VIII
Settimo anno (settembre 2011-agosto 2012)
Nuovi giudici costituzionali
Ogni nuovo giudice fa una Corte diversa. Ne entrano due, uno eletto dalla Corte dei conti, uno nominato dal Presidente. Sui nomi per quest’ultimo vi sono state, negli ultimi due mesi, molte ipotesi, fermo restando che dovesse essere una donna. Il giudice da sostituire apparteneva all’area cattolica (si dice che il suo nome fosse stato suggerito dal cardinale Ruini). Il nuovo giudice valuta pubblicamente «generosa e coraggiosa» la nomina presidenziale.
«Global Constitutionalism Seminar»
Partecipo al consueto seminario della Law School di Yale, ormai un appuntamento fisso. È divenuto un piccolo club, nel quale c’è qualche avvicendamento. Quest’anno viene discusso un solo argomento visto in cinque diversi aspetti, quello della cittadinanza. Discussione vivace su un tema importante del nostro tempo, dominato dalle migrazioni. Materiale raccolto per la preparazione con molta cura. La discussione è dominata dalla contrapposizione di tre punti di vista. Il primo è quello nazionalistico: lo Stato è il padrone della cittadinanza, deve poter decidere liberamente chi fa parte della comunità statale (quindi, eventualmente revocare la cittadinanza ai terroristi). Il secondo è quello cosmopolitico: i diritti umani sono riconosciuti a tutti e la cittadinanza non è «disponibile» dagli Stati, considerato che essa è il diritto di avere diritti. Il terzo è quello repubblicano, che giunge alle stesse conseguenze del secondo approccio, ma accettando che gli Stati debbono riconoscere il diritto preliminare di cittadinanza. Il problema teorico principale era stato visto da Hannah Arendt: se è dalla situazione di cittadino che discendono i diritti nei confronti degli Stati e se gli Stati sono gli arbitri della concessione della cittadinanza, come possono garantirsi ai cittadini i diritti fondamentali nei confronti degli Stati?
La riunione viene arricchita da due conferenze, una sulla crisi economica mondiale, una sulla «primavera araba».
La Corte e la Casta
Privilegi della Corte e difficoltà che un organo supremo decida sui suoi propri privilegi. Cerco di spiegare sia in riunioni plenarie sia in molti incontri bilaterali che il fatto di godere di autonomia costituzionale non vuol dire che, nell’ambito di un suo esercizio responsabile, la Corte non debba tener conto della difficilissima situazione economica e tagliare privilegi o benefici. Tanto più che la situazione finanziaria della Corte non è sostenibile (entrate per 52 milioni, spese per 60). Ma sarò ascoltato?
«Eccezionalismo» anglosassone
In un incontro alla Cardozo Law School, a New York, sulla proporzionalità, emerge l’eccezionalismo anglosassone (britannico, ma anche statunitense). Diritto è quello voluto dal parlamento e applicato dall’amministrazione. Non si possono contrapporre ad essi i diritti dei cittadini, perché così si rischia di perdere di vista il bene comune (good contrapposto a right). Il test di proporzionalità conferisce troppi poteri ai giudici, che si contrappongono così alla volontà popolare. Insieme di populismo rousseauiano e di pragmatismo inglese.
Elezioni regionali piemontesi e lombarde
La Corte decide una questione che unisce le due caratteristiche di essere politicamente importante e giuridicamente importantissima. Elezioni regionali e falsi. Il Consiglio di Stato si chiede perché il giudice amministrativo non possa decidere sul falso. Stato delle persone e incidente di falso sono storicamente sottratti al giudice amministrativo. Ma la sottrazione dipende dalla circostanza che, in passato, il giudice amministrativo non aveva piena giurisdizione. Ora che ce l’ha, perché non dovrebbe? Si affaccia la tesi che la storia non si cambia. Sostengo la tesi che la richiesta costringerebbe la Corte a dichiarare la illegittimità costituzionale della sola norma relativa alle procedure elettorali, alla quale è strettamente legata l’ordinanza. In tal modo la Corte creerebbe uno squilibrio: falso valutabile nelle procedure elettorali, non nelle altre procedure.
Decisione politica e decisione costituzionale
Affiora continuamente il problema del rapporto giudici-politica. Non se ne discute mai a pieno. Tra l’altro, per considerare che compito dei giudici è conciliare regole. La Corte ha molte scelte, non deve solo decidere accoglimento-rigetto, ma le sue scelte vengono operate in un ambito limitato. Compito della politica è compiere ponderazioni più ampie, con istruttorie più complete (relative, ad esempio, ai costi e ai tempi) e facoltà di scelta sostanzialmente illimitata.
Diritto vivente e conflitti tra giudici inferiori
Differenza tra Corte italiana e Corte suprema americana. La Corte italiana opera sul diritto vivente, quindi – se possibile – aspetta che si formi una interpretazione della norma che possa considerarsi prevalente, sulla quale prendere la propria decisione. La Corte americana accetta una questione se vi è un conflitto interpretativo tra corti inferiori (quando accetta di esaminare una questione in assenza di conflitto, lo fa perché almeno quattro giudici ritengono le decisioni delle corti inferiori sbagliate). La differenza deriva dalla circostanza che la Corte americana è il vertice del sistema giudiziario di quel paese, mentre la Corte italiana è fuori dell’ordine giudiziario, pur essendo un giudice. La somiglianza sta nella tendenza delle due Corti a considerare non il law in books ma il law in action (non le prescrizioni normative, ma le norme in quanto applicate).
La Corte è al completo
Il parlamento ha eletto il nuovo giudice e la Corte è al completo. Si lamenta che la scelta sia avvenuta anche questa volta non con il sistema della selezione della persona più adatta, ma con quello della spartizione. A parte la bontà della scelta specifica, è probabile che i costituenti volessero proprio che il parlamento scegliesse combinando un criterio tecnico (possesso dei requisiti prescritti: giudice, professore di diritto, avvocato con vent’anni di esperienza) con uno più propriamente politico. Anche perché le valutazioni puramente tecniche della scelta sono affidate al Presidente della Repubblica e alle supreme magistrature, nelle loro scelte.
Stili presidenziali
La presidenza del collegio cambia molto da persona a persona, nonostante che poteri e funzioni siano gli stessi. Vi sono presidenti che lasciano il collegio discutere. Presidenti che intervengono in modo inopportuno nella discussione e finiscono per attizzare i conflitti. Presidenti che «stringono», specialmente quando si nota che c’è consenso, spingendo nella direzione – gradita dai partecipanti – di non richiedere illustrazioni delle questioni, quando c’è unanimità di consensi. Bisogna quindi stare molto attenti per evitare decisioni frettolose.
La Corte aggirata
Nonostante il suo ruolo istituzionale, la Corte è spesso aggirata. Vi sono giudici che rinviano alla Corte, nell’impossibilità di dare una interpretazione costituzionalmente orientata della legge. Se la Corte ritiene inammissibile la questione, essi stessi o i giudici di appello ci ripensano e danno una interpretazione costituzionalmente orientata della legge impugnata. È successo per le elezioni europee. Colpa in parte della stessa Corte costituzionale, con la sua «dottrina» della interpretazione costituzionalmente orientata, che ha consentito di dare tante interpretazioni della Costituzione quanti sono i giudici.
Altro aggiramento quello delle regioni. Specialista la regione Puglia, seguita da quella Calabria. Esempi: la regione viola i vincoli di spesa sanitaria; viene stipulato un accordo con lo Stato per il rientro. Subito dopo, la regione emana una legge che viola l’accordo e il governo impugna. Saputo dell’impugnazione, la regione abroga la legge. Il governo rinunzia al ricorso, ma, nel frattempo, la regione ha emanato un’altra legge, simile alla precedente. Oppure, più semplicemente, la Corte ha dichiarato illegittima costituzionalmente la legge, ma la regione ne approva un’altra di contenuto simile.
Polemiche sulle Corti d’altri paesi
I giudici supremi inglesi stanno conquistando un loro posto nell’opinione pubblica. Un professore inglese in un convegno fiorentino si chiede che bisogno vi fosse di una Corte suprema. Gli rispondo che il Regno Unito doveva scoprire finalmente Locke e Montesquieu, essendo l’unico paese che avesse ancora un organo legislativo, la House of Lords, con funzioni giudiziarie.
Il salario annuale dei giudici inglesi è di 206.000 sterline. La mia collega e amica baronessa Hale fa discutere per una sua opinione dissenziente relativa alle spese sanitarie a favore di una donna malata, la cui dignità non viene rispettata, opinione dissenziente scritta in termini crudi, con riferimento alla defecazione.
Negli Stati Uniti, mentre Stevens, ormai in pensione, va in giro a presentare il suo libro Five Chiefs. A Supreme Court Memoir, la Commissione per le questioni giudiziarie del Congresso sente i giudici Breyer e Scalia, discutendo la presenza di Scalia e Alito, ambedue della destra, a eventi politici. Scalia afferma in quella occasione che ogni «banana republic» ha un bill of rights, mentre quel che è importante e tipico della Costituzione americana è la divisione dei poteri.
In Francia, sulle 150 questioni di costituzionalità portate alla sua attenzione, il Conseil constitutionnel ne ha dichiarate illegittime costituzionalmente solo 22 (più 11 parzialmente illegittime). Viene lamentata la composizione «irregolare», con la presenza degli ex Presidenti della Repubblica.
Un momento felice
La Corte attraversa un momento felice, di straordinaria coesione. Su moltissime questioni non c’è neppure bisogno di discussione, bastando in Camera di consiglio l’indicazione dell’esito, tanto l’illegittimità o la legittimità è palese. Le impugnative governative di leggi regionali vengono quasi tutte accolte, perché le regioni, per lo più meridionali, fanno a gara nel violare la Costituzione o nell’approvare provvedimenti ispirati al peggiore clientelismo. Si discute di altre, con diversità di accenti che derivano non tanto da pregiudizi, quanto da culture e provenienze diverse. Ad esempio, i giudici provenienti dalla magistratura ordinaria tendono ad accentuare i profili di inammissibilità e a difendere le interpretazioni della Cassazione. Rimangono le timidezze nei confronti delle ordinanze carenti; è sempre più facile dichiarare una questione inammissibile: comporta minor lavoro e minori responsabilità.
Il segreto di Stato e gli Orazi e Curiazi
Giudici perugini sollevano conflitto nei confronti del governo che ha coperto con il segreto una questione relativa alla sede di via Nazionale, nella quale sono stati trovati documenti relativi ad un’associazione di magistrati di orientamento contrario al governo. I magistrati umbri accusano di peculato l’amministrazione dei servizi segreti. I quotidiani riferiscono che il relatore intende proporre di adottare un’ordinanza istruttoria in quanto il segreto non è opponibile alla Corte e che il collegio sarebbe diviso in due. Avanzo in Camera di consiglio la tesi – intermedia e forse originale – di un’ordinanza che ribadisca il diritto-dovere della commissione parlamentare di svolgere controlli in materia. Successivamente, prima di votare, suggerisco che si voti partendo dalla tesi più estrema, secondo il modello parlamentare. Nessuna delle due tesi viene accolta. La conclusione è nel senso della infondatezza. Ecco un bell’esempio di errore di condotta da parte dei sostenitori della tesi secondo la quale la Corte dovrebbe intervenire nella questione. L’estremismo non paga e dividere i sostenitori di una tesi è il modo migliore di far passare quella opposta. In conclusione – dice qualcuno – la Corte si è sparata un colpo nelle gambe. Il segreto rimane inviolabile, come se la legge non prevedesse la sua non opponibilità alla Corte proprio per consentirle di intervenire. La Corte così va oltre la recente propria sentenza sul segreto, nella quale aveva riconosciuto la spettanza di un potere di controllo di legittimità molto limitato alla Corte stessa.
Giudici costituzionali o agrimensori?
La Corte continua ad essere impegnata da questioni portate in via principale dal governo contro regioni e da regioni contro il governo. Si tratta di un lavoro modesto, di determinazione di confini, che nasce dalla infelice formulazione della modifica costituzionale del 2001 e svilisce la funzione della Corte. Insegna molto sul disprezzo per la Costituzione di alcune regioni, specialmente Puglia, Sicilia, Calabria e Campania. Ma non si tratta del lavoro proprio di una Corte costituzionale, almeno non nelle dimensioni assunte da queste questioni. Anche perché così risalta maggiormente la pochezza delle questioni riguardanti i diritti fondamentali. La Corte dovrebbe fare una riflessione attenta sulla crisi dei rinvii da parte dei giudici ordinari.
Il referendum elettorale
Sono il relatore e istruisco la questione. Dietro alla quale vi sono alcuni problemi di fondo, che la Corte non deve affrontare, ma di cui dovrebbe essere consapevole. In primo luogo, i referendari, ponendo l’alternativa secca tra la disciplina del 1993 (Mattarella) e quella del 2005 (Calderoli), finiscono per ingessare la questione politica della formula elettorale con una scelta tra due soluzioni, dalle quali, in caso di svolgimento del referendum, non ci si potrà allontanare; mentre il parlamento potrebbe soppesare altre soluzioni (sistema tedesco, francese, sistemi misti). In secondo luogo, i sostenitori del referendum finiscono per escludere soluzioni che non siano bipolari, vincolando la scelta del parlamento per altre strade. In terzo luogo, mi chiedo se la scienza giuridica (dietro al quesito referendario, questa come altre volte, vi sono professori di diritto costituzionale) non debba essere più cauta nel giocare con le norme, con il pericolo di trarre in inganno il corpo elettorale, dando affidamenti che sono poco fondati.
Come preparo una questione
Nel caso del referendum, procedo nel modo seguente. Faccio uno studio preliminare della questione e preparo un appunto illustrativo dei problemi per gli assistenti (e per il presidente). Ne discuto con loro. Invito poi a discuterne due ex assistenti. Intanto, gli assistenti preparano la ricerca con il materiale rilevante. Ciascuno degli assistenti ed ex assistenti fa circolare un appunto. Chiedo al Servizio studi due ricerche, una sulla giurisprudenza e sulla dottrina italiane sulla reviviscenza e una sulla normativa e giurisprudenza straniere sullo stesso tema. Scrivo un secondo appunto, questa volta con le soluzioni. Lo faccio circolare e raccolgo le osservazioni degli assistenti. Separatamente, faccio colloqui con alcuni selezionati colleghi. Faccio preparare lo schema della scheda illustrativa della ricerca e la discuto con gli assistenti. Rivedo la scheda. Preparo per iscritto la relazione che debbo fare oralmente in Camera di consiglio e la do all’assistente al quale ho chiesto di preparare una prima bozza della sentenza.
Rumori di fondo e discussioni interne
Da dicembre fino alla decisione, grandi discussioni sulla ammissibilità dei referendum elettorali. I costituzionalisti mobilitati, specialmente quelli engagés, che si comportano come veri giocolieri del diritto. Non hanno letto quello che si è scritto in altri momenti della storia italiana a proposito delle mosche cocchiere. Usano il diritto come il naso di cera tradizionale, malleabile, provando e riprovando, sempre ispirati a grandi valori e buoni principi, ma pensando che le istituzioni possano costruirsi con scorciatoie.
All’interno, mentre, nelle vacanze natalizie, metto a punto due appunti sulla base dei quali poi costruire la relazione per la Camera di consiglio e la sentenza, mi raggiunge una telefonata di un collega che propone di riflettere su una possibile auto-rimessione. Studio la possibilità, escludendola. La proposta riemerge con forza nella discussione collegiale (ne parlano anche i giornali il giorno dopo).
Faccio una relazione insolitamente lunga (circa un’ora) e riprendo la parola il giorno dopo per replicare e per rimettere in discussione la proposta dell’auto-rimessione.
La discussione presenta aspetti paradossali. Qualcuno che ha più esperienza politica alle spalle adopera fini argomenti giuridici. Giudici di lungo corso si appellano ai valori e alla necessità di non abdicare alla propria funzione. A favore dell’auto-rimessione milita l’argomento che ci troviamo di fronte a un elefante e non possiamo dire di non averlo visto. I sostenitori sanno che l’auto-rimessione richiede diversi salti mortali giuridici e avrebbe l’effetto di delegittimare il parlamento in carica (quello stesso che dovrebbe modificare la legge elettorale) e di sostituirsi sia al popolo (referendum) sia al parlamento. Nella discussione si mescolano, quindi, argomenti strettamente giuridici e argomenti più istituzionali e politici. Viene evocata la necessità che il Presidente della Repubblica sciolga le camere, in caso di dubbio della Corte sulla costituzionalità della legge sulla base della quale è stato eletto. Insisto contro l’auto-rimessione sui seguenti punti: sull’assenza di rilevanza, sul dubbio che la reviviscenza si produca a seguito di annullamento della legge del 2005 (Calderoli), sul fatto che ci sostituiamo a popolo e parlamento, sulla difficoltà di individuare le norme di dubbia costituzionalità ed anche i parametri costituzionali violati, sulla circostanza che possiamo produrre anche noi un vuoto, sulla impraticabilità procedurale (tempi del referendum, tempi del processo, remissione che dovrebbe essere seguita da un giudizio dall’esito scontato, quindi decisione della causa prima dello svolgimento del processo), sul fatto che di auto-rimessioni ve ne sono state poco più di dieci in circa sessant’anni di vita della Corte.
La decisione sulla ammissibilità dei referendum
Gli opposti estremismi, di chi vuole la dichiarazione di incostituzionalità della legge da parte della Corte e di chi vuole che il referendum venga dichiarato inammissibile senza un monito, producono una votazione a forte sostegno della inammissibilità, ma anche, per una sorta di ripicca, una decisione contraria al monito. Conseguenza: una Corte nella quale non si è sentita una sola voce di apprezzamento o difesa della legge Calderoli decide che il referendum è inammissibile, senza neppure un’avvertenza come quella della sentenza del 2008 su una parte della stessa norma. Ci si smentisce. Il sinedrio (presidenti delle camere e Presidente della Repubblica) qualche ora dopo emette un comunicato in cui parla del «rigoroso esercizio della propria funzione» da parte della Corte e afferma che tocca alle forze politiche muoversi per la modifica della legge elettorale «secondo esigenze largamente avvertite dall’opinione pubblica». La Corte ha perduto un’occasione: una sua moral suasion sarebbe stata utile. Conclusioni: il giudice che rispetta l’istituzione più che le proprie idee, fa fino in fondo il proprio dovere, ma non cerca di forzare i binari su cui la Corte corre. L’anonimato della Corte italiana, se si priva anche dei moniti, contrasta fortemente con le Corti anglosassoni dove la pubblicità delle opinioni individuali consente alla Corte una presenza nel dibattito politico-istituzionale.
Il dialogo dei giudici
Si fa un gran parlare del dialogo dei giudici. Molti esempi concreti nell’esperienza di questi anni, dovendo tener conto degli orientamenti delle due Corti, di Strasburgo e di Lussemburgo. Casi nei quali le Corti sovranazionali si sono pronunciate e dobbiamo adeguarci, casi nei quali dobbiamo pronunciarci prima noi. Propongo di considerare il margine di apprezzamento e di cercare di innestare clausole, come quella delle esigenze imperative di interesse generale, in principi o clausole italiani, in modo da adeguare tra di loro gli ordini giuridici. Discutiamo un caso e un altro lo discuteremo, che sto studiando.
Decreto legge e innesto di norme eterogenee nella legge di conversione
Si discute a lungo la questione dell’inserimento nella legge di conversione del decreto legge di norme estranee alla materia trattata dal decreto legge, giungendo a una conclusione di maggior rigore. Necessità di fare ordine nel sistema delle norme. Necessità di impedire lo sfruttamento della corsia preferenziale della legge di conversione per far godere norme estranee al decreto legge della corsia preferenziale.
Punti di crisi e di sofferenza dell’ordine giuridico
La Corte è un buon osservatorio per valutare i punti di sofferenza e di crisi dell’ordine giuridico-politico. Ne elenco alcuni: il trattamento degli stranieri (troppe diseguaglianze a loro sfavore); i rapporti tra Stato e regioni e le devianze delle regioni dalle leggi generali (troppi conflitti e scarsi controlli); il rapporto tra parlamento e Corti (i parlamentari vogliono essere immuni dai giudizi e sollevano conflitti).
Fiori di ghiaccio
Chiusa la vicenda sull’ammissibilità del referendum, è il caso di ritornarci. Uno degli avvocati, quello più efficace, ha parlato, nella discussione, di «cristalli di ghiaccio», facendo riferimento allo scritto di uno dei membri della Corte. Si trattava della citazione da Musil, da me utilizzata in passato. Ma Musil scriveva «fiori di ghiaccio». Comunque, nella Corte vi sono questi fiori. Qualcuno ha detto: noi siamo i medici, noi dobbiamo curare la malattia. Gli è stato risposto acutamente che occorre rivolgersi al medico giusto, con la dovuta specializzazione, per curare la malattia. Per riformare la legge elettorale, la Corte non è il medico giusto. Questa vicenda mostra che i professori non dovrebbero diventare giocolieri del diritto, sperimentando medicine e traendo in inganno il pubblico, in questo caso più di un milione di persone. Adopero il titolo di un libro americano, Taking Rights Seriously, per dire che gli «operatori del diritto» dovrebbero prendere il diritto e i diritti seriamente. Apprezzamento del Presidente della Repubblica che, nel comunicato che dà conto della riunione del «sinedrio», si riferisce alla Corte e al «rigoroso esercizio della sua funzione». Ricevo una lettera da un amico giurista e politico di grande apprezzamento per la decisione di dichiarare inammissibili i due referendum («mi rallegro per la giusta decisione della Corte. Queste sono le occasioni nelle quali vi sono dei colleghi che, in nome di un principio a loro avviso superiore, fanno a pezzi i principi giuridici e confortano la tesi che vede il diritto come una trippa sempre malleabile. Vivaddio non è così, almeno non è sempre così. E la nostra dignità sta e cade col far valere principi e regole per quello che hanno da essere. Ben fatto.»).
Sono provinciali le Corti che citano il diritto straniero?
Uno dei giudici commenta sottovoce la decisione sul referendum rilevando che due citazioni di ordinamenti stranieri sarebbero segno di provincialismo. Si è provinciali se non si cita il diritto straniero o se, invece, lo si cita?
Dialogo tra le Corti
Si discute una sentenza in cui viene in rilievo la questione della parità delle parti nel processo in relazione all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Propongo di innestare i «motivi imperativi di interesse generale», clausola generale del diritto sovranazionale, sulle clausole costituzionali, in modo da rendere coerenti il diritto nazionale e quello sovranazionale. Ne viene una formula proposta dal relatore, che incontra l’apprezzamento di tutti, quella dell’«esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono “motivi imperativi di interesse generale” ai sensi della Cedu».
Come funzionano le altre Corti e quali problemi hanno
La Corte suprema americana riceve molti briefs di amici curiae. Si discute in quel paese della sottoscrizione di questi atti, che vengono fatti circolare nel mondo accademico per raccogliere adesioni, date da qualcuno dopo un esame molto serio, da altri dopo un esame molto sommario. In Italia, per questioni importanti, come quella dell’ammissibilità del referendum sulla legge elettorale del 2005, vengono fatti incontri i cui atti circolano molto sollecitamente (in questo caso ultimo, addirittura due).
Nel Regno Unito, la Corte suprema è oggetto di discussione per quattro problemi. Il primo è quello della scelta dei giudici: si parla di una self-selecting oligarchy. Il secondo è quello della dimensione e composizione dei collegi, che varia da caso a caso (possono essere di cinque, di sette e di nove giudici). Il terzo è quello del leave: il suo rifiuto, senza motivazione, esclude due terzi dei casi portati alla Corte. L’ultimo è quello consueto dei limiti dei poteri delle Corti: si dice che problemi importanti come quello del diritto di voto dei carcerati, escluso in quel paese, dovrebbero essere decisi dal parlamento, non dalle Corti. Resta sullo sfondo il problema dell’assenza di una Costituzione scritta, che indebolisce le difese dell’ordinamento britannico contro l’estensione delle discipline europee di diversa fonte.
La Corte predica bene, ma razzola male
Frequentemente la Corte annulla leggi regionali (o statali) che dispongono «ruolizzazioni» o stabilizzazioni di dipendenti pubblici assunti senza concorso, operate in modi diversi, senza concorso, o con concorsi riservati, ovvero con concorsi con posti riservati. Tuttavia, la Corte, fin dall’inizio della sua attività, ha raramente assunto dipendenti per concorso, procedendo proprio nel modo da essa censurato. Il personale assunto in pianta stabile con questi metodi illegittimi, perché contrari all’art. 97 della Costituzione, viene valutato in 60 unità. Mi pare una stima benevola. Si prepara una nuova «infornata». Esprimo la mia opinione contraria. Mi pare un uso semifeudale di uffici pubblici. Ogni giudice ha potere di nomina di una persona estranea all’amministrazione. La nomina è fatta con incarichi annuali rinnovabili. A un certo punto, si dà per acquisito il diritto di questi dipendenti di passare nei ruoli, in pianta stabile. Naturalmente, tra i beneficiari, vi sono non pochi figli di dipendenti. Faccio proposte regolamentari per far cessare questo andazzo, prevedendo che possano essere nominate a termine, annualmente, solo persone già dipendenti di pubbliche amministrazioni. Ci riuscirò?
Due conflitti
Due conflitti parlamento-giudici, uno dei quali relativo al caso Ruby. In ambedue i casi, il parlamento sostiene che l’ordine giudiziario, quando si imbatte in un reato commesso da un ministro, deve informarne la Camera di appartenenza, in modo da dare ad essa la possibilità di esprimere il proprio avviso sulla ministerialità del reato. Nel caso dell’ex presidente del Consiglio dei ministri, il parlamento sostiene che questo accade per il reato di concussione. Resta il carattere comune dell’altro reato di cui è accusato, quello di sfruttamento della prostituzione minorile. Ne discuteremo tra qualche giorno. Ma è evidente che il (possibile) dubbio sorge dalla imperfezione della legge costituzionale del 1989, che non scandisce né regola accuratamente la sequenza, stabilendo quando deve essere informata la Camera di appartenenza. Un parlamento ben funzionante, invece di sollevare conflitti, non dovrebbe riscrivere meglio la norma, in modo da articolare la procedura e stabilire quando il parlamento deve intervenire?
La Corte a mani vuote
Dalla relazione sull’attività della Corte nel 2011, che il presidente mi fa leggere in anteprima e alla quale apporto alcune modificazioni, si evince che le decisioni del 2011 sono state 342. Se si considerano le ordinanze e si valutano le questioni «coperte» (cioè simili ad altre questioni già decise), se ne trae la conclusione che il lavoro della Corte è molto ridotto. Responsabilità delle troppe inammissibilità, dovute alla specializzazione di coloro che lavorano nel palazzo da troppi anni, e che sono diventati esperti nel respingere questioni (per abitudine acquisita quando le questioni erano troppe e anche per lavorare meno). Responsabilità anche della giurisprudenza ormai ventennale secondo la quale il giudice rimettente deve sperimentare una interpretazione costituzionalmente orientata. Ciò induce i giudici a esaurire il controllo di costituzionalità in una manipolazione della norma. Conseguenza: il controllo di costituzionalità diventa decentrato; c’è maggiore confusione in materia di leggi, confusione che sarebbe superata con pronunce di accoglimento della Corte costituzionale.
La Corte e i rapporti con la stampa
Riunioni della Corte per commentare due articoli che ripetono vecchie notizie su pressioni esercitate sulla Corte (in particolare, su due suoi giudici) e uno che dà notizia di una discussione svoltasi in Camera di consiglio (sull’auto-rimessione della questione di costituzionalità relativa alla legge elettorale del 2005). Punti di vista oscillanti tra la necessità di una dura reazione e l’opportunità di non rinfocolare polemiche. Questo punto di vista ultimo prevale, come in precedenti casi. Peraltro, notizie di contatti con giudici sono contenute anche in un atto giudiziario, a proposito del quale la Corte dovrebbe, invece, fare qualche passo ufficiale, almeno per sapere su quale prova queste notizie sono fondate. Come in precedenza, non se ne fa nulla. Timore che possa esserci davvero qualche prova? O – come credo – imbarazzo rispetto a quella che potrebbe essere presa come una interferenza nello svolgimento dell’attività giudiziaria?
Due mezzi lavori e due stipendi pieni
Ex assistenti che, dopo circa trent’anni di lavoro alla Corte, a tempo pieno e a tempo definito, cessata la propria attività, vogliono ottenere un incarico presso la Corte. Attirano tante cose: un ambiente ritenuto di prestigio, la possibilità di fare due mezzi lavori per due stipendi pieni (l’indennità della Corte sfiora i 40.000 euro annui, che si sommano allo stipendio di magistrato), mi dicono gli uffici anche la possibilità di avere un ufficio in centro e di sfruttare le macchine per le fotocopie. Prova di un’amministrazione disattenta e facilona.
La fiducia dell’Europa e dei mercati
Il Presidente degli Stati Uniti, accogliendo il presidente del Consiglio dei ministri italiano, dichiara che il suo interlocutore «ha cominciato a recuperare la fiducia non solo degli italiani, ma anche dell’Europa e dei mercati». Frase rivelatrice della circostanza che, nel mondo globalizzato, vi sono più tipi di legittimazione e di accountability, non solo quella verso il popolo. Qualcosa che uno o due dei miei colleghi dovrebbero imparare, loro che ripetono spesso che la Corte non può interferire con le decisioni di chi è investito dal popolo.
Fuga dalla Corte costituzionale
Le cause della fuga dalla Corte costituzionale non sono solo costituite dalle troppe inammissibilità, fondate sulla ricerca del pelo nell’uovo, e dalla dottrina dell’interpretazione costituzionalmente orientata (che ha rimesso al giudice rimettente la ricerca di una strada interpretativa per riportare la legge nel solco costituzionale), ma anche dall’orientamento diffuso tra i giudici ordinari e amministrativi a controllare la «convenzionalità» delle norme nazionali. Decisioni del 2010 del Consiglio di Stato annullano atti amministrativi fondati su leggi nazionali, che vengono però disattese in quanto la Convenzione europea dei diritti dell’uomo dispone altrimenti e, grazie a una norma del Trattato sull’Unione europea (quella che prevede che i diritti della Convenzione fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali e dispone l’adesione dell’Unione alla Convenzione), trova applicazione direttamente, tramite il Consiglio di Stato, senza bisogno di ricorrere alla Corte costituzionale per far annullare la legge illegittima.
Crisi della Corte di Strasburgo e del Tribunale costituzionale spagnolo
La crisi della Corte di Strasburgo (un arretrato di 150.000 casi) richiama l’attenzione del prime minister britannico, che propone diverse soluzioni per superarla, tra cui quella, avversatissima dai sostenitori della Corte, della introduzione di una specie di leave (discrezionalità della Corte di scegliere i casi da decidere). Il leave, però, in ambito internazionale si scontra contro due ostacoli. Quello dei paesi che non hanno nelle loro tradizioni giuridiche il non liquet immotivato. E quello che deriva dalla plurinazionalità (come evitare che il rifiuto di decidere certi casi possa essere considerato un trattamento di favore per certi paesi?).
Crisi in parte analoga del Tribunale costituzionale spagnolo, affogato dai recursos de amparo (i ricorsi diretti), che costituiscono il 90% dei casi portati al Tribunale.
Insularità del costituzionalismo britannico
Una rivista americana interroga eminenti costituzionalisti inglesi sullo stato del costituzionalismo britannico. Il grande interrogativo intorno al quale l’esame verte è quello del paradigma diceyano della Parliamentary Sovereignty, scosso dalla judicial review operata dalla Corte suprema. Segno della perduranza della problematica politica-diritto e anche della insularità della cultura britannica, che conosceva il mondo quando lo dominava; ora che non lo domina, non lo conosce neppure. E vive nel sogno della propria storia.
Declino della Corte costituzionale
Si moltiplicano i segni del declino della Corte costituzionale (naturalmente inavvertiti all’interno dove prevale la macchina delle sentenze e non ci si guarda intorno). La Corte costituzionale ha deciso l’illegittimità delle norme secondo le quali, per reati come prostituzione minorile, violenza sessuale, atti sessuali con minorenne, la custodia cautelare deve essere necessariamente in carcere. La Corte di cassazione ritiene che, nel caso di violenza sessuale di gruppo, «l’unica interpretazione compatibile coi principi fissati» dalla sentenza costituzionale è quella che «estende la possibilità di applicare misure diverse dalla custodia carceraria», senza adire la Corte costituzionale.
Secondo esempio. La Corte costituzionale ritiene non illegittima la norma che prevede una indennità in caso di conversione a tempo indeterminato di un contratto di lavoro a tempo determinato. La Corte di appello di Roma stabilisce che quella indennità non basta, è necessario anche un risarcimento ulteriore, pari alle retribuzioni che il dipendente avrebbe percepito a partire dalla data del deposito del ricorso, andando così oltre il dettato della legge ritenuta non illegittima.
Terzo esempio. La VI Sezione del Consiglio di Stato, con due sentenze, annulla il diniego di rinnovo di permesso di soggiorno ad immigrati, nonostante che in ambedue i casi la legge non prevedesse la possibilità di rinnovo. Fa questo applicando la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e disapplicando la norma nazionale, sfruttando due «dottrine» della Corte costituzionale (quella dell’interpretazione costituzionalmente – e convenzionalmente – orientata e quella delle norme della Convenzione come norme interposte), sostanzialmente per aggirare la Corte, forse ritenuta troppo timida in materia di immigrati e loro diritti.
Perdita di centralità della Corte costituzionale, le cui decisioni vengono applicate in altri casi, ampliate (primo caso), disattese (secondo caso), utilizzate per aggirarla (terzo caso). Naturalmente, la Corte si guarda bene dal discutere quel che accade intorno ad essa. Ha la stessa malattia dell’intero sistema giudiziario, quella di essere concentrata sul caso per caso, senza sapersi guardare intorno. Il tetto della casa cade, loro inanellano sentenze.
Ragioni interne di crisi
Oltre al declino esterno, vi sono ragioni interne di crisi, che sono legate a pochezza di uomini. Gli organi di nomina dovrebbero rendersi conto che alla Corte vanno mandate persone che abbiano almeno la dote di essere buoni giuristi, non avvocatucci, e persone con una buona dose di saggezza e di cultura. Purtroppo, anche pochi giudici di levatura modesta finiscono per abbassare il livello della discussione. E per frustrare chi vorrebbe dare una maggiore nobiltà all’esame delle questioni, senza perdere tempo con argomenti da pretura.
Successi e crisi della Corte suprema americana
Due studiosi si chiedono, in un eccellente articolo pubblicato dalla «Columbia Law Review», quali siano le ragioni dell’affermazione della judicial supremacy della Corte suprema e danno la seguente risposta: l’affermazione di un potere giudiziario al centro sarebbe stata impossibile, per la presenza di altri poteri forti; la Corte si è affermata prima nel rapporto con gli Stati, perché il centro, tutto il centro, aveva bisogno di un braccio che facesse rispettare il diritto federale; la Corte è stata quindi il risultato della vertical supremacy; dopo, questa è divenuta horizontal, con l’aiuto prima del mondo dell’economia, poi dei sostenitori dei diritti civili. Un quotidiano americano segnala che dal 2009 al 2011 il rating della Corte suprema è caduto dal 61 al 46%. Si chiede alla Corte più trasparenza (trasmissione televisiva delle discussioni in udienza pubblica) e l’adozione di regole etiche più rigorose di quelle esistenti.
Lezioni per l’Italia. Il processo storico è opposto a quello americano: da noi la Corte è stata posta al centro, nella Costituzione, con tutti i suoi poteri. Ora che le regioni si sono affermate e che lo Stato ha rinunciato a quasi tutti i poteri di controllo, il centro ha bisogno dell’«arma» della Corte. Quindi, la «Corte dei conflitti», che si sviluppa accanto alla «Corte dei diritti» declinante. Il centro che tanto spesso protesta contro la Corte, ne ha, invece, bisogno. Altra lezione: quando ci si deciderà a stabilire un corpo di regole, un codice di condotta?
Metodi di lavoro
Siamo in molti a lamentare la diminuzione delle questioni, l’eccesso di questioni riguardanti il contenzioso Stato-regioni, l’eccessiva frettolosità con la quale vengono trattate le cause in Camera di consiglio. La causa di quest’ultima consiste nella scarsa razionalità dell’organizzazione del lavoro, che si protrae solo per stanchezza intellettuale e tradizionalismo. Ad esempio, nelle riunioni in cui si decide sono messe insieme cause importanti e cause minori: da questa successione casuale discende un appiattirsi dell’interesse, che non giova alla bontà delle decisioni e alla loro maturazione, specialmente quando si tratta di cause complesse, con molte implicazioni.
Un altro inconveniente discende dalla circostanza che nessuno vuole discutere di alcune questioni di fondo, ricorrenti, che vengono sì affrontate, ma sempre nel caso concreto, senza sollevare la testa e vederle nella loro complessità, eventualmente per fare qualche overruling o constatare cambiamenti di contesto che richiederebbero correzioni di rotta da parte della Corte. Mi riferisco, solo per fare qualche esempio, a questo tipo di problemi «trasversali»: interpretazione costituzionalmente orientata da parte del giudice rimettente; vincolatività delle norme penali e discrezionalità dei giudici; rapporti con il diritto Cedu e con il diritto europeo; sovrautilizzo (strumentale) delle clausole della tutela della concorrenza, dell’ordinamento civile e della tutela dell’ambiente per stabilire limiti all’attività regionale sostanzialmente fuori controllo; casualità o politicità dei ricorsi statali contro leggi regionali e viceversa.
La Corte ha paura della proporzionalità?
Si legge una sentenza in materia di sequestro di persona. Il punto riguarda l’assenza di una circostanza attenuante per fatti di lieve entità. Una parte della Corte non è convinta di una frase nella quale è scritto che vi è un consenso europeo sulla portata del principio di proporzionalità. Bisognerebbe chiamare Aharon Barak, già presidente della Corte israeliana e autore di importanti sentenze in cui viene applicato il principio (nonché di un libro recentissimo sul tema), a fare una lezione ai giudici italiani.
La polarizzazione della Corte suprema americana
Inizia la discussione alla Corte suprema sulla riforma sanitaria voluta da Obama. Gli osservatori notano che la Corte non è meno polarizzata della politica americana. È un grave danno per un sistema politico avere Corti nelle quali non vi siano persone «schierate». Così si riflettono le divisioni del paese e della sua politica e le Corti non danno alcun valore aggiunto.
Gli inglesi e la Corte di Strasburgo
Campagna inglese contro la Corte europea dei diritti dell’uomo. Si lamentano l’eccesso di questioni e i ritardi, proponendo disincentivi finanziari per rallentare il flusso di domande, oppure l’introduzione del sistema americano o inglese (certiorari e leave, in sostanza un rifiuto di decidere non motivato). Ma al fondo ci sono la critica all’interventismo e il pregiudizio per cui alcuni controlli democratici sul potere assoluto dei giudici sono necessari.
Prima sentenza della Corte penale internazionale
La Corte penale internazionale ha emesso la prima sentenza, contro Lubanga, un warlord congolese. 600 pagine la sentenza. La Corte era stata istituita nel 1998 e lo statuto era entrato in vigore quattro anni dopo. Circa 30 sono le persone accusate, quasi tutte di paesi africani. «Realizing Utopia»? Ma in quanto tempo?
La legge sul procedimento amministrativo
Le regioni attaccano norme statali della legge sul procedimento amministrativo, sostenendo che riguardano materie proprie delle regioni stesse. Sostengo che la legge sul procedimento riguarda diritti dei cittadini nei confronti delle amministrazioni e che non è possibile che questi vengano regolati «ad Arlecchino», in modo diverso per ogni regione. Occorre che la legge sul procedimento amministrativo venga salvata e la relativa disciplina riservata allo Stato. Si affacciano diverse tesi, per comprendere questa legge in una delle materie elencate nel secondo comma dell’art. 117 della Costituzione: giustizia amministrativa, norme processuali, livelli essenziali delle prestazioni. Finisce per prevalere questa ultima tesi. In fondo, però, non è rilevante a quale titolo spetti allo Stato, basta che sia assicurata una disciplina unitaria e quindi che essa venga sottratta alla varietà regionale.
Il Codice del processo amministrativo
Duplice discussione, relativa alla delega al governo e all’ampiezza della giurisdizione del giudice amministrativo. Lo spunto è dato dalla norma che trasferisce la materia delle sanzioni Consob dalla Corte di appello al giudice amministrativo. La delega è scarna, ma il riferimento alla concentrazione della tutela basterebbe. Si sentono voci che battono sul chiodo della eccezionalità della giurisdizione amministrativa (che sarebbe riferita solo ai casi particolari ai quali fa riferimento la Costituzione). Provo a spiegare che la giustizia amministrativa è ormai fenomeno mondiale e che il riparto per blocchi di materie, invece che in termini generali sulla base della situazione soggettiva lesa, è il più pratico per i cittadini. Ma, da un lato, c’è diffidenza nei confronti del giudice amministrativo, spesso troppo vicino al potere. Dall’altro, nella Corte, la Cassazione è rappresentata da ben tre membri. Prevale la soluzione dell’accoglimento, ma sulla base dell’eccesso di delega limitato alla questione delle sanzioni Consob e della loro incidenza sullo stato delle persone. Un avvertimento ai giudici amministrativi perché scrivano leggi di delega più analitiche, ma anche perché stiano più lontani dall’esecutivo e dalle sue diramazioni.
I costi della politica
Le regioni impugnano un gran numero di norme della legge relativa ai costi della politica e delle amministrazioni. Le norme vengono salvate con criteri e talora artifici diversi. Ma l’operazione richiede interpretazioni ardite, perché la legge è scritta malissimo. Responsabilità diretta del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della presidenza del Consiglio, la cui performance è pessima.
Quando le Corti supreme parlano
La Corte suprema pakistana ha deciso che il primo ministro va allontanato dal suo ufficio per contempt of court. Il presidente della Corte costituzionale tedesca ha espresso critiche pesanti dei parlamenti regionali. Perché la Corte costituzionale italiana non registra e non critica fenomeni come quello della pessima fattura delle leggi, che presenta un duplice aspetto, tecnico e politico (i tecnici non sono capaci, i politici si arrampicano sulle ambiguità)?
Che cosa è il diritto
Se cambia la giurisprudenza in senso più favorevole al reo, va revocata la sentenza di condanna già passata in giudicato? Il principio della retroattività della legge mitior vale solo per la legge o anche per il diritto, compreso quello giurisprudenziale? Si svolge un interessante dibattito, che rasenta la concezione stessa del diritto. Osservo che una visione strettamente positivistica del diritto non può essere sostenuta dalla Corte costituzionale, chiamata proprio a giudicare la legittimità delle leggi, e per di più essa stessa creatrice della «dottrina» del diritto vivente. Ricordo che il diritto non è il law in books, ma il law in action. Tanti anni di reazione realista nordamericana e tanti studi italiani sul diritto giurisprudenziale sembra siano passati invano. Si afferma la tesi negativa, contro la proposta di una inammissibilità neutra, che apra la strada a futuri sviluppi. Paradossale che, nella discussione, noti critici delle tesi positivistico-kelseniane si schierino per la soluzione del rigetto, con argomentazioni degne del miglior positivista normativista.
La fecondazione eterologa
Mobilitazione cattolica sulla fecondazione eterologa. Articoli sull’«Avvenire». Ricevo una lettera autorevole che ricorda l’importanza della famiglia, che verrebbe scardinata dall’accoglimento della richiesta di cancellare il divieto di fecondazione eterologa. Sostengo la tesi, poi prevalsa, che i giudici rimettenti abbiano fondato, anche quando facevano riferimento a disposizioni della Costituzione italiana, il proprio ragionamento sulla prima sentenza della Corte di Strasburgo. Se ne è seguita una seconda, che prende il posto della prima, occorre che i giudici rimettenti abbiano modo di ripensarci. E questo anche se la seconda sentenza non si differenzia dalla prima sull’applicazione dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo relativamente al diritto a una vita familiare, ma solo per quanto attiene al margine di apprezzamento degli Stati. Anche questo è un modo per assicurare un dialogo tra i giudici. Un intervento immediato nel merito della Corte comporterebbe una sorta di riscrittura del quesito posto dalle ordinanze di rimessione, in violazione di un principio sempre affermato che fa del processo costituzionale una singolare applicazione del processo dispositivo. Insomma, la Corte non può arrivare a riformulare la domanda posta dal giudice rimettente.
Ritengo che una pausa che consenta un dialogo «esterno» sia utile anche al dialogo interno alla Corte, serva per prepararsi alla successiva necessaria decisione nel merito. Che deve, a mio parere, ispirarsi all’idea di Breyer secondo la quale le Corti supreme debbono contribuire al progresso del diritto in collaborazione con gli altri organi, specialmente il parlamento. Nel caso italiano, non sarebbe inutile una sentenza che fissasse i criteri generali ai quali il parlamento dovrebbe ispirarsi nel legiferare.
Presente nella discussione e incombente la situazione europea, per cui alle Costituzioni nazionali si affiancano ormai quelle sovranazionali (Strasburgo e Lussemburgo), con chi preferisce la prima, chi preferisce la seconda.
Ritorna continuamente la questione della discrezionalità del legislatore, intesa come libertà di scelta: contiene come sempre una contraddizione, perché nessun potere discrezionale è senza limiti.
Del modo di non scrivere le decisioni
Viene scritta una decisione di inammissibilità, ma con argomentazioni che vanno sul merito. Nella regione ricorrente si levano voci di «vittoria politica», perché risultano confermate le istanze regionali. Si può nascondere nelle pieghe di una decisione di inammissibilità una proposta – non accolta – di decisione nel merito, di accoglimento?
La Corte organo passivo
La Corte suprema (e il potere giudiziario in generale) era considerata dai padri costituenti americani il ramo meno pericoloso dello Stato perché non controlla né esercito né soldi, e perché è un organo passivo, ovvero solo reattivo, non proattivo. Ma anche i giudici hanno i loro spazi di manovra, potendo ad esempio differire nel tempo le decisioni, considerare gli orientamenti del parlamento per collocare nel tempo le proprie decisioni, decidere di non decidere ecc. Questo accade da qualche anno per la questione della deducibilità dell’Irap dall’imposta sul reddito delle persone.
Il peso degli avvocati
Nella discussione sulla legge di Obama di riforma sanitaria ci si chiede che importanza abbia la prestazione ritenuta inadeguata del Solicitor General Verrilli. Vengono sentiti i giudici e viene loro chiesto che importanza hanno gli interventi in udienza degli avvocati. Rispondono che hanno un’importanza minore; che contano le memorie scritte, più che gli interventi orali; che solo in pochissimi casi hanno cambiato opinione a seguito degli interventi orali di avvocati delle parti. La stessa cosa si può dire per l’Italia. Anzi, qui l’udienza è sostanzialmente un rituale nella cui utilità nessuno crede.
Un altro ex Presidente della Repubblica nel Conseil constitutionnel
Sarkozy, Presidente uscente, ha il diritto di far parte del Consiglio costituzionale. Ma si ricorda che al suo predecessore Chirac era stato chiesto dal presidente del Conseil di sospendere la sua attività di avvocato. Sarkozy vorrebbe, invece, riprendere la professione forense.
Assedio alla Corte?
Tre tribunali rimettono alla Corte la questione della fecondazione eterologa. Un altro tribunale quella dell’aborto. I primi fondano il loro ragionamento su una sentenza della Corte di Strasburgo, il secondo su una sentenza della Corte di Lussemburgo. I primi fanno valere il diritto a una vita familiare, il secondo il riconoscimento della dignità umana all’embrione, fondato sulla non brevettabilità del procedimento di produzione delle cellule neurali. Su ambedue le questioni, molti articoli, molto ben fatti, dell’«Avvenire», per impedire nel primo caso, per sostenere nel secondo. Un assedio alla Corte o manifestazione della libertà di pensiero del mondo cattolico?
Concorsi riservati?
Concorsi riservati, un ossimoro. Se sono concorsi, non possono che essere aperti. Se sono riservati, non sono concorsi. Le norme regolamentari della Corte li vietano. La Costituzione li vieta. La giurisprudenza della Corte è costantemente contraria. Può la Corte bandire un concorso riservato per «sistemare» personale che lavora alla Corte per incarico da un anno?
Costi della politica
Maxi-udienza sul decreto legge n. 138 del 2011 per la parte che riguarda i cosiddetti «costi della politica». La norma porta la data del 13 agosto, e si vede qualche segno del solleone. Intenti buoni, realizzati in modo approssimativo. Grande sforzo di interpretare, correggere, «salvare». Interrogo coloro che hanno scritto le norme, che riconoscono di aver lavorato in fretta. Grande nostalgia del modo di legiferare inglese di una volta, quando, in presenza di un problema, si studiava, discuteva, nominava una «commissione reale», poi si preparava un green paper. Solo alla fine, quando opzioni e idee erano chiare, si scriveva.
La Corte aggirata
Un immigrato regolare con permesso di soggiorno richiede e non ottiene un sussidio per la casa. Si rivolge al Tribunale di Bolzano, che fa un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea. Questa decide che una direttiva del 2003 vincola gli Stati a non discriminare nella concessione di questi sussidi. Il ricorrente e la Corte avrebbero potuto ottenere una eguale risposta dalla Corte costituzionale italiana. Conseguenza sia della pluralità di Corti costituzionali ormai presenti in Europa, sia della timidezza della Corte italiana. Ne discuto con qualche collega attento a ciò che accade fuori della Corte, che mi ha segnalato il caso. E lo illustra criticamente in una riunione con visitatori stranieri, membri di una Law Society europea. Per uscire dall’impasse, la Corte dovrebbe poter riflettere su se stessa, dopo aver preparato una documentazione che consenta di fare una discussione che non consista in chiacchiere da caffè. Ma la Corte non è interessata a questo tipo di esame.
Le Corti supreme e il loro ruolo nelle società
La Corte suprema americana ha tenuto la politica statunitense con il fiato sospeso per la decisione sulla riforma sanitaria di Obama. Ha deciso con la mossa equilibristica del presidente Roberts, che ha dato ragione ai conservatori sulla commerce clause, ai progressisti sul medicaid. Sempre la Corte suprema americana deve ora affrontare la questione dello status degli immigrati illegali. Il Tribunale costituzionale tedesco tiene l’Europa con il fiato sospeso per la decisione che deve prendere a metà settembre sulle recenti politiche comunitarie. La Corte di Strasburgo continua il suo braccio di ferro con l’Inghilterra sul diritto di voto dei detenuti (quanto a lungo potrà il Regno Unito resistere alle decisioni di Strasburgo?).
Il trattamento economico dei magistrati
1.280 magistrati chiedono a 13 diversi Tar di rinviare alla Corte costituzionale le norme del governo Berlusconi sul trattamento economico dei magistrati. Alcune delle norme riguardano i soli magistrati, altre toccano anche altre categorie di dipendenti pubblici. Ma questi ultimi non si sono rivoltati contro di esse come i magistrati, che pure sono quelli che godono del migliore trattamento economico medio.
In ogni crisi grave, gli Stati hanno diminuito gli stipendi ai dipendenti pubblici. Lo fece anche Mussolini. L’hanno fatto i governi spagnolo e greco. Ma i magistrati ritengono che si tratti di imposta e, quindi, di norma discriminatoria. Sarebbero contenti se si estendesse a tutti i lavoratori dipendenti. Si comincia a discuterne, ma si rinvia a settembre.
Indipendentemente dal merito, c’è una questione di opportunità: può la Corte decidere in una materia che finisce per riguardare i suoi stessi membri? In caso positivo, non dovrebbe, comunque, continuare ad applicare quelle norme a se stessa, come ha già fatto, nella sua autonomia?
Nel merito, al di là della infelice scrittura della norma, ci si può chiedere se il parlamento, nella sua veste di datore di lavoro, non possa regolare in aumento o in diminuzione il trattamento economico dei dipendenti statali, specialmente se questi appartengono alla categoria dei funzionari non contrattualizzati (e guarentigiati a mezzo dell’intervento necessario del legislatore).
Conflitto di attribuzioni Presidente della Repubblica-Procura di Palermo
Con il caldo di fine luglio arriva un conflitto relativo alla intercettazione indiretta del Presidente della Repubblica. Nominati relatori due giudici, ambedue eletti dal parlamento, uno indicato dalla sinistra, uno dal centro, uno costituzionalista, uno processualpenalista. Ottima scelta, ispirata a grande equilibrio, perché esclude sia giudici nominati dal Presidente, sia giudici eletti dalle magistrature.
Tempi stretti, per l’importanza del problema e perché – essendo l’intercettazione avvenuta – c’è anche il pericolo che la relativa registrazione possa nel frattempo divenire di pubblico dominio.
Mi pongo due domande preliminari. Un trattamento particolare (immediata distruzione, nel caso di intercettazione indiretta casuale) dovrebbe riguardare la persona o l’ufficio, cioè anche i collaboratori diretti del Presidente? C’è bisogno – come qualcuno afferma – di una dichiarazione di illegittimità costituzionale, oppure basta fare una interpretazione-ricostruzione della normativa, partendo dall’art. 90 della Costituzione, per definire il conflitto?
Lezioni sulla Corte
Anche quest’anno mi viene chiesto di parlare della nostra Corte a studenti stranieri e a studenti italiani.
Provo a spiegare le caratteristiche di fondo della Corte e ad illustrare in particolare le caratteristiche dell’udienza alla quale hanno assistito. L’udienza davanti alla Corte suprema americana, piena di discussioni e domande, in cui i giudici intervengono molto attivamente. L’udienza italiana, un rito inutile. Spiego l’udienza americana con la loro cultura dell’adversarial legalism (il moravo Schumpeter e la concorrenza portata nella politica, come base della democrazia, e nella giustizia), con la dissenting opinion e con il processo costituzionale inteso quale processo costituente (la Costituzione è di fatto immodificabile, quindi la Corte deve esaminare e far vedere tutti gli argomenti, mimando il processo costituente). Spiego che poi il processo di decisione italiano è, di regola, più ricco e discusso di quello americano, dove con il preliminary vote della Camera di consiglio i giochi di base sono fatti.
Il numero dei consiglieri regionali
Sono relatore di una questione relativa alla legge che stabilisce limiti al numero dei consiglieri regionali in relazione alla popolazione. Mi oriento per un rigetto motivato con riferimento al potere statale di coordinamento della finanza pubblica (argomento dell’Avvocatura dello Stato). Dopo una prima discussione e un rinvio, propongo una motivazione più elaborata: il voto non è eguale, per gli elettori e per gli eletti, se non viene rispettato un eguale rapporto tra elettori (popolazione) ed eletti. La motivazione si applicherebbe anche alle regioni a statuto speciale, ma la modificazione dei loro statuti va fatta con norma costituzionale proprio dallo Stato. Che il parlamento nazionale lo faccia.
Il controllo della Corte dei conti sulle regioni
La stessa legge che dispone limiti al numero dei consiglieri regionali prevede che le regioni si dotino di collegi sindacali e che questi collaborino con la Corte dei conti. Le regioni non vogliono controlli esterni. La legge è la logica continuazione di un percorso iniziato con la legge n. 20 del 1994. La questione di costituzionalità è rigettata e la legge salvata.
Le regioni vanno soppresse?
Le questioni che pervengono alla Corte, attinenti alle regioni, rivelano fenomeni diffusi di cattiva gestione: clientelismo, faciloneria, mani bucate, disprezzo per la cosa pubblica. Ci confessiamo spesso sottovoce con i miei vicini di «banco» che le regioni andrebbero soppresse. Se queste battute sono il segno di una insofferenza dinanzi a tanti sperperi, tuttavia, gli sperperi – che sono noti – dovrebbero almeno indurre a costituire una commissione parlamentare per svolgere un’inchiesta conoscitiva approfondita.
Aberrazioni istituzionali
In Francia, si ritiene un’aberrazione istituzionale la circostanza che gli ex Presidenti della Repubblica facciano parte di diritto del Conseil constitutionnel. Ma è anche un’aberrazione costituzionale quella che si percepisce leggendo la stampa inglese secondo la quale Downing Street (cioè l’ufficio del primo ministro) annuncia la nomina del nuovo presidente della Corte suprema britannica.
Il nuovo presidente?
In autunno si riapre la questione del presidente, per la decisione da prendere a gennaio. Quale sarebbe la soluzione migliore? Certamente avere un presidente che duri almeno tre anni. Inoltre, un presidente che non sia tra i più anziani, di età e di nomina. Infine, un presidente che sia donna. Sarebbe un bel segno all’esterno e un grande vantaggio all’interno, perché tre anni sono necessari per riflettere sul funzionamento della Corte e cercare nuove strade. Un libro appena uscito, di Elisabetta Lamarque, mette bene in luce l’impasse nella quale si trova la Corte, tra giudici sovranazionali che sono sempre più attivi difensori di diritti (togliendo lavoro alla Corte costituzionale) e giudici comuni nazionali sempre meno desiderosi di portare questioni di costituzionalità alla Corte nazionale e interessati a decidere da soli anche questioni di costituzionalità (così lasciando la Corte su un binario morto). Queste sono le questioni importanti del nostro sistema di giustizia costituzionale. Ma né l’opinione pubblica né gli addetti ai lavori, e neppure i giudici che lavorano alla Consulta, si interessano di questi problemi.
«Global Constitutionalism Seminar»
Il consueto seminario di Yale sui problemi comparati della giustizia costituzionale si svolge quest’anno a fine agosto a L’Aia. Si discuteranno, come di consueto, molti temi, tra cui due principali. Il primo riguarda i confini tra guerra e criminalità: chi può essere considerato combattente, e quindi non sottoposto alle norme penali ordinarie? Quando c’è un conflitto armato? Vi possono essere guerre e nemici senza Stato? Il targeted killing è legittimo? Quando si può parlare di crimini di guerra? Se si può catturare un nemico in guerra e detenerlo, si può fare altrettanto se non c’è uno stato di guerra? E per quanto tempo? Anche illimitatamente?
Il secondo tema riguarda i rapporti tra ordinamenti nazionali e ordini giuridici sovranazionali. I casi raccolti attengono principalmente all’Europa e alla Corte di Strasburgo, con paragoni con gli Stati federali. Ruotano intorno al potere degli Stati di far prevalere il proprio diritto nazionale su quello superiore, nonostante che gli Stati stessi abbiano firmato i trattati istitutivi degli ordini giuridici superiori. Al centro sono le Corti sovranazionali, che sviluppano i principi dei trattati e sono spesso la causa delle reazioni difensive delle Corti nazionali: emblematico il caso Medellin deciso nel 2008 dalla Corte suprema americana.