15.
Loop
Nel maggio 2007 ebbi l’onore di presiedere la giuria del 55° TrentoFilmFestival e anche la fortuna di vedere un film destinato a rimanere nel mio cuore per sempre. Avrei voluto premiarlo con la Genziana d’Oro, ma dovetti mediare con gli altri componenti: perciò a Loop consegnammo “solo” una delle tre Genziane d’Argento, quella dedicata alla miglior produzione televisiva.
Apparentemente Loop (Ciclo infinito, 78 minuti, regia di Sjur Paulsen) è un’indagine sulla relazione dell’uomo moderno con il suo tempo, visto attraverso gli occhi di alcune persone dei nostri giorni che hanno scelto l’estremo come stile di vita.
Le tipologie di queste persone sono tre, ma tutte hanno compiuto, ognuno a suo modo, drastiche scelte riguardo la loro vita.
Uno sportivo estremo di 41 anni, Kristen Reagan, con l’ambizione di scalare da solo lo Shield, una parete spettacolare a picco su un fiordo norvegese, decide, una volta terminata la scalata di difficoltà estrema, di gettarsi con il base-jumping. Terje Larsen e Ronny Dahl, due giovani entusiasti, pescatori e sciatori, per rompere la monotonia della vita urbana della loro città, Narvik, decidono di partire per un lungo viaggio sulla loro barca, per praticare uno sci ripido in condizioni proibitive su una delle isole dell’arcipelago delle Lofoten. Un volontario d’autoambulanza e vicino all’età pensionabile, Per Evensen, da qualche anno passa l’intera estate in una casupola in cima a una torre di avvistamento sperduta in mezzo a una sconfinata foresta, una specie di tenente Drogo del Deserto dei Tartari di buzzatiana memoria, in attesa dell’incendio della sua vita.
Il film racconta con bellissime riprese d’azione questi quattro personaggi e le loro vicende-imprese: ma su di loro giganteggia la figura di un anziano signore, già dalle prime scene del film. Uno dei più grandi filosofi del XX secolo, Arne Næss, nel film già novantaquattrenne. Che con la sua vita e i suoi ricordi inanella ogni esperienza, comprese quelle degli altri personaggi.
I due sciatori Larsen e Dahl sono la dimensione giocosa della vita, quasi infantile, agiscono d’impulso, mentono alla mamma, considerano il loro lavoro nulla di più che un sistema per sopravvivere. Li descrive bene una frase pronunciata da uno di loro: «Perché stressarsi tanto? Non è mica necessario!».
Lo scalatore Reagan è un po’ logorroico e ci ripete serioso tutti gli stereotipi cui gli scalatori di due secoli ci hanno abituati. Rappresenta la visione aggressiva, colonizzatrice, ottimista: «Se non vuoi rischiare di andare troppo lontano non scoprirai mai quanto lontano tu possa andare» è una frase non sua, che però lui ci cita. Meno ottimista è quando, giunto in vetta, sta per lanciarsi nel vuoto e afferma: «Non sembra plausibile ora, ma dentro di me so che lo rifarò», frase che non riesce a nascondere la delusione di chi ha raggiunto una meta a lungo sognata e in fondo scopre che non è quello che davvero voleva, perciò già pianifica qualcosa di ancora più impegnativo.
L’anziana vedetta norvegese, Evensen, è la serena rassegnazione, la matura ricerca dell’isolamento senza azione, ma senza rinunciare ai propri sogni: «Si crede che non esistano più lavori così: per me è un lavoro, anche se lo stare qui, col tempo, diventa quasi uno stile di vita»... «Qui non c’è nessuna fretta, si può sempre rimandare... Voglio dire, incontrare l’amore della tua vita ti può capitare anche in un ospizio».
Arne Næss
Il filosofo Arne Dekke Eide Næss è nato a Slemdal (Oslo) il 27 gennaio 1912 ed è morto a Oslo il 12 gennaio 2009, all’età di quasi 97 anni.
Dopo una prima laurea a Oslo, continuò gli studi a Parigi e nella Vienna della psicoanalisi di Sigmund Freud.
Nel 1939, Næss diventò il più giovane professore mai nominato all’Università di Oslo, e l’unico professore di filosofia nella Norvegia di quel tempo.
Esperto alpinista, nel 1950 diresse la spedizione norvegese che fece la prima ascensione del Tirich Mir 7708 m, giungendo lui stesso in vetta il 22 luglio, alle ore 18, assieme ai compagni Per Kvernberg, Henry Berg e Tony Streather. Se si considera che il primo Ottomila, l’Annapurna, era stato conquistato solo un mese e mezzo prima dai francesi, si ha idea di quanto importante fosse la spedizione dei norvegesi al Tirich Mir. Montagna dove egli diresse una seconda spedizione nel 1964. Le montagne sono sempre state al centro della sua visione del mondo e spesso suggeriva di praticare il must taoista di “ascoltare con il terzo orecchio” e di “pensare come una montagna”.
La sua opera Erkenntnis und wissenschaftliches Verhalten (1936) anticipava molti temi che divennero più familiari nel periodo postbellico.
Il suo lavoro più importante è del 1950, intitolato Interpretation and Preciseness nell’edizione inglese (1953). Riguarda la logica del linguaggio, uno strumento logico per dimostrare la vaghezza del linguaggio dovuta a varie cause. Nel successivo Communication and Argument (1966) compila le sue raccomandazioni per un pubblico dibattito oggettivo:
– evitare irrilevanze interessate (attacchi personali, richieste di motivazione dell’interlocutore, ragioni esplicatorie di un argomento);
– evitare giudizi faziosi (non dovrebbero esserci giudizi al riguardo del soggetto del dibattito);
– evitare ambiguità tendenziose;
– evitare l’uso strumentale di argomenti fantoccio;
– evitare di attribuire all’avversario vedute che questi non ha;
– evitare tendenziose dichiarazioni di fatto (mai riportare informazioni incomplete o false);
– evitare toni alterati di presentazione (ironia, sarcasmo, peggiorativi, esagerazione, minacce aperte o subdole).
Nel 1958 fondò il giornale interdisciplinare di filosofia «Inquiry». Nel 1969 Næss lasciò l’università per sviluppare le sue idee di ecologia che, secondo lui, dovevano essere associate all’azione.
Nel 1970, assieme a un gran numero di dimostranti, s’incatenò alle rocce di fronte alla Mardalfossen, una famosa cascata al fondo di un fiordo, rifiutandosi di scendere fino a che non ebbe rassicurazione che il progetto di costruzione di una diga fosse abbandonato. Alla fine i dimostranti furono portati via dalla polizia e la diga fu costruita: ma questo segnò l’inizio di una fase estremamente attiva dell’ambientalismo norvegese.
Nel 1996 vinse lo Swedish Academy Nordic Prize, il “piccolo Nobel”. Nell’ultima decade di vita s’interessò anche alla politica attiva come esponente del partito verde.
Deep ecology
Oltre a una quantità sconfinata di articoli e saggi, una trentina sono i suoi libri: tra i più notevoli, di ecologia ed ecosofia, Freedom, Emotion and Self-Subsistence (1975), Ecology, Community and Lifestyle (1989) e Life’s Philosophy: Reason and Feeling in a Deeper World (2002).
Harold Glasser, il curatore di The Selected Works of Arne Næss (2005), lo ha definito «l’equivalente filosofico di un cacciatore-raccoglitore».
La vita di Næss è fascinosa per il connubio tra i suoi studi e il suo stile. Come Henry David Thoreau, l’esempio della sua vita è istruttivo tanto quanto la sua scrittura.
Il suo rifugio, il Tvergastein Hut sulle montagne dell’Hallingskarvet, giocò un ruolo importante nella concezione dell’ecosofia T, dove “T” sta appunto per Tvergastein.
Nel 1973 aveva coniato il termine deep ecology (“ecologia del profondo”), ma l’ecosofia T, distinta dalla deep ecology, era originariamente il nome della sua filosofia personale, e rifletteva il pensiero di Næss per il quale ciascuno dovrebbe sviluppare la sua propria filosofia, allo scopo di realizzare se stesso.
Per Næss, ogni essere umano, animale o vegetale ha uguale diritto di vivere e fiorire. Attraverso questa valorizzazione del Sé, Næss sottolinea che non sta parlando dei minuscoli sé individuali, bensì della realizzazione di noi stessi come parte di un tutto ecosferico. In pratica, la realizzazione di sé significa che, se non si ha piena coscienza di cosa possa comportare ad altri la propria azione, si debba non agire.
La deep ecology insegna che credere in una visione oggettiva e scientifica della natura è credere in un mondo piatto visto dall’alto, senza profondità. Quella visione così fredda e distaccata è un’illusione e la causa primaria della nostra relazione distruttiva con la Terra.
Ovvio che, con questi principi, Næss fu una figura di grande carisma nel movimento ambientalista, da lui arricchito ma anche diviso, volendolo sposare con i gandhiani principi di non-violenza. Famosa la sua frase sull’enorme quantità di esseri viventi «che avevano bisogno di essere protetti dalla distruzione di miliardi di umani», oppure quella ancora più acuta che recita «Potrei uccidere una zanzara se questa si posa sulla faccia del mio bambino, ma non dirò mai di avere un diritto alla vita maggiore di quello che ha la zanzara».
Distingueva tra il pensiero ecologico profondo (deep) e quello superficiale (shallow). Sebbene le due idee possano coesistere, sosteneva che solo una trasformazione profonda della società moderna avrebbe potuto fronteggiare la rovina ecologica.
Diceva che un ecologista del profondo avrebbe tenuto pulito un laghetto perché piante e animali meritano un habitat intatto, mentre uno “superficiale” lo avrebbe fatto perché i suoi bambini potessero nuotare in un bel posto.
In contrasto con il prevalente pragmatismo utilitaristico del business e dei governi occidentali, sosteneva che una vera comprensione della natura avrebbe portato alla formazione di un punto di vista per il quale sarebbe stata apprezzata la diversità biologica, nell’ammissione che ciascun essere vivente è dipendente dall’esistenza di altre creature nella complessa rete di interrelazioni che è il mondo naturale.
Monitorando la continua distruzione dell’ambiente, Næss era pessimista sul XXI secolo, mentre era ottimista sul XXII! Per allora, diceva, il controllo delle nascite avrebbe dato risultati, la tecnologia non sarebbe più stata invasiva e i bambini sarebbero cresciuti in un ambiente naturale. A quel punto, «saremo diritti in direzione del paradiso».
Loop
Ciò che segue è la fedele trascrizione delle parole pronunciate da Arne Næss, che sono il filo conduttore di qualunque scena d’azione dell’intero film, dalle evoluzioni sui pendii ripidi di neve ai problemi di una barca sgangherata, dal caricarsi sulla schiena un bagaglio spropositato agli equilibri precari sugli sky-hook, dalle solitarie sbinocolate di Evensen alle passeggiate incerte di Arne Næss.
Il film inizia con Arne Næss pronto al suo monologo in uno studio di una radio di Oslo:
Diciamo che andiamo “fuori” nella natura, ma io direi che andiamo “nella” natura. Quando vai nella natura selvaggia hai l’opportunità di ascoltare te stesso, di ascoltare la tua anima più profonda: Cosa voglio? Cosa mi piace? Cosa non mi piace? Come può la mia... chiamiamola “qualità della vita” essere mantenuta o migliorata? Non si tratta di beni o di qualità ma di ciò che senti di essere, di come percepisci la vita. Che cosa ci rende felici? E come possiamo averne di più?
Esistono delle forze molto potenti nella società che ci vorrebbero indurre a consumare sempre di più, a scoprire cose di cui pensiamo di aver bisogno.
Si crea uno stile di vita che non potrà mai appartenere a tutti semplicemente perché in tal modo il mondo andrebbe a rotoli.
Invece dovremmo seguire un nostro personale stile di vita in cui cercare di capire di cosa abbiamo veramente bisogno, anziché aspirare a ciò che ci propinano la società o l’economia. Quindi l’essere è molto più importante dell’avere.
Si vede solo il volto raggrinzito e sereno di Næss, sul fondo nero dello studio. Solo nella solitudine del suo pensiero. Poi il film passa ai titoli, con gli attori in qualche scena rapida, e una canzone del musicista islandese Gisli, quella Worries, dall’album How about that?, che tanto successo ebbe nel 2004.
La scena ora è in una sperduta zona della montagna norvegese, quell’Ustaoset dove Næss visse molto tempo della sua vita. Ancora un primo piano sul volto del vate (suo malgrado), seduto a una semplice scrivania:
Avevo solo cinque anni quando mi portarono a Ustaoset e vidi l’Hallingskarvet, montagne torreggianti in continuo mutamento.
Già allora pensai: “Non vedo l’ora di salire lassù...”.
Sognavo che, da grande, avrei abitato in cima all’Hallingskarvet. Per fortuna poi ho capito che era un’idea stupida.
Da giovane, il tempo si estende infinito davanti a te. Sembra che ti aspetti, così ti metti in moto e vai. All’età di 20 o 30 anni, la gente di 70, 80 o 90 anni ti sembra senza speranza. I vecchi ti sembrano tutti sciocchi.
Quindi dovevo sbrigarmi. Sentivo di dover concludere qualcosa prima di arrivare a un’età così ridicola.
Per tanti anni credi di avere tempo per tutto, credi di poter raggiungere tutte le tue più agognate mete, ma tale convinzione si rivela essere del tutto falsa.
Quattromila decimali del Pi greco. 3,14159..., e così via in eterno. Esistono le cose più strane. Quante specie di isopodi ci sono? 1600. Nome latino: Isopoda.
È interessante. Tutti questi sono appunti. Beh, ne avevo di tempo, tempo per fare cose per le quali non hai tempo finché vivi in città.
Questa è la cosa più importante di questo luogo. Dopo cinque giorni passati quassù ti permea un senso di pace... di pace dell’anima.
Peccato che oggi non si veda bene il panorama.
Infatti è una giornata nebbiosa, fredda. Næss si aggira con la sua andatura intabarrata e incerta di ultra-vecchio, su terreno sconnesso, sorridente sotto al berretto di lana:
La maestosità delle montagne è qualcosa di diverso, di più grande e imponente della loro reale grandezza. Forse è quello che qualcuno definisce “divino”. Già da bambino mi colpiva l’idea che stessero lì da milioni di anni.
Queste sono rocce da scalare, grosse. Così nacque l’idea di scalare le montagne, ma certo questo non le rende meno imponenti.
Prova ad aggrapparsi al masso, ma si vede che non ha più lo scatto, il nerbo... men che meno l’agilità:
Da qui... ci riprovo... sì, è talmente...
Non posso fare a meno di guardare questa roccia e pensare quanto sarebbe emozionante riuscire a superarla. Ma ora non ne sono capace. Riesco a malapena a stare in piedi.
Mentre lui sorride, noi sentiamo un groppo alla gola. Poi, ancora al caldo della sua casa di legno:
Evidentemente la mia vita si sta avviando verso la fine. Quando guardo indietro, beh, forse mi sento in colpa per alcune cose. Ma purtroppo è andata così. Vorrei tanto fare ammenda, ma in pratica è impossibile. Non si può, è andata così. Non ho una grande considerazione di me come essere umano. È importante, questo. Apprezzo di più altre persone come umani. Ma il fatto di essere umani, alla fine, è vitale per noi.
Che essere umano sei stato? Mi piacerebbe dare una buona risposta a tale domanda.
Ritroviamo Næss in un’altra passeggiata:
Forse qualcuno direbbe: “Ma qui non c’è niente da vedere”. Ma, in un certo senso, qui c’è l’infinito... L’infinito.
Questa strana cascatella, ad esempio... poi tutto cambia in modo che tu veda più in profondità... e allora lì tutto si complica...
Ma qui, in questa direzione... guarda quel ruscello là dietro... quand’ero giovane c’era meno pressione dall’esterno, riguardo ai gusti, alle mode, cosa ti piace sentire o vedere. Dovevi sperimentarlo da solo, capire le tue sensazioni. Allora mi sono reso conto che io appartenevo a Tvergastein, perché questo luogo esige una sensibilità per il paesaggio. E questo era importante per me. Vedere questo come un luogo dove tu realmente dovevi provare a sentire esattamente quello che sentivi, e chiederti: “Cosa sento io?”.
Ad esempio, ho sviluppato un buon feeling per le bufere, quando tutta la casetta di legno inizia a tremare. Ora, ad esempio, ho notato la geometria che c’è qui.
Guarda questi qui, e questi... qui si è sviluppato un sistema che, geometricamente parlando, è piuttosto avanzato.
Inoltre c’è la pressione verso il conformismo. Non si può mantenere quel ricco mondo di stimoli che si aveva da bambini. Iniziano fin troppo presto a tenerti a freno. Apprezzo molto l’impulsività. Se senti un forte impulso dovresti seguirlo, entro limiti ragionevoli.
Nella scena successiva gli sciatori, dopo l’avventurosa traversata in barca, sono approdati alla base della loro montagna e cominciano a salirla, sci sulle spalle. Næss parla ancora:
Quando andiamo fuori, nella natura selvaggia, d’un tratto ci liberiamo delle richieste imposte dalla società. Dobbiamo solo concentrarci sul prossimo passo. E, se siamo su un pendio ripido, sul rischio. Questo rapporto con la natura fa da contrappeso alla fretta, al rumore, ai nostri dubbi riguardo alle cose giuste da fare. Riusciamo meglio a essere noi stessi.
Si dice che il destino degli uomini sia la morte. Qualcuno a vent’anni, come successe quando... Altri invece vivono così maledettamente a lungo come me. Maledettamente a lungo. E poi quando percepisci che la fine è vicina ti assale un sentimento naturale di gratitudine. Gratitudine per essere stato un essere umano.
Arild è morto in un incidente: era il mio figlio minore. Non riesco bene a ricordarmi come era allora: com’era il primo giorno, mese, anno dopo la sua morte. Ma il fatto che stesse andando dalla sua fidanzata mi ha aiutato. È romantico. In qualche modo è stata una morte romantica. Se ne è reso conto solo per un attimo, una frazione di secondo. Quindi per lui non è stata una gran cosa. Niente.
“Povero, non è mai riuscito a...”. Non c’era dolore. Zero. Per quanto mi riguarda non sentivo nulla. Forse gli altri lo hanno compianto più a lungo di me. Almeno credo. Hanno sofferto molto più a lungo. Forse perché sono un filosofo, o per il mio carattere, ho deciso di rimuoverlo, di lasciare il mio dolore in qualche angolo buio, per poi inciampare in esso di tanto in tanto.
A Natale, ad esempio, o la sera di Capodanno. Ma non se ne parla che io vada in giro a piangere.
Næss vede una zanzara sul vetro della finestra:
Vediamo un po’... utilizzeremo questo come ventaglio... dai, non voglio ucciderti...
Abbiamo salvato una vita... Ricordàtelo, oggi abbiamo salvato una vita.
La passeggiata solitaria prosegue, mille e mille volte Næss lo ha fatto, ne conosce pietra per pietra:
Credo che se ci sarà una vita dopo la morte, andrà bene così. Ma che rimanga meravigliosa anche dopo 500.000 anni... no, grazie.
Non importa quanto bella sia, mezzo milione di anni sono tanti. Nessuno ha mai descritto un paradiso in cui si voglia stare tanto a lungo. La vita eterna è una pura stupidaggine.
Mi manca una parte della mia gioventù e anche della mia infanzia, anche se le pressioni esterne da bambino mi hanno reso infelice.
“No, ormai sei troppo cresciuto per farlo”... Avevo l’impressione che crescere equivaleva a un inevitabile declino. Si cambia in un modo inutile. Anche se diventi più ragionevole, l’essere ragionevoli...
Parlo spesso del buon senso. Il buon senso... ti chiedono: “Dipingi? Hai talento per farlo?”. Non rispondi: “Certo che ce l’ho!”. Invece dici: “Non saprei... ma vorrei tanto fare il pittore!”.
La razionalizzazione del non-razionalizzabile è una specie di malattia. Ci giustifichiamo per aver girato a sinistra o a destra, invece di ammettere semplicemente che ci andava di fare così.
Il film volge alla fine, Reagan si è già buttato giù in base-jumping, i due pescatori giocano a pallone spensierati, Evensen è tornato al suo lavoro in autoambulanza e sogna di andare un giorno sul Kilimanjaro.
Ritorniamo allo studio radiofonico, dove Næss conclude:
Quindi vi posso solo incoraggiare a prendere sul serio quando sentite dentro di voi: “No, questo non è il mio posto”. In tal caso vi suggerisco di fare tre profondi respiri, molto profondi: “Chi sono io, cosa sono, cosa voglio veramente?”.
È l’unica cosa che bisogna davvero capire.
I titoli finali mostrano Næss che esce dallo studio radiofonico in camicia jeans e si unisce alla folla della strada, eterogenea, anonima, ma ognuno con una sua storia da raccontare. Poi gioca con un pronipotino biondo, poi con la seconda moglie, una cinese di quattro decadi più giovane di lui conosciuta quando lei era studentessa e lui aveva 61 anni. Kit Fai lo aiuta a pattinare su rotelle! Lo aiuta anche a rimettersi in piedi, sorridente, dopo una caduta.
E a questo punto, nell’assenza di ulteriori scene, ti rendi conto che Næss è morto solo tre anni dopo.