Tre animali
fantastici
di Jorge Luis
Borges
Traduzione di Franco Lucentini
© 1957 Fondo de Cultura Económica, México
Apparso sul n. 282 di Urania (20 maggio 1962)
Nel ’62 Urania presenta in appendice un breve estratto dal «Manuale di zoologia fantastica» di Jorge Luis Borges, edito in Italia dalla Einaudi proprio in quell’anno.
A Bao A Qu
Per contemplare il paesaggio più meraviglioso del mondo bisogna arrivare all’ultimo piano della Torre della Vittoria, a Chitor. C’è là una terrazza circolare che permette di dominare tutto l’orizzonte. Una scala a chiocciola porta alla terrazza, ma solo s’arrischia a salire chi non crede nella favola, la quale dice così:
Sulla scala della Torre della Vittoria abita dal principio dei tempi l’A Bao A Qu, sensibile ai valori delle anime umane. Vive in stato letargico, sul primo gradino, e solo fruisce di vita cosciente quando qualcuno sale la scala. La vibrazione della persona che s’avvicina gl’infonde vita, e una luce interiore s’insinua in lui. Nello stesso tempo, il suo corpo e la sua pelle quasi traslucida cominciano a muoversi. Quando qualcuno s’avvia per la scala, l’A Bao A Qu si mette quasi ai calcagni del visitatore e sale afferrandosi all’orlo dei gradini, scavati e consunti dai piedi di generazioni di pellegrini. A ogni gradino il suo colore s’intensifica, la sua forma si perfeziona, e la luce che irraggia si fa ogni volta più brillante. Testimone della sua sensibilità è il fatto che raggiunge l’ultimo gradino e la sua forma perfetta solo quando chi sale è un essere evoluto spiritualmente. Altrimenti resta come paralizzato prima di arrivare, col suo corpo incompleto, il suo colore indefinito, la sua luce vacillante. L’A Bao A Qu soffre quando non può formarsi interamente, e il suo lamento è un rumore appena percettibile, simile al fruscio della seta. Ma quando l’uomo o la donna che lo resuscitano sono pieni di purezza, allora può giungere all’ultimo scalino ormai completamente formato e irradiando una viva luce azzurra. Il suo ritorno alla vita è molto breve, poiché, andando via il pellegrino, l’A Bao A Qu rotola e cade fino al gradino iniziale, dove ormai spento e simile a una lamina dai contorni vaghi, aspetta il visitatore successivo. Si può vederlo bene solo quando arriva a metà della scala, dove i prolungamenti del suo corpo, che in guisa di piccole braccia l’aiutano a salire, si definiscono con chiarezza. C’è chi dice che guarda con tutto il corpo, e che al tatto ricorda la pelle della pesca.
Nel corso dei secoli, l’A Bao A Qu è giunto una sola volta alla perfezione. Il capitano Burton1 registra la leggenda dell’A Bao A Qu in una delle note alla sua traduzione delle Mille e una notte.
Lo spianatore
Tra il 1840 e il 1864, il Padre de la Luz (che anche chiamano la Parola Interiore) somministrò al musicista e pedagogo Jakob Lorber una serie di prolisse rivelazioni sull’umanità, la fauna e la flora dei corpi celesti che costituiscono il sistema solare. Uno degli animali domestici di cui dobbiamo la conoscenza a questa rivelazione è lo Spianatore, o Mazzeranga (Bodendrucker), che abita il pianeta Miron (dall’attuale curatore dell’opera di Lorber identificato con Nettuno) e vi presta servizi d’incalcolabile utilità.
Lo spianatore ha dieci volte la statura dell’elefante, al quale somiglia moltissimo. È provvisto d’una proboscide piuttosto corta e di zanne lunghe e dritte; la pelle è verdepallida. Le zampe sono coniche e molto grosse; i quattro vertici sembrano incastrati nel corpo. Questo plantigrado va spianando la terra davanti a muratori e costruttori. Lo portano su un terreno accidentato, e lui lo livella con le zampe, con la proboscide e con le zanne.
Si nutre d’erbe e di radici, e non ha nemici, se si eccettuano alcune varietà di insetti.
Lo zaratan
C’è una favola che ha percorso la geografia e le epoche: quella dei naviganti che sbarcano su un’isola senza nome, che subito s’inabissa e li perde, perché è viva. Quest’invenzione figura nel primo viaggio di Sindbad, e nel canto VI dell’Orlando Furioso («Ch’ella sia una isoletta ci credemo»); nella leggenda irlandese di San Brandano, e nel bestiario greco di Alessandria; nella Storia delle nazioni settentrionali (Roma 1555) del prelato svedese Olao Magno, e in quel passo del primo canto del Paradiso Perduto dove si paragona Satana ad una gran balena che dorme sullo spumoso mare norvegese («Him hap’ly slumbering on the Norwey Foam»2 ).
Paradossalmente, una delle prime redazioni della leggenda figura in un’opera che la riferisce per negarla: il Libro degli animali di Al-Yahiz, zoologo musulmano del principio del secolo IX. Eccone la traduzione:
Quanto allo zaratàn, io non ho mai conosciuto nessuno che assicurasse d’averlo visto coi suoi occhi. Ma so che ci sono marinai i quali pretendono d’essere sbarcati su certe isole in mezzo al mare, dove c’erano boschi e valli e crepacci, e d’averci acceso un gran fuoco: e quando il fuoco raggiunse il dorso dello zaratàn, questo cominciò a scivolare (sulle acque) con loro (sopra) e con tutte le piante che ci crescevano, per modo che solo chi riuscì a fuggire subito poté salvarsi. Questo racconto è il più assurdo e favoloso di tutti i racconti assurdi e favolosi.
Consideriamo adesso un testo del secolo XIII. Nell’opera Meraviglie delle creature, del cosmografo Al-Qazwini, si legge:
Quanto alla tartaruga marina, è di così smisurata grandezza che la gente della nave la prende per un’isola. Uno dei mercanti ha riferito:
«Scoprimmo nel mare un’isola che s’ergeva alta sull’acqua, con verdi piante, e sbarcammo; e in terra scavammo buche per cucinare, e l’isola si mosse, e i marinai dissero: “Andiamo via, perché è una tartaruga, e il calore del fuoco l’ha svegliata, e può perderci”».
Nella Navigazione di San Brandano 3 si ripete la stessa storia:
... e navigando arrivarono a quella terra, ma siccome in certi posti c’erano fondali troppo bassi e in altri troppi scogli, scesero su un’isola, e accesero il fuoco per cucinare la cena, ma San Brandano non si mosse dalla nave e quando il fuoco cominciò a scaldare e la carne ad arrostire, quell’isola cominciò a muoversi, e i monaci si spaventarono e fuggirono alla nave, e lasciarono il fuoco e la carne, e si meravigliarono del movimento. E San Brandano li confortò, e spiegò che quello era un gran pesce chiamato Jasconye, che giorno e notte cerca di mordersi la coda, ma è così lungo che non può.
Nel bestiario anglosassone del codice di Exeter, la pericolosa isola è una balena «astuta nel male», che inganna deliberatamente gli uomini. Questi s’accampano sul suo dorso, per riposarsi dalle fatiche del mare; tutt’a un tratto l’Ospite dell’Oceano s’immerge, e i marinai affogano. Nel bestiario greco la balena rappresenta la meretrice dei Proverbi («i suoi piedi scendono alla morte, e i suoi passi fanno capo all’inferno»), nel bestiario anglosassone il Diavolo e il Male; quest’ultimo valore simbolico lo riacquisterà in Moby Dick, dieci secoli dopo.