40.
La mano del destino bussa come le pare.
Al a porta del Gorgia, quel a notte, aveva bussato tramite il pugno chiuso del Talaviri con un’energia poco consona sia al momento che si stava vivendo in quel e stanze sia al lignaggio del a casa stessa. Gli è che il Talaviri era euforico per essere finalmente rientrato a Bel ano, felice come un bambino, commosso di essere riuscito a rivedere le acque del lago dopo aver patito l’ignoto del viaggio verso Milano e soprattutto il ritorno, che aveva dovuto compiere da solo.
Solo, perché una volta giunti a Milano il Testaplana si era trovato davanti a una situazione che non aveva previsto. Il bolzanino ingegner Spanzen non c’era, partito due giorni prima alla volta del a Venezia Giulia per studiare, anche là, la possibilità di realizzare la ferrovia che col egasse Milano a Venezia. Il Testaplana aveva quindi dovuto rivedere i suoi programmi: anziché il discorso, eroico, da uomo a uomo, che s’era ripetuto e ripetuto durante il viaggio di andata per trasmettere la ferale notizia, s’era dovuto spalmare melassa sul a lingua per mettere al corrente donna Avia Speranza che dal giorno precedente era madre di un disperso nel e acque del lago. Al a notizia la donna era caduta in uno stato di deliquio, una sorta di sonno profondo o coma, dal quale il Testaplana aveva tentato inutilmente di risvegliarla. Era stato necessario chiamare il medico il quale, accertato che le funzioni vitali di donna Avia erano integre (il cuore batteva, il respiro, pur se impercettibile, c’era), aveva detto che probabilmente la paziente si stava difendendo così dall’immenso dolore provocatole dalla notizia, isolandosi dal mondo circostante.
«Massima sorveglianza però!» aveva raccomandato, garantendo da parte sua un paio di passaggi quotidiani per verificarne lo stato.
Il Testaplana s’era trovato nel e pettole. Assente l’ingegnere, la signora con la testa nel purgatorio del ’incoscienza, non aveva potuto fare altro che prendere in mano la situazione: bisognava mandare ad avvisare lo Spanzen, vegliare sul a moribonda senza dimenticare che su, a Bel ano, si attendevano notizie. Quindi aveva deciso di trattenersi in quel di Milano, giusto per vedere che piega avrebbero preso le cose, e di rinviare a casa il Talaviri, solo e con il compito di aggiornare sul ’accaduto prima di tutti il Gorgia.
Liberatosi anche di questo secondo pensiero, il Talaviri si era sentito lieve come una piuma. Era notte fonda, l’aria impregnata di un denso profumo di lago: lo aveva inalato con soddisfazione, immaginando l’impalpabile aria che gli scendeva nei polmoni e passava nel sangue, come a dargli il bentornato. Non gli venne il pensiero che a quel profumo stava contribuendo il corpo del disperso.