III

 

Secondo ciclo (settembre 2006-luglio 2007)

 

 

Yale: corti marshalliane e corti kelseniane

 

 

Al seminario di Yale, al quale sono stato invitato con altri quindici giudici costituzionali di molti paesi, si discute delle diverse formule, principali quelle della giustizia costituzionale diffusa e della giustizia accentrata. È una comparazione difficile. In Italia, il sistema è kelseniano, nel senso di accentrato, ma la Corte richiede che il giudice remittente accerti, prima di inviare la questione alla Corte costituzionale, se non vi è la possibilità di una interpretazione della norma conforme alla Costituzione. Dunque, la questione di costituzionalità è sottoposta alla regola dell’accentramento solo se può implicare una dichiarazione di incostituzionalità e caducazione della norma. In tutti gli altri casi, sono i giudici che provvedono a conformare alla Costituzione la legge. Inoltre, il controllo di costituzionalità interno è accentrato, non quello esterno: i giudici possono disapplicare le norme interne non conformi alle norme europee, che sono un higher law rispetto al diritto interno non meno della Costituzione stessa.

 

 

L’opinione dissenziente

 

 

Che il giudice debba esprimere una sola opinione discende dalla circostanza che la giustizia veniva amministrata in nome del re, che non poteva avere due opinioni. Poi, l’impianto logico-sistematico ha indotto a pensare che a ogni problema giuridico vi sia una ed un’unica soluzione. Ora il re non c’è, e prevale il pluralismo. E la scienza giuridica è abituata all’idea che un problema possa avere due o più soluzioni. Perché, allora, non ammettere la dissenting opinion?

 

Nei paesi che conoscono l’opinione dissenziente, questa ha origini ben diverse da quelle che vengono usate per sostenerne l’uso oggi (permette di esprimere le vere opinioni dei giudici): le opinioni venivano date seriatim, senza discussione collegiale, e venivano espresse oralmente, dal bench.

 

 

Giudici e legislatore

 

 

Si sente spesso in Camera di consiglio la frase: non andiamo in contrasto alla volontà del legislatore, non forziamogli la mano. Oppure: questa è materia per la discrezionalità del legislatore. Considerazioni analoghe negli Stati Uniti con la political question. Insomma, dove deve fermarsi la Corte (se si deve fermare)?

 

Dal punto di vista strettamente giuridico, la Corte ha un solo limite: la Costituzione. Come ha scritto Cheli, la norma della legge n. 87 del 1953 sul potere discrezionale del parlamento è un errore e va considerata come non scritta. La formula corretta non è dove deve fermarsi la Corte, ma fino a dove si estende la Costituzione, che la Corte è chiamata a difendere. Se una questione è fuori della Costituzione, la Corte deve fermarsi.

 

Di fatto, vanno però considerate due altre questioni. In teoria, nulla è fuori di una Costituzione interpretata con intelligenza (si pensi alla non irragionevolezza tratta dall’art. 3). Ma la Corte fa parte di una national political alliance (credo che sia l’espressione usata da Dahl in uno scritto sulla democrazia di trent’anni fa) e non può andare contro corrente per un lungo periodo di tempo. Questo non vuol dire cadere nelle panie del popular constitutionalism, tanto popolare negli Stati Uniti.

 

 

Il diritto vivente

 

 

Ecco un altro problema difficile. La Corte fonda il suo giudizio sul diritto vivente. Ma questo non è il diritto legislativo, la norma dettata dal legislatore, bensì la legge come interpretata e applicata dai giudici. Dunque, la Corte lavora su una realtà che è ben diversa dalla volontà del legislatore, o è questa in quanto filtrata dall’applicazione che ne fanno i giudici «inferiori».

 

 

Il lavoro dei detenuti

 

 

Si ricomincia con una questione che avevamo lasciato aperta, quella del diritto applicabile al rapporto di lavoro dei detenuti. Questione complicata sotto il profilo della ammissibilità, perché appare sollevata la questione della competenza del giudice di sorveglianza, non quella del rito che esso segue, e che non garantisce il diritto di difesa. Sostengo la tesi che la Corte deve interpretare non solo le norme, ma le stesse richieste del giudice, non rigettarle immediatamente, se nota che vi sono fondati motivi per ritenere che competenza e rito sono sollevati insieme. La stessa giurisprudenza per la quale va lasciato al legislatore il compito di definire il giudice mi pare sbagliata: un’affermazione di principio di questo tipo dovrebbe discendere dalla constatazione che non vi è alcun elemento costituzionale attinente alla distribuzione delle funzioni tra i giudici.

 

Nel merito, è evidente che l’apertura delle carceri al mondo esterno comporta di accettarne le regole, tra cui la giurisdizione del giudice del lavoro. In questo senso intervengo, portando anche elementi quantitativi e qualitativi sul lavoro dei detenuti.

 

 

L’assegnazione delle cause

 

 

La discrezionalità del presidente nell’assegnazione delle cause sarebbe incostituzionale in Germania, dove si stabiliscono le competenze dei giudici in generale all’inizio e, poi, le cause vengono attribuite in modo automatico. Ma questo è un frutto del bipartitismo che arriva fin dentro la Corte, con i suoi due Senati, ciascuno con un presidente ed un vicepresidente di provenienza politica diversa ed eletto da una Camera diversa.

 

 

Giustizia costituzionale e politica

 

 

La maggiore differenza tra giustizia costituzionale e politica si vede nel farsi e disfarsi delle alleanze, da una questione all’altra. In politica, vi sono parti stabili. Ma anche alla Corte si vedono alcuni cleavages, cattolici-laici, destra-sinistra.

 

 

Compromettere con intransigenza

 

 

Mitterrand ha detto una volta di Michel Debré che sapeva compromettere con intransigenza. Mi pare un buon consiglio per un giudice costituzionale. Specialmente se si tiene conto che – come osservato da Barry Friedman nel suo bel lavoro su The Politics of Judicial Review – la strategia dei giudici non va considerata caso per caso, ma nella somma dei casi, perché non si decide senza tener conto delle possibili alleanze su casi futuri e delle passate alleanze.

 

 

«Marbury v. Madison»

 

 

Marbury aveva ragione, quindi la Corte ha deciso sul merito. Ma essa non poteva pronunciarsi per difetto di giurisdizione. La questione sarebbe considerata inammissibile, senza entrare nel merito? In tal caso, le ragioni di Marbury non sarebbero analizzate.

 

 

Leggi e salsicce

 

 

La frase di Bismarck su leggi e salsicce (se ti piacciono, non cercare di sapere come sono fatte) si applica anche alle sentenze costituzionali?

 

 

Scelte tragiche

 

 

Viene posto un problema sollevato da Calabresi, relativo ai criteri dell’eguaglianza: se sia corretto rispettare il principio della successione cronologica (first come, first serve) nella concessione di ausili pubblici. Nel caso, finite le risorse, quelli collocati in graduatoria dopo i primi non ottengono nulla. Faccio presente che dovrebbe applicarsi un criterio meno meccanico. Faccio l’esempio del malato di cancro primo nella graduatoria per l’uso di una macchina per la dialisi. È giusto che chi viene dopo ed ha maggiori possibilità di sopravvivenza venga escluso, e lasciato quindi morire, se le sue possibilità di sopravvivenza sono maggiori? Leggo il passaggio del libro di Bobbit e Calabresi (Scelte tragiche), di cui ho fornito in anticipo una fotocopia al relatore. Sordità della Corte. Il libro non è conosciuto e forse neppure l’autore.

 

 

«Mala tempora currunt»

 

 

Ci si divide su questioni importanti: la legge Cirielli (sulla prescrizione: interessa Berlusconi), la legge sulla procreazione assistita (è mobilitata la Chiesa cattolica), la norma che impedisce ai dipendenti pubblici a tempo parziale di fare l’avvocato (attivissima la lobby degli avvocati).

 

Mio successo: sono in minoranza su tutt’e tre le questioni, concluse a stretta maggioranza. Lungo colloquio con il presidente e lunghissimi colloqui con molti colleghi. Al presidente faccio osservare che si tratta di questioni rinviate. Nella maggior parte dei casi, vi era una maggioranza, che è ora cambiata. Le «voci di fuori» si sono fatte sentire. Ciò pone due problemi. Quello interno, di una Corte spaccata. Deve tentare di riequilibrare la situazione, anche perché l’ago della bilancia è stato lui in tutti e tre i casi. Quello esterno, dell’isolamento della Corte, che mi è parsa un fortino circondato da indiani. Bisogna che vi siano muri e fossati, per difendersi. Porosità della Corte. Il mio interlocutore non è consapevole del problema. Difetto di intelligenza o riserbo diplomatico?

 

 

Capriole sulla Cirielli

 

 

Il cambiamento di maggioranza sarebbe determinato dalla sentenza Berlusconi della Corte di giustizia, che però era stata esaminata dal relatore già nella precedente Camera di consiglio. Poi, tutto finisce in una bolla di sapone, perché si concorda sul fatto che la sentenza europea non c’entra. Che fine hanno fatto i grandi europeisti della Corte?

 

Tema di lunga discussione: ragionevolezza o ragionevolezza rinforzata, imposta dalla sentenza europea? Quest’ultima esce dalla porta per rientrare dalla finestra: non riguarda il caso, ma il fatto che ci sia chi obbliga a un controllo più rigoroso di ragionevolezza. Avranno studiato diritto in una università della luna?

 

Raccolgo le ricerche fatte alla Corte di giustizia europea, da cui si evince che non si tratta di tradizioni costituzionali dei paesi europei, bensì di alcune – poche – norme ordinarie nazionali; e che il principio dell’applicazione della norma più favorevole riguarda le norme sulle pene, non le leggi penali in generale. Se non fosse così, il diritto penale diventerebbe mobile, ogni nuova norma più favorevole finendo per applicarsi anche all’indietro.

 

 

Chi garantirà la costituzionalità delle sentenze costituzionali?

 

 

Così finisce un commento di Federico Orlando alla sentenza sulla procreazione assistita. Qui la maggioranza è diversa, essendo la linea di distinzione tra laici e cattolici. Ma c’è qualcuno che è sempre nella maggioranza, pur essendo laico.

 

La possibilità di intervenire sul feto con l’aborto e l’impossibilità di intervenire prima, sull’embrione, mi pare una palese contraddizione. Si ha paura della scienza. Si attribuiscono qualità umane ad ogni essere vivente, anche non dotato di ragione. Si dubita della forza degli uomini (se si consente questo, si apre la porta all’eugenetica). Incapacità di tenere la questione nei termini ristretti in cui perviene alla Corte (due genitori portatori sani di una malattia che ha alte possibilità di essere trasmessa al figlio). Estremismo di coloro che si oppongono, il cui argomento è, al fondo, che il parlamento ha voluto e il paese, con il referendum, ha confermato. Dunque, estremisti che finiscono – come spesso gli estremisti – per diventare conservatori. Ma a che scopo stanno alla Corte, se le leggi sono immuni da giudizio?

 

Viene evocata anche una inammissibilità «di sistema»: ma allora che ci sta a fare la Corte costituzionale? La tesi mi ricorda la lunga discussione nella Francia dell’800 (poi anche in Italia) sugli «atti politici» e sugli «atti di governo», immuni dal controllo giurisdizionale.

 

 

Potenza degli avvocati

 

 

Nel 1996 si è consentito ai dipendenti pubblici di mettersi a tempo parziale per esercitare ogni tipo di professione. Gli avvocati si sono rivolti alla Corte costituzionale, la quale ha stabilito che essi non hanno diritto a un trattamento speciale. Due giorni dopo la decisione costituzionale, la sinistra propone la legge che esclude gli avvocati dal regime generale. La legge passa all’unanimità, con tre astenuti. Sono relatore e spiego che la Corte deve riconoscere la palese illegittimità, oltre a tutelare la sua onorabilità (la legge è stata fatta quando si è visto che la via della Corte costituzionale era sbarrata). Grandi arzigogoli e motivazioni politiche (non possiamo fare un braccio di ferro con il parlamento). Rimango in minoranza e spiego che non scriverò la sentenza, non solo perché non saprei scriverla, ma anche perché voglio che il mio dissenso sia noto, e propongo che si ridiscuta la questione dell’opinione dissenziente. Sarà posta all’ordine del giorno, previa distribuzione di materiale di documentazione.

 

 

Ambiguità della Corte rispetto ai giudici e nei confronti del parlamento

 

 

Due temi che ricorrono. Rapporti con il sistema giudiziario: in un caso si dice che la Corte costituzionale non deve diventare giudice dei giudici; in altri si dice che la Corte deve controllare il rispetto dei principi del processo. Dov’è l’equilibrio (o sono solo tesi estemporanee di avvocati-giudici)?

 

Rapporti con il legislatore: timore di scontrarsi con la «discrezionalità» del parlamento. Ma non in ogni caso. E, comunque, senza riflettere che per la giustizia costituzionale si ripresenta così una vicenda nota alla giustizia amministrativa (vedi immunità dell’amministrazione e hard look dei giudici americani).

 

 

Gli insegnanti di montagna

 

 

Una legge del 1957 prevede obblighi e facilitazioni per gli insegnanti elementari pluriclasse di montagna. Nel 2004 il governo allinea il sistema premiale al sistema delle graduatorie permanenti. Il parlamento estende il sistema premiale a tutta la scuola, sganciandolo dall’insegnamento pluriclasse. Sembrerebbe un caso semplice. Invece, dopo la mia relazione, si levano voci favorevoli allo status quo, nonostante la sua palese irragionevolezza. Si rinvia, ma si prepara un’altra sconfitta. Questa volta sono gli interessi costituiti degli insegnanti o è l’inerzia, il quieta non movere?

 

 

Crisi della giustizia costituzionale spagnola ed efficienza di quella americana

 

 

Più di 9.000 ricorsi, 98% dei quali di amparo, ovvero diretti. Ritardi di sei anni nelle decisioni. La Corte decide spesso su leggi non più vigenti, perché sono state modificate. Presentato un progetto di legge organica di riforma.

 

La Corte suprema americana ha rigettato 1.900 ricorsi senza motivazione. Ma ha deciso di trattenere per l’esame una serie di questioni importanti, relative all’aborto e alla discriminazione razziale nelle scuole. In questo modo la Corte si può concentrare sulle questioni importanti, come il famoso Roe v. Wade, che riconobbe il diritto di abortire.

 

 

Problemi di funzionamento

 

 

A luglio ho preparato il documento su Situazione e prospettive della Corte costituzionale e redatto il progetto di seminario della Corte, consegnandoli al presidente. Il primo l’ho dato a pochi giudici. Il secondo è stato inviato, su mia richiesta, a tutti. Rischiano di cadere nel dimenticatoio. Ne parlo con il presidente. Gli propongo una procedura di attuazione per il primo documento. Per il secondo propongo la costituzione di un comitato, che passa alla fase attuativa. Pochi sono interessati ai contenuti. Molti ai nomi dei relatori e degli invitati. La circostanza di essere stato sorteggiato nell’Ufficio di presidenza agevola questi passi, anche se mi tocca vedere tante cose storte, favori, privilegi.

 

 

Diritto flessibile

 

 

Due esempi. Un giudice, studioso di procedura civile, afferma che la sentenza di primo grado è un «progetto di sentenza». Le deliberazioni della Corte di verifica dei requisiti dei propri componenti sono depositate in Cancelleria. Domando al cancelliere se ciò comporti che siano accessibili al pubblico. Mi risponde che vi sono le premesse perché l’accesso sia permesso, ma che finora nessuno l’ha chiesto. E la Corte dovrebbe essere il supremo garante del diritto?

 

Commento le due interpretazioni con alcuni giudici, ricordando che Leibniz era matematico e giurista, che il diritto e la matematica hanno storie parallele e che Eco ha scritto un volume sui «limiti dell’interpretazione».

 

 

Le opinioni del parlamentare

 

 

Giungono numerose le questioni relative all’art. 68 della Costituzione, sulla libertà di opinione dei parlamentari. Si presentano in termini di conflitto tra il potere giudiziario e quello legislativo. Immagine mediocre dei parlamentari, spesso beceri. Accanimento della magistratura. Si tratta di definire l’ambito coperto dall’immunità. La Corte ha consolidato un orientamento che una ristretta minoranza vuole rimettere in discussione. Al nuovo tentativo di ridiscuterlo, viene osservato che il parlamento – se vuole – può reintrodurre la più ampia immunità (autorizzazione a procedere) che, sotto la pressione dell’opinione pubblica, ha soppresso sul finire del secolo scorso. Perché la Corte dovrebbe aiutare parlamentari rissosi a sottrarsi al giudizio della magistratura?

 

 

L’influenza della discussione orale sulle decisioni della Corte suprema americana

 

 

Articolo dell’«American Political Science Review» sull’influenza della discussione orale nella Corte suprema. Leggo che le argomentazioni svolte oralmente influenzano il voto finale dei giudici sul merito. Quanto diversa la situazione italiana! Ma gli avvocati italiani fingono di non accorgersi che l’udienza pubblica è un mero rituale.

 

 

La linea di confine

 

 

Dov’è la linea di confine tra adeguatezza della norma e sua costituzionalità? E dove quella tra analisi e arzigogolo dei giudici? Mi trovo per la prima volta nella mia vita in un mondo di avvocati, che non stanno solo dall’altra parte del banco, ma anche da questa parte. Lo si vede dalla foga con cui i giudici sostengono le loro tesi nella Camera di consiglio. Ricordo la frase di Adorno, relativa all’ultimo gesto avvocatesco del pensiero, quello che cerca di convincere.

 

 

La legge Pecorella

 

 

Legge molto discussa, che, in sostanza, vuole tagliare le unghie alle procure. Impedisce l’impugnazione della sentenza di proscioglimento da parte del pubblico ministero. L’errore sta nell’aver disposto ciò in generale, per reati di modesta importanza e per reati gravi. Mi convince la tesi del relatore fondata sulla mancanza di proporzionalità. La pretesa punitiva dello Stato deve essere ponderata alla gravità del reato. Trasecolo quando, nel caldo della discussione, sento un giudice che afferma: non è possibile che un organo dello Stato (il pubblico ministero) contesti un altro organo dello Stato (il giudice che ha emanato la sentenza). E i controlli, la stessa Corte costituzionale, dove andrebbero a finire, seguendo questo ragionamento?

 

 

Organo di regole, non di fini

 

 

La Corte costituzionale è organo di regole, non di fini. È facile consentire con questa affermazione. Ma dove si fermano le regole? La Corte deve per forza fermarsi quando – come nel caso della disciplina dell’immigrazione e delle sanzioni relative – il suo intervento richiederebbe operazioni ricostruttive su molte norme? E che dire della questione della riassunzione del giudizio tra giudice amministrativo e civile, la cosiddetta translatio iudicii? Ci si deve fermare perché è necessario un «intervento di sistema»? Allora la giustizia costituzionale ha un limite quantitativo, nel senso che si ferma quando il vaglio di costituzionalità deve vertere su più norme? Non bisognerebbe fissare un discrimine, nel senso, ad esempio, che l’accoglimento è possibile se richiede una sentenza additiva che riguarda un solo complesso normativo?

 

 

Strategia e tattica del giudice costituzionale

 

 

Vi sono molti modi in cui un giudice costituzionale può comportarsi. Può fare (o, meglio, cercare di fare). Può non fare, ma creare le condizioni perché le cose che vorrebbe fare accadano (ad esempio, aspettando la questione minore sulla quale fissare un principio da trasportare dopo sulla questione maggiore). Può limitarsi ad aspettare che le cose avvengano (questo è un atteggiamento fatalista e cinico; altri direbbe liberale, nel senso dell’illuminismo scozzese). Può limitarsi ad evitare che accadano cose peggiori. Per ogni decisione bisogna scegliere tra queste alternative.

 

 

«Judicial modesty»

 

 

Ho partecipato, il 18 dicembre 2006, al seminario dell’Università di Milano sulla giurisprudenza costituzionale e, considerato che si svolgeva a porte chiuse, ho fatto una riflessione generale e critica, che riporto di seguito in sintesi.

 

Nell’ultimo anno, più del 40% delle pronunce è stato di inammissibilità, meno del 20% di accoglimento. La cautela della Corte traspare dalla sua evidente attenzione al carattere necessariamente puntiforme dei suoi interventi (se non si può modificare l’edificio, meglio non spostarne i muri); dal modo circospetto in cui tratta il rapporto con il diritto comunitario, pur dopo l’art. 117, primo comma; dalla frequenza del richiamo alla discrezionalità del legislatore; dalla diminuzione delle sentenze manipolative «di contenuto» e «temporali»; dal timore con il quale affronta le questioni di frontiera, dove non c’è un diritto consolidato, né precedenti giurisprudenziali (ad esempio, l’immigrazione). Come si spiega?

 

La prima spiegazione possibile è questa: la Corte, toccato l’acme della creatività (Cheli e Donati), ripiega su una linea più corrispondente ai limiti posti dal modello costituzionale. La fase della judicial modesty farebbe parte, con il judicial activism, del ciclo della judicial review. Si tratta di un fenomeno non ignoto. Nel 1962 Bickel, negli Stati Uniti, osservava che la Corte faceva un uso attento delle passive virtues per evitare di decidere casi controversi finché la società non fosse giunta ad afferrarli e ad orientarsi in ordine ad essi. Nel 1999 Tushnet ha parlato di «taking the Constitution away from the Courts». Nello stesso anno Sunstein di «one case at a time», con apologia del judicial minimalism. Ora l’«Economist» del 16 dicembre 2006 parla di «Shrinking Supremes», considerata la diminuzione del 40% dei casi decisi (solo 69 nell’ultima sessione). Il 5 dicembre scorso, in un dibattito, Breyer ha chiesto a Scalia, che sosteneva – come al solito – l’originalismo, perché non nominare nove storici alla Corte suprema.

 

Seconda possibile spiegazione: la Corte è divenuta giudice dei conflitti, ed è meno Corte dei diritti (Onida). Basta mettere a raffronto il vigore della sentenza sul potere di grazia con la cautela di quella sulla procreazione assistita. La spiegazione è complessa. La Corte segue una linea di rigore nel rigettare questioni sulle quali è possibile una interpretazione conforme a Costituzione. Quindi, implicitamente, spinge verso il controllo di costituzionalità diffuso, di tipo marshalliano. Come per la moneta, si riserva il compito di prestatore (di giustizia) di ultima istanza. Una strada opposta a quella alla quale pensava Mortati quando auspicava la diffusione della fictio litis. Come Corte dei conflitti, invece, il giudice costituzionale italiano dialoga quotidianamente con enti e poteri pubblici.

 

Terza possibile spiegazione: il dialogo Corte-giudici non è più buono come una volta. La Corte italiana è una corte kelseniana, non marshalliana. Non è al vertice del sistema giudiziario. Tuttavia, è dai giudici che le pervengono le questioni. È sulla loro fiducia nel suo intervento che riposa la domanda di giustizia costituzionale. Se la Corte abbonda nello scrutinio dei vizi delle ordinanze di rimessione, nell’esame dei difetti di rilevanza e di pregiudizialità, se, d’altra parte, quando vuole, prescinde dai vizi relativi all’ammissibilità ed entra nel merito, rompe quel rapporto privilegiato con l’ordine giudiziario. La Corte potrebbe fare molto per superare le carenze dei giudici che le si rivolgono. Scrivere sentenze più chiare. Educare, d’accordo con il Consiglio superiore della magistratura, i giudici a rivolgersi alla Corte. Formare anche l’opinione pubblica, alla quale la Corte si rivolge ancora con uno strumento antico (la conferenza stampa annuale), superato da tutte le autorità indipendenti e le altre Corti.

 

Rimane aperta una questione di fondo: perché il judicial activism diminuisce proprio quando le esigenze di manutenzione costituzionale diventano più forti?

 

 

Il potere discrezionale del legislatore

 

 

La norma della legge del 1953 che fa salvo il potere discrezionale del legislatore è stata definita ingenua, infelice, superflua ed imprecisa, tutt’altro che perspicua, equivoca e contraddittoria, inopportuna ed incostituzionale, aberrante, da considerare non scritta, priva di valore pratico. E questi attributi si devono a Calamandrei, Pierandrei, Giannini, Crisafulli, Mortati, Guarino, Paladin, Barile, Cheli. E allora, perché la Corte ci ritorna sempre sopra? La spiegazione sta nella rudimentalità della cultura costituzionale, inconsapevole del fatto che accanto all’elemento popolare nelle Costituzioni moderne c’è l’elemento che Aristotele definiva «aristocratico» e che tra i due elementi non c’è rapporto di soggezione, ma di equilibrio.

 

 

«Translatio iudicii»

 

 

Sotto questa espressione latina si nasconde il diritto del cittadino di veder riassunto il giudizio da un altro giudice, nel caso – ad esempio – che si sia rivolto al giudice sbagliato, senza dover ricominciare da capo il processo, e quindi facendo salve le acquisizioni probatorie raccolte. Questa possibilità non c’è tra giudice ordinario e giudice amministrativo.

 

La questione è importante non solo perché il cittadino non veda sfumare i suoi diritti nel «palleggio tra i giudici», ma anche perché il riconoscimento della possibilità di riassunzione serve a sottolineare che il dualismo di giurisdizioni vigente in Italia non comporta regole giurisdizionali diverse. È l’opinione che ho sostenuto nel dibattito sulla proposta della Bicamerale: teniamoci il giudice amministrativo, ma facciamo sì che sia sempre più giudice.

 

Viene proposta una inammissibilità. Mi oppongo. Non si può valutare la costituzionalità di una norma in base a un criterio quantitativo: se il buco prodotto dalla dichiarazione di incostituzionalità è grande, allora la Corte non si pronuncia. Chiedo un rinvio. Nel frattempo, si pronuncia sulla questione la Corte di cassazione. Ciò che induce il relatore a una pronuncia sul merito, di cui discutiamo a lungo perché, da un lato, intreccia le armi in modo rude con la Cassazione (può darsi che abbia sbagliato, ma senza la sua sentenza ci saremmo allineati al solito non liquet in forma di inammissibilità); dall’altro, chiude le strade ad altri interventi, affermando che solo il legislatore può intervenire sulla materia. Singolare contraddizione di chi, sostenendo sempre una versione minimalista della Corte, le assegna, poi, una funzione demiurgica, di deus ex machina che assegna i compiti nel sistema costituzionale. Sostengo che «Totò pizzeria», che aveva richiesto di sollevare la questione di costituzionalità, dovrebbe avere una sentenza costituzionale satisfattiva. Si giunge a una conclusione non del tutto soddisfacente. La sentenza afferma il principio che i giudici sono eguali e che tra di loro debbono esservi passerelle. Vengono attenuate le critiche alla Cassazione. «Totò pizzeria» potrà forse non essere privato della tutela possessoria.

 

Vicenda istruttiva. La Costituzione prevede un controllo accentrato di costituzionalità nella Corte costituzionale. Questa ha richiesto ai giudici di verificare prima se sia possibile una interpretazione della norma conforme alla Costituzione, spingendo verso il controllo decentrato (salvo il proprio intervento di ultima istanza). Quando la Corte di cassazione dà una interpretazione adeguatrice, seguendo l’orientamento della Corte costituzionale, quest’ultima si adonta, perché non vede rispettato il suo ruolo.

 

Seconda lezione: non ci può essere una zona franca, senza controllo di costituzionalità, solo perché il buco prodotto è grosso o perché la soluzione successiva non è «a rime obbligate» (espressione che risale a Crisafulli e che sottintende il timore della Corte nel decidere).

 

 

Peeperkorn, o dello stile degli interventi in Camera di consiglio

 

 

C’è un giudice che sembra Peeperkorn, un personaggio dello Zauberberg di Thomas Mann. Parla con tono ispirato ed oracolare, ma si esprime in modi del tipo «questa sentenza non mi suscita particolari emozioni», per dire che è contrario. Mai un ragionamento giuridico preciso.

 

 

Paradossi del Conseil constitutionnel francese

 

 

Quando Pierre Mazeaud, nel febbraio 2004, venne nominato presidente del Conseil constitutionnel, l’istituzione veniva considerata discreditata e in lento declino. L’ultimo biennio ha visto l’organo in ripresa: ha avuto coraggio nell’affermare qualche solido principio. Ora ci va Jean-Louis Debré, che ha collaborato con Chirac dal 1973 e sarà chiamato a difendere la Costituzione scritta da suo padre Michel.

 

 

Lo «spoils system». Il giudice costituzionale come giudice amministrativo?

 

 

Siamo incaricati in due, un giudice su quello nazionale, io su quello locale (regione Lazio e Sicilia). Lunga preparazione con colloqui a due, poi anche con il presidente; infine, miei colloqui con altri giudici. La questione relativa ai direttori generali statali che cessano al termine del governo è di soluzione relativamente facile, data la sentenza del 2006 (n. 233), alla quale ero contrario, perché cedeva vistosamente di fronte alla tendenza verso la politicizzazione dell’amministrazione. Più difficile la questione dei direttori generali delle Aziende sanitarie locali, che si presentano come figure «apicali». Per essi la precedente sentenza consentirebbe norme di decadenza al rinnovo del consiglio. Debbo, quindi, andare contro corrente.

 

Riesco faticosamente a dimostrare che il caso è diverso da quelli decisi nel 2006, ma rimango intrappolato nella proposta di dichiarazione di incostituzionalità della norma statutaria regionale in quanto si riferisce alla sanità. Resta in vita per gli altri enti pubblici. Vuol dire che, quando, di volta in volta, ci saranno portate le questioni di costituzionalità riferite agli altri enti pubblici, provvederemo per le singole categorie re- stanti.

 

Soluzione sulla quale mi trovo quasi solo e che è dettata da un generale atteggiamento tremebondo, timoroso di affermare con coraggio i principi costituzionali; dall’approccio degli «avvocati delle regioni»; dal timore di smentire la sentenza infelice del 2006. Inconsapevolezza che così il giudice costituzionale è ridotto a qualcosa di meno di un giudice amministrativo.

 

Un organo (la Corte costituzionale) che dovrebbe schierarsi a difesa della imparzialità dell’amministrazione, composto di persone che provengono da grandi corpi e da concorsi, ma inconsapevole del fatto che il sistema costituzionale è composto di un elemento democratico-popolare, di uno liberale-garantistico e di uno autoritario-efficientistico. Se si lascia penetrare il primo nel secondo, quest’ultimo non può più agire da contrappeso rispetto al primo e rispetto al terzo.

 

Ma a questo tipo di riflessioni non più di due o tre giudici sono inclini. Gli altri o decidono con i paraocchi, caso per caso, aggiustando più che decidendo. O si fanno trasportare dal fascino delle cose straniere, come se la precarizzazione dei dirigenti fosse comune all’estero. Qui interviene un difetto di informazione e il fatto che non vi è un serio ufficio studi della Corte.

 

 

La Corte organo politico?

 

 

La ricerca di Bruce Ackerman (The Failure of the Founding Fathers) mostra efficacemente l’origine tutta politica del controllo di costituzionalità. Marbury v. Madison e il successivo caso Stuart nascono quali decisioni eminentemente politiche, prese da politici, a ridosso della trasformazione della presidenza americana in presidenza plebiscitaria.

 

 

Da un lavoro «disinteressato» a uno «interessato»

 

 

Ho lasciato il lavoro universitario, di insegnante, ricercatore e mentore, eminentemente «disinteressato», per uno nel quale occorre prendere parte, cercare di convincere, fare bracci di ferro, arrabbiarsi e penare. Nel primo era la forza delle idee e dei consigli, dei suggerimenti, dei commenti, che contava. Qui questi valgono poco, contano i numeri, le strategie, le tattiche. Ne è valsa la pena?

 

 

Del comportamento dei giudici in Camera di consiglio

 

 

Può un giudice dire che il regionalismo è una «fetenzia»? E può un altro giudice dire che un suo collega ha detto una «sciocchezza»? La seconda reazione provoca reazioni.

 

 

Regioni di destra e regioni di sinistra

 

 

Le regioni di sinistra hanno impugnato le finanziarie del centro-destra, quelle di destra impugnano ora la finanziaria del centro-sinistra. La Corte giudica sull’esercizio di competenze oppure finisce per essere coinvolta in conflitti politici? Ma non è solo la natura del conflitto, pretestuoso, che preoccupa. È anche la qualità delle questioni, che costringono la Corte a un’attività da agrimensore, a misurare centimetri e metri, senza un parametro, perché la Costituzione elenca materie (e le elenca anche male, come dimostrato da quelle indicate in forma finalistica, del tipo «tutela della concorrenza»).

 

 

Auto-esilio della Corte?

 

 

Due giovani studiosi hanno scritto che la Corte italiana si è auto-esiliata, persistendo sulla posizione della sentenza Granital. Ne discuteremo questa settimana, il 20 aprile nel seminario da me promosso. La lettura delle relazioni finora pervenute mostra che tutti sono d’accordo – solo qualche voce dissente – sui seguenti punti: la teoria dei contro-limiti è contraddittoria e anacronistica; la Corte costituzionale deve prendere coraggio e accettare di fare rinvio pregiudiziale al giudice comunitario, sia nel corso di questioni portate in via principale, sia nel corso dell’esame di questioni incidentali, quando la questione comunitaria sorga per la prima volta e in via diretta davanti alla Corte stessa; la Corte nazionale deve stabilire un dialogo, in questo modo, con la Corte europea, senza temere di vedere diminuito il proprio ruolo. Se non si va per questa strada, la Corte corre il rischio – già evidente – di restare su un binario morto. I giudici dispongono ormai di tre Costituzioni, quella nazionale, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e i principi costituzionali sviluppati dalla Corte di Lussemburgo e in parte codificati. Se non trovano ascolto presso la Corte costituzionale naturale, essi si rivolgono alle Corti di Strasburgo e di Lussemburgo. Deperimento conseguente della Corte costituzionale nazionale.

 

 

Forza e debolezza della Corte costituzionale

 

 

La Corte costituzionale non ha borsa né spada, è costretta a decidere la questione che le è proposta-delimitata dalla domanda, è legata al caso concreto, che deve attendere, senza poter prendere l’iniziativa (passività). Ma in questo ambito una Corte con una strategia può intervenire. Ad esempio, può interpretare la domanda (e lo fa abbondantemente, giocando con l’ammissibilità). Oppure può strizzare l’occhio ai giudici remittenti, facendo capire di essere pronta ad ampliare la sua sfera di azione o a cambiare giurisprudenza. Insomma, il potere legislativo in forma giurisdizionale può essere esercitato restando fermi nelle costrizioni istituzionali imposte o sfruttando i margini di manovra che esse lasciano liberi.

 

 

«’O presepio»

 

 

Le udienze pubbliche, con quel rituale parruccone e inutile, sembrano un presepe. Il rispetto della tradizione vuol dire necessariamente rimanere ingessati nei riti?

 

 

La Corte come osservatorio sulle debolezze del paese

 

 

Una legge finanziaria prevede la nomina di un commissario ad acta per rimediare all’inconveniente di una amministrazione inerte. La legge finanziaria successiva dispone per il caso che il commissario non abbia provveduto. Ma il commissario non era stato previsto proprio per provvedere? Chi custodirà i custodi?

 

 

Seminario sui rapporti con il diritto comunitario

 

 

Una voce dicentes, tutti i venti intervenienti al seminario hanno auspicato che la Corte costituzionale si dia coraggio e riconosca di poter fare rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. Ciò significa che il diritto comunitario è un diritto più alto, che la Corte di giustizia è una corte superiore, che l’Italia riconosce pienamente l’unità dell’ordinamento nazionale con quello comunitario, che questioni costituzionali e comunitarie possono essere indissolubilmente legate, che la Corte italiana deve riprendere in mano il dialogo con i giudici «inferiori» sulle questioni comunitarie. Ma avrà la Corte questo coraggio?

 

 

Sempre sulle tariffe aeroportuali

 

 

Un caso in cui si potrebbe fare rinvio pregiudiziale è quello, di cui sono relatore, sulle tariffe aeroportuali. Ma siamo al secondo rifiuto. Il price cap – viene sostenuto – non è classificabile come «tutela della concorrenza». Quasi che «tutela» della concorrenza voglia dire solo «garanzia» della concorrenza. Quello aeroportuale – viene sostenuto – non è un contesto concorrenziale. Come dire che la disciplina della concorrenza possa esservi solo quando ci sono più operatori: dove vanno a finire i limiti alle posizioni dominanti, gli obblighi di apertura a cui sono sottoposti gli incumbents? Non capisco se vi sia ignoranza della disciplina della concorrenza o livore nei confronti dell’Alitalia (che non è neppure la sola beneficiaria del price cap alle tariffe aeroportuali, che valgono per tutti gli operatori).

 

 

Dimissioni di un giudice costituzionale

 

 

È la terza volta che un giudice si dimette. Ora per reazione ad affermazioni di membri di governo sulla scarsa indipendenza della Corte. Consulto un giudice della Corte suprema americana, che risponde scherzosamente: l’affermazione non avrebbe alcuna reazione negli Stati Uniti.

 

La procedura è irrituale. Le dimissioni sono date nel mezzo di un lungo ponte, quando nessuno è a Roma e in grado di discuterne, all’insaputa della maggior parte dei giudici. La lettera è destinata alle più alte cariche dello Stato, mentre la legge prevede che vengano date alla Corte, che le comunica alle più alte cariche. Se ne trae l’impressione che la Corte venga messa di fronte al fatto compiuto. La Corte respinge all’unanimità, faticosamente raggiunta. Segue un dibattito sui giornali e in parlamento, con rinnovate dimissioni, accolte anche queste all’unanimità, ma sottolineando il valore della collegialità (insomma, le dimissioni si presentano all’autorità giusta e si discutono). Nel complesso, non è una bella lezione di procedura. Mi duole di perdere un collega capace e preparato, ma forse un po’ scontento della Corte. Chissà perché, lui sostenitore di una impostazione minimalista, ha dato una interpretazione tanto massimalista della opportunità dei membri del governo di astenersi dal giudicare la Corte.

 

 

«Caselli v. Berlusconi»

 

 

Sono relatore di una questione relativa al conflitto tra potere giudiziario e legislativo. Berlusconi ha detto frasi ritenute diffamatorie nei confronti di Caselli. Questi si è rivolto ai giudici di Milano, ma la Camera dei deputati ha dichiarato all’unanimità che le espressioni usate da Berlusconi erano «coperte» dall’art. 68 della Costituzione (opinioni manifestate nell’esercizio delle sue funzioni di parlamentare).

 

La cosa risale al 1999 e la questione giace alla Corte – a dimostrazione della volontà di rinviare di tanti presidenti – da cinque anni. Si tratta della solita accusa di politicizzazione della magistratura. La difesa della Camera sostiene che due anni prima la stessa tesi era stata sostenuta da Berlusconi in una interpellanza parlamentare, ma relativa alla Maiolo, non – come in questo caso – a Dell’Utri. Spiego che non possiamo metterci a misurare i tempi come degli agrimensori. E che non possiamo tramutarci in semiologi, cercando di stabilire il diverso significato della stessa frase in contesti diversi. Molte obiezioni, principale quella che, decontestualizzando, si finisce per dare una sorta di «immunità aperta» (o per dare una grande importanza al limite temporale). Si finisce per ritornare all’inammissibilità. Ciò dimostra il valore politico delle decisioni di inammissibilità alle quali si ricorre quando non si vuole decidere in un senso o in un altro.

 

 

Una importante decisione sui decreti legge

 

 

La Corte costituzionale può sindacare la necessità e l’urgenza, quando il parlamento ha «digerito», controllando il decreto legge con la legge di conversione? Gli oppositori sostengono che la questione si chiude tra governo e parlamento. Come dire che la Corte non può mettere il dito tra questi ultimi. La maggioranza si schiera a favore del potere normativo del parlamento. Ad esso spetta il potere normativo, di regola, ed il suo intervento non può sanare l’assenza di necessità ed urgenza. Se il parlamento ha controllato, convertendo il decreto legge, ciò non esclude che la Corte costituzionale abbia un potere di controllo. Una ulteriore area di immunità è cancellata, dando una voce alla Corte. Una voce tanto più importante in quanto dei decreti legge si fa abuso e si abusa delle deleghe, specialmente ora con i decreti correttivi. Insomma, il rapporto governo-parlamento va riequilibrato a favore del secondo.

 

 

La libertà di opinione dei giudici costituzionali

 

 

Interessante caso deciso dal Tribunal Constitucional spagnolo. Con una decisione a 6 contro 5, ha accolto una istanza di ricusazione – presentata da cinquanta deputati – di un giudice già professore di diritto costituzionale, che aveva espresso un’opinione su una questione sottoposta al Tribunale, relativa allo statuto di autonomia della Catalogna. È un modo per influire dall’esterno sulla formazione delle maggioranze nella Corte? Comunque, mette in luce una forte differenza tra Spagna e Italia. Lì doveri di astensione e casi di ricusazione sono minutamente definiti dalle norme.

 

 

Breyer alla Corte

 

 

Invito il giudice della Corte suprema Breyer a tenere un seminario sul funzionamento interno della Corte suprema. Ci spiega che questa è la punta di un iceberg: su 8 milioni di casi, 80.000 sono decisi a livello federale; 8.000 sono le petitions alla Corte suprema; 80 sono le decisioni di quest’ultima. La Corte decide liberamente che cosa udire, con 4 voti favorevoli (non, quindi, la maggioranza). Il criterio di base dell’ammissione è quello del bisogno di uniformità. La Corte suprema non deve correggere gli errori delle corti inferiori, ma intervenire quando vi sono interpretazioni divergenti.

 

Procedura estremamente precisa, con tempi rigidamente fissati per la discussione, che è una cosa seria. Pagine e formati molto dettagliati per le memorie scritte. Scambio di appunti tra i giudici. Possibilità di cambiare opinione. Solo nel 20% dei casi, decisione a maggioranza.

 

 

«L’interesse del minore non deve rompere l’equilibrio delle norme»

 

 

Caso penoso. Una donna divorziata si risposa. Ha con sé i tre figli, di cui uno minore, che il nuovo marito intende adottare. Muore prima di farlo. Il marito vorrebbe egualmente adottare, ma il padre – che fino allora si era disinteressato del figlio – si oppone. La Repubblica protegge l’infanzia, secondo la Costituzione. Quindi, l’interesse del minore dovrebbe venire avanti a tutto. Ma prevale l’opinione di chi ritiene che non vada turbato l’equilibrio delle norme. Il padre naturale prevale nei confronti della famiglia nuova che si è creata, il sangue rispetto alla «società» che il tempo ha creato.

 

 

La relazione in Camera di consiglio

 

 

Vi sono eccessi che occorrerebbe evitare: relazioni di un’ora, complete, ma che non arrivano mai al dunque. Oppure relazioni sgangherate, di chi non si prepara. Così come occorrerebbe evitare interventi petulanti, in cui ci si sofferma su dettagli di poco conto e scarsamente rilevanti.

 

Un recente libro americano sulla loro Corte suprema, scritto da Jeffrey Rosen (The Most Democratic Branch, Oxford, Oxford University Press, 2006), giunge alla conclusione che una disposizione pragmatica, un certo grado di umiltà e buon senso e l’abilità nella interazione in gruppo sono più efficaci della brillantezza accademica (da cui era ossessionato Holmes) e della rigida coerenza (a cui tiene Scalia, schiavo di un credo filosofico).

 

 

Il pomodoro è un vegetale, non un frutto

 

 

Vado a Napoli a presentare il Commentario della Costituzione curato da Bifulco, Celotto e Olivetti. Mostro che la Costituzione ha due vite, perché divisa in due parti, la prima presbite, la seconda miope, secondo il punto di vista di Giannini, ripreso da Cheli. Ma le due vite continuano. La prima si sviluppa, la seconda resta ferma. La prima attrae i costituzionalisti, che abbandonano la seconda. Due vite del testo, due vite della storia successiva, due vite della scienza. Finisco con una nota pessimistica sulla Corte. In un libro di cucina americano si legge che la Corte suprema nell’800 si è espressa sul pomodoro, sentenziando che è un vegetale, non un frutto. Il «New York Times» del 28 maggio 2007 osserva: si pensa che i giudici della Corte suprema passino la vita contemplando i grandi problemi, come due process e equal protection; mentre di recente si sono dovuti occupare del significato della frase «within 75 miles» (se questa si riferisca a una distanza calcolata lungo la strada o in linea retta, senza tener conto delle barriere geografiche). Il commentatore dell’«Harvard Law Review», Schauer, fa una comparazione tra l’agenda della Corte e quella della nazione, mostrando quanti temi importanti non arrivano ai giudici supremi, e aggiunge che non sono solo gli autori dei libri di cucina a sopravvalutare il ruolo della Corte.

 

Sabino Cassese - Dentro la Corte. Diario di un giudice costituzionale
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