A lume di luna

di Steve Barnes

 

 

Titolo originale: Moonglow 

 

 

 

Uscì silenziosamente dalla foschia sulle foglie fradice d’autunno, e sentì la terra umida e fredda sotto le zampe. Con le orecchie inerti e un luccichio verde negli occhi di lupo, si fermò in cima alla collina lasciando che il suo naso filtrasse gli odori portati dal vento gelato.

L’odore pungente di ceppi bruciati in un camino lo stupì; si era spinto così spudoratamente tra le colline che pensava di essersi lasciato alle spalle ogni abitazione umana. Invece, laggiù, in uno spiazzo, quasi persa tra gli alberi in germoglio, si stagliava una capanna. La luce gialla di una lampada fluiva fuori dalle finestre, e mentre guardava, una ragazza uscì al chiaro di luna e abbozzò i passi lenti e ritmici di una danza insolita.

Si fermò a studiare la ragazza che piroettava sotto le stelle mute. La sua danza lentamente aumentò di ritmo e trasporto.

Incuriosito, lui uscì sulla cresta della collina e si accoccolò sui calcagni muscolosi, con la testa piegata di lato e la lingua fuori, nella posa del cane che manifesta gioia.

Per quasi un’ora osservò in silenzio mentre l’agile figura passava attraverso una successione di movimenti fluidi e pieni di grazia, e alla fine capì, attraverso un oscuro ricordo, che anche la fanciulla amava la luna piena come lui. Un senso di affinità toccò il suo spirito e, spinto da un improvviso desiderio, se ne andò correndo nella notte. Corse ansimando, gli occhi come carboni ardenti, tra arbusti e felci sino a fondersi con la boscaglia e a sparire nella debole luce grigia dell’alba.

La luna era ancora piena la notte successiva, e il sorgere delle stelle lo colse sulla stessa collina che dominava la capanna. Ancora una volta vide sotto di sé l’appassionata danzatrice manifestare la propria adorazione sotto l’occhio impersonale della luna.

La guardò per buona parte della notte danzare e cadere prostrata a riposare e poi saltare in piedi e riprendere la danza. La luna rendeva i suoi capelli simili a una nuvola bianco-azzurra intorno alle spalle e si rifletteva negli specchi dei suoi occhi.

C’era qualcosa di familiare nella fanciulla, qualcosa che suscitava in lui uno strano ricordo. Quei capelli color del fumo che manda la legna, quegli occhi radiosi, l’essenza stessa della sua folle danza sembravano toccare una corda sensibile nella sua mente. Da qualche parte, nell’antica stirpe della fanciulla c’era un essere cui lui si sentiva legato, un’entità indistinta che correva per i corridoi del tempo.

Alla fine, durante uno dei momenti di riposo della fanciulla, lui si fece vedere, scivolando giù dalla collina e uscendo allo scoperto dalla oscurità degli alberi.

La fanciulla non ebbe paura. Anche lei riconobbe, altrettanto velocemente, lo strano legame che li univa. Lo riconobbe per quello che era: un cacciatore della notte, spinto dall’incantesimo della luna a battere le colline nella sua forma a quattro zampe. La fanciulla si alzò e attese che lui si avvicinasse, sicura che i suoi riti avrebbero richiamato una tale apparizione.

Quando lui la raggiunse, la ragazza si voltò tranquillamente ed entrò nella capanna. Lasciò la porta aperta, come un invito a seguirla. Dopo un attimo di esitazione, lui entrò.

I ceppi nel camino brillarono intensamente per un attimo quando lui varcò la soglia, tutto intorno scoppiettarono le faville, poi le fiamme tornarono, sibilando, in brace.

La fanciulla represse un brivido e andò a chiudere la porta per lasciare fuori il gelo improvviso.

Lui la osservava con occhi onniscienti. Pallida, i capelli biondi, gli occhi colore del topazio, era una radiosità che feriva a guardarla. Lui abbassò lo sguardo intenso quando lei lo fissò con la faccia raggiante.

— Meraviglioso lupo — mormorò. — Ieri sera ti ho visto mentre mi osservavi dalla collina. Mi chiedevo se saresti tornato. 

Lui si aggirò per la stanza, di colpo irrequieto, con gli occhi che guizzavano nervosamente. Lei riaprì la porta e la lasciò spalancata.

— Ecco — sorrise — adesso puoi vedere fuori. Non devi sentirti intrappolato. Nessuno ti farà del male qui. 

Poi allungò la mano e con dita affusolate e meravigliose gli toccò le orecchie erette e la testa, solleticandolo dolcemente lungo il collo. Lui fu scosso da un fremito e si fece più vicino.

— Bel lupo con il ciuffo argento e nero. 

Lui scodinzolò, la bocca aperta, la lingua penzolante, le orecchie piatte nella sua miglior posa di lupo sottomesso. Lei rise dolcemente e si sedette a studiarlo.

— Siamo forse consanguinei, che io non provo paura? — chiese. — Sei stato un mio congiunto in un’epoca lontana? Hai cavalcato con me in un cielo notturno simile a una piuma corvina, correndo nella mia ombra? O forse siamo stati qualcosa di più? 

Si alzò e si fece più vicina a cullare il muso affilato con la mano sottile.

— Correvo anch’io a quattro zampe in quei giorni lontani, adattando il mio passo al tuo, e il mio manto era un contrasto dorato al tuo pelo corvino? 

Lui emise un breve mugolio e la guardò con gli occhi fattisi improvvisamente gialli. Le dita della fanciulla gli accarezzarono la testa, grattarono cautamente le orecchie fiere e si spostarono a solleticare la morbida, vulnerabile piega della gola. Lui permise queste confidenze, i grandi occhi color ambra semichiusi. Alla fine lei si allontanò e andò a versare un liquido in una tazza sul tavolo. Poi si sedette a bere il suo infuso d’erbe, e il suo sguardo non lo abbandonò un attimo.

— Vorrei essere te — disse poi. — Libera di correre sotto la luna piena. Libera di visitare tutti i posti di cui ho solo sentito parlare... Honduras, Madagascar, Tibet... Transylvania... tutti quegli antichi nomi proibiti che vengono portati dal respiro del vento notturno. 

Gli occhi di lui si accesero nel bagliore morente del fuoco. Abbiamo tutto il mondo davanti a noi da percorrere, sembrò dire. Migliaia di strade inondate di luna da battere, centinaia di colline sferzate dal vento da scalare.

— Oh, lupo — sospirò lei. — Se solo potessi venire con te. Ma ho paura. E amo questa casa. 

Lasciò che il suo sguardo vagasse per ogni cantuccio conosciuto.

— Qui sono al sicuro, accanto al mio fuoco e al suo calore familiare. 

Ci sono due tipi di streghe al mondo: le streghe d’autunno-inverno che portano con sé odore di foglie morte e fradice e di ammuffiti funghi velenosi, di rami nudi che sembrano ghermire un cielo di ghiaccio. E le streghe di primavera-estate che portano con sé il ricordo di giorni d’estate e sul cui cammino sbocciano i fiori. Lei era una strega d’estate, e lui anelava a scaldarsi al fuoco delle sue attenzioni. Fece pressione contro le ginocchia della fanciulla, la bocca aperta in un ansito felice, mentre gli immensi canini risplendevano come avorio nel chiarore del fuoco.

Controvoglia, furono spinti all’esterno, costretti a saltare e danzare tutta la notte sotto l’antica sfera.

Alla fine l’alba si insinuò nel cielo, un nastro cremisi a oriente. Riluttante, lui si apprestò a lasciarla, gli occhi dolci e imploranti mentre cominciava ad allontanarsi.

Vieni con me, dicevano i suoi occhi. Vieni con me, gridava la sua ombra, mentre scivolava davanti alla faccia della luna. Vieni con me, cantava il suo ululato spettrale dalle colline lontane.

Triste, lei abbandonò lo spettacolo dei monti lontani e serrò la porta per chiudere fuori il suo canto ammaliatore.

Ritornò la notte successiva e insieme eseguirono lo stesso rito appassionato alla luna che andava calando. Mentre l’alba si avvicinava, lui la seguì nella capanna ma non si fermò a lungo.

Devo andare, sembrava dire, e presto non potrò più tornare. La mia signora della notte mi abbandonerà e io dovrò tornare quello che ero, uno zero, meno di niente.

— Ma sei un licantropo — protestò lei. — Devi avere un’altra vita. Che cosa sei nel mondo diurno? 

I suoi occhi parlarono per lui. Ha davvero importanza? Cominciai come legionario nella Roma di Cesare.

Ricordo che gli ufficiali ci dissero che erano lupi normali scesi ad attaccare i feriti che giacevano sui campi di battaglia della Gallia illuminati dalla luna. Da allora ho fatto il venditore ambulante, il fabbro girovago, l’emigrante solitario, il vagabondo. Sono stato tutte le creature errabonde e senza tetto che ti possono venire in mente. In tempi più recenti ho trascorso le ore del giorno come operaio nei giacimenti di petrolio. Nessuna di queste vite mi ha dato la potenza che provo nei miei vagabondaggi notturni.

— Puoi ritornare da me, alla prossima luna piena — disse lei. 

Oh, no, risposero i suoi occhi. Ci sono sempre i curiosi. E le domande.

Da parte delle padrone di casa, del lattaio mattutino, dei festaioli che se ne tornano a casa all’alba. Devo andarmene. Per me è ormai passato il tempo di trovare un posto dove rimanere per sempre, una calda tana in cui rannicchiarmi. Devo vagabondare per i luoghi più bui del mondo... e sempre solo.

— Oh, se solo potessi venire con te. Non conosceresti mai più la solitudine. E io avrei qualcuno a cui parlare. 

Potresti, disse lui in silenzio. Un piccolo morso di queste zanne stregate e noi saremmo insieme per sempre.

Lei indietreggiò, improvvisamente timida e timorosa. Scosse la testa.

Con tutto il suo cuore di lupo lui la voleva con sé, perché in lei aveva sentito la pace che andava cercando da secoli. Erano le due facce della stessa medaglia. Lui, ebano e peltro, le nubi nere davanti alle stelle di mezzanotte. Lei, pallida, dolce miele, il rame splendente di un giorno di sole. Insieme si sarebbero completati a vicenda, fusi e amalgamati a formare quell’indissolubile unità che è fusione di bene e male.

Ancora una volta sgusciò fuori da solo e l’ascoltò mettere il chiavistello alla porta. Ma ci fu un’esitazione nel suo gesto, come se fosse indecisa, come se una notte in più potesse convincerla.

L’ultima notte di luna piena lui tornò, portando con sé, sul suo manto, l’odore d’autunno, l’odore pungente e asprigno di mele e di foglie marce.

Un vento gelido lo seguì all’interno della capanna, sbattendo contro porte e finestre, sollevandosi come per fuggire su per il camino, per poi abbattersi e morire tristemente al calore del fuoco. L’inverno annunciava la partenza dell’ultima luna piena d’autunno.

Lui si fece vicino e le girò intorno ansiosamente. Aveva poco tempo e poi doveva partire. Le afferrò una mano tra le fauci, con delicatezza disperata, e cercò di condurla verso la porta.

— No, lupo, non posso. Ho paura del tuo mondo. Ma sono felice che tu sia tornato a salutarmi. 

Lui mugolò, agitandosi inquieto. Fuori la luna stava morendo di un’esile morte. Si sentiva dilaniato tra l’inesorabile richiamo della luna e la fanciulla. L’impazienza lo rendeva frenetico.

Lei aprì la porta.

— Vai — disse tristemente — chiuderò la porta dietro di te. 

Le labbra di lui si incresparono sulle fauci spalancate, i denti brillarono alla debole luce. Le orecchie si appiattirono ma non in modo amichevole, come in precedenza. Ringhiò e cercò di trascinarla fuori della porta. I peli del collo gli si rizzarono, e mentre si raccoglieva pronto a scattare sembrò immenso alla luce del fuoco. Lei indietreggiò e lanciò un grido.

Forse fu colpa del grido. Lui voleva solo darle un piccolo morso indispensabile. Ma, mentre spiccava il balzo, il grido della fanciulla provocò in lui un forte fremito convulsivo. Spaventato, affondò i denti in profondità e secondo l’antica consuetudine della sua specie non lasciò il corpo finché la calda vita non cessò di fluirne.

Il fuoco ardeva scarlatto contro le pareti della capanna. Le ombre danzavano una folle giga di morte intorno alla stanza. Lentamente il rosso velo della pazzia abbandonò i suoi occhi annebbiati. Lasciò scivolare il corpo inerte tra le zampe.

Abbassò lo sguardo sul corpo immobile, uno sguardo triste e confuso sul muso di lupo. Adesso si sarebbe alzata e strofinata contro di lui, ansiosa di giocare. Lui abbassò il muso e le diede un colpetto. Gli sfuggì un gemito di confusione. La lingua rossa le accarezzò la faccia, una volta, due volte.

Alla fine, alzò la testa e lasciò che la canzone di morte si riversasse dal suo cuore. Lentamente si girò e trotterellò via, voltandosi solo una volta a guardare indietro come se si aspettasse di vederla alzarsi dal suo gioco silenzioso e seguirlo.

Una raffica di vento turbinò tra le foglie morte, sollevò un ciuffo di pelo bianco latteo e se ne andò danzando. Uno scroscio di pioggia cominciò a cadere sulla terra autunnale. Un ultimo, dolente ululato corse per la collina, poi come bruma si disperse e svanì per sempre.