Chi è Silvia, che cos’è?1
di Thomas N. Scortia e Chelsea Quinn
Yarbro
Titolo originale: Who is Sylvia?
“Ascolta” disse lei, accovacciandosi nella sua mente, antica, eterna. Sfiorava i suoi ricordi con un tocco dolciastro, un odore mentale di cose fetide e immonde. Ogni volta che lui avvertiva la sua presenza... dal momento in cui, molto tempo prima, si era trovato disteso, mezzo morto, sotto il bronzo di un cielo vietnamita... le sue narici ricreavano il fetore spettrale di sangue, di sfacelo, di fradicio icore umano appena versato.
“Ascolta” disse lei “non sono appagata. Ho bisogno di più. Tu non mi hai appagata.”
Lui cercò di farla tacere, senza risultato.
“Non basta. Tutti i corpi snelli e giovani verseranno per me l’incenso del loro sangue. Viscere gocciolanti da ventri squarciati fumeranno nell’aria notturna. Agonie di piccoli che muoiono. Hai visto quella morte? Così lenta e prolungata che alla fine il corpo si spalanca per riversare tutti i suoi tesori? Il sangue è solo una minima parte di tutto questo.”
Lui si stava aprendo con le mani la via verso l’estremità dello spiazzo, e le unghie spezzate erano sporche di giungla e di un rosso ormai secco che avrebbe voluto non ricordare. Era stata lei a costringerlo, come un insaziabile animale infuriato. Lui adesso aveva dimenticato cosa era successo ai suoi compagni. Stavano partendo, stavano tornando alla tranquillità, a casa. Ma la sua guerra era continuata nella giungla, e la cosa che ormai nutriva da tante settimane non sarebbe stata mai sazia.
Prono, il ventre premuto contro il suolo umido, attese il prossimo che si sarebbe allontanato dal villaggio verso il folto della giungla.
Non avrebbe dovuto aspettare molto. Avvertiva nella sua mente la tensione della “cosa”, avvertiva il suo bisogno di dolore e dei succhi caldi della morte. Dal boschetto a sinistra sbucò la bambina, correndo, incespicando. Era magra, con occhi febbricitanti, e il corpo, uno scheletro ricoperto di pelle tesa.
Ma sarebbe bastata.
“Questa” disse la “cosa”. “Esseri nuovi, giovani, cari per riempire le mie narici del profumo dei loro corpi straziati...”
Era sempre stato così, gli disse lei, fin dai tempi più antichi. Aveva i suoi preferiti, e la brama per il loro sangue era come la carezza di un amante. Prima o poi li trovava...
La bambina urlò, il piccolo corpo sussultò spasmodicamente, trasmettendo ondate di piacere e di nausea al corpo di de Rais. La “cosa” nella sua mente si contorse per il piacere.
Ma non durò a lungo. La bambina si fece più debole, diventò pallida e poi rimase immobile, mentre la pelle diventava gommosa al tatto.
Quando fu tutto finito, lui spinse lontano da sé il piccolo cadavere, odiando la sensazione di morte. Com’era piccola, non aveva più di sette o otto anni. Le sue mani erano strette l’una nell’altra come foglie, e i capelli arruffati erano appiccicati alla fronte madida. Legalmente lei era sua proprietà, e poteva disporne come meglio gli pareva. Era una dei figli del guardaboschi. I suoi grandi occhi si erano alzati fiduciosi verso de Rais quando lui le aveva chiesto di accompagnarlo.
Adesso i boschi non gli piacevano. Era stato lì che era entrata in lui la “cosa” feroce che ora si annidava nella sua mente, che lo stuzzicava e terrorizzava, seminascosta come una faccia tra gli alberi. Come l’aveva affascinato allora, quando l’aveva avvertita per la prima volta! Era selvaggia, balzana, capricciosa. Adesso sapeva che era anche crudele, crudele come un gatto, felina e femmina.
Il corpo cadde sul pavimento, una sagoma simile a un nuovo impasto nel rosso. De Rais lo toccò con la spada, ricordando pigramente la gloria che aveva conosciuto in guerra, il trionfo che avvertiva con i morti ai suoi piedi. Ma quei morti erano soldati inglesi, non i bambini di un contadino.
Nella sua testa la “cosa” si agitava, insoddisfatta. Non bastava, questo unico bambino morto. Dovevano essercene di più. Sempre di più. Più dolore, più sofferenza. Lei si aggrappò ai suoi pensieri, gustando i ricordi di carneficine, assaporandoli avidamente, godendo delle teste senza faccia, dei corpi straziati, degli arti troncati. De Rais tentò di escludersi dal banchetto che si svolgeva nella sua mente. Non era stato affatto così. No, non questo terribile godere di uomini morti. Allora lui era diverso, la vita era più facile con la Pulzella d’Orléans e la guerra. Anche lei, per quanto donna, era più simile a un ragazzo, un fiero ragazzo con i capelli di fuoco e pieno di fede. Alcuni soldati avevano detto che era pazza, e sicuramente la guerra scatenava in lei qualche demone... ma aveva tredici anni, e nessuno è assennato a quell’età.
Avidamente la “cosa” stimolava i suoi ricordi, cercando i pensieri più feroci, inseguendo le immagini più fosche.
“L’uomo sottoposto alla tortura della ruota era ancora vivo benché le sue gambe fossero ormai a pezzi, sacchi informi di carne livida. Aveva resistito due giorni ai soldati, arrendendosi solo adesso che le nere funi mortali salivano su verso l’inguine. Aveva creduto di essere libero, non sapendo che solo la morte poteva liberarlo, sia che venisse dalla mano di un soldato, rapida, per mezzo di una spada; sia che si trattasse di una morte lenta, terribile se lo avessero lasciato a marcire.”
Dita affilate, invisibili gli sondavano la mente, setacciandola alla ricerca di altre carneficine. “Perché non mi hai detto questo?” disse la voce dietro gli occhi.
— Non sapevo che ti piacesse — ribatté lui, stanco. La tortura lo offendeva, non per il dolore, ma per il sudiciume che creava. Le stanze che puzzavano di sangue ed escrementi... e quella era così... lo esasperavano, lo mettevano a disagio.
“Questo non ha importanza” lo informò la “cosa” feroce, avvertendo l’infastidito arricciarsi del naso. “Dove posso trovarne una come quella che ricordi? La macchina che stritola?”
De Rais avvertì la lenta agonia della ruota attraversargli il corpo, e la “cosa” si dimenò di gioia. Aveva già assistito a una reazione del genere in precedenza, quando lui e altri tre nobili avevano violentato uno dei paggi di Charles. Pur nel dolore il ragazzo aveva provato piacere, aveva goduto della violenza. Adesso era lui stesso a vivere con quella follia orgiastica dentro di sé... dentro di sé ma come parte di sé... la follia che si nutriva della sua mente come un mostruoso buongustaio a cui servono piatti sempre più elaborati e particolari per accendere un appetito stanco e affievolito.
— La macchina può essere costruita. — Con riluttanza proseguì, temendo le conseguenze. — Potrei costruirne una qui. Sarebbe possibile.
“Quando?”
Era inevitabile che accadesse, pensò. Aveva saputo fin dall’inizio che i delitti non sarebbero mai stati abbastanza, che ci sarebbe stato ancora, ancora e ancora dolore.
“Quando?”
Indietreggiò vacillando, con le mani schiacciate sulle tempie, che lasciavano macchie di sangue nel punto in cui premevano.
— Presto! Presto! — urlò, sentendo il bisogno di gridare.
“Bene.” La pressione cessò di colpo e lui sentì la “cosa” raggomitolarsi untuosamente intorno alla sua offesa, blandendolo, accarezzandolo. E questo gli fece provare nausea.
“Tu costruirai questa cosa per me” miagolò lei, facendo le fusa per la soddisfazione. “E la userai.”
De Rais si chiese se nel grigio molle del suo cervello ci fossero segni rossi di artigli.
“Devi farla presto” riprese lei, pungolandolo con la fretta. “E fino ad allora ci devono essere altri bambini.”
Ancora una volta lei si insinuò nei suoi pensieri, strusciandosi contro di lui, come una donna, sfiorando un pensiero qua e là, raccogliendo ricordi ed esaminandoli speranzosa, ricordando a de Rais la sciocca amante di Charles mentre giocherellava con i gioielli. Lo sopportò finché gli fu possibile mentre il sangue della bambina gli si raggrumava e seccava sul corpo. Poi, barcollando, lasciò la stanza buia, trascinandosi su per le scale, strisciando quando la “cosa” cercava di farlo tornare indietro, finché fu di nuovo nella Sala Grande, reso quasi cieco dai contorcimenti della “cosa”.
Poi si mise a bere, come faceva ormai molto spesso, per il solo gusto di ubriacarsi e di dimenticare.
Non conoscevano l’esistenza della fabbrica di birra abbandonata. Lui l’aveva trovata la seconda settimana dopo che gli uomini di Dutch l’avevano abbandonato credendolo morto, nei cespugli del parco. Era stato allora che la “cosa” era entrata in lui. Non sapeva cosa fosse: la sua mente era troppo pigra per chiedersi come fosse giunta fino a lui. Sapeva solo che si era messa a uggiolare nella sua mente, gridando il proprio bisogno di carne e dolore e nuove morti.
La morte lui la capiva, perché c’era una specie di eccitazione nella morte violenta. L’avvertiva nei suoi genitali, la pressione che trovava sfogo e si liberava nell’attimo in cui vedeva le pesanti pallottole di piombo penetrare gli abiti di un uomo, con il sangue che zampillava dai fori dei proiettili. Gli piaceva colpire alla testa perché la faccia si dissolveva e il cervello schizzava fuori e schegge lucide di osso e tessuto sprizzavano come confetti a una festa. Al tonfo pesante del suo stivale sulla faccia di un uomo morente corrispondeva il caldo spruzzo di liquido nei pantaloni.
Per questo lo chiamavano “Cane Pazzo”.
Ma questa cosa voleva più della morte. Voleva una morte speciale, lenta, terribile, per creature giovani. Lui aveva già provato prima un desiderio tremendo per i bambini. C’era stata quella volta a Scranton... ma aveva pagato un buon avvocato e l’avvocato a sua volta aveva comprato quattro giurati atterriti. Adesso era successo di nuovo e insieme c’era questa strisciante “cosa” femmina nella sua mente che pretendeva cose che la sua fantasia aveva già sognato ma che non aveva mai osato realizzare.
Così aveva trovato la fabbrica di birra abbandonata. I federali vi avevano fatto irruzione l’anno prima e avevano completamente distrutto i tini, le attrezzature, tutto quello che valeva la pena di distruggere e l’avevano abbandonata alla ruggine. Nello scantinato, umido e pieno di muffa, c’erano una volta le file di botti, una sull’altra. Adesso era vuoto, fatta eccezione per gli anelli fissati nelle pareti. Negli anelli erano infilate alcune catene che avevano tenuto i barili accatastati ma che potevano servire ad altro scopo.
Si leccò le labbra mentre la “cosa” descriveva quello che gli avrebbe fatto fare lì e, stimolato dai pensieri che gli affollavano la mente, preparò il piano.
La “cosa” che guardava attraverso gli occhi di de Rais vide il potenziale della ruota molto meglio di lui.
“Perché non lacera la carne? Alcuni pesi non aumenterebbero il dolore? Così è troppo rapida: modificala. No, non una mazza, meglio un uncino.”
L’opera progrediva, e alla ruota andarono a tenere compagnia altri arnesi. I muratori scuotevano la testa, a disagio, vedendo una nuova intensità sulla faccia del loro signore. Alcuni borbottavano a mezza voce e si facevano il segno della croce, ricordando le storie che fiorivano sulla antica Dea che viveva in boschi e luoghi selvaggi e il cui culto era così mostruoso che tutti guardavano con terrore la foresta.
“Così va meglio” gli disse la “cosa” quando gli arnesi furono terminati. “Ma devi fare in modo che la ruota strazi mentre si muove. Altrimenti è troppo semplice.”
Nel frattempo, de Rais continuava con i bambini. La “cosa” godeva del sangue, raggiungeva l’estasi nella carne straziata. Inizialmente lo stupro era stato sufficiente, ma adesso lei voleva di più, sempre di più...
Quando de Rais si ubriacava cercando rifugio nella falsa evasione dell’alcol, lei lo scherniva.
“Hai paura della grande opera? Avanti, il coltello non ha forse virtù? Il sangue non è migliore del vino?”
— No! No! — gridava de Rais in quei momenti, pur sapendo di essere ormai schiavo di quegli attimi, del canto ammaliatore del dolore. Inutilmente si ripeteva che in guerra la gloria sta nella spada e nella mazza. Ma questo, nel buio, al freddo e al caldo, questo non era ciò che lui amava. E la cosa-donna che guardava nella sua mente era così diversa da Giovanna... Giovanna, lei era stata forza e fuoco. Troppo fuoco alla fine.
Quest’altra, invece, apparteneva alla notte e alle cose nascoste. Era tutt’uno con l’anima del deserto e il terrore dei perduti.
Poi la ruota fu pronta.
Sua moglie e sua zia avevano parlato di Gilles al sacerdote. I suoi gusti erano risaputi, e loro non si opponevano ai suoi paggi troppo leggiadri e non facevano caso al luccichio connivente negli occhi dei servi.
Ma le voci che circolavano da qualche tempo erano diverse. Che Gilles piegasse ai suoi voleri i ragazzi non era una novità, ma adesso si parlava di bambine.
— Non so, padre, cosa sia successo a mio marito — confessò la moglie con gli occhi bassi, nascondendo il sorriso calcolatore che vi si annidava.
— Questa accusa è senza prova — le ricordò il sacerdote, mantenendo la faccia rugosa acconciamente severa. — Dovete pregare per avere consigli.
— L’ho fatto, padre, e la preghiera mi ha guidata da voi. Il mio signore è dissoluto e corrotto, ma questa faccenda sa di diavoleria, e da questo deve essere salvato. — La donna lasciò che la voce le tremasse per mostrare la propria devozione.
— A tutti i costi? Figlia mia, e se vi sbagliaste? Se foste vittima di una falsa ispirazione, il peccato sarebbe vostro. — Fece scorrere i grani del rosario più velocemente di prima, lisciando le pieghe dell’abito da domenicano sul proprio nervosismo.
— Lo so — ribatté lei, lasciando trapelare l’impazienza. — E una questione seria e grave. Per questo ho pensato che forse si potrebbe far venire il sacerdote di uno dei villaggi... — Lasciò balenare quella notizia prima di proseguire. — Ne saprebbe sicuramente più di me, e il suo cuore non sbaglierebbe come potrebbe succedere al mio. Perché io non posso dimenticare l’amara delusione del mio matrimonio.
Il sacerdote emise un suono sordo. — Sì, certo, non è quello che una donna può desiderare, ma quanto è meglio restare vergine e resistere al peccato che cedere alla lussuria!
Il sorriso compiaciuto stampato sulla faccia del sacerdote fece venir voglia alla donna di schiaffeggiarlo.
— È vero — disse invece, costringendosi alla mansuetudine.
Se avessero preso Gilles, lei avrebbe ottenuto le sue terre, finalmente, lei e suo zio. Certo, il patrimonio, o quello che ne rimaneva, sarebbe andato alla Santa Chiesa, ma era un piccolo prezzo per la vendetta.
La zia l’aspettava fuori della cattedrale. Non dissero niente, ma i loro pensieri si intrecciarono come serpi.
La faccia orientale della bambina non tradiva la paura. Non gridò. Nella sua breve vita aveva vissuto così intimamente con l’orrore che l’ultimo le sembrava inevitabile, e l’avrebbe sopportato. Lui uscì dai cespugli e le fu addosso. Gli occhi neri della bambina, resi enormi dalla fame, si dilatarono e la bocca si aprì senza emettere suoni mentre lui la trascinava nella boscaglia. Le mani nodose dell’uomo lasciavano lividi nel punto in cui stringevano.
“Oh, sì, oh, sì” mugolava la “cosa” nella sua mente, mentre lui trascinava la bambina nella boscaglia verso il bunker in rovina, fatto di legno e terra, in cui viveva. Era mimetizzato bene, e i guasti provocati dai colpi del mortaio che aveva fatto breccia nelle sue difese erano già nascosti dalle liane e dal sottobosco.
La bambina si era resa evidentemente conto dal fetore di quella tana che l’uomo avrebbe fatto molto più che ucciderla. Emise un insistente suono animale. Lui pensò che potesse gridare e la colpi con la mano che stringeva un coltello da combattimento con l’impugnatura avvolgente. Ossa e denti scricchiolarono sotto il colpo, e gli occhi della bambina si dilatarono. Poi attraversarono l’umido tugurio infilandosi nelle camere buie. Dopo un attimo lui accese la lampada Coleman che teneva lì dentro, e la lingua di fuoco vinse l’oscurità.
Lei lo guardò quasi con indifferenza mentre la gettava sulle macerie del pavimento, macerie che comprendevano corde, lame e raschietti. I suoi occhi non erano imploranti, ma mostravano invece una leggera curiosità mentre lui si toglieva la divisa da fatica.
Lui si sentì invadere da una devastante eccitazione mentre raccoglieva il coltello.
Forse per la terza volta da quando l’aveva costruita, de Rais si trovò a odiare la ruota. Che cosa era mai diventato per provare piacere in quel modo? Le sue mani tremavano mentre staccava dalla ruota l’ultima vittima. Il fetore era tremendo: le gambe avevano cominciato a marcire giorni prima e il rumore che il corpo produsse cadendo sul pavimento lastricato sembrò quello di un melone maturo.
La “cosa” avvertì la sua infelicità e irradiò la propria soddisfazione.
“Ti fa male?” lo stuzzicò. “Questi scrupoli mi sorprendono. Certo. era grazioso, ma lo vorresti adesso?”
De Rais la zittì. Si studiò le mani, prima i palmi, poi il dorso. C’era tanto sangue, nero sotto le unghie e spesso come sporcizia intorno alle dita. Chiuse i pugni.
Perel, era quello il nome del ragazzo? Era il paggio di de Rais da meno di una settimana quando la “cosa” l’aveva scelto per il sacrificio. Perel, con la prima peluria bionda sulle guance, con le braccia tornite e una bocca morbida. L’idea che adesso fosse un cadavere ai suoi piedi riempì de Rais di un orrore mai provato.
Il desiderio che lui aveva sentito la prima volta che aveva visto Perel lo invase di nuovo, non richiesto. De Rais attraversò di corsa la camera di tortura, bruciandosi la mano sul braciere. Lanciò un urlo, senza sapere se fosse per il male o per il disgusto.
La “cosa” si dimenò felice, tormentandolo con visioni di Perel, ora languido, che si stirava nella luce del mattino, colorato con i toni dell’alba, ora ripugnante, con il corpo spezzato.
De Rais cercò ciecamente tenaglie, punteruoli, qualunque cosa potesse liberarlo per sempre da quella vista. Ma la “cosa”, indovinando le sue intenzioni attraverso i suoi pensieri, gli torse un braccio con una forza sconvolgente, e de Rais lasciò cadere l’uncino che aveva raccolto.
“No, non ancora. Non lo permetto ancora. Avrai anche tu la tua occasione, ma solo quando sarò appagata.”
Solo molto tempo dopo de Rais si rese conto che la cosa fredda che gli premeva contro gli occhi da quando si era lasciato cadere era quello che rimaneva di un piede di Perel.
Era finito. Il pavimento della cantina della birreria era disseminato dei frutti della sua orgia. Affondò in quello scompiglio, con le grasse natiche nude che premevano contro il freddo cemento, e contemplò i giovani corpi straziati con aria incurante. Di tanto in tanto perdeva la bava e si passava la mano tozza sulle mascelle irsute, sentendo sotto le dita l’appiccicosità che gli copriva la pelle. I seni penduli, quasi uguali a quelli di una donna nella loro pinguedine, erano coperti di una fitta peluria nera, adesso impiastricciata di sangue e saliva.
“È stato bello” disse la “cosa” nella sua mente.
Lui annuì. Non provava orrore, solo un’ottusa sazietà, una densità di gusto come se avesse divorato un pasto pantagruelico. Mangiava sempre enormi quantità di cibo, carne grassa, mascelle di maiale e grandi cucchiaiate di patate, ma niente l’aveva mai saziato come quell’ultima mezz’ora.
“Ancora, ne voglio ancora” disse lei. “Ancora dolore e brandelli di carne e ossa. Però più giovani. Questo era troppo vecchio. Bambini.”
Più giovani, d’accordo. Sì, gli ultimi tre avevano tra i dodici e i quattordici anni. Non sapeva perché dovessero essere più giovani, ma lei gli promise che i più piccoli gli avrebbero dato più soddisfazione.
“Innocenti” suggerì. “Puri e non turbati dai loro desideri. Sono il cibo degli dèi.”
Sapeva che doveva stare più attento. I giornali erano pieni di storie sull’ultimo che avevano trovato. Ce n’erano ancora due di cui doveva liberarsi. Giacevano nella vasca di cemento che si trovava in un angolo, i corpi straziati in via di putrefazione. Gli piaceva l’odore, pensò. Era acre e pieno come quello della birra. Poteva starsene seduto ore e ore a saziarsi di quell’odore.
“Ancora” disse la “cosa.” — Stanotte? — chiese lui ad alta voce.
“Stanotte.”
L’eccitazione gli invase le membra flaccide. Abbassò lo sguardo sul proprio sesso che, seminascosto dalle pieghe di grasso, vibrò al pensiero.
Stanotte, allora. Si leccò le labbra sottili.
I sacerdoti incrociarono le mani e cominciarono a deliberare. Che azioni del genere costituissero un crimine era certo, ma erano crimini terreni: benché l’omicidio dannasse chi l’aveva commesso, anche un cristiano poteva uccidere. Quello su cui dovevano prendere una decisione era la questione dell’eresia.
— Se esiste un margine sufficiente di dubbio potremmo sottoporlo alla tortura. Se è un cristiano, lo ammetterà e ci perdonerà per questo processo. Se non lo è, può darsi che gli salviamo l’anima.
Il vescovo era conosciuto per lo zelo con cui perseguiva gli eretici, e solo un acuto osservatore avrebbe potuto notare lo sguardo avido dei suoi occhi.
Uno dei sacerdoti minori, non ancora abituato alle prove cui aveva visto sottoporre la fede, disse: — Sarebbe più prudente sbagliare per eccesso di cautela.
Era quello di cui aveva bisogno il vescovo.
— Si comportò in questo modo Nostro Signore al tempo del Suo Glorioso Martirio? Chiese forse un dolore sopportabile e un passaggio sicuro? — Fece una pausa, con le mani sollevate. — Dunque, per questo eroico figlio della Francia, mettersi nelle nostre mani non è una dura prova. Lui sa che quanto facciamo è per la Carità di Dio: la sua anima potrebbe essere salvata dall’Inferno.
— Ma se ha commesso un delitto, allora... — si intromise il giovane sacerdote.
— Potrebbe facilmente ottenere un’indulgenza da Roma qualora dimostrasse di essere un figlio fedele della Santa Chiesa.
Dal modo in cui lo disse si capì chiaramente che il vescovo aveva già preso la sua decisione.
— Esistono modi per scoprire l’eresia o per scacciare il demonio. La Chiesa Trionfante nella sua infinita compassione si corazzerà contro il castigo terreno di quest’uomo per la maggior gloria di un’anima salvata. — Il fatto poi che la Chiesa Trionfante avrebbe anche ottenuto una larga parte del patrimonio di de Rais, se questi fosse stato riconosciuto colpevole di eresia, non venne, naturalmente, tenuto in nessun conto.
Erano ormai passati molti bambini nel bunker. Stranamente non provava nessun desiderio per i più grandicelli, e quando ne incontrava, si nascondeva, oppure... se il bisogno premeva... li uccideva semplicemente, senza rancore. Ma i piccoli con i loro fragili corpi innocenti erano tutta un’altra cosa.
“Gli innocenti, sempre gli innocenti” gli sussurrava la “cosa” nella mente. “Ma devi avere più fantasia. Il dolore è una cosa che va tenuta in gran conto. Muoiono troppo in fretta. Devi essere più ingegnoso.”
Lui scoprì che il suo amore per il dolore aveva raggiunto l’apice che la “cosa” provava nella sua mente. Si gloriava del modo in cui riusciva a prolungare la delicata agonia dei fragili corpi che trascinava nel bunker. Lui stesso era incrostato di sudiciume e il suo corpo puzzava. Ma non gli importava perché si sentiva appagato e sublimato nel momento in cui la sua lussuria si fondeva con quella di lei nel loro atto di spaventosa comunione.
I corpi straziati dei bambini si ammucchiavano negli angoli del bunker, e il fetore era diventato insopportabile. Lei, la femmina che si annidava nella sua mente, conosceva ogni maniera per dare dolore, per estrarre dai fragili corpi l’essenza desiderata.
“Ti ho mai parlato di Gilles?” disse lei nella sua mente. “È stato uno dei miei, molto tempo fa. Dicono che un demonio si fosse impossessato della sua mente inducendolo a depredare della vita i bambini. Eppure i suoi concittadini lo consideravano un santo... fino a questo giorno, lo considerano tale.”
— Ah — disse lui, distrattamente.
Un tempo era stato un uomo abbastanza colto e avrebbe riconosciuto il nome di Gilles de Rais, ma ora la sua mente era intrisa di morte, come l’aria che respirava.
“E gli antichi sacerdoti che si genuflettevano sugli altari insanguinati prima che giungessero gli spagnoli, con i lunghi capelli neri macchiati del sangue dei miei amori e i denti ingialliti affondati nei cuori degli innocenti. Oppure i sacerdoti di Attide e Cibele che offrivano la propria virilità evirandosi. Tutto mio. Tu sei mio. Per l’eternità...”
Cominciarono discutendo oscuri punti della fede su cui de Rais non si era mai preoccupato di riflettere in precedenza. E durante le ore di discussione con gli uomini vestiti in bianco e nero, la “cosa” giocava con il suo corpo, ricoprendolo di sudore, strattonando gli arti, eccitandolo, facendogli male.
I dotti Padri osservavano e annuivano saggiamente tra di loro, cercando un verdetto e vedendo nel suo strano comportamento una scusa per emetterne uno.
— Voi — annunciò il decano dei Padri — siete posseduto da un demonio, e benché siate un eroe e di nobile nascita, dovete essere esorcizzato. Noi chiediamo ora il vostro perdono, dato liberamente, per quelle indegnità cui il vostro corpo potrebbe essere sottoposto durante il processo.
De Rais chiuse gli occhi e li perdonò senza slancio. Lui, se non loro, aveva riconosciuto la loro ironia cristiana: che, cioè, gli avrebbero fatto quello che lui aveva fatto ad altri.
I suoi pensieri andarono alla moglie, e de Rais lasciò che i suoi occhi la cercassero frugando la stanza buia.
— Catherine — mormorò, e fu sorpreso di vederla trasalire.
Era stata lei a trascinarlo lì? Lo aveva braccato da lontano, bloccando la vendita delle sue terre, costringendolo all’estremo provvedimento che l’aveva lasciato senza difese davanti alla “cosa” che ora viveva in lui.
Se lei non si fosse comportata in quel modo... ma no, era ridicolo. I misteri l’avevano attratto già molto prima che diventasse disperato. C’erano stati i libri, i quadri, la scultura, la musica, la tavola, tutte le gioie che un uomo può desiderare e altre ancora, nascoste, che lo avevano insidiato.
La sentenza venne monotonamente discussa a voce bassa per molto tempo, ma de Rais non ascoltava. Guardava la moglie che si muoveva nell’ombra e pensava alla cosa-femmina che si trovava, fuori portata, nel suo cervello. Entrambe lo manovravano per i loro scopi personali. Soffocò un rantolo mentre la “cosa” lo riprendeva con violenza. “Io non sono come quella là” sentì riecheggiare dentro di sé. “Non mi devi confondere con quella là.”
Poi fu portato via. Ormai si trattava solo di stabilire per quanto avrebbe potuto resistere ai sacerdoti e alla “cosa.”
Nello scantinato della birreria, l’uomo contemplava la luminosa bellezza di quello che aveva fatto. Ormai lo stavano braccando, ma non se ne curava. Lei non gli permetteva di curarsene. C’erano altre cose da fare. Dopo una giornata trascorsa a fare piani e a guidare per le strade la goffa Packard, a nascondersi dietro i pilastri della ferrovia, a passare rapidamente in un negozio di alimentari o dal barbiere oppure in un bagno turco dove la sua tensione verso l’unico scopo si rilassava in un attimo di incauta vulnerabilità, riportava i suoi pensieri su quanto gli premeva di più.
Gli piaceva uccidere. Lo chiamavano “Cane Pazzo”. Gioiva di questo nome e sapeva che lo rendeva ai loro occhi simile a una forza naturale. La sua mente frastornata lottava senza successo con i concetti.
Solo adesso la “cosa” che si annidava in lui gli aveva insegnato un nuovo, distensivo piacere. I giornali erano scatenati contro di lui e la polizia aveva cominciato a pat-tugliare parchi, scuole e sentieri, e gli era ormai difficile procurarsi quello che lei voleva.
Ma pure nella sua ottusità riusciva a cavarsela. Lei gli parlava di quelli che erano stati suoi in precedenza, e lui si sentiva portato a eccessi sempre maggiori nel tentativo di eguagliare quelle menti piene di inventiva. Aveva scoperto l’apice della vita e se lei lo avesse lasciato per lui sarebbe stata una rovina. Rapida. Irrevocabile. Irrazionalmente avrebbe accolto con gioia anche la fine.
La prima tortura fu facile da sopportare per de Rais: non gli procurò più dolore di una giornata in sella a un cavallo irrequieto. La sopportò bene e scoprì che la “cosa” si annoiava.
La tortura successiva lo mise a dura prova, e le facce dei sacerdoti erano imperlate di sudore mentre osservavano il torturatore al lavoro.
La terza tortura fu tutta un’altra cosa: lei si cibava, insaziabile, del dolore che gli percorreva il corpo, scaricandogli il fuoco nelle articolazioni e avvolgendogli le ossa con il gelo. Quante volte aveva visto la stessa scena quando aveva stretto il cavalletto: il corpo indifeso, curvato dalla trazione degli argani, la pelle resa viscida dal sudore stagnante. De Rais non comprese, finché il dolore non arrivò a possederlo personalmente, che era proprio questo che la “cosa” aveva sempre voluto.
“È bello. È bello” intonava a se stessa, godendo dei tendini spossati e dei muscoli dilatati. Sussultava in estasi e lo sosteneva mentre il dolore aumentava, pungolandolo per farlo tornare in sé quando stava per svenire, affinandogli i sensi quando la spossatezza minacciava di liberarlo.
E tutto questo mentre i sacerdoti gli rivolgevano domande. Credeva o non credeva a questo o a quello? Ammetteva o non ammetteva di nascondere in sé esseri malefici? E i riti magici? I riti satanici?
Inizialmente de Rais aveva tentato di rispondere, cercando le parole attraverso la nebbia di tormento. Poi la cosa aveva cessato di avere importanza e aveva risposto in qualunque modo gli riusciva. Gli avrebbero sottratto le terre, il patrimonio, le sue opere d’arte, la biblioteca, tutto quello che gli premeva e l’avrebbero diviso tra loro, sua moglie e la Santa Chiesa.
Che cosa stavano meditando adesso, quegli uomini vestiti di bianco e nero? Sentì la “cosa” saltare in preda a un’estasi frenetica, raccogliendosi nell’angoscia. Risolutamente de Rais lottò contro il suo maligno piacere.
— Cosa c’è, figliolo? Confessi? Sei disposto a cacciare il demonio e a consegnarti alla misericordia della Madre Chiesa?
Nell’oscurità gli occhi dell’ecclesiastico si accesero e il respiro gli si fece affannoso.
Poi, lentamente, con parole secche e precise, de Rais disse: — La mia stella natale è così potente che io ho fatto quello che non è mai stato fatto prima e non sarà mai più ripetuto.
Sapeva che sarebbe bastato.
— Eresia! — urlò il sacerdote e si voltò verso il vescovo.
Il vescovo annuì. — Eresia — disse, senza riuscire a dissimulare del tutto la propria soddisfazione. — Questa è eresia.
Anche quando lo staccarono dal cavalletto, la “cosa” si vendicò tormentandolo tutta notte. “Non è stato sufficiente. Ci deve essere più dolore, molto di più. Lo pretendo da te.”
De Rais pensò al fuoco e fu soddisfatto.
Lo trovarono accucciato tra i corpi in decomposizione, il premio della sua adorazione. Era stato facile trovarlo perché non era riuscito a nascondere i suoi movimenti. La morte e la putrefazione erano diventati una specie di estasi fisica per lui: si accucciava al buio della cantina della birreria e pensava che la vita era fatta per quello. Era vissuto, incurante, fino a quel momento solo per lei e per le cose che per lei faceva.
Quando fecero irruzione nella cantina, con le torce elettriche che tagliavano con fasci di luce l’oscurità avvolgente, lui alzò lo sguardo senza capire. Si era aspettato di vedere arrivare la polizia, prima o poi, ma non gli era passato per la mente che anche quelli come lui l’avrebbero cercato. Il terrore che aveva invaso la città si era propagato verso sud attraverso l’isola, e le pressioni della polizia avevano gettato nel panico gli uomini d’affari con cui lui trattava. Naturalmente dovevano scovarlo. Troppo chiasso, troppa pubblicità. Era negativo per gli affari.
— Dio! — esclamò uno.
— Madre Santa! — disse una spessa voce irlandese.
Lo uccisero sul posto, con coltelli e bastoni per evitare il rumore delle armi da fuoco. Si abbatté nella propria nuda obesità tra i relitti dei suoi riti e sentì la vita sfuggirgli.
E con la vita, lei... la “cosa” che gli aveva dato tutto questo.
Stavano gettando carta e pezzi di cassette di legno e doghe di barili sul corpo. Sapevano che avrebbero potuto cancellarlo solo così. Faceva parte delle loro antiche tradizioni e vi si dedicarono in modo pratico e realistico. Lui sentì il fruscio dei fiammiferi sulla carta, e attraverso i brandelli di carne marcia che lo circondavano vide il primo tremolio delle fiamme.
Negli ultimi istanti, quando gli altri se n’erano già andati, mentre il freddo fuoco gli toccava il corpo, urlò.
“Bene” sussurrò lei in distanza. “Molto bene. Avresti dovuto essere mio da giovane.”
Le fascine erano di legno ancora verde, perché durassero di più. De Rais era coperto con la veste della vergogna, riservata agli eretici. Lo avevano incatenato al palo senza molta cautela, e il metallo gli penetrava nelle spalle e nelle cosce. Ma questo non aveva molta importanza nel poco tempo che rimaneva. De Rais accettava stoicamente la tortura cui lo sottoponeva la “cosa” e aspettava la torcia. Giovanna aveva provato quella stessa sensazione mentre aspettava? O c’erano davvero gli angeli a proteggerla? Si lasciò andare all’indietro per alleviare il dolore del fianco lussato.
Il vescovo stava terminando l’arringa e alla fine si voltò verso de Rais, pronunciando tutte le condanne della Chiesa contro di lui, enumerandone peccati e colpe.
— Che l’ex Cerimoniere di Francia sia arrivato a questo serva di monito a tutti voi — disse con voce squillante. — Esistono forze del Male che devastano come lupi le anime dei giusti. È tentazione del potere emulare il Signore Iddio. Perciò, fate in modo di camminare in umiltà e ringraziate Dio per la benedizione della vostra povertà affinché non diveniate strumenti passivi e volontari di Satana...
Adesso il fumo stava salendo e le catene stavano diventando troppo calde. De Rais non riusciva più a sentire le parole coperte dallo scoppiettio della legna verde. La “cosa” danzava per l’ultima volta, assaporando la sua morte. Il fumo lo fece tossire.
Ma alla fine il fumo si dissolse soppiantato dalle fiamme, e per un attimo, per un unico attimo fuggevole, de Rais vide gli occhi del vescovo accesi di fanatismo e gli occhi della “cosa” che si annidava, femmina, nella sua mente, che assistevano con avida gioia al tormento al palo.
Poi le fiamme si levarono alte.
Lei lo trovò sdraiato, nudo, a letto, in una delle stanze che davano sul retro della splendida casa a Hillsborough nascosta tra i boschi. Il lungo party di fine settimana era iniziato con alcol ed erba, ed era proseguito con un po’ di sesso occasionale cui avevano fatto seguito più estrosi rapporti di gruppo. Lei conosceva i suoi a prima vista, e il sacrificio era ormai vicino.
La sua faccia era coperta di ispidi ciuffi di barba e il petto era solcato dalle ferite prodotte da unghie e lamette da barba. Lui la guardò con occhi pieni di desiderio mentre si avvicinava, lo abbracciava, gli parlava.
Gli occhi gli brillavano e le chiese dolcemente, mentre lei gli faceva scorrere le dita sulle costole: — Chi sei?
— Silvia. Mi chiamo Silvia. — Gli prese un labbro tra i denti. — Che cosa sei? — Perché lui, per la prima volta, provava un altro desiderio e sapeva che veniva da lei.
— Non ha importanza. Possiamo salire al terzo piano. Nessuno lo saprà.
— Dormono lassù — disse lui. — I bambini dormono.
— Lo so — ribatté lei, toccandolo di nuovo, riempiendogli la mente di sé, possedendo il corpo spossato in eccitante anticipazione.
Lui era degno di lei, e del fuoco che sarebbe seguito. Salirono al buio dove i bambini li aspettavano.