertura al diritto internazionale, e specialmente dal riconoscimento della Convenzione europea dei diritti dell’uomo come norma interposta e dal rinvio, da parte della Corte, alla Corte di giustizia delle Comunità europee, perché decida la questione pregiudiziale. Nel primo caso il diritto della Convenzione penetra in Italia. Nel secondo caso il diritto (costituzionale) italiano riconosce la supremazia del diritto europeo.

 

 

Prescrizione e reato continuato (l’ex Cirielli)

 

 

La discussione verte sul reato continuato e sulle sentenze peggiorative (in malam partem). Il reato continuato sarebbe unitario per la sanzione, non unitario per la prescrizione. Perché il legislatore ha scritto che vi deve essere un «unico disegno criminoso»? Le sentenze in malam partem in quali casi sono ammissibili? Sono escluse solo nel caso di sentenze additive?

 

 

Come spillar soldi alle casse dello Stato

 

 

Due casi esemplari. Professori universitari e magistrati del Molise che si battono per ottenere la sospensione del pagamento degli oneri previdenziali, disposta dal legislatore solo per le imprese private, poi estesa in modi compiacenti ai dipendenti e persino a quelli pubblici. Lo scopo della norma era di agevolare datori di lavoro privati. Che c’entrano i dipendenti pubblici?

 

Dipendenti dell’Agensud, già sufficientemente agevolati, in vari modi, nel 1993-94, chiedono l’ampliamento di una norma eccezionale che, per alcuni di essi, consente il rimborso degli oneri previdenziali non utilizzati. Ma si può ampliare la portata di una norma eccezionale? E il sistema previdenziale non è fondato sul principio solidaristico?

 

 

«Laisser faire, laisser passer, laisser tomber»

 

 

Passaglia, in un articolo del 2004 sulla «forma di governo» della Corte costituzionale, ha sottolineato il carattere non presidenzialistico della Corte. Anche il presidente Roberts della Corte suprema statunitense (che si trova in tutt’altra posizione, essendo nominato quale presidente, non eletto, e avendo un mandato senza scadenza) afferma che, essendo la Corte una istituzione atomistica, dove le aggregazioni si formano su singole decisioni, egli cerca sempre di ottenere il massimo consenso. Ma c’è un modo subdolo di presiedere senza dare all’occhio, lasciando che la discussione vada per la sua strada, ed evitando, allo stesso tempo, gli scogli, mediante la tecnica del lasciar cadere. Intanto, questioni importanti come quella del segreto (legata alla extraordinary rendition di Abu Omar), quella della Rai, quella della deducibilità dell’Irap, «scivolano». Se gli «scivolamenti» si moltiplicano, la Corte non finisce per diventare il porto delle nebbie?

 

 

Berlusconi-Caracciolo

 

 

Solito conflitto parlamento-giudici sul reato di diffamazione. Caracciolo contro Berlusconi. Sarebbe ora di portare la Corte costituzionale fuori di questo tipo di giudizi, che ci fa diventare i giudici di ultima istanza in un contenzioso senza fine e, in fondo, di limitato interesse generale. La Corte finisce per essere giudice del caso concreto, pur dovendo solo stabilire se spetta al parlamento inibire l’intervento del giudice, essendo l’opinione manifestata dal parlamentare coperta dall’art. 68 della Costituzione. Sulla questione specifica, cerco di sostenere che l’inammissibilità del conflitto può essere fondata su una interpretazione non formalistica della decisione del giudice che ha sollevato il conflitto.

 

 

Successi e insuccessi delle Corti costituzionali

 

 

Mentre il Tribunale costituzionale spagnolo si trova bloccato dalla polarizzazione (sei membri conservatori contro sei progressisti), la Corte costituzionale turca, con una maggioranza di nove contro due, fa valere gli artt. 2, 4 e 148 della Costituzione per imporre al parlamento di ripristinare il divieto del velo per le donne nelle università turche. Sempre il criterio della secolarizzazione ha indotto la Corte turca ad accettare di esaminare la domanda di mettere al bando il partito di maggioranza. Il commissario finlandese della Comunità europea ha osservato, sbagliando, che un partito che dispone del 60% dei seggi in parlamento non può essere messo al bando. Si ripete la vecchia storia, che riguarda Rousseau contro Montesquieu. Pasquale Pasquino ha di recente giustamente osservato che la storia europea smentisce la tesi per cui senza democrazia non c’è rispetto dei diritti: «lo Stato di diritto venne teorizzato da Montesquieu che non mostrava alcun particolare interesse per la democrazia [...] e iniziò ad essere messo in pratica nella Prussia della fine del XVIII secolo, sotto la monarchia illuminata di Federico II il grande; i diritti degli uomini furono formalizzati dalla Rivoluzione che pure vietava i partiti politici» (Lo spettro e l’esorcista).

 

 

Il contenzioso Stato-regioni

 

 

Il Servizio studi del Senato pubblica una breve ricerca dalla quale risulta che il contenzioso Stato-regioni è stato in straordinaria crescita tra il 2002 ed il 2006, ma negli ultimi due anni presenta segni di rallentamento, sia pur non di rallentamento consistente.

 

 

Le due voci di Ackerman

 

 

Interessante articolo di Sujit Choudhry su «Icon» dell’aprile 2008. Esamina le «due voci» di Bruce Ackerman. Quella con la quale sottolinea «the rise of world constitutionalism» e la superiorità del «constrained parliamentarism». E quella con la quale riesamina lo sviluppo costituzionale americano, portando nel quadro costituzionale lo higher lawmaking. Quanto avrebbero da imparare da Ackerman i nostri costituzionalisti, che mi paiono presi più dalla ragioneria che dall’ingegneria costituzionale!

 

 

La Corte suprema americana e gli «ospiti» del carcere di Guantánamo

 

 

Il 12 giugno 2008 la Corte suprema americana afferma che i prigionieri di Guantánamo hanno diritto all’habeas corpus. Netta affermazione dei principi del diritto, nonostante le esigenze di sicurezza. Libertà e sicurezza possono andare di pari passo, nel quadro del diritto, di cui fa parte l’habeas corpus, afferma la Corte per bocca del giudice Kennedy. Violenta e retorica requisitoria contraria di Scalia. Aveva ragione Tocqueville, nello scrivere nella Démocratie en Amérique (1835): «Il n’est presque pas de question politique, aux États-Unis, qui ne se résolve tôt ou tard en question judiciaire» e, riferendosi agli allora sette giudici della Corte suprema, «leur pouvoir est immense; mais c’est un pouvoir d’opinion»; «il faut qu’ils sachent discerner l’esprit de leur temps». I tempi erano maturi per cercare di contrastare l’assolutismo dettato dalla reazione al terrorismo.

 

 

«A giant’s strength»

 

 

L’ultimo libro di Richard Posner (How Judges Think, Cambridge, Mass., Harvard University Press, 2008) dedica un capitolo alla Corte suprema. Il capitolo è intitolato The Supreme Court is a Political Court. L’autore sottolinea che la Corte decide sempre meno casi, escludendo quelli che non hanno carattere costituzionale. Che si allontana quando vuole dai precedenti, con la tecnica del boiling the frog, e cioè progressivamente tradendoli. Che nella Corte c’è poca deliberation, cioè poca discussione. Che le sentenze sono sempre più scritte dai clerks, e cioè dagli assistenti dei nove giudici. L’autore sposa la tesi della judicial modesty e termina citando Shakespeare, Measure for measure: «[...] O, it is excellent / To have a giant’s strength, but is tyrannous / To use it like a giant».

 

Sabino Cassese - Dentro la Corte. Diario di un giudice costituzionale
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