VI
Verso il quinto anno (settembre 2009-agosto 2010)
Il club di Yale
Partecipo al solito incontro di giudici costituzionali della facoltà giuridica di Yale. I temi sono, come al solito, cinque: la detenzione senza processo; il diritto amministrativo nella giurisprudenza costituzionale; il diritto ambientale dinanzi alle Corti costituzionali; la dignità; il precedente. Discussione – come sempre – molto vivace, a riprova del fatto che il modello (stessi partecipanti, ben scelti; nessuna relazione; materiale di documentazione inviato in anticipo) funziona.
Occasione di confronti, al di là dei temi, per riscontrare caratteri comuni, peculiarità e differenze. Tra i caratteri comuni, il carattere «generativo» dei principi: «the tendency of principle to expand itself to the limit of its logic» (Cardozo); problema della interpretazione della Costituzione coerentemente con il diritto internazionale; deference al legislatore nel caso in cui sono aperte più possibilità; critiche alle Corti supreme (in questo caso quella indiana) perché operano come parallel legislature o persino come parallel constituent body. Peculiarità del contesto europeo, dove la componente parlamentare è debole (e lo era di più nella fase di fondazione) e non vi sono istituzioni con le quali competere (ciò spiega il ruolo della Corte di giustizia come motore della costruzione europea).
Sulla motivazione
Gli avvocati delle parti adoperano più motivi, nella speranza che la Corte ne trovi uno buono. Ma la Corte deve fare una scelta e non è tenuta a intessere un dialogo con le parti per ciascuna motivazione di ricorso. Il suo ragionamento deve essere diretto.
La brutta sentenza della Corte costituzionale tedesca
La sentenza del 30 giugno glorifica lo Stato e svilisce sia la costruzione europea sia il relativo parlamento. La commento sul «Giornale di diritto amministrativo». Ma va aggiunto che, se tutte le Corti nazionali si mettono a cercare la propria identità e a proteggerla, seguendo il brutto esempio tedesco, l’Unione europea va in pezzi.
Giudici temporanei e assistenti a vita?
Ulteriore proroga di assistenti che stanno alla Corte da venti-trent’anni, fatta – contro la mia opinione – con le solite furbizie (la decisione presa in termini generali un anno fa viene ribaltata adducendo esigenze specifiche).
Lodo Alfano
La Corte deve giudicare la legittimità della guarentigia disposta per le quattro alte cariche dello Stato (ma in particolare per il presidente del Consiglio dei ministri), che prevede la sospensione dei processi penali, anche di quelli per reati «extra-funzionali». Grande attesa. La Corte sulle prime pagine dei giornali. La ricerca supera le 3.000 pagine. Se ne parla in Camera di consiglio, dopo l’udienza, per poco più di un giorno, con discussione pacata, anche se c’è qualche giudice bilioso e aggressivo. Teoricamente, vi sono tre soluzioni: dichiarazione di legittimità, dichiarazione di illegittimità per violazione del solo art. 3 della Costituzione, dichiarazione di illegittimità costituzionale anche per violazione dell’art. 138 (perché la guarentigia andava disposta con legge costituzionale). La seconda soluzione avrebbe consentito una veloce modificazione normativa con legge ordinaria, ripristinando lo «scudo». Ma nessuno la sostiene.
Intervengo ricordando – tra l’altro – che Tocqueville in ambedue le sue opere maggiori cita la Costituzione del 1799 e le norme, successivamente conservate, sulla garanzia dei ministri e dei funzionari, aggiungendo che sono orrori giuridici che meravigliavano i suoi interlocutori americani.
Viene scelta la terza soluzione. Essa pone il problema della leale collaborazione. Non poteva la Corte nel 2004, nella precedente sentenza sul cosiddetto «lodo Schifani», stabilire che le guarentigie vanno disposte con norme costituzionali? O non poteva il presidente della Corte, nella usuale conferenza stampa, avvertire che l’interpretazione corrente della sentenza del 2004 (quella seguita dal legislatore del 2008, secondo il quale la sentenza era stata seguita alla lettera) non era necessariamente quella corretta? La Corte si pronuncia sempre hic et nunc, come la Pizia, o è, invece, un organo costituzionale, tenuto a collaborare con gli altri organi, avvertendo almeno che una certa strada non è necessariamente quella più sicura? Si nota qui un atteggiamento «giudiziario», che è corretto in quanto è fondato sul rilievo per cui è la domanda rivolta alla Corte che determina il modo in cui questa affronta una questione. Ma porta forse agli estremi questo atteggiamento da nume che si pronuncia solo con sentenze volta a volta (se è così, perché la Corte non fa parte dell’ordine giudiziario?).
Echi della decisione sul lodo Alfano
Il comunicato stampa della decisione porta la Corte su tutte le televisioni e i giornali del mondo. Gran numero di rallegramenti. Reazioni scomposte di critica della Corte, sempre in nome del popolo, come se anche questo non dovesse esercitare la sua sovranità nei modi e nei limiti stabiliti dalla Costituzione. Viene affacciata la possibilità di una riforma della stessa Corte costituzionale. Alcuni giornali cominciano a raccogliere notizie vere e false sul conto di qualche giudice.
Tutto questo rivela la necessità che si insista sul rapporto tra democrazia e garanzie, che molti ignorano.
Mi interesso delle crisi delle Corti costituzionali. Prima quella austriaca: in una delle due sue autobiografie, Kelsen, che ne fu in parte la causa, la racconta. Poi quella americana, con Roosevelt (ne parla Schlesinger nella sua monumentale storia dell’età di Roosevelt). Infine quella ungherese (me ne parla Lech Garlicki e ne ha scritto la Scheppele).
La Corte italiana ha vissuto altri momenti critici come questo (decisioni sui referendum, sul divorzio e sul caso Lockheed negli anni ’70; decisione sul sistema televisivo, sui referendum elettorali nel 1991 e 1993, sulla grazia a Sofri), ma nessuno l’ha portata in collisione così apertamente con una coesa maggioranza parlamentare e con il governo (e forse in parte con la Presidenza della Repubblica), con il solo presidente della Camera che si «scioglie» dallo scudo annunciando pochi giorni prima della sentenza che egli non intende avvalersene in un caso specifico nel quale è sotto processo penale.
Un parere non si nega a nessuno
Opinione di spiriti mediocri, secondo i quali le richieste regionali dovrebbero sempre essere soddisfatte almeno con un parere. Si rende così la Repubblica ingovernabile, per via degli asfissianti intrecci di competenze. L’orientamento è tanto più disfunzionale, in quanto le questioni portate in gran numero dalle regioni fanno parte, più che di un contenzioso a difesa di proprie competenze, di una guerriglia delle regioni di centro-sinistra contro il governo di centro-destra (e viceversa in altre fasi).
I giudici e la società
Se si considerano i titoli di prima pagina dei giornali, ci si può rendere conto del posto occupato dalle Corti nelle società contemporanee: decisione italiana sul lodo Alfano, decisione della Corte di Strasburgo sulla esposizione del crocefisso negli uffici, decisione dei giudici milanesi sulla extraordinary rendition di Abu Omar.
Si ripresenta il problema antico del rapporto giudici-democrazia. Il «Secolo d’Italia» titola: La Corte d’Europa? Non è depositaria della democrazia. Sulla «Stampa», in una intervista, un ex ambasciatore americano alla Nato osserva, con riferimento alla decisione milanese sul caso Abu Omar: «la corte si sta inserendo nel regno delle relazioni diplomatiche».
Questioni processuali e questioni sostanziali
La questione della decisione da prendere circa le leggi regionali impugnate dal Commissario dello Stato e promulgate dal presidente della regione senza gli articoli censurati (deve essere di cessazione della materia del contendere?) nasconde almeno due anomalie, che vanno affrontate. La prima riguarda il potere sostanzialmente legislativo che il presidente si arroga, non promulgando. La seconda riguarda la sopravvivenza, per la sola Sicilia, di questa forma di controllo preventivo. Materia nella quale vi sono molte responsabilità della Corte costituzionale, che ha accettato l’una e l’altra stortura, finora.
Seconda applicazione concreta delle sentenze gemelle (n. 348 e n. 349 del 2007), sui rapporti con la Corte di Strasburgo
Insegnanti e sindacati lamentano che una cospicua categoria (il personale amministrativo, tecnico e ausiliario-Ata, prima alle dipendenze di enti locali) si sia vista regolare il trattamento economico con una legge interpretativa, mentre erano in corso giudizi. Invocano l’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il parlamento dovrebbe abdicare a legiferare? La Corte nazionale applica il criterio, elaborato in sede sovranazionale, delle «ragioni imperative di interesse generale». Infatti, un diverso orientamento avrebbe provocato gravi conseguenze sia tra il personale, sia nell’amministrazione scolastica nella quale il personale è transitato. Ecco un bell’esempio del modo in cui le Corti, a diversi livelli, possono dialogare. Ciò avviene partendo dall’impostazione della Convenzione come «norma interposta», che consente alla Corte costituzionale di giudicare anche sulla base del parametro della Convenzione.
Convegno alla Corte sull’interpretazione costituzionalmente orien- tata
Grazie alle mie insistenze di quattro anni fa sulla necessità di continuare la tradizione interrotta dei convegni annuali e alla mia proposta di un anno fa di scegliere il tema dell’interpretazione costituzionalmente orientata, si svolge il (deludente) incontro. Prova della debolezza dei nostri costituzionalisti. Nessuno coglie il problema principale, quello della modifica del modello costituzionale accentrato di controllo. Nessuno si chiede perché, ad un certo punto, la Corte «decentra» una parte almeno del controllo di costituzionalità. Come si è evoluta la giurisprudenza della Corte a partire da quel punto.
Aggiro l’idea bacucca per cui in queste occasioni i giudici ascoltano e non parlano. Pongo una serie di domande, che resteranno senza risposta. Se questo nuovo orientamento, degli anni ’80, corrisponda ad un abbandono della concezione strettamente positivistica, oppure ad una correzione del modello kelseniano, a favore di quello marshalliano, o ad un mutamento del giudizio sull’adeguatezza dei giudici ordinari a svolgere un controllo di costituzionalità, o ad una diffusione dei valori e principi costituzionali, o ad una esigenza della Corte di sopravvivere, in presenza di un aumentato numero di rinvii, o a più di una di queste cause. Se comunque il mutamento richieda di riconoscere l’esistenza di due giudici costituzionali, uno di adeguamento, uno di annullamento, con la conseguenza che la Corte va considerata come giudice costituzionale di ultima istanza. Se si debba pensare che la giurisprudenza della Corte costituzionale sia evoluta attraverso due fasi, la prima nella quale l’interpretazione costituzionalmente orientata è stata ritenuta eventuale, la seconda nella quale è invece stata ritenuta necessaria. Non oso chiedere – per non gettare troppi sassi in piccionaia – se l’inclito pubblico ritenga questa forma di delega costituzionalmente legittima.
Visita a Karlsruhe
Con il consueto accompagnamento di quei consumi vistosi (arrivo all’aeroporto con carabinieri, sirene e lampeggianti, la cosiddetta «viabilità», aereo di Stato, accompagnamento di segretari più o meno generali e sottopancia vari, personale di sicurezza) che servono alle personcine per sentirsi davvero persone, si va a Karlsruhe, dove si lavora per un giorno con i colleghi tedeschi (o almeno lavorano coloro che non si concedono una lunga «pennichella» pomeridiana) su tre temi di grande interesse: rapporti tra ordine nazionale e ordine comunitario, rapporti tra ordine nazionale e Convenzione europea dei diritti dell’uomo, rapporti tra sicurezza e libertà.
Conservatorismo dei colleghi tedeschi sui primi due temi, sui quali parla specialmente l’autore della pessima sentenza del 30 giugno scorso sul Trattato di Lisbona. Non colgono quanto dico nella mia relazione (che le diversità si difendono non chiudendosi al dialogo tra le Corti, ma sviluppandolo) e rispondono alle mie osservazioni circa la loro glorificazione dello Stato osservando che loro non si riferiscono allo Stato della tradizione, ma allo Stato-popolo. Interesse, invece, per quanto ci dicono sul terzo tema e sui modi in cui essi stabiliscono limiti agli interventi dettati dalla necessità di garantire la sicurezza (in particolare, l’individuazione di garanzie procedurali e di un nocciolo essenziale di ciascun diritto di libertà).
Bilancio e costi
Prive di ogni effetto le mie preoccupazioni relative al bilancio della Corte. Difetti sostanziali di struttura, principale dei quali la presenza di fondi interni, investiti in obbligazioni, che danno un rendimento, utilizzato per aumentare gli stipendi. Obietto, astenendomi, che così si violano diverse norme e si commettono numerose irregolarità. Il bilancio di cassa della Corte sta intorno ai 50 milioni, quello di competenza è il doppio. E il bilancio non comprende gli stipendi base degli assistenti e quelli dei carabinieri in servizio alla Corte. Insomma, pochissima trasparenza. A cui si aggiunge il trattamento del personale: un autista ha uno stipendio lordo annuo iniziale pari a quello di un referendario dei tribunali amministrativi regionali; un direttore di divisione, uno stipendio annuo lordo iniziale, comprensivo delle indennità, pari a quello del presidente del Consiglio di Stato. E le progressioni di carriera e retributive successive sono molto più rapide e «ricche» di quelle dei magistrati. Ma la Corte è al di sopra della legge.
Tipi e caratteri
Ho visto passare ogni specie di tipi e caratteri. Il giudice «coco», che conosce due argomenti e solo su quelli parla. Il giudice stanco. Il giudice petulante, che studia ma argomenta sempre in tono minore. Il giudice che deve ancora imparare. Il giudice che non sa e non cerca neppure di sapere. Il giudice bravo, ma che «aggiusta» al momento opportuno le sue argomentazioni con ragionamenti pratici. Il giudice «fino fino», ma affezionato alle sue passate sentenze (che non ha ancora imparato a liberarsi dell’accento napoletano). Il giudice che fa concioni, ore rotundo. Il giudice che quando illustra le questioni confonde le idee agli ascoltatori. Il giudice che confonde giudizio di costituzionalità con giudizio di legittimità. Il giudice episodico, che rapidamente s’infiamma. Il giudice sdegnoso e preoccupato dei simboli del prestigio, con forte accento del suo paese. Il giudice bravo e preparato, ma partigiano.
La biblioteca della Corte
È uno dei patrimoni della Corte. 120.000 volumi, con donazioni importanti di giudici (Astuti, Lampis, Ferri). Gli addetti lamentano sempre assenza di spazi, ma non è chiaro perché. In passato sono state rifiutate donazioni importanti, quelle di Costantino Mortati e di Antonino de Stefano. Lo stanziamento per acquisto di libri e riviste è di 200.000 euro. La biblioteca della Corte tedesca ha tre volte il numero dei volumi e tre volte lo stanziamento della Corte italiana.
I topi nel formaggio
Una buona parte dei casi che arrivano alla Corte sono di quelli che ci tentano, per avere la pensione più alta, indennizzi più ricchi, maggiori favori, tutto in nome dell’eguaglianza, quest’ultima declinata sempre secondo il modulo «voglio l’erba del mio vicino, che è più verde».
La prigione della fantasia
Non c’è dubbio che il lavoro della Corte consista in un grande esercizio di logica e di retorica, la prima usata per analizzare e capire, la seconda per convincere. La Corte è, invece, la prigione della fantasia e dell’intuizione, in cui pure consiste il lavoro scientifico.
Due giudici costituzionali americani
Uno chiede all’altro: «Do you ever have one of those days when everything seems unconstitutional?».
Un mercato per gli avvocati
Il 1º marzo 2010 entra in vigore la riforma costituzionale francese, che ha dato accesso al Conseil constitutionnel tramite ricorso incidentale. Per un osservatore italiano, è dotato di un filtro strettissimo, perché solo Corte di cassazione e Consiglio di Stato possono agire da tramite tra giudici inferiori e giudice costituzionale. Eppure «Le Figaro» del 14 dicembre 2009 titola: Réforme constitutionnelle: un marché pour les avocats.
«La traumática historia de un tribunal en diez recusaciones»
È il titolo di un articolo del «País» del 20 novembre 2009, relativo al Tribunale costituzionale spagnolo, dove vi sono ricusazioni incrociate, un giudice morto non sostituito, alcuni giudici scaduti in proroga, altri che scadono quest’anno, tutti da rimpiazzare. E pende la decisione sullo statuto della Catalogna. Situazione di marasma.
La Corte italiana nel giudizio del pubblico esperto
Secondo Francesco Forte, «occorre ridurre i casi in cui la Corte costituzionale ha una discrezionalità che si presta alle scelte politiche, onde dare al diritto certezza e imparzialità. L’unico arbitro tra i poteri, in una democrazia su basi liberali, è il “popolo sovrano”» («il Giornale», 12 dicembre 2009). Secondo Gaetano Pecorella, «i cinque giudici eletti dal Parlamento [...] oggi sono sbilanciati a sinistra» («Corriere della Sera», 13 dicembre 2009). Se studiosi e «persone informate dei fatti» dicono questo, che diranno gli altri?
«The Majesty of the Law»
È il titolo di un libro del 2003 della (ora ex) giudice della Corte suprema Sandra Day O’Connor. Nei primi capitoli vi sono notizie interessanti sulla Corte americana. In particolare, la storia dei Reports. Fino alla metà dell’800, i giudici davano la loro opinione oralmente. Imprenditori privati prendevano nota e pubblicavano le decisioni, da loro interpretate, con ritardo, spesso in modo poco corretto. Solo quando fu deciso che le decisioni non dovessero essere coperte da copyright, la situazione si normalizzò.
Opinione dissenziente. Un mondo ammuffito o impaurito?
La Corte ha discusso più volte sulla legittimità e sulla opportunità della introduzione dell’opinione dissenziente. All’inizio del 2010 la scena si ripete. La riunione è informale, non vi è obbligo di segreto. Solo in tre siamo dell’opinione che si possa introdurre il dissenso senza ricorrere a legge. E solo quattro favorevoli alla introduzione del dissenso.
Ho tenuto alla Corte una lezione sul tema, che è stata poi pubblicata. Mi limito a dire che l’argomento contrario che invoca l’alta conflittualità italiana può essere rovesciato: proprio perché il paese è così conflittuale è bene che la Corte possa esprimere e rendere note opinioni divergenti argomentate. Ciò arricchisce il dibattito, non lo attizza. E si potrebbe arrivare all’opinione dissenziente nominativa in un percorso a tre tappe, cominciando con l’esporre nella motivazione le diverse tesi considerate, passando a indicare che tali tesi sono state fatte proprie da un certo numero di giudici, arrivando alla indicazione nominativa dei giudici e alla redazione di loro opinioni dissenzienti o concorrenti. Faccio notare ai sostenitori della tesi secondo cui il segreto è legato all’indipendenza e all’imparzialità che nella Corte italiana mancano norme sull’astensione e sulla ricusazione. Infine, faccio un’analisi della portata del principio opposto, quello del segreto, mostrando quanto sia incerto: comporta solo l’attribuzione di una opinione a una persona, il giudice può essere sciolto dal segreto per deporre come testimone, non si può divulgare la notizia che un giudice non monocratico ha deciso all’unanimità (perché in tal caso si avrebbe indicazione nominativa), non è chiaro quanto duri il segreto. A riprova ricordo quanti giudici, terminato il mandato, hanno dato anche in convegni notizie sui modi in cui sono state decise questioni di costituzionalità. Andrioli scrisse una nota a commento di una sentenza decisa dalla Corte di cui faceva parte. Parole sprecate.
Ancora sulla «pietas» alla Corte
Si discute del diritto alla agevolazione nell’accesso all’abitazione per extracomunitari con permesso di soggiorno. Fronte comune dei difensori della legge Bossi-Fini.
Insegnante di sostegno a disabile
Una legge stabilisce limiti all’utilizzo di precari per assicurare insegnanti di sostegno a disabili. Il diritto all’istruzione è un entitlement senza limiti? Questo problema non viene affrontato, dandosi per scontato che limiti non possano esservi. Qui prevale il pietismo, nonostante che nella regione di cui si discute (Sicilia) vi sia un rapporto disabili-insegnanti di sostegno tra i migliori d’Italia. La Corte decide di cambiare la norma, facendo rivivere quella abrogata, che consente alle autorità locali di stipulare contratti per assumere precari. Si oppongono i due soliti temi: non possiamo decidere ignorando quel che succede a causa del lassismo burocratico e della fame di posti (abuso nell’uso delle norme); dobbiamo tirare dritto per la nostra strada, ignorando la realtà (in Sicilia i disabili vengono usati per creare occupazione). I sostenitori abituali della tesi che la Corte deve rispettare le scelte legislative, la cosiddetta «discrezionalità del legislatore», finiscono per riscoprire la norma abrogata e sostituirsi al parlamento.
Dodici magistrati nemici del presidente del Consiglio dei ministri
In una intervista al «Riformista» (22 gennaio 2010) l’onorevole Pecorella, già candidato come giudice della Corte, dichiara: «Non c’è dubbio che nella Corte costituzionale ci siano dodici magistrati che non sono sicuramente amici del Presidente del consiglio».
Braccio di ferro tra Stato e regioni
Continua lo stillicidio dei conflitti Stato-regioni. Nasconde numerosi paradossi. Una riforma costituzionale affrettata, quella del 2001, fatta dalla sinistra per guadagnarsi il favore dei «federalisti». «Federalisti» che promettono molto, ma, essendo al governo, non attuano neppure quel tanto di regionalismo che la Costituzione già garantisce. Regioni di sinistra che impugnano, per motivi per metà burocratico-legali e per metà politici, a tappeto, leggi adottate da un governo che si proclama federalista ma si comporta da centralista. Ultimo paradosso, questo della Corte: si discute di ogni minimo particolare delle norme impugnate, non del fondo e del contesto (ad esempio, quella principale, del 2008, che contiene una intelligente manovra finanziaria triennale, è un collage di disposizioni tutte dirette a conseguire risparmi finanziari, ma questo è ignorato dalla Corte). I governi debbono fare più (a causa della crisi) con meno (a causa della forte pressione fiscale, che non consente di aumentare le imposte). La Corte ne è consapevole?
Singole sentenze e flusso di decisioni
Le riviste di giurisprudenza e le altre pubblicazioni periodiche che commentano una per una le decisioni della Corte fanno un pessimo servizio alla Corte: non è tanto la singola sentenza che conta, quanto il flusso di decisioni (basta leggere il recente volume di Barry Friedman su The Will of the People). Una Corte va giudicata nel suo complesso, non per singole decisioni.
Grossolanità ed erraticità contro sottigliezze
C’è una evidente sproporzione tra la grossolanità delle leggi italiane (gli uffici studi legislativi hanno smesso da tempo di tentare di fare il loro mestiere) e le sottigliezze dei ragionamenti della Corte costituzionale sulle leggi. Così come c’è una evidente sproporzione tra i ragionamenti giuridici della Corte e la casualità dei ricorsi in via principale: chi ci assicura che venga adoperato lo stesso metro da parte del governo centrale nell’impugnare le leggi regionali, e che le regioni, a loro volta, facciano lo stesso nei confronti delle leggi statali? L’impressione che talora prevalgano considerazioni politiche (governo che ricorre contro leggi di regioni di altro colore politico), talora ragioni burocratiche (uffici che si vedono sottrarre competenze dalle regioni), talora il caso. Insomma, l’edificio giuridico della Corte in materia di conflitti di attribuzione si erge sull’erraticità dei ricorsi. Alla fine, è utile avere un arbitro? È utile che questo cerchi di fissare criteri?
100.000 pagine
Nel recente caso deciso dalla Corte suprema americana relativo al finanziamento di campagne elettorali da parte di società i pareri legali raggiungevano le 100.000 pagine. Non solo in Italia si consuma carta.
«Social card» e piano casa
Due passaggi importanti del governo, «salvati» dalla Corte. Ma possibile che un governo nel quale forte è la componente federalista adotti normative «centraliste», attaccate dalle regioni e salvate da una Corte della quale si lamenta che sia «centralista»?
Le regioni giocano con la Corte
Numerose le leggi regionali modificate non appena il governo le impugna alla Corte, talora per davvero, talaltra in modo ambiguo, in modo da dire e non dire.
Il diritto siciliano
Per antico diritto – un diritto ben poco legittimo costituzionalmente – il presidente della regione siciliana può promulgare le leggi impugnate dal Commissario dello Stato, sopprimendo gli articoli oggetto di impugnazione. Autentico orrore giuridico: un controllo ex ante, un presidente che svolge funzione legislativa. La Corte ha chiuso ambedue gli occhi. Se ne discute. Viene proposto di ritornare al diritto eguale per tutti: niente controlli preventivi; regime ordinario di promulgazione. Prevale la tesi che, dato che nessuno si lamenta dell’attuale situazione, quieta non movere.
Conferenza stampa
Solita e inutile conferenza stampa. Nessuno fa le domande giuste, nessuno dà le risposte giuste. Si dovrebbe discutere del pericoloso calo dei ricorsi incidentali. Della conflittualità Stato-regioni. Delle molte decisioni sulla manovra del governo del giugno 2008, che ci hanno impegnato per mesi. Invece, punture di spillo sui «comunisti» della Corte, con difese deboli (se succede anche in America e Francia, dove sta l’anomalia italiana?).
Della Corte i giudici non scrivono (neppure dopo)
Vassalli nel 2006 ha scritto: «dei nove anni in cui fui giudice alla Corte non mi sembra sia il caso di scrivere». Perché? Se non scrive – con le dovute cautele – chi ci è stato, chi altri deve o può scrivere?
I controlli preventivi
Una legge statale ripristina i controlli preventivi su alcuni atti (affidamenti di incarichi da parte delle regioni) e una parte della Corte è tentata di riconoscere la legittimità della norma, nonostante che nel 1994 i controlli preventivi di legittimità della Corte dei conti in forma generale siano stati soppressi e conservati soltanto su alcuni atti statali e che successivamente siano stati soppressi i controlli preventivi sugli atti regionali. Discussione accesa. Prevalgono il buon senso e la Costituzione.
I diritti degli stranieri
Problema della concessione di assegno di inabilità parziale a extracomunitario. Viene evocata la Convenzione europea dei diritti dell’uomo che vieta discriminazioni nel riconoscimento di diritti a sfavore degli stranieri. Ma la norma vale per i diritti di libertà o anche per i diritti a prestazioni positive dello Stato? Non si dovrebbe bilanciare il riconoscimento del diritto con la spesa che comporta? Non si dovrebbe richiedere almeno un periodo minimo di contribuzione, in modo da evitare il «turismo assistenziale»?
La Corte «baluardo cattocomunista»
È il titolo di un articolo del «Giornale» (14 aprile 2010). Si affaccia sui quotidiani la tesi che tutti i componenti della Corte siano eletti dal parlamento, invocando il precedente tedesco. Tra la politica e il diritto, si vuol far prevalere la prima.
Perché il papa non è rimasto ad Avignone?
Suona così un biglietto che mi giunge durante la discussione sulla questione dell’unione tra persone dello stesso sesso. Il giudice veneziano rimettente chiede, passando attraverso il riconoscimento dei diritti inviolabili della persona e il principio di eguaglianza, la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una serie di norme di legge che riferiscono il matrimonio solo a persone di sesso diverso. La Corte distingue, dichiarando infondata la questione relativamente all’art. 3, connesso al 29 (sulla famiglia), ma inammissibile la questione relativamente all’art. 2. Concretamente, questo vuol dire che per la Corte la famiglia, fondata sul matrimonio, è solo quella che unisce persone di sesso diverso. Ma che persone dello stesso sesso hanno diritto a costituire unioni, che sono formazioni sociali riconosciute dalla Costituzione. Queste unioni, tuttavia, possono essere regolate in modi diversi, come si nota esaminando gli esempi stranieri. Dunque, la Corte deve arrestarsi alla dichiarazione del diritto. Spetta al parlamento regolare le unioni.
Discussione molto tesa. Si parte con una chiara maggioranza favorevole al rigetto totale, si giunge (anche a causa del modo di votazione prescelto e nonostante l’atteggiamento estremistico dei sostenitori del riconoscimento delle unioni omosessuali) ad una soluzione che distingue famiglia e unioni di altro genere, ma afferma l’esistenza di un diritto a veder regolate tali unioni.
Si conferma l’osservazione secondo la quale il cleavage cattolici-laici non corrisponde a quello progressisti-conservatori. La Corte non è una piccola assemblea politica che decide secondo logiche di maggioranza precostituite (osservazione di Valerio Onida in un articolo su Politica e giustizia, in «il Mulino», n. 1, 2010).
La nomina e il conflitto
Eugenio Scalfari ha raccontato (autorizzato dalla fonte delle sue informazioni, il Presidente Ciampi stesso) sulla «Repubblica» del 14 marzo 2010 la vicenda (a me nota) della firma della nomina mia e degli altri due giudici. Difficoltà fatte dal presidente del Consiglio, che avrebbe voluto altri nomi (come ha poi detto a me). Firma di Ciampi, con riserva di sollevare conflitto dinanzi alla Corte in caso di mancata controfirma. Dura reazione. La controfirma arriva solo in serata, preceduta da una telefonata di Berlusconi ai tre giudici (ma sono sicuro solo di due telefonate).
Mandato di arresto europeo e divieto di discriminazione
Il rifiuto di consegna di persona colpita da mandato di arresto europeo riguarda solo cittadini italiani o anche cittadini di altri paesi europei residenti in Italia? La questione viene alla Corte invocando il divieto di discriminazione. Ma si può dire che qualunque cittadino europeo, anche di altra nazionalità, acquisisca diritti che derivano dalla nazionalità? E, in caso positivo, dopo quanti anni?
La questione pone più generali problemi di eguaglianza. Si ripete quanto avviene per i diritti a prestazioni sociali: dopo quanto tempo uno straniero-europeo può ritenersi inserito nella comunità nazionale? È inserito a pieno titolo e a tutti gli effetti? E la Corte, nel giudicare, applica il principio nazionale di eguaglianza, oppure il divieto di discriminazione comunitario? E la parificazione è un compito del legislatore o del giudice?
Elezioni e giudice: ancora su politica e diritto
Anche l’esclusione di una lista nel corso del procedimento elettorale va impugnata dopo la proclamazione degli eletti. Troppo tardi, quindi non consentendo una tutela cautelare. Una lesione di situazione giuridica soggettiva che discenda direttamente da un atto definito «endo-procedimentale» deve essere suscettibile di impugnazione immediata e di tutela cautelare, d’urgenza. Così decide la Corte. E la decisione mi pare nella direzione delle linee di fondo dell’ordinamento italiano, che sottopone al diritto e alle Corti il procedimento elettorale: la politica decide sotto il controllo del diritto.
Due piaghe del pubblico impiego
Due piaghe del pubblico impiego sono il sistema detto delle «spoglie» e la sistemazione in ruolo dei precari. Sono due piaghe prodotte dalla peggiore politica, che si vuole impadronire della macchina pubblica e usarla a suo piacimento. La Corte costituzionale – mi fa osservare un mio collega giudice – sta scoprendo e valorizzando l’art. 97 della Costituzione (imparzialità, efficienza, accesso mediante concorso). La nostra giurisprudenza sta «stringendo i bulloni» di queste norme, proteggendo l’interesse pubblico e il diritto di accesso di tutti contro l’invadenza della peggiore politica (spesso quella regionale).
Reato di clandestinità e aggravante di clandestinità
Questioni di forte impatto politico, avendo il governo e il parlamento deciso da non molto che la clandestinità è un reato (punito con ammenda, ma seguito da espulsione) e che il clandestino che commetta altro reato viene punito due volte, una perché clandestino, una perché ha commesso un reato. La Corte salva il reato di clandestinità, ma boccia l’aggravante di clandestinità. Assume un ruolo importante nella prima decisione l’esame del diritto straniero: molti paesi europei considerano l’immigrazione irregolare un reato. L’aggravante di clandestinità, invece, viola la regola del ne bis in idem.
Una rivoluzione democratica e simbolica
È il titolo di un articolo di «Le Monde» sull’inizio della nuova vita del Conseil constitutionnel, chiamato a giudicare sulla «questione prioritaria di costituzionalità» (l’equivalente dell’esame incidentale di costituzionalità italiano). Prima udienza pubblica. Primi problemi (la Corte di cassazione solleva un problema di conformità al diritto comunitario dinanzi alla Corte di giustizia europea, su cui il Conseil constitutionnel prontamente ribatte). Frequenti mie consultazioni con colleghi francesi, che sono interessati all’esperienza italiana. Per loro finora è stato dominante il mito giacobino della legge espressione della volontà generale, non sottoponibile all’esame del giudice.
Un nuovo giudice americano
Obama ha nominato Elena Kagan alla Corte suprema. Ci si prepara alla procedura di conferma senatoriale. Emergono frasi scritte dalla Kagan a 23 anni, quando studiava ad Oxford, prima che cominciasse gli studi di diritto. Aveva scritto che non è necessariamente sbagliato che il giudice cerchi di «modulare» o «guidare» le norme per raggiungere fini sociali, purché questi siano radicati in principi giuridici accettati dalla società. Frasi innocue, che divengono atti di accusa.
La presidenza
Si comincia a parlare della prossima presidenza. C’è chi ritiene sbagliato eleggere presidenti destinati a durare tre-quattro mesi (ben tre presidenti nel 2011). Chi ritiene che occorra acquietarsi a questa prassi, per non aumentare le tensioni interne. Sullo sfondo l’irrisolto e chiacchierato problema dell’indennità di rappresentanza, che qualche ex presidente si è portato dietro nello stipendio o nella pensione successiva. Occorre stabilire un criterio, ma ogni criterio finisce per danneggiare qualcuno e favorire qualcun altro. Finirà per prevalere lo status quo?
Notizie dall’estero
Negli Stati Uniti, per il procedimento di conferma del nuovo giudice Kagan, dinanzi alla Judiciary Committee del Senato, saranno presentate 160.000 pagine di documenti, relativi al candidato. Il Tribunale costituzionale spagnolo ha, con sei voti contro quattro, concluso il suo giudizio relativo allo statuto della Catalogna, giudizio durato quattro anni. Due eccessi da non imitare.
Alitalia
La legge speciale sull’Alitalia prevede una procedura speciale, che fa solo in parte capo all’Autorità antitrust. D’accordo nell’affermare che la Costituzione prevede la tutela della concorrenza, ma non necessariamente la competenza della specifica autorità, ci si differenzia nella motivazione. Prevale la preoccupazione di non riaprire una ferita recente. Ma pesa anche la strana pretesa di chi ha sollevato la questione, di costituzionalizzare non solo la tutela della concorrenza, ma anche la competenza della relativa autorità, come se quel fine non possa essere raggiunto anche da altri soggetti dell’ordinamento.
Non si può far diventare pena la custodia cautelare
Reati odiosi: pedofilia. Ma perché chi ne è accusato deve, prima di essere giudicato, essere sottoposto a una pena (custodia cautelare necessariamente in carcere)? La eventuale necessità del carcere preventivo deve essere valutata dal giudice, non può essere stabilita per legge, ex ante e una volta per tutte. È un altro argomento sul quale ci si divide, con chi è per la linea dura per principio, chi la difende perché preoccupato del diffuso allarme sociale circa il reato dell’incolpato.
«Noi facciamo le leggi, e la Corte costituzionale le cassa»
È un ritornello del presidente del Consiglio. In mezzo, ci sono – dice – i giudici che rinviano alla Corte. Visto dall’interno, un giudizio errato. Le leggi «salvate» sono più di quelle «cassate». Ma questo sarebbe facile da valutare anche dall’esterno: basta prendere i dati sui ricorsi e quelli sulle decisioni di annullamento. Ma nessuno – dottrina, giornali, opinione pubblica in generale – lo fa. Pigrizia intellettuale, cultura della chiacchiera e del commento a vuoto.
La ragion di Stato
Norma sulla utilizzazione di beni per scopi di interesse pubblico in assenza di valido provvedimento ablatorio. Nel caso specifico, un bene sottratto a privati da un comune del casertano per collocarvi un campo da pallone, non costruito dopo ben vent’anni. Si osserva che lo strumento si presta ad accordi tra privati e poteri pubblici per sottrarsi alle procedure ordinarie di espropriazione, con vantaggio della inerzia amministrativa e della tasca del privato (che viene indennizzato e risarcito meglio). La legge che prevede questo abuso del diritto è contenuta in un testo unico emanato con lo scopo di ordinare e razionalizzare leggi esistenti. Invece, il Consiglio di Stato ha inteso la delega in termini molto più ampi, anche per tener conto del diritto vivente creato dalla giurisprudenza, specialmente quella amministrativa. Il Consiglio di Stato si è glorificato diventando legislatore. Discussione accesa e rinvio a breve distanza della decisione. Quelli contrari al rigetto fanno valere la ragion di Stato: il legislatore non sa fare il suo mestiere; occorre una supplenza; non si può toccare questa norma perché in tal modo cadono tutti questi testi unici molto innovativi, che vanno oltre la delega legislativa (ma con il legislatore acquiescente); se lo Stato non funziona, e occorre rispettare vincoli europei, non si possono rispettare i vincoli costituzionali. Insomma, una nuova e strana ragion di Stato.
Un nuovo «cleavage»
Emerge sulla questione delle elezioni europee. La Corte deve decidere sullo slittamento di seggi dal Sud al Nord, che avviene regolarmente a causa del meccanismo che premia l’affluenza al voto. Il parlamento è stato consapevole, nei dibattiti del 1979, del 1984 e del 2009, di questa contraddizione tra seggi assegnati per legge sulla base della popolazione e seggi concretamente attribuiti sulla base del numero dei votanti. Viene richiesto alla Corte di constatare la irragionevolezza della legge. Propongo una infondatezza, perché la norma stessa è fondata su un collegio unico nazionale, su un calcolo nazionale, in vista di una elezione europea. La rappresentanza territoriale passa necessariamente in secondo piano. Ma i «sudisti» sono almeno alla pari dei «nordisti». Propongo, per uscirne, una inammissibilità, seguendo un modulo particolarmente contraddittorio, ma abbondantemente presente nella giurisprudenza della Corte: si entra nel merito, riconoscendo una incongruenza, ma se ne esce dicendo che ad essa si può porre rimedio in molti modi, per cui spetta al legislatore farlo.