Capitolo XX
Le donne sono sei
Dovette afferrare la donna caduta e portarla nell'interno della villa.
Depostala sopra un divano, chiamò la cameriera, che accorse spaventata a quella voce di un uomo sconosciuto.
Le versò fra le labbra qualche goccia di cognac; ma teneva i denti serrati come una morsa e il liquido le corse dagli angoli della bocca sul mento e sul petto.
Appariva rigida come un cadavere e, se non avesse respirato con un rapido ansimo rumoroso, c'era da crederla morta.
Non sapeva che fare. La cameriera, una bruna procace, lo guardava sospettosa, non comprendendo come e perché si trovasse lì quell'intruso.
Dopo un silenzio, durante il quale la ragazza si era contenuta a fatica, lo interrogò quasi con violenza: «Che cosa le ha fatto? Chi è lei?».
De Vincenzi alzò le spalle.
«Vada a chiamare un dottore. Ma in fretta. Quanto ci mette ad andare in paese e tornare?».
La ragazza di primo impeto, abituata a obbedire, si avviò quasi correndo verso la porta. Ma sulla soglia si fermò e si volse a guardarlo, indecisa. Doveva lasciar solo con la sua padrona, inerte e senza conoscenza, uno sconosciuto, capitato nella villa chi sa da dove e perché?
«Andate!» ordinò lui, con voce dura e dandole del voi. «Qui rimango io!».
E quella andò.
De Vincenzi guardava la donna distesa. Doveva essere già ammalata. O il colpo ricevuto era stato troppo forte.
Ma perché, al titolo di quel libro, ella s'era schiantata come se avesse ricevuto una mazzata sulla testa?
Tutte le ipotesi si presentavano possibili.
Si chinò a toccarle leggermente la fronte e la sentì di ghiaccio.
Il dottore chissà quando sarebbe arrivato!
Cominciò a guardarsi attorno. La sala aveva pochi mobili, ma belli. Era come divisa in due parti da un arco, lungo la volta del quale correva una pelle di serpente, argentea e nera. Nel caminetto, tra gli alari, si vedeva un mucchio di cenere recente: dovevano accenderlo alla sera, che lì sul mare, col calar del sole, la temperatura si abbassa repentinamente.
Adesso, il sole c'era. Entrava sino a metà camera. E fuori tutta un'orgia di colori festosi, accesi. Le aiuole erano rosse, gialle, bianche, turchine.
Quella donna, a cui soltanto l'ansimo convulso dava vita, aveva i capelli d'oro e la vestaglia azzurra.
De Vincenzi si avvide, nel tornare a guardarla, che la vestaglia si era un poco aperta, scoprendo un seno. Gliela chiuse dolcemente sul petto. Poi si pentì d'aver lo fatto, come se quell'atto fosse stato per lui la confessione di un turbamento.
Si udirono passi e voci ed egli si allontanò in fretta dal divano.
Entrò il dottore, seguito dalla cameriera.
Anche il sanitario, data un'occhiata alla donna, lo scrutò come per chiedergli chi fosse.
Era un uomo magrissimo e ossuto, che doveva aver fatto la guerra, perché recava una lunga cicatrice sulla fronte e il distintivo glorioso della mutilazione all'occhiello.
Si chinò sulla donna svenuta, le aprì le labbra, le sollevò le palpebre con un movimento esperto del pollice.
«Ho visto» disse, rialzandosi. «Acqua bollente e alcool. Le farò un'iniezione».
La cameriera sparì a quell'ordine, che era dato a lei.
De Vincenzi si teneva sempre in disparte.
«Ha avuto una forte commozione?» chiese il medico.
«Credo».
«Lei è un parente?».
«Un amico del marito».
«Ah! Il dottor Marini, eh?».
Precisamente.
«Avrebbe dovuto avvertirmi che mandava qui sua moglie, ammalata… Fra colleghi…».
«Crede sia grave?».
«No. Ma forse le si manifesterà la febbre… probabilmente assai forte… Ne avrà per qualche giorno».
Tornava la cameriera con l'acqua e l'alcool. Il dottore trasse dalla tasca una piccola scatola lucida.
De Vincenzi disse a voce alta: «Mi ritiro, perché debbo partire».
«Pensa lei ad avvertire il marito?» chiese il medico, guardandolo con leggera meraviglia.
«Debbo farlo? Se fosse possibile evitargli altre preoccupazioni… Egli ne ha molte in questo momento…».
«Non è cosa grave in fondo e la signora è giovane e sana…».
«Appunto! È meglio non impressionarlo. Non gli dirò nulla. Buon giorno!».
Il medico, già chino con la siringa sul corpo della signora, non rispose.
De Vincenzi uscì e discese a lunghi passi saltellanti pel viottolo pieno di buche e di franamenti.
Alla stazione, s'informò dei treni pel ritorno. Che cosa sarebbe rimasto a fare lì? Cercar di strappare alla signora Marini il suo segreto - qualunque esso fosse - era impossibile. Ovvero, avrebbe dovuto precipitar le cose, procedendo a un interrogatorio in regola, «da istruttoria». Non voleva. L'esito sarebbe stato più che dubbio e lui avrebbe dovuto rinunciare all'unica speranza che aveva di cogliere il colpevole di sorpresa.
Ma chi era il colpevole?
In treno, il suo cervello continuò a lavorare, senza tregua.
Riprese, uno a uno, tutti i pezzi del puzzle e se li dispose davanti.
Li mosse, allora, li trasportò, tentò di farli combaciare. Un giuoco di pazienza da mandare all'inferno Giobbe o Tobia. Eppure, si trattava di leggere nel profondo del cervello e del cuore umani, che sono sempre più chiari e aperti, per tortuosi sfuggevoli mitomani che sieno, di quanto gli uomini stessi non credano.
Ma si trattava soltanto di questo?
Era veramente sicuro di possedere tutti gli elementi del problema? E se proprio quello essenziale gli mancasse?
I viaggiatori entrarono e uscirono dal suo scompartimento, si mutarono alle stazioni, una vecchia signora rimase per tutto il viaggio seduta di fronte a lui. Egli non li vide, anche se in corti istanti li guardava, tanto era assorto.
Discese dal treno, a Milano, come se fosse uscito da un lungo sogno, popolato di fantasmi.
Si recò direttamente a San Fedele.
Per la strada, in città, aveva ritrovato la sua apparenza serena. Molto, effettivamente, lo era. Quel viaggio, senza dubbio, gli aveva fatto compiere un altro passo gigantesco verso la verità.
Sani lo accolse con la gioia silenziosa, che lui sempre provava, quando lo rivedeva, anche dopo poche ore di assenza.
«Novità?» chiese De Vincenzi, andando a sedere al suo tavolo.
«Nessuna d'importanza, se parli, come credo, dell'assassinio del senatore. Il giudice ha fatto mettere in libertà il bigatt e ha mandato a San Vittore l'uomo di Har rington, quel Panzeri… Capo d'accusa: falsa testimonianza e calunnia. Se lo condannano, avrà il fatto suo…».
De Vincenzi si rannuvolò.
«Poteva aspettare! Non gli avevo chiesto che otto giorni di pazienza ed essi terminano dopodomani…».
«Ha fatto tutto da sé, il giudice! E io non l'ho saputo che dopo».
«Lo credo. Tu non puoi averne colpa. E poi?».
«Null'altro. Il dottor Verga è sempre a letto ammalato».
De Vincenzi annuì con un cenno del capo.
«Ieri sera e questa mattina presto, miss Patt si è recata a trovarlo».
«Naturalmente».
«La vedova continua a rimanere chiusa in casa…».
«Anche questo è naturale».
«Di Fioretta Vaghi… l'infelice innamorata di Verga… nessuno ha più parlato…».
De Vincenzi, ascoltando il collega fargli quel rapporto circostanziato, si mise a sorridere.
«Sorridi?».
«Di te. Devi esserti imposto un vero esercizio mnemonico, per passare in rivista come fai tutte le persone del dramma».
«Ieri sera… tu non c'eri… mi annoiavo… ho messo giù la lista di coloro, che da vicino o da lontano sono entrati nella faccenda».
«Bravo! Dammela. Mi servirà, per fare gl'inviti di domani sera».
«Gl'inviti?» chiese Sani, togliendosi dalla tasca un foglio piegato in quattro. «Offri un ricevimento agli… attori?».
«Qualcosa di simile. Lo saprai, perché dovrai intervenirvi anche tu assieme a Cruni, sebbene non proprio nella sala…».
Aveva preso il foglio e, apertolo, lo aveva scorso.
«Sì. Mi sembra che tu non ne abbia dimenticato nessuno… di quelli che conosci».
E mise il foglio spiegato davanti a sé, sul tavolo.
«Oggi è domenica. Non si può far nulla. Sarà per domattina… Dicevi, dunque? T'eri fermato a Fioretta Vaghi…».
«Sì. Quel pregiudicato… Santini, il fratello della povera Norina… s'è fatto trovare a casa a ogni visita degli agenti… E non sembra che in questi giorni abbia commesso nulla d'irregolare».
«È certo che la morte della sorella è stata per lui un colpo forte!».
«Il dottor Marini è andato ieri sera a far visita alla signora Magni, che non lo ha ricevuto…».
«Come lo sai?».
«L'autista!… Quel ragazzo, da quando ieri lo interrogasti, crede di esserci diventato indispensabile e ieri sera tardi me lo son visto capitar qui a riferirmi tutto quello che era avvenuto durante il pomeriggio».
«Harrington?».
«Sorvegliato. Ieri sera il rapporto di Paoli non segnalava nulla d'importante… Oggi, Paoli non s'è ancora veduto…».
«Bene. Mi sembra che tu non abbia dimenticato nulla… Mentre io ho dimenticato qualcuno e qualcosa…».
Suonò il campanello.
«Debbo andarmene di là?» chiese Sani.
«Ma no…» disse subito il commissario e si volse al piantone, ch'era apparso sull'uscio. «Chiamami il brigadiere Padovani, alla Squadra del buon costume».
Il piantone scomparve.
De Vincenzi spiegò a Sani: «Ho dato un incarico a Padovani… fin dal primo giorno che cominciammo l'inchiesta… e non ne ho saputo più nulla… È vero che io stesso mi ricordo di lui soltanto adesso…».
E alzò gli occhi sul brigadiere che entrava, con quel suo passo elastico e scivolante, più danseur mondain che mai.
«Venite un po' qui, voi!… Martedì notte che faceste?».
«Girai tutti i locali notturni, cavaliere… Non ne ho dimenticato uno solo!».
«Ebbene?».
«Niente! In nessun luogo, tra la notte dal lunedì al martedì, hanno veduto il senatore Magni… In parecchi locali era conosciuto… negli altri, ho mostrato la fotografia, che mi feci dare da Bertolò, ma né i camerieri, né i padroni, né i direttori ricordano di averlo veduto… Se anche è entrato in qualche caffè, non deve esservisi fermato, perché altrimenti me lo avrebbero detto…».
«Ho capito. Grazie. Potete andare».
Padovani s'inchinò e uscì.
«Un altro buco nell'acqua!» esclamò De Vincenzi, guardando Sani. «Da quando ho cominciato a occuparmi di questo affare, non ho potuto raccogliere una prova, una sola! Se dovessi far condannare qualcuno… per quanto convinto della sua colpevolezza… non troverei al mondo un solo collegio, giudicante a darmi ragione!».
«Qualcuno o… qualcuna?».
«Pensi che possa essere stata una donna?».
«Ci sono troppe donne di mezzo! Sta diventando un'ossessione».
«Il fatto non è privo di significato, mio caro! Te lo dico io! Ma non nel senso che credi tu. Non è delitto che può esser stato commesso da una donna, questo! E poi c'è l'assassinio di Norina… nessuna donna avrebbe potuto commetterlo!».
«Hai ragione! Ciò non toglie, però, che le donne siano troppe!».
«Debbono esserlo!».
«Le hai contate? Contale!».
«Ho la tua lista. La signora Magni…» e alzò la mano chiusa, facendo scattare un dito a ogni nome «miss Patt… Fioretta Vaghi… la signora Sorbelli…».
«E sua figlia…».
«Quelle due contano per una. La madre ha valore nel quadro in quanto è medium e, nella vita, non ha valore affatto, senza la figlia. Dunque, sono quattro per ora… E poi c'era Norina, poveretta!… E poi un'altra signora, che tu non conosci e che io sono andato a trovare a Pegli! Ecco! Sono sei donne…».
«Sei donne attorno a un cadavere! Neppure le prefiche eran tante!».
«Sei donne e un… libro!…» mormorò De Vincenzi. «E anche il libro ha per titolo un nome di donna!…».
Sani lo guardava.
«E tu concludi?».
«Io non concludo, mio caro! Ho paura di concludere. Ci sono troppi fatti misteriosi. Troppe domande a cui non si riesce a trovar risposta!».
Sani tacque. Fissava De Vincenzi.
«E tu, allora, inviti tutti quanti a un… ricevimento!».
«Provo a vedere quel che succede a farli riunire al completo attorno a un tavolo!… Chiamo i morti a soccorso, giacché i vivi non vogliono servirmi…».
Il tono era leggero; ma la voce aveva inflessioni stranamente vibranti e profonde. E gli occhi gli brillavano. S'intuiva ch'egli stava attraversando una crisi, che lo sconvolgeva e c'era da ammirare la magnifica padronanza, che aveva di sé e dei suoi nervi.
«Ebbene, qui oggi non c'è più nulla da fare. Vattene a casa… Non ti consiglio di andartene in giro per la città, perché è domenica e la gente in festa è fatta per dar noia…» gli disse Sani.
«Vuoi che continuiamo a parlare, noi due? Ti adopero, per non pensare da solo. Mi sembra che per me sia meno faticoso, così. Perdonami!».
Si alzò, andò a prendere un involto dall'armadio e lo recò sul tavolo.
«Qui dentro ci sono tutti gli oggetti trovati indosso al cadavere del senatore… e tutti quelli che han no pertinenza col delitto… o che io credo che l'abbiano…».
Aprì l'involto e ne uscì per primi il camice e i ferri. «Questo, per esempio» e sollevò il camice di cotone bianco «non ha appartenuto al professore. E troppo grossolano per essere stato suo. Lo ha affermato Patt… e Patt non s'inganna. E anche i ferri non furono suoi. Lui li aveva di lusso… i bisturi col manico d'onice… Eppure, io mi ostino a considerarli come strettamente legati al delitto… Ecco il foglio sul quale colui, che lasciò ferri e camice sui gradini della chiesa di San Vito al Pasquirolo, ha scritto la sua frase, che potrebbe essere cinica, se non dovesse rispondere alla necessità impellente per lo speditore di disfarsi di essi. Due ipotesi: cinismo e urgenza contingente. Se ne possono trovare altre: inganno, burla, furto… Tutte non risolvono e non spiegano».
Sani lo ascoltava con attenzione, fissando quei quattro ferri lucenti. Indicò il bisturi. «Quelle macchie?». «Non le ho fatte analizzare. Forse, sono di sangue.
Ma, se si fosse trovato che lo sono realmente, di sangue, il mistero si sarebbe fatto più fitto, per me. E io non ho davvero bisogno di complicazioni! Ho preferito rimandare a quando si sarà chiarito il mistero maggiore, la spiegazione del minore mistero di questi ferri e del camice… Non saprei dirtene la ragione, ma ho creduto fin dal principio che non sarebbero stati il ca mice e i ferri… inviati di proposito alla Questura… a gui darmi verso il colpevole».
Mise da parte, ravvolgendoli nel camice, i ferri, e via via prese gli altri oggetti.
«Il portafogli del morto…».
Ne fece l'inventario.
«Tremila lire… sette biglietti di visita… una carta d'identità… una tessera della Camera Alta… un permanente delle Ferrovie… la fotografia di sua moglie…».
Fissò Sani.
«Non meravigliartene! Tutti coloro che tradiscono la propria moglie ne portano il ritratto nel portafogli… non lo hanno in un medaglione… Non c'è altro, nel portafogli. E nelle altre tasche c'erano: due fazzoletti, un taccuino da ricette, un lapis, una stilografica d'oro, orologio e catena, una piccola rubrica con gli indirizzi dei clienti. L'ho esaminata e non mi ha appreso nulla… Un portasigarette d'oro, con undici sigarette Capstan… Il senatore fumava poco o nulla, perché il tabacco è un antiafrodisiaco… Alle dita, la fede e un anello di brillanti. Niente altro».
De Vincenzi si voltò verso l'armadio.
«Lì, nell'armadio, ho lasciato gli abiti di Norina Santini… Non servono… La borsetta della morta non è stata ritrovata ed era dentro di essa, forse, che si nascondeva qualcosa d'interessante. Assieme agli abiti ho messo anche il ritaglio del giornale col ritratto del senatore, che Norina aveva nel tiretto del suo cassettone… Ecco tutto».
«E poco» mormorò Sani.
«È molto invece quel che non c'è. Il cappello. Quell'accidente di Harrington, con la sua storia del bigatt mi ha confuso la pista! Se avessi saputo dove era andato a finire il cappello, mi sarei avvicinato assai più presto alla soluzione del problema. Ma un'altra cosa non c'è, che appunto con la sua mancanza costituisce un indizio prezioso. Il libro erotico… La Zaffetta - Venetia - 1531».
«Come puoi credere che l'assassino…».
De Vincenzi sorrideva. Sani s'interruppe.
«Continua!».
«Un libro, erotico!… perché rubarlo dopo avere ucciso?».
«E se avessero ucciso per quel libro?».
«Che vuoi dire?».
«Ah! No!» esclamò De Vincenzi. «Spiegartelo non posso! Sento che e così. Che deve essere così. Ma non chiedermene le ragioni, perché le ignoro. E, se le conoscessi, non avrei bisogno di riunire in una sala… a luci spente… le principali persone del dramma!».
Prese gli oggetti sparsi sul tavolo e li ravvolse di nuovo nel giornale. Andò a rimetterli nell'armadio, che chiuse. Poi si volse: «Vedi, che a parlare vengono le idee! A far questo inventario, che abbiamo fatto, io ho rivissuto, una a una, le ore di questi giorni, da martedì a oggi, e ho avuto limpida la visione, dei fatti. Non mi sono ingannato. Non posso essermi ingannato».
Afferrò il cappello e se lo mise in testa.
«Usciamo a prendere un po' d'aria!…».
Sani si alzò in fretta, per seguirlo. E in quel momento apparve sulla soglia l'alta e sottile persona di miss Patt Drury.
I due uomini ebbero un sobbalzo.
«Buon giorno, commissario» disse la ragazza.
De Vincenzi si era riavuto dalla sorpresa e sorrideva.
«È una gradita visita la sua, miss Drury! Vuol sedere?».
E le porse una seggiola.
Sani sparì nell'altra stanza.
La ragazza sedette. Era seria in volto. Le mascelle leggermente sporgenti apparivano contratte duramente. E gli occhi avevano perduto quella loro luce saettante, che era a volte ironica e a volte carica di disprezzo.
Non parlava.
«È venuta a portarmi notizie del suo fidanzato?».
«Sta meglio. È già in piedi, oggi. Non ha avuto che una leggera influenza…».
«Ne sono lieto».
Aspettava.
A un tratto, facendo uno sforzo, la ragazza esclamò, a voce troppo alta, perché non tradisse la sua eccitazione: «C'è una cosa che Edoardo… che il dottor Verga le ha taciuta, quando le confidò quello che noi due avevamo fatto la notte in cui… uccisero il senatore…».
«Lo so» disse De Vincenzi.
L'altra ebbe un sussulto.
«Come fa a saperlo? Che cosa sa?».
Lentamente, De Vincenzi pronunziò: «Che loro due… mentre stavano ad attendere il professore davanti alla sua casa sul viale videro uscire dal portone Norina… la cameriera…».
Patt balzò in piedi.
«Chi glielo ha detto? Dove si trovava lei?».
«Io?» sorrise De Vincenzi. «Qui a San Fedele, mi trovavo! E in quanto a dirmelo, non me lo ha detto nessuno. Ma che Norina quella notte fosse uscita di casa è dimostrato dal fatto che l'hanno uccisa. Oh! Perché l'avrebbero uccisa se non fosse uscita?!…».
La ragazza continuava a guardarlo con profondo stupore.
«Ma lei, miss Drury, viene certamente a fornirmi qualche particolare, che mi sarà prezioso. Non si può intuire tutto! Occorre sapere. E lei sa, perché ha veduto. Mi dica quel che ha veduto».
«Meraviglioso!» mormorò Patt, con ammirazione; poi scosse la testa. «Che magnifico detective americano sarebbe lei!».
«Crede? Io dico di no. Non so neppure fumare!».
E rise.
«Segga e racconti miss… Patt. Mi permette, adesso, di chiamarla così?».
«Naturalmente. Glielo permisi fin dalla prima volta, che mi parlò. Ma lei allora… era disposto a credermi addirittura l'assassina!».
«Non ho mai pensato una cosa simile! E neppure che fosse la complice dell'assassino…».
«Oh! Questo avrebbe avuto il diritto di sospettarlo! Ma, dunque, le dico subito che è stato Edoardo a volere che venissi da lei. Egli, quella sera che le raccontammo quanto era accaduto al Sempioncino e dopo, tacque l'episodio di Norina, per una delicatezza verso la fanciulla e verso il morto, che lei può facilmente capire. E, quando lei ci annunzio la morte di Norina, fummo troppo sconvolti tutti e due, per parlare. Ma il dottor Verga voleva venir qui subito il giorno dopo e lo avrebbe fatto, se non si fosse ammalato. Ieri, che lei lo mandò a chiamare e poi non volle vederlo, le avrebbe certamente detto tutto».
«Capisco».
«Sì, è semplice. Dunque, fu verso la una e mezza che Norina uscì…».
«Prima o dopo, di quando lei e il dottore videro… o credettero vedere il senatore avviarsi verso casa in compagnia di un altro uomo?».
«Dopo. Subito dopo».
«Naturalmente».
«Come?».
«La ragazza senza dubbio stava attendendo il professore alla finestra. Lo vide arrivare… Vide che tornava in dietro… non seppe vincere la propria impazienza… e forse aveva qualche altra ragione che ignoriamo… e scese in istrada per seguirlo, e per raggiungerlo e parlargli, non appena fosse stato solo…».
«È probabile che sia stato così. Certo è che Norina uscì dalla casa del professore poco dopo l'una e mezza… le ore le sentivamo suonare e le contavamo… e non tornò che verso le due… Fu anzi appunto, perché l'avevamo veduta tornare dopo appena mezz'ora, che io e Edoardo ci trattenemmo ancora ad aspettare per la strada fin quasi alle cinque, sicuri che il senatore rincasasse, dal momento che la ragazza era tornata…».
«E invece non rincasò… perché lo avevano ucciso!… Ma Norina doveva aver veduto chi era l'uomo, che accompagnava il senatore e molto probabilmente vide anche il luogo dov'essi entrarono… la libreria di via Corridoni… Sì, tutto questo era chiaro nel mio spirito, anche prima; ma io ringrazio lei e il dottor Verga, per aver voluto darmene la conferma».
«Allora, posso andarmene?» disse la giovane, che, quasi liberata da un peso, aveva ritrovato la sua sicurezza.
«Se vuole… A rivederci domani sera».
«Domani sera?».
«Già. Ho bisogno che lei e il dottor Verga si trovino domani sera alle nove in via Broletto, al Circolo di Studi Psichici… L'avrei avvertita domani, ma dal momento che lei è venuta da me, glielo dico ora. Verranno?».
«Certo verremo. Non ci ha detto, forse, lei stesso di tenerci a disposizione della Giustizia?… E non è per questo che fa piantonare la casa del mio fidanzato?».
«Oh! Miss Drury!».
«… Patt…».
«Miss Patt! Grazie!».
«Grazie a lei!».
E l'americana uscì, sorridendo con blanda ironia.