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Niente luna, neanche quella notte. Solo qualche stella che brillava, mettendo così in rilievo la nera fossa del Black Canyon. Davanti a Jupiter e a Pete la cupa mole del castello sembrò più massiccia e sinistra che mai.

– Più scuro di così non potrebbe essere – commentò Jupiter. –Dentro sarà peggio ancora!

l due giovani investigatori avevano con loro le torce elettriche. Pete, anzi, ne aveva una nuovissima e molto potente, comperata dando fondo a tutti i suoi risparmi.

Jupiter zoppicava un po’, più che altro per non pesare del tutto sulla caviglia protetta da una fascia elastica. A fianco del suo assistente, l’investigatore capo attraversò il cortile del castello e la terrazza che portava al grande portone. Il rumore dei loro passi risuonava distintamente. Ogni tanto, il fascio luminoso delle loro lampade colpiva un qualche insetto che fuggiva via, con la velocità del lampo.

– Furbi, loro! – commentò Pete. – Non si fa a tempo a vederli e son già schizzati lontano!

Jupiter non trovò nulla da aggiungere anche perché erano al portone d’ingresso. Cominciò a spingere, dapprima leggermente e poi con maggior forza. Ma il portone non si apriva. Jupiter provò a girare la maniglia.

– Dammi una mano, Pete. Questa non gira: sembra incastrata!

Insieme afferrarono la pesante maniglia tentando di farla ruotare nel senso giusto: quella cedette di colpo, si sfilò e i due ragazzi perdettero l’equilibrio ruzzolando a terra, l’uno sull’altro.

– Ohi – mugolò Pete. – Togliti dalla mia pancia, Jupe… Jupiter si spostò di fianco per alzarsi in piedi e permettere che l’amico facesse altrettanto.

– Sono tutto intiero – si congratulò Pete tastandosi le ossa. –Mi manca solo il buon senso, Jupe, altrimenti non ti avrei seguito fin qui. Me ne sarei rimasto a casa!

Jupiter raccattò la maniglia che gli era sfuggita di mano al momento del ruzzolone.

– La vite che la teneva saldata all’asta interna, al perno della serratura…

– Si è rotta? – chiese Pete. – Non c’è da meravigliarsene: chissà com’era arrugginita!

– Non si è rotta, Pete. Ci sarebbe il troncone – osservò l’investigatore capo. – È stata tolta, oppure allentata, in modo che al primo movimento… via, partita! Questa serratura è stata manomessa a bella posta!

– Ma chi vuoi che abbia fatto una cosa simile? – esclamò Pete, che in fondo era contento dell’incidente. – Fatto sta che per stasera non si può entrare.

Ma Jupiter non era tipo da arrendersi facilmente.

– No, aspetta. Proviamo da qualche altra parte. Qui ci sono delle porte–finestre: vediamo un po’!

Sulla terrazza a pianterreno si aprivano sei porte–finestre. Le prime cinque erano ben chiuse, ma la sesta era solo accostata e con una leggera spinta si aprì del tutto.

L’investigatore capo si fermò un attimo sulla soglia facendo girare tutto intorno la luce della torcia elettrica.

– La sala da pranzo – annunciò ad ispezione finita. – Entriamo.

Pete lo seguì e riconobbe una delle stanze che aveva visitato con Bob: c’era la grande tavola di mogano con intorno le seggiolone imbottite, la credenza, con una lunga fila di piatti di ceramica colorata e sul fondo l’enorme caminetto.

– Ci sono diverse porte, qui… – borbottò Jupiter che continuava ad esplorare l’ambiente. – Chissà quale ci conviene scegliere! Che ne dici, tu che l’hai vista con il chiaro?

Pete aprì la bocca per rispondere… e la voce gli morì in gola. Davanti a lui stava una strana figura di donna, completamente avvolta in una veste bianca che le scendeva fino ai piedi. Anche le mani erano nascoste dall’orlo delle lunghe maniche fluttuanti. A giudicare da com’era vestita e pettinata, quella strana apparizione sembrava uscita da un quadro antico. Al collo aveva un nodo scorsoio e un capo della corda le scendeva ondeggiando sul petto.

Pete trovò la forza di allungare una mano, afferrò il braccio di Jupiter, costrinse il compagno a voltarsi dalla sua parte e mormorò con voce strozzata:

– Non siamo soli: guarda!

Jupiter guardò e Pete sentì che si irrigidiva tutto. Evidentemente quella visione non era frutto della sua fantasia, dal momento che anche l’investigatore capo la vedeva. Senza dubbio quello era il fantasma della fanciulla che aveva preferito impiccarsi anziché sposarsi senza amore. Per un lungo momento i due ragazzi rimasero immobili, agghiacciati dallo spavento. Fissavano quello spettro e lo spettro continuava a fissarli con espressione di indicibile tristezza: non si muoveva, non parlava, sembrava che non respirasse nemmeno.

– La luce della tua torcia – sussurrò Jupiter – Quando dirò «via» puntala di scatto su di lei. Ecco, via!

Le lampade scattarono simultaneamente sulla figura ammantata di bianco. I ragazzi distolsero gli occhi, abbagliati dal raggio luminoso che rimbalzava verso di loro, riflesso da uno specchio.

– Uno specchio! – gridò Jupiter. – Il fantasma è dietro di noi! Le due torce elettriche frugarono le tenebre in tutti i sensi: la stanza appariva assolutamente vuota. I due investigatori erano senza dubbio soli!

– Se n’è andata – mormorò Pete tutto sconvolto. – E me ne vado anch’io, Jupe. Non riuscirai a tenermi qui!

– Aspetta, ti dico! – L’investigatore capo afferrò Pete saldamente per il polso. – Chissà cosa abbiamo visto… forse qualcosa riflesso nello specchio. Può darsi che fosse veramente uno spettro, Pete. Dovevamo mantenerci più calmi e cercar di capire quello strano fenomeno! Avevamo tutto il tempo per farlo…

– Tempo? – chiese Pete sarcastico. – Certo che ne avevamo! E perché non le hai fatto una bella fotografia? La macchina ce l’hai, no?

– Mi son perfino dimenticato di averla! – esclamò Jupiter sinceramente dispiaciuto di non aver avuto i riflessi pronti.

– Non ne avresti ricavato nulla – lo consolò Pete. – I fantasmi non sono esseri incorporei? Allora non si possono neppure fotografare. Non impressionano la pellicola!

– Però questo si rifletteva nello specchio – ribatté Jupiter ostinatamente. – Quindi dei due casi, l’uno: o era dietro di noi e si rifletteva, o era nello specchio stesso! Ma non si è mai sentito dire di un «fantasma nello specchio». Vorrei rivederlo di nuovo.

– Tu puoi volere quello che ti pare – tagliò corto Pete. – Abbiamo appena visto un fantasma. L’altro giorno ne ho visto un altro, assieme a Bob. Questa è la casa che ci vuole per Hitchcock. Andiamo a preparare il nostro rapporto.

– Le prove, Pete, ci vogliono le prove! Qui c’è ben altro da scoprire: dobbiamo registrare la musica dell’organo, fotografare il Fantasma Azzurro… Stavolta non dimenticherò di avere la macchina, sta’ sicuro!

– E va bene – borbottò Pete. La calma del compagno lo aveva convinto che dopotutto era meglio rimanere anziché andarsene via da solo. – Però ricordiamoci di segnare il nostro percorso col gesso, intesi?

– Perbacco! Mi son dimenticato anche di questo! – esclamò Jupiter e tornato alla porta–finestra disegnò un grande punto interrogativo su entrambi gli stipiti. Poi tornò allo specchio per ripetere l’operazione.

– Qui ne voglio fare tre – disse. – Così se Bob e Worthington dovessero cercarci capiranno che questo specchio merita speciale attenzione.

– E perché dovrebbero venire fin qui? – chiese Pete, allarmandosi subito. – Non è inteso che ci aspettino fuori? Vuoi dire che non ci vedranno tornare?

Jupiter non gli rispose. Era troppo impegnato a tracciare sullo specchio i suoi punti interrogativi. Siccome il gesso non faceva presa sulla superficie liscia il ragazzo fu costretto a calcare un poco la mano.

Bastò quella piccola pressione…

Il grande specchio ruotò silenziosamente su invisibili cardini come una porta spalancata su una misteriosa, profonda oscurità.