Capitolo XIII
Giri attorno a un punto ignoto
Infilarono la Galleria. Traversarono piazza del Duomo, girarono attorno alla Basilica, presero per piazza Fontana.
Non era quella la strada per andare a casa di De Vincenzi, ma lui non aveva più sonno, adesso, e non sognava più il refrigerio delle lenzuola.
Andava. E l'altro gli camminava al fianco. Tacevano.
Davanti ai Tribunali, una donna li avvicinò e li squadrò in volto sfrontatamente, ammiccando. Poi s'allontanò e canticchiò «Io son pacifico…».
Il caffè d'angolo era aperto.
«Vogliamo bere qualche cosa?».
De Vincenzi trasalì.
«Entriamo!».
Sedettero a un tavolino in fondo. La sala era deserta. Il cameriere sonnecchiava contro una parete. Sbadigliò, si avvicinò a quei clienti che non desiderava e pulì il marmo del tavolo con uno straccio, che aveva preso, passando, da un portastracci a forma di palla, di nichelio lucente.
«Che prendono?». «Un caffè» disse De Vincenzi e il dottore lo guardò con disapprovazione.
«Il caffè a quest'ora! A me darete un'anisetta doppia, in un bicchiere grande e un sifone di seltz…».
Spruzzò appena col seltz il liquore e poi cominciò ad assaporarlo lentamente.
«Non c'è nulla di meglio, per togliere la sete. Io ho sempre sete, a quest'ora. La digestione…».
De Vincenzi non parlava. Sembrava si ostinasse di proposito in quel mutismo. Fissava il medico, che sorrideva tranquillo. «E dotato di una reale forza magnetica» aveva detto Chirico e lui voleva rendersene conto.
«Ma non dorme mai, lei, commissario? Ieri mattina era sulla breccia alle nove, credo… e un agente, che ho interrogato poco fa, mi diceva che lei sta in ufficio tutta la notte…».
«Uhm!» fece De Vincenzi e bevve il caffè. «Questa notte non ci sto, per esempio…». «Già…». «E lei, allora?».
«Oh io! Io sono nottambulo per temperamento. Lo faccio per cura. Se dormissi molto, ingrasserei anche di più. E io non voglio ingrassare. È segno di vecchiaia!».
«La stessa età?».
«Come dice?».
«Lei aveva la stessa età del suo amico… del senatore?».
«No! Vede! Tre anni di meno, eppure, Ugo sembrava assai più giovane. In tutto così! Lui aveva sempre ogni vantaggio sugli altri suoi simili!».
«Non ha avuto l'ultimo, però!».
«E chi lo sa? A morire a quel modo c'è pure il lato buono. Ci si trova all'altro mondo, senza accorgersene!… Che crede che abbia sofferto lui?… Il colpo deve averlo sentito come un picchio sulla testa. E poi null'altro. Vorrei morire anch'io come lui!».
Storse la bocca, come se disprezzasse se stesso.
«Ma io non creperò così, io! Chi vuole che mi ammazzi?!».
E bevve d'un fiato.
«Cameriere, un'altra doppia, eguale, nello stesso bicchiere…».
Poi fissò De Vincenzi.
«Chi sa che cosa pensa lei, di me, in questo momento! Non badi a quel che faccio. La morte di Ugo mi ha sconvolto un poco… Gli volevo bene. In fondo, son circa trent'anni che vivevamo assieme. Ci siamo trovati in collegio, che io avevo dieci anni. Adesso ne ho quaranta. E non ci siamo mai perduti di vista. Lui ha preso la laurea; io ho preso la laurea. Lui ha preso moglie, io l'ho presa pure… Così…».
Batteva con l'indice a martello sul tavolo, a picchi regolari, spaziati, e quei picchi avevano uno strano ritmo, come se rispondessero alle regole d'un alfabeto convenzionale. «Invece non hanno significato» si diceva De Vincenzi, che li seguiva, però, con intensa attenzione.
«Lei ipnotizza, battendo a quel modo?». «Chi le ha detto che io ipnotizzo?» chiese con voce impercettibilmente alterata.
«Nessuno. Ma credevo che i medici, chi più chi meno, praticassero quasi tutti l'ipnosi oggigiorno…».
«Infatti… È un metodo di cura ottimo… Io non ne abuso, però. Stanca il soggetto. E io il soggetto cerco sempre di risparmiarlo».
Quelle parole ebbero un suono strano, o sembrò a De Vincenzi che lo avessero. Forse era l'alcool, che gli rendeva roca la voce.
«È molto tempo che pratica lo spiritismo?».
«È appassionante!» esclamò il dottore, senza rispondere alla domanda.
E fu il silenzio. Tutti e due seguivano il corso dei propri pensieri e soltanto di tanto in tanto ne manifestavano uno a parole. Era come se qualcuno si fosse divertito a tener la mano sul bottone di una radio e avesse aperto e chiuso a intervalli la corrente. La più gran parte della musica veniva suonata soltanto nell'interno dei loro cervelli.
«Che cosa siamo? Di dove veniamo? Dove andiamo? La morte è l'annichilimento del nostro essere o l'alba d'una nuova vita, del tutto differente da quella che viviamo quaggiù?».
«Già» fece De Vincenzi. «E lei parla con gli spiriti!».
«Infatti, lo spiritismo è fondato sull'esistenza degli spiriti. Ma gli spiriti non sono altro che le anime degli uomini… Da quando esistono gli uomini, esistono gli spiriti».
«E tornano in terra! Allora, lei crede che un assassinato possa andare a trovare il suo assassino?».
«Cameriere, una terza anisetta doppia!».
Gli occhi gli lucevano. Il dito batteva sempre sul marmo. De Vincenzi glielo afferrò e lo tenne stretto per qualche secondo.
«Mi scusi! Ma io ho i nervi a fior di pelle… questa notte… La stanchezza… Lei non ha risposto alla mia domanda!».
«Stavo riflettendo. C'è un libro fondamentale di Allan Kardec, che potrebbe risponderle: Il cielo e l'inferno e la giustizia divina secondo lo spiritismo… Ma lei crede che lo spirito si manifesti al modo dei fantasmi, andando a tirar le lenzuola della vittima o del carnefice? Occorre chiamarlo… materializzarlo… renderlo presente. E come vuole che un assassino tenti un esperimento di questo genere?».
«Già!…».
Il bottone fu girato. La musica dei loro pensieri tacque, racchiusa nelle due scatole craniche.
«Dove è stato l'altra notte, dottore? La notte in cui hanno ammazzato Magni?».
«Strano!».
«Che cosa?».
«Che lei non mi abbia fatto prima questa domanda, io me la sono fatta subito. Dove sono stato nella notte da lunedì a martedì? Per un nottambulo girovago quale io sono… il fatto più sorprendente, come coincidenza, è che io, proprio ieri notte, sia rimasto in casa. Mia moglie era sofferente… Nulla di grave… Mali passeggeri di un organismo anemico. Io adoro mia moglie. E le sono rimasto accanto tutta la notte».
Fece una pausa, poi prese dalla tasca il portafogli, ne trasse un biglietto di visita, lo mise sul tavolo, dandogli un colpettino col dito, perché scorresse verso il commissario.
«Non le ho ancora dato il mio indirizzo». De Vincenzi non toccò il biglietto. «Non m'interessa! Perché dovrei andare a casa sua?». Ma aveva letto l'indirizzo: corso Plebisciti 17. «Come vuole! Però, se ha bisogno di un medico, disponga di me. Glielo dico sinceramente».
E col cartoncino si mise a fare una piccola oca. Le sue dita grassocce si muovevano rapide e abili. L'ochetta alzò la coda e le ali sul marmo. Lui la guardava sorridendo. Stese la mano per bere. Il bicchiere era vuoto. Subito, De Vincenzi chiamò: «Cameriere! Quanto fa?». E rivolto al compagno: «Usciamo!». «Stavo per dirglielo io».
Bevve un bicchier d'acqua, in mancanza dell'alcool. Doveva avere il palato secco.
Quando si trovarono in piazza Beccaria, cominciava il lavoro degli spazzini.
Risalirono via Cavallotti; al crocicchio di via Cesare Battisti, il dottore si fermò. «Dove andiamo?».
«A guardar dal di fuori il negozio dei libri…». «Troppo tardi!» mormorò Marini. Il negozio era naturalmente chiuso. Si fermarono. Il dottore rise.
«Appartiene a Chirico. Uno strano tipo!». «Lo conosce?».
«E segretario del Circolo di studi psichici…». «Frequentava il negozio, lei?». «Qualche volta. Mi piacciono i libri, per quanto non comprenda la mania di coloro, che se ne empiono la casa, senza neppur leggerli! Io li leggo e poi li getto via». «Tutti?». «Quasi».
«Quali libri preferisce?».
«Non ho preferenze! Leggo per imparare. In ogni libro, per meschino che sia, c'è da apprendere qualcosa, che serve a condursi nella vita».
De Vincenzi andò a scuotere il portone dello stabile, che cedette subito. «È sempre aperto questo portone!». «Nelle case popolari accade facilmente. Tutta gente che non teme i ladri».
Il commissario pensò: «Se andassi a svegliare la portinaia e suo marito?».
A quale scopo? Avrebbero maledetto l'importuno! E che c'era da apprendere, a interrogarli?
Aveva dato un calcio al portone, che s'era aperto, e guardava dentro l'androne illuminato da una lampadina rossastra. «Che vuol fare?». «L'assassino è uscito di qui». «Come lo sa?».
«Mentre invece, per entrare nel negozio, era passato dalla porta esterna, sollevando la saracinesca. Si tro vava assieme a Magni, allora. E Magni, naturalmente, era vivo, né sapeva di dover morire dopo poco».
«Ma… in tal caso, avevano la chiave?».
«Non è detto. Quelle serrature si aprono col più semplice dei ferri curvati».
«Uno del mestiere, però!».
«Può darsi!».
E il commissario si allontanò in fretta dalla casa.
«Adesso, me ne vado a letto. Sono le tre e mezza suonate e voglio dormire almeno sei ore».
«Vuole che l'accompagni in tassi?».
«Non importa. Lei abita lontano da me».
C'erano due tassi fermi al principio del Verziere. De Vincenzi mise la mano sulla maniglia del più vicino.
«Grazie della compagnia».
«E le sue indagini?» chiese di colpo il dottore. «Troverà l'assassino?».
«Lo sa che stanotte hanno strangolato Norina?».
«Che cosa?!».
Sembrava turbato.
«Povera ragazza! Ma perché?».
Il commissario s'era seduto nell'interno della macchina. Lo sportello rimaneva aperto.
Dal fondo del sedile mandò una risatina nervosa.
«Se sapessi perché l'hanno uccisa, conoscerei il nome di chi ha assassinato il senatore!».
Il dottore, illuminato in pieno dalla luce del grande globo a incandescenza della piazza, s'era tolto il cappello e si passava la mano sui capelli folti. Aveva la fronte molto alta. Così, senza cappello, il suo volto roton do acquistava nobilità, si spiritualizzava, presentava tutte le caratteristiche dell'intelligenza.
«Che dramma!».
E fece un passo avanti per chiudere lo sportello.
De Vincenzi mise la testa fuori.
«Dottor Marini!».
«Mi dica…».
«Se le chiedessi di farmi assistere a una seduta spiritica, acconsentirebbe?».
«Oh! Che idea!».
«E tanto tempo che lo desidero!».
«Ma lei è scettico. Gli scettici turbano tutti i fenomeni. Chiamano gli spiriti burloni. Non si combina nulla di buono!».
«Chi le dice che io sia scettico? Invece, io credo fermamente che i morti tornino!».
«Uhm! Ne parleremo… Ma non per adesso, sa? Non potrò rimettere piede tanto presto in via Broletto, al Circolo. Ci andavo sempre con Ugo. Tornarci ora, risveglierebbe i ricordi».
«Buona notte!» fece il commissario e diede all'autista l'indirizzo di casa sua.
Il dottore rimase fermo in mezzo alla piazza a contemplare il tassi, che si allontanava.