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Per finire (settembre 2013-novembre 2014)
Candidati alla nomina
Sono almeno una decina le persone che aspirano alla nomina alla Corte, almeno quelle a mia conoscenza. C’è chi vuol mettersi al servizio del paese. Chi non sta bene nel posto che occupa. Chi vuol prolungare l’attività lavorativa con il novennio alla Corte. Chi pensa di occupare una posizione ai piani alti. Chi sopravvaluta l’attività della Corte. Perché tante persone, specialmente professori universitari, hanno così scarsa vocazione per la ricerca e l’insegnamento?
Dello stile delle motivazioni
Alcune volte è utile che le motivazioni siano diffuse, ricostruendo il quadro normativo. Non perché ciò spieghi la decisione, ma perché in tal modo la Corte costituzionale può svolgere un’attività educativa, di guida, per futuri casi. Un esempio è la sentenza n. 200 del 2006 sulla grazia. Nell’estate 2013 tutti, sui giornali e sotto gli ombrelloni, si sono cimentati nella discussione sulla grazia. La lettura della sentenza e la ricostruzione del quadro normativo in essa contenuta hanno evitato molti svarioni di diritto.
La Corte opaca
I giudici parlano attraverso le motivazioni delle sentenze. Ma non possono differenziarsi le opinioni, come è nella realtà; non è consentito rendere pubbliche le opinioni dissenzienti. Parlano con una sola voce, quella della maggioranza. Questo vuol dire che alcuni restano necessariamente silenti. A loro si è tappata la bocca. I futuri giudici non possono tener conto delle opinioni minoritarie, per discuterle, seguirle, differenziarsene. Il dibattito pubblico ne risulta diminuito. Infine, non si può disporre di un ufficio stampa, che almeno divulghi, spieghi, illustri quanto si è deciso, fornisca materiale illustrativo.
Un altro presidente
Da quando sono alla Corte, ho dovuto votare per un numero molto alto di presidenti. La pessima abitudine di tutti i giudici di voler accedere alla presidenza fa sì che si ripeta per la presidenza della Corte quanto accade per i governi in Italia: 127 governi in 150 anni (da cui bisogna sottrarre i vent’anni in cui ininterrottamente è stato al governo Mussolini).
Ho cercato di oppormi a questa tendenza, che trova la sua origine non solo nel desiderio di svolgere la funzione, con conseguente compito di «corazziere» del Presidente della Repubblica (partecipazione alle cerimonie pubbliche, vicinanza ai potenti di turno) e relativamente modesto potere interno (assegnazione delle cause, direzione del dibattito), ma anche nell’ambizione di vedere – questa volta non per breve tempo, ma per tutta la restante parte della propria vita – il proprio nome seguito dal titolo «presidente emerito della Corte costituzionale», titolo svalutato dalla presenza di troppi titolari. A questo si aggiunge l’umana reazione di coloro che vengono pretermessi per qualche motivo (durata brevissima, presenza di colleghi entrati in carica contemporaneamente) e che non sanno come spiegare all’esterno la circostanza che non siano stati chiamati dai propri colleghi all’«Alta carica».
L’opposizione interna a questo andazzo, però, è destinata a infrangersi contro l’ambizione di tante persone che vogliono unire il proprio nome al prestigio che per loro è unito alla carica.
A Göttingen, discutendo della Corte europea dei diritti dell’uomo
Seminario sui rapporti Corti nazionali-Corte di Strasburgo. Presento una relazione. Ricordo che ormai una buona percentuale delle questioni che la Corte italiana deve decidere interseca decisioni della Corte di Strasburgo. Questa influisce sul nostro lavoro in molti modi. Stabilendo metodi e principi, come quello relativo al margine di apprezzamento (o discrezionalità) o al consensus. Oppure decidendo un caso concreto, relativo all’Italia, che coinvolge un principio costituzionale sul quale deve pronunciarsi la Corte italiana. Oppure decidendo un caso concreto relativo ad altro paese, che ha però implicazioni su un caso analogo italiano che dà origine a una decisione della Corte italiana.
Seminario a Yale
Consueto appuntamento a New Haven per discutere temi di grandissimo interesse, come: emendamenti costituzionali incostituzionali; privatizzazione di funzioni sovrane (carceri, difesa, ordine pubblico); privatizzazione di altri compiti statali; attuazione del diritto internazionale nel diritto interno. Seminari a latere, per gli studenti, sui problemi di genere, sui rapporti tra Corti e università e su altri temi. Grande vitalità e ottima organizzazione delle università americane.
La Corte riscopre la sua vocazione
La Corte ridiventa costituzionale con la decisione di due casi importanti, anche se solo parzialmente all’onore delle cronache. Una madre ha dichiarato alla nascita della figlia di non voler essere nominata. Il segreto rimarrà, secondo la legge, per cento anni. Ed è irreversibile. La figlia vuole accedere alle informazioni sanitarie relative alla madre biologica per valutazioni che attengono alla sua salute. Si bilanciano diversi interessi. La salute della figlia, alla quale possono interessare dati relativi alla storia sanitaria familiare. L’interesse di agevolare l’adozione rompendo definitivamente il vincolo con la madre biologica. Il rispetto della volontà della madre, di rompere ogni legame con la figlia. Il rispetto della nuova unione creata dall’adozione. Discussione molto ricca, con decisione di riconoscere la non irreversibilità.
L’altra questione riguarda il rinvio dell’esecuzione della pena per un detenuto ristretto in uno spazio di 2 metri e 58 centimetri. Come nel caso precedente, la nostra decisione interseca una decisione della Corte di Strasburgo (brutto segno, indicatore del fatto che si cerca lì, piuttosto che in Italia, una tutela). Solita osservazione della pluralità di soluzioni, per cui la decisione non sarebbe «a rime obbligate». La decisione arriva quasi a sorpresa, nel senso negativo, mentre mi aspettavo una decisione di accoglimento, sia pure indicando il rinvio come extrema ratio (dopo la detenzione domiciliare e il ricorso ad altri strumenti che consentano di non contribuire al sovraffollamento delle carceri). Dopo la decisione, sento che potrebbero avervi influito il timore di apparire troppo allineati all’orientamento del Presidente, che ha inviato un messaggio alle camere sul sovraffollamento delle carceri, e quello di apparire sostenitori di Berlusconi (ma per questo non è previsto il carcere).
Dei modi di decidere
Qualche aspetto comico nella decisione: è possibile una votazione 10 contro 7? Si può votare, in modo contraddittorio, due volte, in due votazioni separate? Accade, sia pur rarissimamente.
Legge elettorale
Mentre nel mondo della politica non si riesce a raggiungere un accordo, si svolgono consultazioni e riunioni alla Corte. I temi sono: se la questione sia ammissibile; come la Corte debba pronunciarsi sulle tre questioni sollevate dalla Corte di cassazione; quali siano gli effetti della declaratoria di illegittimità costituzionale eventuale. Sul primo problema c’è chi si limiterebbe a dichiarare non implausibile la motivazione della Cassazione, chi insisterebbe sulla circostanza che quella elettorale è una zona oscura, dove non c’è possibilità di intervento di un giudice, chi vorrebbe anche fissare limiti per il futuro, preoccupato delle implicazioni di una decisione positiva, che potrebbe aprire la porta della Corte a molte ulteriori questioni nate sulla base di una domanda di accertamento. Sulle questioni di merito non vi è quasi discussione, essendosi la Corte già espressa con un obiter dictum già due volte. Ma ci si chiede se e quali siano le dichiarazioni di illegittimità costituzionali consequenziali. Poi, viene la domanda principale: cade tutta la legge Calderoli? O resta la legge con un sistema proporzionale puro? O rivive la legge Mattarella?
I nuovi indirizzi del ministro per gli affari regionali
Apprendo che il ministro del governo Letta, incaricato degli affari regionali, ha, da un lato, dato direttive di impugnare un minor numero di leggi regionali; dall’altro, invita lui direttamente le regioni a modificare leggi che potrebbero essere dichiarate illegittime costituzionalmente, stabilendo un dialogo con le regioni. Procedura certamente molto utile, purché non vi entrino considerazioni di schieramento politico-partitico. Serve a ridare spazio alle questioni di costituzionalità relative ai diritti.
«Judicial activism» percepito e reale
Sia Scalia sia la Bader Ginsburg, da parti opposte, ritengono la Corte suprema colpevole di judicial activism. Il numero delle leggi dichiarate illegittime costituzionalmente, però, smentisce questa impressione: è più basso di altre Corti (la Corte Warren, dal 1953 al 1969, dichiarò illegittimo costituzionalmente un numero doppio di leggi della attuale Corte Roberts). Attenti, quindi, alle impressioni! L’aver fatto cadere poche leggi, ma molto note al grande pubblico, può trarre in inganno sugli orientamenti di fondo della Corte.
Tagli, mancati aumenti, promozioni in bianco
La Corte viene chiamata da tutte le categorie che sono scontente dei tagli, dei mancati aumenti, delle promozioni in bianco e di altre misure di risparmio adottate sotto l’incalzare della crisi economica. Che le misure siano necessarie non vi è dubbio. Neppure dubbio che il loro accavallarsi e la circostanza che incidano in misura spesso eguale su categorie che sono su livelli diversi producono notevoli diseguaglianze (ad esempio, il blocco degli scatti periodici, prima biennali, poi triennali, del personale universitario danneggia in particolare i ricercatori). Ma può la Corte stracciare tutte le manovre dei governi che riguardano le spese di personale? Altro interrogativo, questo rivolto alla Corte stessa: come può la Corte giustificare di aver salvato la posizione dei magistrati, mettendoli al riparo dagli interventi legislativi sul loro trattamento economico, lasciando, poi, libero il legislatore di intervenire per altre categorie? E come deve comportarsi un giudice che sia rimasto in minoranza nella decisione relativa ai magistrati? Sostenere la legittimità anche degli altri risparmi imposti dal legislatore, così essendo coerente alla propria personale posizione, oppure battersi per la dichiarazione di illegittimità costituzionale dei tagli o risparmi imposti anche alle altre categorie, per essere coerente con la precedente decisione della Corte, nonostante che questa non fosse da lui sostenuta?
Sempre sulla legge elettorale
Qualche quotidiano prospetta l’ipotesi di una decisione della Corte che, facendo cadere la legge Calderoli, faccia rivivere la legge Mattarella. Pare che questo tipo di soluzione spaventi i timorosi e cauti. Ma questi – per lo più quelli preoccupati della sorte del governo – sanno di stare sul fronte e sanno che qualunque mossa brusca può provocare crisi di governo. E di mosse brusche ce ne sono ogni giorno. Il giudice costituzionale deve decidere sulla base di questo contesto, o deve limitarsi a fare il proprio mestiere, valutare carte e fatti, misurarli con i precedenti, decidere? E come deve comportarsi, sulla base della judicial modesty o dell’attivismo? Ma, se si pone anche questo interrogativo, non finisce per rimettere in ballo la prospettiva del contesto e delle condizioni generali che ha fatto uscire dalla porta?
In termini generali, la frammentazione delle fazioni (non è più possibile parlare di partiti) è tale che interessa a tutti contarsi, quindi che la Corte faccia cadere dalla legge Calderoli il premio di maggioranza, per ritornare a un sistema proporzionale. Ma, da un lato, questo richiede anche un intervento della Corte che faccia cadere il duplice sistema di assegnazione del premio, alla Camera e al Senato. Quindi, un intervento più «ricostruttivo». Dall’altro, il ritorno al proporzionale cancella vent’anni di decisioni parlamentari dirette a rafforzare, rendendolo stabile, il governo.
Finanza allegra
Si discute dei controlli della Corte dei conti, affrettatamente introdotti dallo Stato sulle regioni e in particolare sui gruppi consiliari, specialisti in finanza allegra. Le norme statali sono impugnate da alcune regioni, non da altre, che per il loro silenzio hanno avuto in contraccambio dallo Stato altre disposizioni di loro gradimento. Prova del fatto che il controllo della Corte costituzionale come giudice dei conflitti si erge su una base politica, quindi sulle sabbie mobili.
La Corte costituzionale, seguendo in questo caso disposizioni costituzionali e moti dell’opinione pubblica, salva le norme statali, anche per la ragione che il controllo della Corte dei conti è di tipo collaborativo. Ma con l’eccezione di una disposizione che prevede un intervento del controllore centrale dei conti con effetti impeditivi sul bilancio regionale, con stravolgimento dell’ordine delle fonti del diritto e dei compiti di regioni e Corte dei conti.
Non emerge la questione di fondo, quella della capacità della Corte dei conti di svolgere questi controlli. Mi è capitato di dire a un noto conduttore televisivo, qualche giorno fa, che alla Corte dei conti vi sono solo giuristi, ed è rimasto di stucco.
La legge Calderoli è illegittima
Si arriva alla decisione sulla legge Calderoli. Colpiti premio di maggioranza e liste bloccate. Ma non passa la proposta di dichiarare illegittima, utilizzando lo strumento della illegittimità consequenziale, l’intera legge, con l’effetto, indicato nella sentenza sul referendum sulla legge elettorale, di far rivivere la legge abrogata, quella Mattarella. Insomma, la Corte non ha avuto coraggio e si è fermata a metà.
Gli effetti della pronuncia sono di tre tipi. In primo luogo, la Corte ha comprato una robusta polizza sulla vita al presente governo Letta, perché una legge elettorale incompleta rende impossibile la caduta del governo. In secondo luogo, la Corte è entrata in contraddizione con se stessa, perché, dopo aver detto che la legge elettorale è una legge necessaria, che deve essere sempre presente e disponibile, ha lasciato il paese con una legge elettorale inservibile, perché richiede integrazioni legislative per poter funzionare. Infine, la Corte ha fatto un tuffo nel passato, lasciando il paese con una legge elettorale proporzionale e con preferenze. La mia opinione è che, nel momento in cui tutti sono alla ricerca dell’infinitamente piccolo, nel momento cioè della massima frammentazione politica, in assenza di veri partiti, tutti sono segretamente desiderosi di una formula elettorale proporzionale, che consente di contarsi e di contare. Il patto tra paese e istituzioni in cui consiste la legge elettorale è lontano, perché tutti pensano ai propri interessi immediati, invece che al lungo periodo.
Grandi derivazioni di acque pubbliche
Una norma di attuazione dello statuto del Trentino-Alto Adige assegna alle province autonome il compito di disciplinare le concessioni di derivazione di acque pubbliche a scopo idroelettrico. Dispone, però, che debbono essere osservati le norme comunitarie e l’art. 117 della Costituzione, primo comma. Lo Stato interviene con una legge imponendo di fare gare. Le province impugnano. Viene sostenuta la tesi che le regioni abbiano ragione: lo Stato dovrebbe, eventualmente, impugnare gli atti delle province che siano in violazione della concorrenza. Prevale la tesi, da me sostenuta, che le norme di attuazione dello statuto regionale, nell’assegnare alle province il compito di disciplinare le concessioni, abbiano, però, «sottratto» la materia che attiene alla tutela della concorrenza, riservata in via esclusiva allo Stato. Che, quindi, la legge statale non sia illegittima costituzionalmente. Mal me ne incoglie, perché viene assegnato a me il compito di scrivere la motivazione, essendosi il relatore dichiarato non disponibile a scriverla.
Sulla presidenza della Corte
La tesi che la presidenza vada assegnata per anzianità di nomina ha, tra gli altri inconvenienti, quello di produrre continue fibrillazioni all’interno della Corte, con preoccupazione da parte dei giudici di cui arriva il turno. Preoccupazione che li induce a osservare un periodo di silenzio, talora di lunga durata, nel senso che, in vista di ottenere il voto dei propri colleghi, sono meno attivi o addirittura inattivi nella discussione, per non ferire, contraddire, creare malumori. Ho osservato ripetersi il fenomeno, che incide sulla funzionalità della Corte.
Un nuovo canone per la storia costituzionale americana
Bruce Ackerman mi manda il dattiloscritto del terzo volume della sua grande opera sulla storia costituzionale americana, relativo alla Civil Rights Revolution. Con molta decisione, propone un nuovo canone per l’interpretazione della storia costituzionale, abbandonando l’ottica che vede al centro la Corte suprema, e analizzando, invece, la living Constitution, costituita dalle grandi leggi, i cambiamenti di regime, nei rapporti fra centro-periferia e nei rapporti fra i tre poteri al centro. Esamina materiale prima tralasciato da costituzionalisti e storici, come, ad esempio, i dibattiti parlamentari e i discorsi dei presidenti. Termina osservando che, se la sua rivoluzione metodologica sarà accettata, studiosi nel futuro cercheranno altri documenti, allargando lo sguardo, stabilendo legami interdisciplinari, ricostruendo la vita vera della Costituzione americana. Una bella lezione, che vale anche per l’Italia.
Compagni di viaggio
Sono tanti i compagni di viaggio che si sono succeduti in questi nove anni. I tratti che seguono sono «tipi ideali» o colgono particolari, alcuni ricorrenti, altri presenti in più di uno dei giudici.
Conosce due argomenti e su quelli interviene regolarmente. Il resto non gli interessa. Immaginifico, somiglia a un personaggio misterioso di Thomas Mann. Massimo Severo Giannini lo riprenderebbe ad ogni parola, ricordandogli che il diritto richiede proprietà di linguaggio e uso attento delle parole.
Si appisola durante le udienze. Buon uomo, studia poco, fa proposte, ma è pronto ad accettare l’altrui punto di vista. È ferrato su un solo argomento.
Di poche parole, coglie i problemi, se la cava sempre con poco, ma ciò che è peculiare di una Corte costituzionale gli sfugge.
Studia tanto, è sempre preparato sulle minuzie, ricorda tutti i precedenti: la sua presenza fa scendere il livello dell’esame nella Camera di consiglio.
Mente fine, ottima preparazione, molto buon senso, ma tendenza a dar ragione al legislatore, nel tentativo di lasciar le cose come stanno.
Ha preso la sua nomina alla Corte come l’attribuzione di una onorificenza, ha detto un presidente. Non si prepara, i suoi assistenti mandano in giro appunti sciatti, non interviene. E, in più, ha un pessimo carattere e risponde piccato a ogni piccola osservazione o domanda.
Ottimo giurista, grande spirito pratico, presentazioni eccellenti, si infervora nel presentarle. Ma osserva più degli altri il periodo del silenzio, in vista della promozione. Promosso, comincia a tirar via, abbreviando, scorciando, non lasciando spazio alla discussione, con fare sbrigativo.
Uno dei migliori giudici, acuto, perspicace, ben preparato. Peccato che poi, dopo la promozione, abbia dato il peggio di sé, comportandosi come un maestro con scolari discoli.
Certamente uno dei migliori giuristi, spirito fine e inquisitivo, con ottima preparazione e grande capacità di analisi. Ma si dilunga in udienza e in Camera di consiglio. E vive nel rispetto della volontà del legislatore. Ci si chiede perché abbia accettato di fare il giudice costituzionale.
Conosce bene solo un piccolo argomento, si dilunga in ragionamenti minori, ha timore, arretra dinanzi a ogni piccolo problema.
Ama dormicchiare non solo durante le noiose udienze, ma anche in Camera di consiglio. Le discussioni lunghe non gli piacciono, perché vorrebbe che si esprimesse un’opinione e subito si decidesse. Considera la Corte come una macchina per produrre decisioni. Porta le sentenze in lettura con ritardo sistematico, fino a quasi tre mesi dopo la decisione (dove vanno a finire la contestualità e l’immediatezza?), con la conseguenza che pochi ricordano ciò che si è deciso e perché. Quando la questione riguarda la materia che conosce meglio, le sue motivazioni si dilungano sull’intero universo della materia.
Vivace, attivo, interessato, buon conoscitore di quasi tutte le questioni, ottimo giurista, capace di discutere (che vuol dire anche esporre dubbi).
Pontifica, ma studia poco, quasi solo le sue questioni.
Ha passione per una o due materie, e su quelle si impunta. Anche su espressioni minori o su piccoli dettagli, è capace di ingaggiare battaglie infinite, che sfiancano la Corte.
Attento e preparato, ma non ha capito quale sia il ruolo della Corte costituzionale, per cui si lancia in motivazioni che abbracciano sia il profilo della costituzionalità, sia i profili più generali della legittimità e della efficienza.
Ha un alto concetto di se stesso, che manifesta spesso con voce adirata e solenne, anche se pretende di avere humour. Legge quello che gli preparano.
La migliore mente della Corte, colto, sottile, analitico, ascoltato. Le sue esperienze precedenti gli fanno spesso superare il limite tra argomenti forti e ragionamenti avvocateschi. È infiammabile.
Voto di scissura
Un libro di una processualista, Asprella (L’opinione dissenziente del giudice, Roma, Aracne, 2012), mostra che nella tradizione dei tribunali italiani vi è l’opinione dissenziente, o voto di scissura. Risale addirittura al 1200. Che non c’è principio costituzionale che imponga il segreto della Camera di consiglio. Che le stesse norme sulla Corte costituzionale sono contraddittorie, consentendo l’introduzione, con decisione della Corte, del dissenso pubblico. Nello stesso libro si legge che dissensi informali sono stati manifestati nel 1972 da Mortati, con una lettera divenuta però pubblica dopo diciassette anni; nel 1980-81 da Andrioli, che ha scritto una nota di commento critica di una sentenza che non condivideva; da Spagnoli nel 1994, che ha detto in un convegno che non condivideva una sentenza. L’autrice del libro sostiene giustamente che non si spiega la norma sulla insindacabilità delle opinioni espresse dai giudici costituzionali se non con la loro possibilità di rendere pubbliche le loro posizioni.
Sulla legge elettorale, frittata e pasticcio
Se la decisione sulla legge elettorale è una frittata (la Corte smentisce se stessa, perché lascia il paese senza una legge elettorale pienamente funzionante, dopo aver detto e ridetto che tale legge è sempre necessaria), le tensioni successive hanno dato luogo a pasticci divenuti di pubblico dominio. Mentre un ex giudice pontifica parlando di «prudenza smarrita», il presidente fa un comunicato in cui smentisce un’opinione giornalistica e rinvia al comunicato seguito alla decisione; uno dei giudici dubita del potere di fare comunicati del presidente; il presidente precisa e convoca una riunione della Corte in sede non giurisdizionale, quindi non coperta dal vincolo del cosiddetto «segreto». Nella seduta c’è chi svicola, parlando vago per non scoprirsi. Ma la votazione sostiene la posizione del presidente con una maggioranza schiacciante. Nel frattempo, altro giudice si espone con dichiarazioni pubblicate da un quotidiano, in cui, tra l’altro, dice che la Corte è un colabrodo.
Singolare che per la seconda volta una lettera scritta da un giudice a tutti i suoi colleghi finisca sulla stampa.
La forza di opporsi
«Nel ricusare un processo apparentemente irresistibile, v’è, più che non sembri, una creatività nuova. Il no ha una positività implicita: significa porsi al centro di una nuova forza: la capacità di richiamare gli spiriti a un nuovo indirizzo, fino a che non raggiungano anch’essi quell’impetuosità che incide sulle cose e le piega». Sono parole di Adolfo Omodeo, Introduzione a de Staël, Considerazioni sui principali avvenimenti della Rivoluzione Francese, Milano, Ispi, 1943 (rist. in La cultura francese nell’età della Restaurazione, Milano, Mondadori, 1946, pp. 197-239). Buon motivo per avere la forza di opporsi al tran tran che prevale nella Corte, che si adatta ai precedenti usi, sempre perdendo qualcosa per strada, sì che le tradizioni anche migliori finiscono per peggiorare.
Un rimedio alla frittata?
La motivazione della sentenza relativa alla legge elettorale rimedia agli aspetti più preoccupanti, minimizzando gli interventi che debbono essere operati per avere una legge elettorale sempre funzionante in ogni momento. Rimane una legge proporzionale, che pochi vogliono, per cui è necessario provvedere a cambiare sistema elettorale.
Pubblicata la sentenza, una voce anonima dall’interno ne dà una interpretazione originale, sostenendo che la Corte dichiarerebbe illegittima un’eventuale legge che non desse spazio alle preferenze. Non si sa se criticare di più le voci interne che si fanno sentire in questo modo irregolare (e forse illegittimo), o i giornalisti che le raccolgono (o i giornalisti che inventano l’esistenza delle voci interne).
Neo-giacobinismo alla Corte
Referendum richiesto da nove regioni. Si discute dell’ammissibilità. Riguarda la legge che ridisegna la geografia giudiziaria, con abolizione dei tribunali più piccoli e costosi. Sulla legittimità costituzionale della legge la Corte si è già pronunciata. Il referendum è chiaramente inammissibile perché cancella una norma necessaria, quella che distribuisce sul territorio le Corti. Senza di essa, non si può amministrare la giustizia. Emergono all’improvviso atteggiamenti neo-giacobini, di sostenitori dei mille interessi locali. Faccio notare che è l’opposto della formula Nimby («non nel mio cortile»), relativa alle opere pubbliche, alle centrali nucleari ed elettriche, alle autostrade. Tutti vogliono tribunali e uffici sotto casa, serve al giornalaio, al bar, all’utente. Ma quanto costa tutto ciò? La Corte si può permettere di dire che deve decidere il popolo? Non vale la stessa ratio che esclude il referendum sulle leggi tributarie?
Indirizzi e messaggi presidenziali
Nel corso della discussione, più volte indirizzi e messaggi presidenziali vengono citati quasi come precedenti della Corte. I richiami del Presidente, specialmente quelli in materia di fonti e di procedure normative, rafforzano gli orientamenti della Corte e gli organi di garanzia fanno corpo nella difesa della Costituzione.
Legge Fini-Giovanardi o dell’irrazionalità parlamentare
In un decreto legge di cinque articoli, relativi principalmente alle Olimpiadi torinesi, e quindi per questo urgente, vengono inseriti, in sede di conversione in legge, ventitré articoli di una proposta legislativa in materia di stupefacenti, da tempo in discussione in parlamento. Procedura solita. Maxi-emendamento e apposizione della fiducia, con conseguente accelerazione. Si chiude, così, la bocca al parlamento, con il consenso del parlamento, e vengono aggirati i poteri presidenziali. La Cassazione solleva la questione, non nel merito, ma sulla procedura; la Corte accoglie perché la disomogeneità è tale da rendere inesistente la norma. Si pone il problema: è solo l’eterogeneità, o anche la circostanza che si chiuda così la bocca al parlamento? Si sceglie la prima soluzione. Ulteriore problema quello degli effetti della pronuncia.
Legge rinforzata
Si affaccia per la prima volta la questione della legge rinforzata prevista dal nuovo art. 81 della Costituzione. Il problema riguarda la sua forza rispetto agli statuti delle autonomie speciali. In particolare, la portata dei rinvii, in essa presenti, a decreti del presidente del Consiglio dei ministri. La Corte deve pronunciarsi su una questione di competenza. Ma dietro di essa stanno i vincoli all’indebitamento degli enti locali.
Nella stagione dei tagli si salva la Consulta
È il titolo di un articolo sulla «Stampa» del 9 febbraio 2014, nel quale si critica la Corte per le poche informazioni che fornisce sui suoi conti, per il fatto che non fa risparmi, per le retribuzioni e le pensioni, per i benefits. Sono tutti temi che ho segnalato, inascoltato, da tempo, non votando, tra l’altro, i bilanci preventivi degli ultimi anni. I corpi amministrativi resistono a qualunque pressione, per interesse e per inerzia.
Presidenti transeunti
Sono da nove anni alla Corte e dovrei votare a luglio per la nona volta un presidente. Sarebbero undici le volte, se non si fossero saltati due giudici che avevano dinanzi a sé uno tre mesi e uno quattro mesi di presidenza. Essendo il «mio turno», scrivo al mio collega che si trova nella mia stessa situazione e parlo con alcuni giudici, per far loro presente che la reputazione della Corte cadrebbe molto in basso e il candidato si ridicolizzerebbe. È una questione che non riguarda l’attività giurisdizionale, quindi non è coperta dal segreto della Camera di consiglio. Ritengo, quindi, che la Corte debba discuterne e che anche all’esterno possa esser portato, nelle dovute maniere, l’eco del dibattito interno.
La mia lettera è la seguente:
scelgo la forma scritta di comunicazione per esporti qualche idea e una proposta, sulle quali ti vorrei chiedere – se me lo consenti – di riflettere, in modo da poterne parlare poi a voce e distesamente.
Più volte, da buoni compagni di banco, ci siamo detti che il nostro modo di lavorare richiede un riesame, così come andrebbe verificata l’organizzazione, più in generale, della Corte. Ad esempio, le decisioni sono prese solo verbalmente, senza una proposta scritta, anche sintetica, delle motivazioni. Oppure la collaborazione del Servizio studi al lavoro preparatorio delle ricerche è solo episodica.
Più volte, inoltre, abbiamo constatato che condizione indispensabile perché si ponga mano a queste ed altre modifiche, che richiedono consultazioni, opera di convincimento, maturazione collegiale, è la durata nella carica del presidente.
Più volte, infine, abbiamo notato critiche diffuse alle presidenze brevi, interpretate all’esterno variamente, in modo più o meno negativo. Per cui esse sono non solo poco funzionali, ma anche dannose per la reputazione della Corte.
Ora, nel giugno viene al termine la presidenza attuale e, per così dire, sarebbe il «nostro turno». Ma noi non abbiamo che pochissimo tempo. L’attuale presidente scade il 28 giugno. Se il parlamento non fa subito la scelta dei due nuovi giudici, occorre attendere un mese più dieci giorni per la elezione del nuovo presidente. Questo, dunque, verrebbe eletto e si insedierebbe nella prima decade di agosto. Considerato che il presidente non può presiedere le sedute dell’ultimo mese, la presidenza effettiva sarebbe limitata ai mesi di agosto e settembre. Sarebbe una presidenza estiva, che contribuirebbe alla cattiva reputazione (per quel che riguarda questo aspetto) della Corte e non servirebbe alla sua funzionalità. Ricorderai, infatti, il caso analogo della presidenza di Vincenzo Caianiello, l’unico precedente di durata nella carica tanto breve, dal 9 settembre al 23 ottobre.
Il primo e il secondo ordine di considerazioni mi inducono a proporti di cogliere questa occasione per suggerire noi stessi ai nostri colleghi di riflettere sull’opportunità di saltare la solita scala di anzianità, per scegliere qualche collega che abbia davanti a sé un numero di anni congruo.
Debbo aggiungerti che preferirei che i colleghi che restano facessero la scelta del nuovo presidente, seguendo il nostro esempio, e cioè considerando l’interesse della Corte più che il proprio desiderio di uscire con i galloni da generale.
La versione originaria della lettera conteneva anche un’ulteriore frase, che sono stato convinto a non inserire per evitare la coalizzazione di tutti i giudici «saltati». Questa frase era la seguente: «Se dovessi esprimere una preferenza, io suggerirei il nome della nostra unica collega, per diversi motivi: è una costituzionalista; conosce bene la Corte, essendovi stata in precedenza come assistente; si è fatta apprezzare per acume giuridico e pacatezza di approccio; è il più giovane componente della Corte; è una donna. Tutti motivi che farebbero apprezzare la saggezza dei “vecchi” della Corte».
«Buscar el levante por el poniente»
Si può riassumere così l’andamento nella fase preparatoria, prima della Camera di consiglio, della questione del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. Istituto antico e obsoleto, ma utile: rappresenta un terzo del contenzioso amministrativo dinanzi al Consiglio di Stato. Dovrebbe essere soppresso, come si voleva fare alla fine dell’800. Ma presenta utilità come metodo alternativo di risoluzione delle dispute. Classico esempio di un relitto che continua a presentare qualche utilità. Ma a patto che non divenga pienamente giurisdizionale, che conservi quella caratteristica di mezzo, con qualche elemento contenzioso, che è venuto assumendo. Il Consiglio di Stato vorrebbe disporre di uno strumento pienamente giurisdizionale, ma che operi sia per gli interessi legittimi sia per i diritti soggettivi. Sarebbe una pessima soluzione, perché, a quel punto, si avrebbe un’organizzazione triadica della giustizia, composta di giurisdizione ordinaria, giustizia amministrativa e ricorso straordinario.
Faccio una relazione-lezione, illustrando compiutamente tutta la materia, considerando anche lo sfondo. Lascio la soluzione aperta, insistendo invece sul punto di non far cadere l’istituto, ma senza creare un tertium genus. Ero partito da una fondatezza, più di un componente aveva manifestato opinioni opposte, si perviene alla infondatezza della questione. Insomma, si può puntare al ponente per andare al levante.
Egoismi corporativi
La Corte dovrebbe astenersi in materie che possano avere riflessi anche indiretti sui suoi membri. Si parla del trattamento di fine rapporto di alcune categorie di dipendenti. Ma al fondo della decisione c’è, sotterranea, la preoccupazione di casa propria: nessuno tocchi pensioni e altri trattamenti di fine rapporto. Dove finisce l’interesse generale e comincia quello particolare?
Autodichia
L’autodichia è relitto del passato. La circostanza che i conflitti che riguardano gli organi costituzionali siano giudicati da appositi organi interni, sottraendoli alla giustizia generale, crea un diritto speciale che, in uno Stato ben ordinato, non dovrebbe esistere. L’autodichia, la zona riservata e privilegiata, non dovrebbe esistere. Ma qualcuno dei giudici evoca l’argomento di fatto «conosco i miei colleghi», cioè so che, il giorno in cui sarà caduto il muro, vorranno intrufolarsi, condizionando l’attività degli organi costituzionali. Il giudice deve decidere sulla base dei principi, o anche tenendo conto della (dura) realtà delle cose?
Gli stipendi dei giudici costituzionali
Accuse sui giornali e in televisione sugli stipendi dei giudici costituzionali. In generale, scarsa informazione e poca precisione. Non si tiene conto delle differenze tra stipendi lordi e stipendi netti, del diverso peso della tassazione, da paese a paese, del carico di lavoro e delle responsabilità, della durata nella carica, dei diversi «mercati» dei giudici, in relazione alla loro provenienza. In generale, il ricorrente discorso sulla giungla retributiva e sugli «stipendi d’oro» è impostato in modo sbagliato. Bisognerebbe partire dalla testa, non dalla coda. E la testa è costituita da compiti, livello, responsabilità, durata nella carica. Solo alla fine di tutto questo viene il salario. Invece, c’è una pulsione egualitaristica, che spinge a stabilire rapporti interni: ad esempio, il dipendente più in alto non deve guadagnare più di dieci volte rispetto a quello posto più in basso. Un fatto di produttività del lavoro diventa un fatto di gerarchia sociale ed economica.
La regione siciliana e la singolarità
Finalmente superata la procedura speciale di controllo statale sulle leggi della Sicilia. Costituiva una procedura singolare più che speciale. Se ne era discusso nel 2009, ma senza cambiare giurisprudenza, come da molti auspicato. Ora si è finalmente riconosciuto che i controlli preventivi sono superati da quelli successivi. Che la speciale procedura aveva numerose aporie, principale quella che il presidente poteva promulgare gli articoli non impugnati dal Commissario dello Stato e che quest’ultimo prendeva il posto della Corte costituzionale. La procedura generale di impugnativa della legge promulgata, impugnativa fatta da parte del governo centrale, costituisce modalità più rispettosa dell’autonomia regionale, e può evitare accordi sotterranei tra Commissario e presidente, che aggirano l’assemblea regionale siciliana.
La Corte, in questo caso, solleva la questione di costituzionalità di una legge dinanzi a se stessa. Anche questo è un passo avanti nella direzione di un controllo di costituzionalità meno timido.
Infine, viene superato il timore di un overruling, da tempo dovuto, dopo la disciplina del 2001 dei rapporti tra Stato e regioni.
La mia nomina
Visita al Presidente Ciampi, che mi dice che è in particolare sul mio nome che Berlusconi non era d’accordo. Gli ricordo che avevo curato la preparazione, nel 1993-94, di una legge generale sulla televisione e che questa era stata pubblicata, per sua direttiva, nella serie dei «Documenti di vita italiana» della presidenza del Consiglio dei ministri. Berlusconi aveva dichiarato a Mario Segni che era costretto a «scendere in politica» per difendersi da chi voleva regolare il Far West televisivo.
Fecondazione eterologa
Decisa senza troppi contrasti la possibilità di fecondazione eterologa, con la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma che la proibisce. È uno di quei casi nei quali le divisioni tra giudici cambiano e ci si trova d’accordo tra persone solitamente su posizioni diverse. Grande importanza di questo cambiamento di fronti, che vuol dire che non vi sono maggioranze precostituite generali (anche se, quando si toccano interessi egoistici e corporativi, emerge uno zoccolo duro).
Ancora autodichia
La soluzione di ritenere non impugnabili i regolamenti parlamentari e che, quindi, la questione dell’autodichia può pervenire alla Corte costituzionale solo attraverso un conflitto trova una spiegazione nel timore che le procure vogliano aprirsi un varco nei confronti degli organi parlamentari (un collega mi dice che non possiamo consegnare ai giudici la vita parlamentare). Nel modo prescelto, possono solo sollevare conflitto alla Corte. Ma così, chiudendo la strada diretta a procure e giudici, la Corte costituzionale ha almeno fatto un passo avanti, stabilendo che un giudice c’è, quello costituzionale. Solo questo può aprire o chiudere la porta che consente il controllo giurisdizionale su atti parlamentari.
Riduzioni di spesa
Si decide, ma solo per il 2014, una riduzione di un milione della spesa. Sacrificio facile perché vi sono sopravvenienze attive e perché vi sono avanzi di amministrazione. Sarà difficile continuare l’anno prossimo. Anche perché la riduzione richiesta e accettata, in linea di principio, è di un milione all’anno, progressiva, nel senso che il secondo anno è di due milioni, il terzo di tre, il quarto di quattro. Ma pochi hanno capito questo, ed è meglio che – considerate le difficoltà attuali – non lo capiscano.
Silenzio sul presidente
Ogni tanto qualcuno mi chiede che succederà a giugno, con la scadenza dell’attuale presidente. Ribadisco la mia posizione contraria a presidenti balneari e a favore di presidenze sufficientemente lunghe. Ricordo che è ridicolo nascondere le proprie ambizioni personali dietro l’evocazione del timore di un presidente usurpatore. Osservo che l’argomento per il quale la Corte è organo veramente collegiale, usato da coloro che sono favorevoli a presidenze brevi che si succedono continuamente, è reversibile: proprio per questo, è meglio avere un presidente che duri in carica almeno due o tre anni.
Due problemi della casa: pensioni e stipendi
Emerge la questione dei membri della Corte che godono di una pensione, alla quale si aggiunge lo stipendio della Corte. Una legge specifica fa divieto. Una sentenza del Consiglio di Stato ha ritenuto implicitamente abrogata la norma. Due giudici, invece, hanno ritenuto la norma in vigore e non percepiscono il trattamento pensionistico. Non è questione che interessa la Corte come tale, ma singoli giudici.
Interessa tutta la Corte, invece, l’applicazione immediata – per la quale mi esprimo – della norma di legge che diminuisce lo stipendio del presidente della Cassazione. La Corte, con qualche mugugno, decide la riduzione. Si doveva fare prima, ma meglio tardi che mai.
Medicinali costosi
Due medicinali per una stessa patologia, ma con costi molto diversi. Un tribunale regionale solleva malamente un problema di costituzionalità. Lunga discussione, animata da uno stesso fine, ma sostanzialmente diretta a coniugare una inammissibilità o una interpretativa di rigetto, con ampia motivazione per spiegare che l’intento del tribunale è animato da intenzioni condivisibili, ma non realizzabili con lo strumento usato. Si decide per una inammissibilità «vestita», cioè motivata in modo che appaiano chiari i profili di merito della questione e la relativa (possibile) soluzione.
Prossimi giudici costituzionali
In una Corte di quindici persone un rinnovo di quattro giudici costituisce un cambiamento importante. Si intrecciano i nomi. Cerco di pensare ai requisiti che dovrebbero avere i prossimi giudici. Che siano non orientati alla difesa di interessi egoistico-corporativi (ce ne sono abbastanza). Che conoscano qualche lingua straniera, per leggere quel che si fa all’estero sul piano giudiziario. Che siano donne (lo squilibrio attuale è enorme).
Della motivazione
La Corte decide, nonostante la proposta più volte fatta di cambiare procedura, su una proposta orale di dispositivo. Il relatore deve interpretare la discussione e l’opinione prevalente, nella stesura della motivazione. Ma qualche volta va al di là del perimetro della motivazione addotta in Camera di consiglio, almeno di quella ivi prevalente. Si creano, quindi, problemi, che sono sorti a proposito della motivazione della decisione circa la fecondazione eterologa: è diritto soggettivo, diritto fondamentale, libertà, facoltà? Verrebbe voglia di regalare qualche copia dei Frammenti di un dizionario giuridico di Santi Romano, perché non tutti riescono a distinguere situazioni, posizioni e qualità giuridiche soggettive.
Per evitare equivoci derivanti da questa procedura, invito il relatore sulla questione detta del «matrimonio omosessuale» a preparare il testo e leggerlo quale relazione in Camera di consiglio. Così si decidono dispositivo e motivazione. La soluzione equilibratissima raccoglie grandi consensi. E raccoglie altrettanti consensi la procedura. Ma perché non seguirla sempre, quando si è in presenza di questioni «spinose», ovvero molto controverse?
Della presidenza delle sedute
Debbo presiedere, quale giudice anziano, e seguo quella massima di esperienza che ho sempre adottato: il presidente imposta, guida, conclude, senza interferire con ripetuti interventi nella discussione. Ciò rende più agevole raggiungere la decisione.
Cambiamento di sesso nella coppia
Un uomo, sposato, cambia sesso ma vuole continuare la vita di coppia. Certamente non si tratta di matrimonio. Ma non si può neppure pensare che possa essere imposta una separazione. La Corte spara un forte colpo a salve. Dichiara illegittima la norma, ma richiede un intervento del legislatore, perché non può essa stessa direttamente stabilire tutte le conseguenze giuridiche che derivano dalla permanenza di una formazione sociale, garantita dall’art. 2 della Costituzione, ma che deve anche essere disciplinata da una legge ordinaria.
Giudici con pensione e stipendio della Corte
Una parte dei giudici somma allo stipendio una pensione, perché una risalente decisione del Consiglio di Stato ha stabilito che la norma precedente, che rende non cumulabili i due trattamenti, va intesa come implicitamente abrogata. L’Inps richiede la restituzione delle pensioni percepite. Imbarazzo di coloro che percepivano ambedue. Da un lato, si può dire che un’aspettativa legittima va tutelata e che la pensione è salario differito, guadagnato nel corso dell’attività lavorativa precedente. Dall’altro, che il cumulo fa sì che i giudici percepiscano trattamenti economici diversi, anche molto diversi, pur facendo lo stesso lavoro. Due degli attuali giudici hanno chiesto all’Inps di applicare a se stessi il divieto di cumulo. Altri sei non l’hanno chiesto e hanno percepito e continuato a farlo un doppio trattamento, nonostante che la norma disponga chiaramente che il trattamento della Corte «sostituisce ed assorbe quello che ciascuno, nella sua qualità di funzionario di Stato o di altro ente pubblico, in servizio o a riposo, aveva prima della nomina a giudice della Corte». Su questa norma si è pronunciato il Consiglio di Stato con una decisione secondo la quale essa sarebbe stata implicitamente abrogata da altra norma generale sul cumulo retribuzione-pensione.
Incontro con i giudici costituzionali tedeschi
Dopo la nostra visita a Karlsruhe, alcuni giudici tedeschi vengono in visita in Italia. Un giorno e mezzo di lavoro, inframezzato da un pranzo e una cena, anch’essi molto utili per scambiarci opinioni informali. Nella mia relazione, sui vincoli comunitari in materia di finanza pubblica e privata, faccio notare che la nostra giurisprudenza è simmetricamente opposta a quella tedesca: loro fanno valere vincoli costituzionali interni nei confronti del diritto europeo; noi facciamo valere vincoli europei nei confronti degli enti dell’ordinamento italiano, comprese le regioni. Ci scambiamo, successivamente, scritti in inglese e ricevo commenti a un mio scritto sull’Unione europea. Questi sono tutti in termini di scetticismo sulla possibilità di una «unione sempre più stretta», che pure è prevista dai Trattati.
Usi civici
Lunga, protratta e rinviata discussione su una normativa della regione Sardegna in materia di usi civici. Si intrecciano più problemi. Se la materia sia di competenza regionale. In quale misura sia in vigore la legge (Serpieri) del 1927. Se il codice dei beni culturali, dichiarando i terreni di uso civico beni paesaggistici, abbia mutato l’assegnazione alle regioni della materia. Quali sono i limiti della competenza regionale rispetto ai Commissari.
Speditezza e concentrazione
Sono i principi della scuola classica, chiovendiana, del processo. La Corte costituzionale li rispetta, in generale. La questione discussa in udienza viene, solitamente, decisa lo stesso giorno. La motivazione viene stesa subito dopo e letta a distanza di quindici giorni. Ma qualche giudice, che pure ricorda i due principi, porta la motivazione in lettura dopo tre mesi. Effetto di presidenze brevi, disinteressate al rispetto delle regole di base del processo e al buon funzionamento della Corte.
I voti si contano o si pesano?
La nota frase di Enrico Cuccia, per cui nelle società per azioni i voti si pesano, non si contano, vale anche nella Corte? La risposta è sì nell’argomentazione e nella discussione, dove sono importanti i ragionamenti esposti, no nella decisione finale, dove – ma non sempre – pesano i «pre-giudizi».
Magistrati-avvocati?
Una parte in una causa esibisce uno «studio» a favore della sua tesi, «studio» scritto da un magistrato della Corte dei conti. È stato retribuito dalla parte? Anche se non lo fosse stato, non sarebbe un brutto segno sia dell’assenza di imparzialità di un dipendente pubblico che si fregia dell’attributo di magistrato, sia del mancato rispetto delle regole deontologiche interne del corpo, che non consentono agli appartenenti della Corte dei conti di svolgere attività esterne in favore di questo o di quello?
Il costo della Corte costituzionale
La Corte costituzionale italiana costa circa 60 milioni (52 a carico dello Stato, la parte restante proveniente dalle obbligazioni acquistate dai fondi creati in passato). La Corte costituzionale tedesca costa 25 milioni. Dal costo della Corte italiana bisogna sottrarre la spesa per pensioni di tutto il personale della Corte (che è a carico della Corte stessa, non dell’Inps, per evidenti motivi di tutela di privilegi). Si tratta di poco meno di 20 milioni. Dunque, la comparazione, al netto della spesa per pensioni, fa emergere un maggior costo della Corte italiana di 15 milioni. Si tratta di un costo imputabile alla quantità di personale assunto nel tempo, quasi tutto senza concorso.
Stati Uniti: i giudici della Corte suprema fanno politica stabilendo quando dimettersi?
I giornali americani si chiedono se i giudici della Corte suprema «play politics with retirement». Nel senso che stabiliscono quando dimettersi (sono nominati a vita), per dare modo al Presidente a loro gradito di nominare il successore. Si tratta di un comportamento che risale nel tempo. E i quotidiani si chiedono se i giudici Bader Ginsburg e Breyer, rispettivamente 81 e 75 anni e notoriamente dell’ala liberal, non dovrebbero dimettersi ora per dare occasione a un Presidente democratico di nominare i loro successori.
Corti monofoniche e Corti polifoniche
Lord Mance, un acuto giudice della Corte suprema inglese, in uno scritto dal titolo In a Manner of Speaking: How Do Common, Civil and European Law Compare?, pubblicato nella «Rabels Zeitschrift» del 2014, divide le Corti in monofoniche e polifoniche, a seconda che non abbiano o abbiano l’opinione dissenziente, e auspica alla fine che vi sia maggiore pluralismo. È un importante plaidoyer in favore delle Corti che parlano con più voci. Elenca tutti i numerosi e convincenti argomenti a sostegno delle Corti nelle quali il dissenso può diventare pubblico.
Corte di ieri e Corte di oggi
Quanto è diversa la Corte nella quale sono entrato rispetto a quella di oggi? Provo ad elencare le diversità. Quella era più timida, abbondavano le inammissibilità («allontana da me questo calice amaro»), ma era anche maggiormente carica di lavoro (quindi le inammissibilità erano un modo per difendersi). Quella era meno attenta al diritto extra-nazionale (globale, dell’Unione europea, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo), e questo diritto non era ancora penetrato nell’ordinamento italiano. Quella era puntigliosamente attenta agli aspetti di procedura. Quella era meno attenta alle «cose della casa» (quanto si spende, quanto personale si assume), anche perché vi era meno attenzione nell’opinione pubblica per i costi dello Stato e delle sue varie componenti. I professori che erano nella Corte di ieri erano complessivamente meno attenti a seguire il moto dell’opinione pubblica, meno attenti agli sviluppi istitu- zionali.
Corti coese e Corti divise
La Corte Warren e quella Burger hanno deciso all’unanimità solo il 36% dei casi e quella Rehnquist era così divisa che il presidente se ne uscì una volta osservando che non sapeva di aver tante persone nella sua Corte. La Corte Roberts, invece, ha deciso ben il 66% dei casi all’unanimità, nonostante che sia divisa in quattro progressisti e cinque conservatori.
Riforme costituzionali che riguardano la Corte
Nelle proposte di riforma costituzionale vi sono numerose norme che riguardano la Corte: scelta dei cinque giudici eletti dal parlamento, per adeguarla alla diminuzione di rango del Senato; giudizio sull’immunità, per uscire dalle secche di un parlamento corporativo, che la concede sempre; rimessione alla Corte delle proposte di riforma elettorale, per averne subito un giudizio, senza aspettare che la Corte si debba pronunciare dopo che una legge abbia avuto attuazione, così delegittimando il parlamento. Non se ne parla nella Corte, salvo qualche cenno nei colloqui a due o a tre. E dall’esterno qualcuno chiede se la Corte non debba pronunciarsi con un parere. La preoccupazione dominante è quella di non adottare riforme che possano avvicinare pericolosamente la Corte al mondo della politica (più di quanto già oggi non avvenga).
Candidati alla nomina alla Corte
Con quattro nuovi giudici da eleggere o nominare, è inesorabile che si intreccino, nei dialoghi a due o a tre, i nomi. Il parlamento ha finora fatto tre votazioni a vuoto. Ci sono autocandidature numerose, sia di professori-politici sia di avvocati-politici. C’è chi sostiene la propria candidatura dicendo che esce un internazionalista, è opportuno entri un internazionalista, esce un costituzionalista, è consigliabile entri un costituzionalista. C’è chi conta sullo schieramento politico di appartenenza, ma deve preoccuparsi che quello opposto candidi qualcuno che sia gradito allo schieramento proprio. C’è chi ricorda la necessità di nominare altre donne. Alcuni dei candidati si fanno vivi con i giudici in carica.
Gran confusione nel mondo delle pensioni dei giudici
Si accavallano problemi vecchi e nuovi per quanto riguarda le pensioni dei giudici. Quelli in carica conservano, con l’eccezione di due, la pensione derivante dalle cariche precedenti. Una norma del 1953 lo vietava. Il Consiglio di Stato l’aveva ritenuta implicitamente abrogata. La Corte aveva preso atto della decisione del Consiglio di Stato. Tutti si erano adeguati. Due giudici, però, di recente, avevano rinunciato alla pensione. Questione che riguarda, in principio, le singole persone. Ma non può non stupire che, intorno al tavolo, metà delle persone costi allo Stato il doppio dell’altra metà.
Si aggiungono ora due altri problemi: il contributo di solidarietà previsto da un precedente governo e il tetto di 240.000 euro annui lordi disposto dall’attuale governo.
È singolare – e costituisce una conferma del corporativismo dominante, nonché del suo egoismo – che pochi si guardino indietro, chiedendosi se non sia giusto fare qualche sacrificio, visto che molti altri ne fanno. Si guarda solo nel giardino del vicino ricco, non in quelli dei vicini poveri.
Diritto interno e diritto sovranazionale
Sono sempre più frequenti le questioni poste alla Corte costituzionale invocando il rispetto non solo delle norme costituzionali, ma anche di norme ultrastatali, siano esse comunitarie, siano esse della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, siano esse di diritto internazionale in senso stretto. Questo porta all’interno, nazionalizza il diritto non statale, ma, nello stesso tempo, sottopone il giudice costituzionale nazionale al rispetto delle decisioni dei giudici ultrastatali. Intreccio sempre più interessante, che certamente complica l’attività dei giudici nazionali, ma consente la massima espansione dei diritti, nonché la ricerca di sempre nuove vie e di sempre nuovi argomenti processuali.
Le lodi dei giudici uscenti
Quale giudice anziano, debbo intessere le lodi di due giudici uscenti. Per uno di loro osservo: «Felix Frankfurter, in un saggio del 1938, si interrogava sugli elements of judicial greatness, cioè su che cosa fa grande un giudice. Con riferimento alla figura e all’opera del giudice Holmes, osservava che un grande giudice non è quello che decide grandi casi, ma quello che nelle controversie non importanti, minori, riesce a sviluppare una constitutional philosophy, e aggiungeva che Holmes non era attirato dagli eventi e dalle necessità del giorno, ma da una sua organica concezione che gli permetteva di non distrarsi appresso all’infinita varietà dei dettagli e di cogliere i pochi principi guida.
Nelle sentenze redatte dal presidente uscente tre principi guida mi paiono importanti. Quello, sviluppato sulla base di uno spunto di Paolo Barile, della massima espansione delle garanzie. Dove concorrono tutela convenzionale e tutela costituzionale dei diritti fondamentali, non “si può consentire che si determini, per il tramite dell’art. 117, primo comma, Cost., una tutela inferiore a quella già esistente in base al diritto interno, ma neppure si può ammettere che una tutela superiore, che sia possibile introdurre per la stessa via, rimanga sottratta ai titolari di un diritto fondamentale”.
Quello, in secondo luogo, per cui tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre “sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto fra loro”. Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona.
Quello, infine, secondo il quale è tutta la Costituzione che opera come limite rispetto alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo: questa integra il parametro costituzionale, ma rimane al livello sub-costituzionale; è, quindi, necessario che sia conforme a Costituzione».
Vasi comunicanti
Varietà di materie sulle quali ci si rifà al diritto europeo e impossibilità di tratteggiare una linea di confine precisa tra ciò che è passato all’Unione e ciò che resta allo Stato, come fa la Corte tedesca quando cerca di distinguere tra politica monetaria e politica economica. E ciò non solo per la stessa porosità dei confini tra materie, ma anche per un altro più sostanziale motivo: gli ordinamenti giuridici sono unitari e vale per essi il principio dei vasi comunicanti. Quindi, non è possibile affermare un principio o un diritto in un settore e non riconoscerlo in un altro. Diffusività, quindi, del diritto europeo.
La laurea di Di Pietro
Se un parlamentare avanza dubbi, fuori del parlamento, circa la laurea di Di Pietro, non può escludere l’intervento del giudice, se non ha svolto analoga accusa in parlamento. Questa è giurisprudenza costante della Corte.
«Giudiziarizzazione» della Corte e dialogo con l’opinione pubblica
Un argomento sul quale riflettere: la Corte italiana, che non fa parte dell’ordine giudiziario, a differenza di quella americana, ha assunto troppi connotati di carattere giudiziario, si comporta troppo come giudice? La Corte è organo costituzionale con funzioni giudiziarie. Dovrebbe, quindi, collaborare maggiormente con gli altri organi costituzionali. E dovrebbe anche dialogare con l’opinione pubblica, mentre con questa ha solo molte difficoltà dovute alla pretesa che la Corte parli solo con le sentenze. Di ciò è prova il continuo ricorso a precisazioni della Corte. Ne indico alcune: nel 1998, 1999, 2000, 2004 e 2005, in occasioni diverse, sono state fatte correzioni di notizie errate che si erano diffuse; nel 2007 vi sono state esternazioni di singoli giudici, con conseguenti polemiche; nel 2008 dibattiti in occasione della conferenza stampa; nel 2009 pettegolezzi su singoli giudici; nel 2010 tensioni con il Tribunale della libertà di Roma; nel 2011 fughe di notizie; nel 2013 discussioni e conseguenti precisazioni sulle «pensioni d’oro» dei giudici; nel 2013 tensioni sul comunicato stampa relativo alla sentenza in materia elettorale; nel 2014 discussioni sulle retribuzioni dei giudici. Tutte occasioni nelle quali la Corte, con un adeguato ufficio stampa, avrebbe potuto informare correttamente l’opinione pubblica, evitando di dover ricorrere a precisazioni ex post, con conseguenti dibattiti interni, nella Corte in sede amministrativa.
Il mio archivio
Metto ordine nel mio archivio e osservo i passi avanti e le proposte abortite. La Corte ora raccoglie più sistematicamente le principali sentenze costituzionali straniere e traduce in inglese le proprie principali sentenze. Le ricerche preparatorie sono divenute meno pesanti e più utilizzabili, e si consuma meno carta inviandole in formato elettronico. Le relazioni in Camera di consiglio sono meno sproporzionate di una volta.
Se queste mie proposte hanno avuto successo, altre sono rimaste al palo. Nel 2007 proponevo di fare risparmi: non sono stati fatti e il bilancio non è sostenibile. Avevo proposto di non leggere una sintesi dei cenni del fatto in udienza: salvo due eccezioni, si continua a farlo, con nessuna utilità (sia i difensori delle parti sia gli altri giudici già sanno quanto si legge). Avevo cercato di uniformare gli stili delle sentenze, almeno nelle dimensioni (ad esempio, alcune volte vi sono descrizioni lunghissime del fatto), ma sono rimasto inascoltato. Avevo proposto di tenere da 12 a 24 seminari di diritto straniero e comparato per anno. Furono contingentati a 3-4. Ne realizzammo 3. Decisi di non interessarmene, e l’iniziativa è caduta. Avevo fatto un grande programma per la biblioteca, per farle svolgere un ruolo «attivo» e più funzionale all’attività della Corte, attirandomi i fulmini di un mio collega: ora si comprano pochissimi libri, per lo più su minori argomenti civilistici e penalistici, e le maggiori pubblicazioni straniere sulle Corti costituzionali sono assenti.
Uno sguardo al passato
Mi avevano avvertito, alcuni giudici emeriti: se vai alla Corte, ti annulli, devi essere pronto a discussioni gonfiate e alle questioni di dettaglio poste dai conflitti Stato-regioni, c’è una inevitabile chiusura rispetto a interessi più ampi, e un’assenza di indipendenza personale. Alcune di queste previsioni si sono avverate.
Ancora sulla presidenza
Purtroppo, tutti vogliono essere presidenti non tanto per fare i presidenti, ma per poter dire dopo che lo si è stati, anche se per breve tempo. Scrivo questa lettera ai miei colleghi:
Roma, 14 luglio 2014
Cari colleghi,
tra qualche giorno saremo chiamati ad eleggere il nuovo presidente della Corte.
Si è formata la prassi di scegliere il presidente tra i più anziani per nomina e, quindi, prossimi alla scadenza. Tra questi, ci sono io. Vi sto scrivendo per pregarvi di non considerare il mio nome. Ritengo infatti inadeguato alle esigenze funzionali e al prestigio stesso della Corte un incarico della durata di tre mesi nominali (di cui uno estivo), che si ridurrebbero a tre giorni effettivi di presidenza del collegio.
La norma costituzionale secondo la quale il presidente della Corte «rimane in carica per un triennio», anche se prevede un limite massimo (temperato peraltro dalla rieleggibilità), non può essere nella sostanza stravolta con la elezione di presidenti la cui durata nella carica è spesso inferiore all’anno (non ho ancora compiuto i miei nove anni alla Corte e partecipo per la nona volta alla elezione di un presidente). Il termine contenuto nella Costituzione, per quanto massimo, è pur sempre indicativo. La Corte, «guardiana» della Costituzione, dovrebbe tenerne conto.
L’argomento spesso adoperato a favore delle presidenze brevi, quello secondo cui esse sottolineano e rafforzano la collegialità dell’organo, potrebbe essere facilmente rovesciato: proprio perché la Corte opera solo quale collegio, le presidenze brevi creano discontinuità nocive al ruolo davvero essenziale del presidente, che è appunto quello di assicurare la migliore funzionalità del collegio e di curare i problemi amministrativi e organizzativi della Corte.
Ci sono infine le critiche costantemente rivolte alle nostre presidenze brevi, talora fondate su motivi inesistenti, ma sempre comunque corrosive e tali da recar danno alla reputazione della Corte.
La maggioranza della Corte (ma è una minoranza dei componenti) non ascolta. Ma io ricevo, poi, rallegramenti persino dalla Francia, per aver tenuto fermo il principio.
Ho partecipato alla nona elezione di un presidente in nove anni
Eletto, con sette voti contro sei, un nuovo presidente. I sei voti di minoranza sono andati a un giudice che avrebbe avuto tre anni per esercitare le sue funzioni. Commento breve dell’«Espresso», 28 agosto 2014: «Il giudice napoletano viene eletto presidente della Corte costituzionale per un solo voto: il suo. E resterà in carica per una sola udienza. Con la sentenza di incostituzionalità del Porcellum ha rivoluzionato la politica italiana, ma ora ritorna a una grande specialità nazionale: la presidenza balneare».
La Costituzione andrebbe modificata disponendo che non può essere eletto un giudice che non abbia almeno tre anni di mandato e che chi abbia ricoperto le funzioni di presidente non può ricoprire alcuna altra carica o svolgere alcuna altra funzione pubblica nei tre anni successivi al suo mandato di giudice. Questo perché le ambizioni vengano frenate e si aspiri a fare il presidente per svolgere effettivamente le funzioni, non per poter dire di averle svolte.
Mentre un autorevole commentatore, sul «Corriere della Sera», osserva che la mancata elezione di due giudici costituzionali da parte del parlamento «svilisce» la Corte, può il presidente della Corte affermare in una intervista che «è forse giusto un presidente-ponte»?
A Yale per l’ottava volta: il fossato che separa il mondo europeo e quello anglosassone
A settembre consueto appuntamento di giudici costituzionali e costituzionalisti all’Università di Yale. Ho lavorato un anno intero alla preparazione, con altri colleghi americani, del materiale per uno dei cinque temi in discussione. Il materiale raccolto e la discussione mostrano il fossato che divide i paesi europei continentali dal mondo anglosassone. La comparazione è tutta a favore dei primi, che paiono ispirati a principi di maggiore tolleranza e mitezza, a criteri più rispettosi della privacy e a regole più democratiche, a una maggiore apertura al diritto internazionale e globale (e, conseguentemente, al riconoscimento dei diritti umani).
Il primo tema discusso riguarda le sentenze di condanna, in particolare quelle al carcere a vita. Emerge la differenza tra Regno Unito e Stati Uniti, più orientati al carattere retributivo della pena, e paesi dell’Europa continentale, più ispirati al carattere rieducativo della pena. Si deve riconoscere un diritto del carcerato a sperare?
Il secondo tema riguarda il ruolo della Chiesa e della religione. A quali condizioni si può dire che lo Stato sia neutrale rispetto alla religione? Può lo Stato ignorare completamente la religione, ad esempio non tenendo conto delle conseguenze del diritto religioso ebraico, che consente al marito divorziato di non dare il permesso di risposarsi alla moglie?
Terzo tema: come viene incorporato nel diritto nazionale il diritto sovranazionale e, in particolare, quello relativo ai diritti umani. Qui si registra una grande differenza tra Europa e Stati Uniti. Questi ultimi sono refrattari all’apertura, con argomenti vari, che si riconducono a un malinteso principio di sovranità popolare, come se questa non si fosse espressa nell’adesione ai Trattati internazionali che danno luogo alle norme sovranazionali e internazionali. Il Regno Unito non è da meno nel respingere il diritto sovranazionale, specialmente dopo le tensioni, ancora aperte, con la Corte di Strasburgo relative al diritto di voto dei prigionieri.
Quarto tema, quello dell’eguaglianza dei generi e delle razze. Qui si discute della legittimità delle quote (per assicurare l’eguaglianza, violano il principio di eguale accesso) e si nota l’insofferenza dei giuristi americani per lo stato presente delle cose del loro paese, specialmente per quanto riguarda gli afroamericani. La discussione si fa accesa. Ma questo non fa considerare soluzioni ragionevoli, come quella della sentenza O’Connor della Corte suprema americana sull’accesso alla Law School del Michigan, che ha dichiarato legittimo un punteggio preferenziale assicurato alle minoranze, ma senza stabilire quote di posti riservati, così non chiudendo la porta agli altri richiedenti.
L’ultimo tema è quello della sorveglianza di massa, dopo che Snowden ha reso noto quel che fa il governo americano (ma non è il solo). La discussione si svolge su due livelli, quello tecnico, che consente di capire come vengono raccolte informazioni (metadata), specialmente attraverso il contact chaining, e quello giuridico, con alcuni dei più illustri giuristi e giudici americani che sostengono che non si debba e possa fare di più di quel che si è fatto, in termini di controllo e garanzie (non ascolto delle telefonate dei cittadini americani – ma sarà vero? – e costituzione di due Corti ad hoc – ma dove va a finire il principio del giudice naturale?).
Importanti, come sempre, i contributi di giudici come Barak, dall’alto della sua lunga, quasi ventennale esperienza nella Corte israeliana, dove ha dovuto affrontare centinaia di casi estremi come quelli discussi. Barak ritorna sempre alla sua idea del bilanciamento e della proporzionalità, convinto che non esistono valori assoluti (difesa, vita privata ecc.). Vivacissimi gli interventi di Breyer. Pieni di sottili riferimenti alla storia costituzionale quelli di Ackerman.
Nell’insieme, vale nel diritto quello che si nota nella lingua: inglesi e americani sono divenuti egemoni (anche) grazie alla lingua, ma questo li ha confinati in un’isola, perché finiscono per conoscere solo la loro lingua. Appare singolare che le culture giuridiche di altri paesi, persino di quelli sudamericani (Colombia, Brasile), siano più aperte. Che gli istituti e le leggi di altri paesi sopravanzino nazioni come Regno Unito e Stati Uniti che sono state antesignane e maestre di liberalismo e democrazia al mondo.
Esternazioni presidenziali
Sembra quasi naturale che presidenti balneari colgano la prima occasione per mettersi in mostra, farsi sentire. Colgono subito l’occasione per segnalarsi. Non ci si fa eleggere per un’estate per fare il presidente, ma per poter dire di aver fatto il presidente, nella speranza di futuri onori.
Italia contro Germania
Messa in fretta a ruolo (le ordinanze di rinvio sono nella «Gazzetta Ufficiale» di maggio), viene discussa la questione sollevata da un giudice fiorentino relativa al mancato risarcimento di prigionieri di guerra italiani durante la seconda guerra mondiale in Germania, due deportati e adibiti a lavori forzati, il terzo anche morto in prigionia. La legge del 2000, adottata dalla Germania, li esclude da un ristoro dei danni subiti. Il giudice richiede che la Corte dichiari che, dinanzi a crimini di guerra, non valga l’immunità degli Stati stranieri dalla giurisdizione.
I problemi sono molti. Il giudice italiano fa valere la dignità umana e il diritto a un giudice. Ma non accerta se i ricorrenti si siano rivolti prima a un giudice tedesco. Si deve intendere il diritto a un giudice come diritto a tutelare la propria posizione davanti a un tribunale o come diritto ad ottenere una pronuncia favorevole?
Sull’argomento si è pronunciata la Corte internazionale di giustizia. Quindi, la Corte costituzionale italiana si metterebbe contro una pronuncia di un tribunale internazionale. Farebbe valere un principio costituzionale italiano contro un principio del diritto internazionale, per lo più recentemente ribadito, proprio sulla questione dinanzi alla Corte italiana, dalla Corte internazionale.
Il diritto a un giudice, certamente affermato non solo dal diritto costituzionale italiano, ma anche dalle norme internazionali, comporta che si possa ricorrere a un giudice italiano, oppure che vi sia comunque un giudice? E questo non dovrebbe essere piuttosto un giudice internazionale, se il principio è di questo rango?
La Corte nazionale deve far valere i principi costituzionali per impedire l’immunità degli Stati. Ma perché non fa valere anche i principi dello stesso diritto internazionale, che vietano i crimini di guerra?
Esercizi di ingegno, sottili domande giuridiche si alternano con esercizi di retorica di chi ricorda i tedeschi a casa propria.
Commenti e giudizi
Un biglietto di commento al termine di una Camera di consiglio mal preparata: «Hai fatto da par tuo l’indice di una scheda come si deve. La palese inadeguatezza della scheda – tardiva – ha comportato un livello di discussione “modesto” (a dir poco) anche nel mio caso. Come sarà il “dopo Cassese”?».
Una mail ricevuta dopo la Camera di consiglio contiene un brano dell’ultimo libro di Calabresi:
Si può essere tentati di pensare che l’esperienza più gratificante per un giudice sia di scrivere la «grande» sentenza, quella che diventa patrimonio generale di tutta la comunità giuridica e che viene raccolta e menzionata in tutti i manuali di diritto [...] Ma io dico che non è questo che rende il mestiere del giudice veramente interessante, perché questa forma di appagamento un po’ narcisista la si può avere ancor meglio scrivendo articoli scientifici e libri, e non necessariamente scrivendo sentenze. Il contributo più prezioso a cui un giudice dovrebbe dedicare il suo lavoro è piuttosto sapersi misurare – con l’ausilio degli strumenti del suo mestiere e del suo spessore umano – con ciò che non è giusto: dalla piccola, minuscola, banale ingiustizia quotidiana, fino ai drammatici risvolti di una legge che dà prova di essere moralmente ingiusta. In quest’ottica, non ci sono sentenze «piccole» [...] Le grandi sentenze possono gratificare la vanità del giudice, ma non necessariamente rendere visibile il valore del suo mestiere [...] (Guido Calabresi, Il mestiere di giudice, Bologna, Il Mulino, 2013, p. 16).
Mia replica: «Ora – ti confesso – rileggendo la “storia della colonna infame”, ritrovo quel che dice Manzoni: “un’idea fissa e una passione predominante gli accecava”. Perché, altrimenti, non abbiamo avuto risposta alle nostre molte domande? E poi ci sono altre componenti, come il corporativismo e il desiderio dei giudici di Cassazione di avere l’ultima parola. Ed altro ancora».
Altro commento: «L’unica consolazione è che la tentazione della magniloquenza come surrogato della grandezza non riguarda solo i giudici. Bill Gates disse ai neolaureati di Harvard anni fa che contro la povertà del mondo avrebbero fatto di più esercitando bene le competenze che avevano appena imparato piuttosto che partecipando ai tanti convegni in cui si lanciano irrealizzabili progetti per sfamare il mondo».
Ulteriore commento: «Avete descritto tutti con efficacia quel che è successo. Il disagio viene accresciuto dalla sensazione (non è la prima volta) dell’inutilità della discussione in Camera di consiglio, di una decisione presa in precedenza e dalla constatazione che alcuni colleghi, abitualmente attenti, si siano uniformati all’atteggiamento di ignorare le argomentazioni in dissenso, senza rendersi conto che ignorare è più facile che argomentare ma mortifica la propria intelligenza».
Questi sono tutti argomenti a favore sia dell’opinione dissenziente sia delle incompatibilità in uscita.
Esternazioni presidenziali
Dopo aver predicato per anni che la Corte parla con le sue sentenze, anche i «presidenti-ponte» esternano. Risponde alla logica del segnalarsi, del farsi notare come presidenti, anche balneari. Il moralismo, in questi casi, è rivolto agli altri, al parlamento che non elegge i due componenti della Corte. Ma da quale pulpito viene la predica? Non sarebbe meglio star zitti? Infatti, la predica sul «Corriere della Sera» del 30 settembre riceve una critica sull’«Avvenire» del 1º ottobre, nella quale si ricorda che l’organo dovrebbe parlare con le sue sentenze e si criticano come «considerazioni risibili» gli argomenti sulla fecondazione eterologa usati nell’esternazione e ripresi dalla sentenza.
Inoltre, nelle esternazioni presidenziali si comunica un particolare della Camera di consiglio (che «avrebbe preferito la formula del diritto»), si riferiscono in modo errato le motivazioni di due sentenze costituzionali e si afferma che «il Titolo V del 2001 fu fatto in una nottata». Tutto questo suscita reazioni giornalistiche: viene ricordato che da febbraio 1992 la Corte suprema americana ha avuto due presidenti, la Corte costituzionale italiana ne ha avuti diciassette.
Le regioni sì, «ma non tante»
Può un giudice costituzionale dichiarare: «nell’idea dei costituenti c’erano anche le regioni, ma non tante così»? In realtà, le prime proposte dei costituenti erano anche più generose, prevedendo l’Emiliana lunense, il Salento e il Sannio.
Un colpo a salve
Decisa la questione Italia-Germania. Non so quali possano essere le conseguenze pratiche, perché il giudice rimettente si è limitato a chiedere di poter avviare un giudizio di cognizione, e la Germania sarà contraria a riaprire la questione, avendo provveduto in tre circostanze a risarcire l’Italia (1953, 1961 e 2000).
Dure reazioni dei giornali tedeschi. Osservano: che succede se anche Putin e Pechino cominciano a non rispettare il diritto internazionale?
Osservazioni di un internazionalista italiano:
confesso che faccio fatica a condividere l’entusiasmo per questa sentenza, che a me pare deludente sul piano del metodo utilizzato per risolvere conflitti tra ordinamenti e assai poco utile sul piano delle conseguenze pratiche per le vittime. Sul piano del metodo, ci si poteva aspettare qualcosa di più del semplice ricorso ad un dualismo di stampo ottocentesco: che ci interessa a noi del diritto internazionale, abbiamo la Costituzione! Nel mondo di oggi, questo messaggio mi sembra di una povertà assoluta. In Kadi la Corte UE aveva comunque fatto lo sforzo di parlare di «protezione equivalente» per stimolare riforme (in piccola parte avvenute) del sistema delle liste nere delle Nazioni Unite. Da anni la Corte europea dei diritti dell’uomo applica soluzioni volte a superare il conflitto attraverso meccanismi di dialogo tra ordinamenti, per esempio esaltando gli spazi di libertà, per quanto esigui, lasciati agli Stati nella fase di esecuzione degli obblighi internazionali. Il giudice di Firenze aveva meritoriamente sollevato il problema della esecuzione della sentenza della Corte internazionale di giustizia. Siamo sicuri che, nell’esecuzione della sentenza, non esistessero spazi per conciliare il rispetto degli obblighi internazionali in tema di immunità (autorevolmente accertati dalla Corte internazionale) con il rispetto del diritto delle vittime? Nel dibattito dottrinale in occasione dell’unico precedente analogo (una sentenza della Corte costituzionale di fine anni ’70), si era da più parti prospettata l’idea di meccanismi alternativi che, in casi di immunità, lo Stato italiano avrebbe potuto predisporre per «compensare» il sacrificio dell’art. 24. Non si poteva far entrare anche questo elemento nel bilanciamento tra art. 10 e art. 24? [...] veramente faccio fatica a credere che la strada del muro contro muro fosse l’unica percorribile. Sul piano delle conseguenze, avremo forse sentenze di merito che condanneranno la Germania al pagamento di milioni di euro. Con ogni probabilità, si tratterà di sentenze ineseguibili, a meno di non credere che la Germania si piegherà a tali condanne e pagherà il risarcimento. Ma se, come mi pare scontato, non lo farà, che succede? Si pignora il conto corrente della ambasciata tedesca a Roma? Si aggrediscono gli istituti tedeschi di cultura? La tutela dell’art. 24 Cost. copre anche l’esecuzione forzata? In realtà, la conseguenza più probabile della sentenza è – ironia della sorte – che toccherà all’Italia riparare la Germania per la violazione dei propri obblighi: la Germania tornerà alla Corte internazionale di giustizia, la Corte accerterà la violazione da parte dell’Italia e la condannerà alla riparazione. Sarò forse troppo critico, ma ho la sensazione che si sia presa la strada più semplice e più «ad effetto», senza curarsi delle conseguenze.
Astensione alla Corte
Quando ci si deve astenere alla Corte costituzionale? Una norma integrativa dispone che non si applicano le norme sull’astensione. Ma nel testo di giustizia costituzionale di Zagrebelsky e Marcenò si legge che un giudice di Cassazione non potrebbe partecipare alla discussione e decisione su una questione sulla quale si è già pronunciato. I magistrati di Cassazione sostengono che questo vale solo in caso che vi sia un interesse personale. Ma la prassi precedente della Corte è in senso diverso. Nel solo periodo nel quale sono stato alla Corte, un giudice si è astenuto perché aveva dato un’intervista sulla questione prima di assumere la carica di giudice. Io mi sono astenuto in due casi, nel primo dei quali perché avevo fatto una relazione a un convegno in anni precedenti su questione connessa. Insomma, vi sono due modi di interpretare le norme, una più severa, una molle. Ma un giudice costituzionale non dovrebbe comunque sempre schierarsi per l’interpretazione più rigida, almeno per dare l’esempio?
«Gute Nacht»
Ecco come si svolse la procedura di nomina alla Corte, raccontata da Eugenio Scalfari sulla «Repubblica» del 14 marzo 2010:
L’episodio concernente la nomina dei tre giudici della Consulta nella quota che la Costituzione riserva al Presidente della Repubblica, avvenne nella sala della Vetrata del Quirinale. Erano presenti il segretario generale del Quirinale, Gifuni e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta. I temi da discutere erano due: i rapporti con la Commissione europea di Bruxelles dove il premier doveva recarsi per risolvere alcuni importanti problemi e la nomina dei tre giudici.
Esaurito il primo argomento Ciampi estrasse da una cartella i tre provvedimenti di nomina e comunicò a Berlusconi i nomi da lui prescelti. Berlusconi obiettò che voleva pensarci e chiese tempo per riflettere e formulare una rosa di nomi alternativa. Ciampi gli rispose che la scelta, a termini di Costituzione, era di sua esclusiva spettanza e che la firma del presidente del Consiglio era un atto dovuto che serviva semplicemente a certificare in forma notarile che la firma del Capo dello Stato era autentica e avvenuta in sua presenza. Ciò detto e senza ulteriori indugi Ciampi prese la penna e firmò passando i tre documenti a Berlusconi per la controfirma.
A quel punto il premier si alzò e con tono infuriato disse che non avrebbe mai firmato non perché avesse antipatia per i nomi dei giudici ma perché nessuno poteva obbligarlo a sottoporsi a una scelta che non derivava da lui, fonte unica di sovranità perché derivante dal popolo sovrano.
La risposta di Ciampi fu gelida: «I documenti ti verranno trasmessi tra un’ora a Palazzo Chigi. Li ho firmati in tua presenza e in presenza di due testimoni qualificati. Se non li riavrò immediatamente indietro da te controfirmati sarò costretto a sollevare un conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale». «Ti saluto» rispose altrettanto gelidamente Berlusconi e uscì dalla Vetrata seguito da Letta. In serata i tre atti di nomina tornarono a Ciampi debitamente controfirmati.
«Fremd bin ich eingezogen / fremd zieh’ ich wieder aus».