L’uomo dalle nove dita

di Anthony Boucher

 

 

Titolo originale: Nine Finger Jack 

Traduzione di Hilja Brinis 

© 1951 Esquire Magazine 

Apparso in appendice a Il Giallo Mondadori n. 828 (13 dicembre 1964) 

 

 

 

Chiamarsi John Smith non è un modo particolare per distinguersi, e d’altra parte il Nostro non poteva prevedere in alcun modo, fino al termine della sua carriera, che sarebbe diventato famoso tra tutti gli esperti del crimine come Jack-Nove-Dita. Ma lui non si formalizzava per quel cognome così poco originale; pensava che, se era andato bene per il grande George Joseph Smith5 , poteva andar bene anche per lui. 

E non soltanto John Smith era felicissimo di portare lo stesso cognome di George Joseph, ma era orgoglioso di imitare il celebrato G.J. nella professione e perfino nel metodo. Per un uomo di una certa età, piacente e non del tutto sprovvisto di prestigio sociale, esistono ben poche fonti di rendita più soddisfacenti di una frequente, sistematica vedovanza; e di tutti coloro che hanno messo in pratica quel solido principio, nessuno è riuscito a migliorare il metodo intelligente e non brevettato, di George Joseph Smith, metodo noto comunemente come “Sposa nel bagno”. 

Il matrimonio tra John Smith e la sua nona fidanzata, Hester Pringle, ebbe luogo il mattino del trentuno maggio. La sera del trentuno maggio John Smith, dopo aver passato buona parte del pomeriggio a far notare agli amici quanto la cerimonia avesse emozionato Hester, e quanto lui temesse gli effetti di quell’emozione sul cuore notoriamente debole di lei, entrò nel bagno, e con la disinvolta noncuranza del professionista esperto impiegò cinque delle sue dita per afferrare Hester per le caviglie e sollevarle le gambe fuori dalla vasca mentre, con le altre cinque, le premeva gentilmente la faccia proprio al di sotto del livello dell’acqua. 

Fin qui, tutto era proceduto nel modo solito di ogni altra sera di nozze di Smith; ma l’improvviso mutamento che si verificò nel rito fu tale da sconvolgere perfino la professionale disinvoltura di John Smith. Nell’attimo stesso in cui la faccia e il collo di Hester vennero a trovarsi immersi nell’acqua, la sposa aprì le branchie. 

Nel suo sbalordimento, John Smith lasciò andare contemporaneamente la presa alle due estremità della consorte. Le gambe di Hester ricalarono in acqua e la testa ne emerse. Naturalmente, nel passare dall’elemento acqua all’elemento aria, le branchie si chiusero e la bocca si aprì. 

— Immagino — osservò lei — che nell’intimità di una lunga vita matrimoniale avresti finito per scoprire ugualmente che io sono una venusiana. È forse meglio, perciò, che la scoperta sia avvenuta subito, così che possiamo stabilire le basi per una reciproca comprensione. 

— Vuoi dire — domandò John, sempre pignolo — che sei nativa del pianeta Venere? 

— Proprio così — assicurò lei. — Rimarresti molto sorpreso nel sapere quanti di noi si sono già mescolati alla vostra razza. 

— Sono già sufficientemente sorpreso — dichiarò John — di scoprire l’esistenza di uno solo. Ti dispiacerebbe darmi la prova che ho proprio visto quello che m’è parso di vedere? 

Compiacente, Hester rituffò la testa sott’acqua. Le branchie si aprirono e il respiro gorgogliò allegramente tra una miriade di bollitine. 

— La natura del nostro pianeta — spiegò lei, una volta riemersa — ha prodotto come razza dominante la nostra specie di mammiferi anfibi, in ogni altro aspetto superficialmente identica a quella dell’Homo sapiens. Troverai che è assolutamente impossibile riconoscere qualcuno di noi, a meno forse di non far caso a coloro che, per evitare un involontario aprirsi delle banchie, rifiutano di nuotare. Ben presto, naturalmente, questa precauzione diverrà del tutto inutile, perché noi assumeremo il completo dominio del vostro pianeta. 

— E cosa vi proponete di fare nei confronti della razza che lo controlla attualmente? 

— Distruggerla in massima parte, penso — opinò Hester. — Saresti tanto gentile da passarmi l’asciugamano? 

— Questo — dichiarò John, con l’orrore di ogni artigiano che si rispetti per la produzione di massa — è mostruoso. Vedo chiaramente qual è il mio dovere verso la mia razza. Dovrò rivelare ogni cosa. 

— Temo proprio — osservò Hester, intanto che si asciugava — che dovrai rinunciarvi. In primo luogo, nessuno ti crederà. In secondo luogo, mi vedrò costretta a presentare alle autorità il dossier completo che ho raccolto sull’interessante fine delle tue otto mogli, insieme con la mia diretta testimonianza sul tentativo che hai compiuto questa sera. 

John Smith, essendo un individuo ragionevole, non approfondì oltre l’argomento. — In considerazione di questo tentativo — osservò — immagino che vorrai il divorzio, o l’annullamento. 

— Francamente no — replicò Hester. — Non esiste un modo migliore, per celare la mia attività, dell’essere sposata a un membro della razza indigena. Tant’è vero che, se mai tu dovessi accennare nuovamente al divorzio, mi vedrei costretta a rimettere in ballo la storia di quel dossier. E adesso, se vuoi porgermi quell’accappatoio, intendo fare alcune telefonate. Alcuni dei miei colleghi più autorevoli avranno bisogno del mio nuovo nome e indirizzo. 

Quando John Smith la sentì chiedere al centralino la comunicazione con Washington, D.C., si rese conto con dolorosa rassegnazione che avrebbe dovuto abbandonare i metodi dell’immortale George Joseph. 

Fallito anche un tentativo con il coltello, John Smith scoprì che il sangue venusiano ha straordinari poteri di coagulamento, e che gli organi venusiani posseggono un sistema sorprendentemente rapido di autorigenerazione. 

La pistola gli fece scoprire un’ulteriore particolarità di quel sangue: scioglie il piombo, o per meglio dire e per la precisione, lo assorbe. 

La sua abilità di cuoco era più che sufficiente a mascherare al palato umano il sapore dei veleni più comuni; ma il palato venusiano non solo individuava subito, ma gradiva la maggior parte di quei sapori. Hester si mostrò particolarmente entusiasta della zuppa di pomodoro à l’arsenique, e volle a tutti i costi che il marito ne preparasse in quantità per un pranzo che lei offrì ai suoi amici, insieme con un piatto di sogliole amandines alle quali l’acido prussico conferiva un profumino così squisito. 

Mentre il più vago accenno alla parola divorzio, perfino dopo un anno di matrimonio, provocava in Hester l’accigliato mormorio: — Dossier... —, i tentativi di uxoricidio sembravano solamente divertirla tanto che, un bel giorno, John Smith venne indotto a rivolgersi per consiglio al Professor Gillyworth dell’Università di Stato, ritenuto la massima autorità (su questo pianeta) riguardo alla vita sugli altri pianeti. 

Il professore trovò la domanda di estremo interesse teorico. — Dalle ipotesi che siamo in grado di formulare sulla natura degli organismi venusiani — dichiarò — posso quasi assicurarvi che la loro distruzione avviene per ingestione forzata del miglior caviale del Volga, in dosi non inferiori a due o tre etti al giorno. 

Tre settimane della dieta consigliata trovarono il conto in banca di John Smith seriamente danneggiato, e la consorte in perfetta salute. 

— Quel caro Gilly! — rise lei una sera. — È stato talmente gentile a consigliarti quel modo di uccidermi; è la prima volta, da quando mi trovo sulla Terra, che ho potuto levarmi la voglia del caviale. Costa talmente tanto! 

— Vuoi dire — balbettò John Smith — che anche il Professor Gillyworth è un... 

Lei assentì.

— E tutto quel denaro! — protestò John. — Non ti rendi conto, Hester, di quanto sei ingiusta. Mi hai privato delle mie rendite, e io non ho altre risorse. 

— Dossier — farfugliò Hester, con la bocca piena di caviale. 

Il più grande fisiologo d’America mostrò d’interessarsi al problema di John Smith. — Per conto mio, consiglierei — disse — l’uso di carbone cristallizzato messo direttamente a contatto con l’area sensibile delle branchie. 

— In altre parole, una collana di brillanti? — domandò John Smith. Afferrò una caraffa piena d’acqua, ne scaraventò il contenuto contro il collo del fisiologo e osservò le branchie di lui aprirsi. 

Il giorno seguente, John acquistò un fiore da occhiello attraverso il quale era possibile schizzare acqua un articolo che, da quel momento, gli divenne prezioso nei suoi scopi d’identificazione. 

L’uso di quel fiore si rivelò, naturalmente, un metodo piuttosto scomodo per intavolare una conversazione, e spesso la conversazione finiva per seguire vie diverse da quelle previste; ma stabiliva, se non altro, una certa chiarezza nelle relazioni. 

Solo dopo che ebbe osservato l’aprirsi delle branchie nel collo di un famosissimo psichiatra criminologo, John Smith comprese dove avrebbe potuto trovare le persone veramente disposte ad aiutarlo. 

Da quel momento, ogni volta che poteva sottrarsi alla sorveglianza di Hester, tutta presa dalle sue attività preparatorie della conquista del mondo, lui visitava qualche manicomio, si faceva passare per un giornalista indipendente, e si informava se tra gli ospiti ci fosse qualche matto convinto che i venusiani fossero presenti in gran numero sulla Terra e progettassero di impadronirsene.

Così facendo conobbe una quantità di persone interessanti e simpatiche, le quali, senza eccezione, gli augurarono buona fortuna nella sua impresa, ma gli fecero altresì notare che non si sarebbero certo trovate dove si trovavano se tutti i loro progetti per uccidere dei venusiani non si fossero rivelati infruttuosi quanto i suoi.

Da uno di quegli amici, che ne sapeva più degli altri perché la venusiana da lui sposata aveva commesso l’errore di innamorarsi di lui (errore che aveva poi condotto all’eliminazione di lei dal consorzio umano), John Smith venne a scoprire che i venusiani possono venire danneggiati e anche uccisi da molte sostanze presenti sul loro pianeta, ma apparentemente da nessuna di quelle esistenti sul nostro: sebbene, la moglie di quel tale aveva un giorno lasciato intendere chi una sola cosa, sulla Terra, poteva rivelarsi fatale all’organismo venusiano. 

Finalmente, John Smith visitò un manicomio il cui direttore gli raccontò d’avere un ricoverato convinto di essere un venusiano. 

Come il direttore li lasciò soli, una strizzatina al fiore da occhiello bastò a provare la veridicità delle affermazioni del matto.

— Sono un membro del Partito Conciliazionista — spiegò il venusiano. — L’unico membro di quel partito che sia riuscito a raggiungere la Terra. Noi siamo convinti che Terrestri e Venusiani possano convivere perfettamente in pace, e per conto mio sarò ben lieto di aiutarvi a distruggere tutti i membri del partito contrario. 

— Esiste effettivamente — confermò il venusiano — una sostanza mortale per quelli della mia razza. Dato che, nel preparare e servire la pietanza che meglio si adatta alla sua somministrazione, voi dovrete portare i guanti, sarà meglio che, senza indugiare, iniziate la vostra compagna portando fin d’ora i guanti a tutti i pasti... 

Hester parve disposta a tollerare quella bizzarria in considerazione della sicurezza che le veniva dal loro matrimonio, ma soprattutto perché andava matta delle squisitezze che John sapeva ammannire: per esempio, lei andava matta per gli spaghetti col pesto all’aglio e arsenico, un piatto così difficile da trovare nei ristoranti. 

Due settimane dopo, John preparò finalmente il piatto indicato: coda di bue preparata secondo la ricca ricetta immaginata da Simone Templar6 , con una puntina di velenosissima belladonna mescolata alle altre erbe. Hester lodò la ricetta, divorò due porzioni, espresse il suo sospetto che il creatore di una simile sciccheria fosse dotato di branchie, e stava rosicchiando con avidità gli squisiti ossicini più piccoli quando, com’era previsto, crollò a terra fulminata. 

Tutto intento a perseguire il suo obiettivo, John aveva dimenticato il dossier, e non sospettava giammai che questo si trovasse nelle mani di un avvocato munito di branchie che aveva ricevuto istruzioni di inoltrarlo a chi di dovere in caso di morte di Hester. 

Sebbene la morte venisse dichiarata per cause naturali, ben presto John si trovò a dover affrontare un processo per uxoricidio, mentre altri otto Stati si contendevano il privilegio di processarlo ulteriormente se mai fosse riuscito a sfuggire a una condanna. 

Senza alcuna speranza di poter riassumere la sua professione di un tempo, John Smith preferì rendere di dominio pubblico quello che aveva scoperto e conquistarsi il suo nomignolo immortale. Il risultato della sua confessione fu un periodo di intensa prosperità commerciale per i fabbricanti specializzati in fiori da occhiello con pompetta, atti all’immediata identificazione e denuncia dei branchiati clandestini. 

Però indurre costoro, sia pure con la forza, a ingerire l’unica sostanza velenosa per loro, era molto più difficile. Il problema della domanda e dell’offerta era quanto mai sentito, tenuto conto del numero dei venusiani e della piccola proporzione di membri della razza umana disposti al sacrificio compiuto da Jack Nove-Dita. 

Fu il grande vedovo professionista e cuoco dilettante che risolse il problema proclamando, nella cella della morte, la sua intenzione di destinare il proprio corpo alla sradicazione dei Venusiani, perseguitando in tal modo anche dopo morto la razza nefasta che gli aveva rovinato la carriera. 

La notevolissima proporzione di esseri umani che seguirono il suo esempio nei rispettivi testamenti ci ha garantito la protezione permanente contro invasioni future, dato che in ogni singolo caso è sufficiente una quantità piccolissima di veleno; in fin dei conti, per Hester era bastato un mignolo.