103.
Ciò che restava del giovane Spanzen venne composto nel a chiesetta di Santa Marta e immediatamente chiuso nel a bara. Il prevosto stabilì di celebrare il funerale l’indomani, presto, alle prime luci del ’alba. Il Feneroli si disse d’accordo con lui e, nel e prime ore del pomeriggio, mandò a chiamare il seppel itore per ordinargli di preparare un luogo degno ad accogliere il defunto. Costui non aveva avuto notizia di morti recenti in paese. Ma la richiesta non lo meravigliò, capitava, di tanto in tanto, che indigeni emigrati altrove per le più varie ragioni tornassero in paese, morti stecchiti, per risiedervi definitivamente.
«E chi è?» chiese però, curioso.
«Non vi riguarda», rispose seccamente il podestà.
«Possiede una tomba o una cappel a di famiglia?»
«No.»
«Al ora aveva acquistato un lotto di terra nuova e benedetta? »
«No.»
«Ma allora…»
Il Feneroli gli bloccò l’ennesima domanda.
«Al ora niente», disse, «impicciatevi degli affari vostri e preoccupatevi di obbedire agli ordini: preparate una fossa che non sia in mezzo a morti di fame e basta!»
Il seppel itore si accarezzò le basette, che aveva lunghe e grigie. Corrugando la fronte percorse la geografia del cimitero.
«Potrebbe andare a stare su nel a parte alta», disse, «lì dove il sole quando c’è riscalda e la terra è quasi sempre morbida, a confine col quadrato di terra sconsacrata dove hanno messo il morto contento.»
«Il?» fece il Feneroli.
«Il morto contento», ribadì il seppel itore.
Quel sarto, quel Lepido…
«Ah!» accennò di aver capito il podestà. «Ma, morto contento?»
«Eh, lo chiamano così, anch’io l’ho sentito.»
«E come mai?»
Come mai…
Chi lo poteva dire?
Soltanto Lepido Bernasconi, sarto in Bel ano sino a un giorno di favonio.