21
Dubito di poter mai dimenticare i giorni seguenti. Ginger fu trasportata in una clinica privata, e io potevo andare a trovarla soltanto nelle ore di visita.
Il suo medico non riusciva a capire il perché di tanto chiasso. La sua diagnosi era chiarissima: broncopolmonite a seguito dell'influenza e compli-cata da certi sintomi alquanto insoliti, ma ciò, aveva detto lui, "accade sempre. Nessun caso è mai tipico. E molta gente non reagisce agli antibio-tici".
Naturalmente, tutto quello che lui diceva era vero. Ginger aveva la broncopolmonite. Non c'era nulla di misterioso, nella sua malattia. Era una broncopolmonite coi fiocchi.
Ebbi un colloquio con uno psicologo indicatomi da Corrigan. Era uno strano omino che continuava ad alzarsi e abbassarsi sulla punta dei piedi, e con due occhietti vivacissimi dietro un paio di lenti molto spesse. Mi fece innumerevoli domande, di metà delle quali non riuscii a capire lo scopo, ma uno scopo doveva esserci poiché lui annuiva sapientemente alle mie risposte. Non si compromise con nessuna dichiarazione, il che fu probabilmente saggio. Credo che avesse tentato parecchie forme d'ipnotismo su Ginger, ma senza nessun risultato particolare.
Io evitavo amici e conoscenze, ma la solitudine mi era insopportabile.
Infine, in un accesso di disperazione, telefonai a Poppy, nel negozio di fiori. Le chiesi se poteva venire a cena con me, e lei accettò con piacere.
La portai al Fantasie. Poppy chiacchierava allegramente, e io trovai la sua compagnia molto riposante. Ma non l'avevo invitata soltanto per le sue qualità distensive. Dopo averle procurato uno stato di felice torpore con una buona cenetta e delle ottime bevande, cominciai un cauto sondaggio.
Ritenevo possibile che Poppy sapesse qualcosa senza rendersene conto. Le chiesi se ricordava la mia amica Ginger.
«Naturalmente» mi rispose, spalancando gli occhioni azzurri, e mi chiese sue notizie.
«Sta molto male» risposi.
«Povera cara» commentò Poppy esprimendo tutto il rammarico di cui era capace, non molto, in verità.
«Si è messa in un pasticcio» le spiegai. «Credo che avesse chiesto consiglio a voi, in proposito. Qualcosa a che fare col Cavallo Pallido. Le è co-stato una somma spaventosa.»
«Oh! Allora era lei!» esclamò la ragazza.
Per un momento, non capii. Poi mi resi conto che Poppy stava identifi-candomi con l'uomo la cui moglie inferma costituiva l'ostacolo alla felicità di Ginger.
Poppy era talmente emozionata da quella scoperta, che dimenticò di preoccuparsi dell'allusione al Cavallo Pallido.
«Ha funzionato?» mi domandò ansiosa.
«Non come avrebbe dovuto. La... la faccenda è ricaduta su Ginger. Ha mai sentito dire che sia già accaduto qualcosa del genere?»
Rispose di no.
«Naturalmente, lei sa quello che fanno al Cavallo Pallido; laggiù, a Much Deeping.»
«Non sapevo dove fosse. Sapevo solo che era in campagna, da qualche parte.»
«Non sono riuscito a sapere da Ginger come vadano le cose, là...»
Attesi cautamente.
«Si tratta di raggi, no? Qualcosa di simile. Radiazioni provenienti dallo spazio.»
Ne dedussi che Poppy si stava ora basando soltanto sulla sua limitata immaginazione.
«Qualcosa del genere» confermai. «Ma dev'essere molto pericoloso.
Voglio dire, pericoloso per Ginger, ammalarsi così.»
«Ma era vostra moglie che doveva ammalarsi e morire, no?»
«Già» risposi, accettando la parte che Ginger e Poppy mi avevano affib-biato. «Ma pare che le cose siano andate a rovescio, colpendo in direzione opposta. Sa se ciò era già accaduto altre volte?»
«Be', non in questo modo.»
«In che modo, allora?»
«Ecco, se uno non pagava... dopo. Un tale che conoscevo non volle pagare.» Poppy abbassò la voce e parlò in tono spaventato: «Fu ucciso nella sotterranea: cadde dal marciapiede mentre arrivava il treno».
«Potrebbe essere stata una disgrazia.»
«Oh, no. Furono loro. »
Le versai dell'altro spumante. Avevo l'impressione di trovarmi di fronte a una persona che avrebbe potuto aiutarmi se io fossi riuscito a cavarle fuori le nozioni sconnesse che volteggiavano in quello che lei chiamava il suo cervello. Il fatto più esasperante era che non sapevo cosa chiederle. Se le avessi fatto una domanda sbagliata, lei si sarebbe impaurita e non avrebbe più aperto bocca.
«Mia moglie è sempre inferma, però non sembra affatto che peggiori.»
«Mi dispiace» commentò Poppy con aria triste, sorseggiando lo spumante.
«E ora, che cosa posso fare?»
Poppy non aveva nulla da suggerirmi.
«Vede, è stata Ginger che... Io non mi sono occupato di niente. Non c'è nessuno a cui potrei rivolgermi?»
«C'è un posto a Birmingham» mormorò Poppy, incerta.
«Quello è chiuso. Non conosce nessun altro che potrebbe sapere qualcosa?»
«Eileen Brandon potrebbe sapere qualcosa, ma non ne sono certa.»
L'introduzione inaspettata di quel nuovo personaggio assolutamente sconosciuto mi fece sobbalzare. Le chiesi subito chi fosse Eileen Brandon.
«A dire la verità, è un tipo terribile. Sempre seria. Ha i capelli crespi e non porta mai tacchi a spillo. Eravamo a scuola insieme: ma lei era seris-sima anche allora. Era molto brava in geografia.»
«Che cos'ha a che fare col Cavallo Pallido?»
«Veramente, nulla. Era solo una sua idea. E così piantò tutto.»
«Che cosa piantò?» domandai stupito.
«Il suo impiego all'RMC.»
«Cos'è l'RMC?»
«Be', non lo so esattamente. Qualcosa come Ricerche di Mercato presso i Consumatori. Ma non so bene che cosa sia.»
«Eileen Brandon lavorava lì? Che cosa doveva fare?»
«Solo andare in giro a far domande, chiedere alla gente che prodotti usava. Un lavoro troppo deprimente e noioso. E poi, a chi interessa che prodotti usa la gente?»
«Probabilmente all'RMC» risposi.
Cominciavo a provare una certa emozione. La donna che il reverendo Gorman aveva assistito in punto di morte, quella sera fatale, era stata impiegata in una organizzazione di quel tipo. E poi... ma sì, certo... qualcuno del genere si era presentato alla porta di Ginger...
Mi parve che fra quei fatti ci fosse una connessione.
«Perché Eileen Brandon lasciò il suo impiego? Si era stufata?»
«Non credo. La pagavano bene. Ma aveva l'impressione che la ditta non fosse quello che sembrava.»
«Pensava che avesse qualche legame col Cavallo Pallido? È così?»
«Be', non so, qualcosa di simile... Comunque, attualmente lavora in un bar di Tottenham Court Road.»
«Mi dia il suo indirizzo.»
«Non è affatto il suo tipo.»
«Non ho nessuna intenzione di farle la corte» replicai aspro. «Voglio qualche informazione sull'RMC. Sto pensando di comprare delle azioni di una di quelle società.»
«Capisco» disse Poppy, soddisfattissima della spiegazione.
Non c'era altro da tirarle fuori, perciò scolammo lo spumante, l'accompagnai a casa e la ringraziai della bella serata.
La mattina seguente cercai di telefonare a Lejeune, ma invano. Però, do-po qualche difficoltà, riuscii a parlare con Jim Corrigan.
«Quali notizie, a proposito di quel tipo psicologico che mi hai portato, Corrigan? Che cosa dice di Ginger?»
«Un mucchio di paroloni. Ma io credo, Mark, che sia terribilmente perplesso. Lo sai benissimo, chiunque può prendersi una polmonite. Non c'è niente di misterioso né di straordinario, in questo.»
«Già. E parecchie persone di cui sappiamo, e i cui nomi erano in una certa lista, sono morte di broncopolmonite, gastroenterite, tumore al cervello, paratifo e altre malattie bene accertate.»
«So quello che provi... Ma cosa posso fare?»
«Lei sta peggiorando, vero?» gli chiesi.
«Be'... sì.»
«Allora, bisogna fare qualcosa!»
«Per esempio?»
«Ho qualche idea: andare a Much Deeping, prendere Thyrza Grey per il collo e costringerla, minacciando di cavarle gli occhi, ad annullare l'incan-tesimo o quello che è...»
«Forse funzionerebbe.»
«Se no, potrei andare da Venables...»
Corrigan m'interruppe bruscamente: «Venables? Ma lui non c'entra. È
materialmente impossibile. Lo sai, è immobilizzato».
«Non ne sono sicuro. Mi viene voglia d'andar là e tirargli via quella coperta dalle gambe per vedere se la storia degli arti atrofizzati è vera o falsa!»
«Abbiamo fatto tutte le indagini...»
«Aspetta. Mi sono imbattuto per caso, a Much Deeping, in quel farmacista, il dottor Osborne. Voglio ripeterti quello che mi ha detto.»
Gli riferii la teoria di Osborne circa la sostituzione di persona.
«Quell'uomo ha qualche rotella che non funziona. È il tipo che vuole avere sempre ragione.»
«Ma dimmi, Corrigan, non potrebbe essere come ha detto lui? È possibile, no?»
Dopo qualche istante, Corrigan rispose lentamente: «Sì, devo ammettere che è possibile... Ma parecchie persone dovrebbero essere al corrente, e, per conseguenza, Venables dovrebbe pagarle bene, per assicurarsi il loro silenzio».
«E con questo? È ricco sfondato, no? Lejeune è riuscito a scoprire in che modo ha fatto tutti quei quattrini?»
«No. Non esattamente... Devo ammetterlo. C'è qualcosa di poco chiaro, nei confronti di quell'individuo. Ma non è possibile controllare la prove-nienza del suo denaro senza svolgere indagini che potrebbero durare degli anni. E poi, Venables è scaltro. Che cosa pensi? Che sia il... capobanda?»
«Sì. Penso che sia l'ideatore di tutta l'organizzazione.»
«Può darsi. Da quello che ho sentito dire di lui, convengo che deve avere il cervello adatto per una cosa del genere. Ma sono sicuro che non avrebbe mai commesso personalmente un atto inumano come quello di uccidere il reverendo Gorman!»
«Potrebbe anche averlo fatto, se gli fosse stato necessario. Potrebbe aver dovuto impedire al reverendo Gorman di parlare, di rivelare ciò che aveva saputo da quella donna circa l'attività del Cavallo Pallido. Inoltre...»
M'interruppi bruscamente.
«Pronto... ci sei ancora?»
«Sì, stavo pensando... Mi è venuta un'idea...»
«Di che si tratta?»
«Non è ancora un'idea chiara. Devo meditarci sopra... Comunque, adesso devo andare. Ho un appuntamento in un caffè, in Tottenham Court Road.»
Riattaccai e guardai l'orologio. Mi dirigevo verso la porta, quando il telefono squillò. Esitai. Dieci contro uno, era Jim Corrigan che mi richiama-va per sapere qualcosa di più sulla mia idea.
In quel momento non volevo parlare di nuovo con Jim Corrigan. Prose-guii verso la porta, mentre il telefono continuava a squillare con insistenza.
Naturalmente poteva essere l'ospedale... Ginger. Non potevo correre quel rischio.
Impaziente, attraversai di nuovo la stanza e sollevai il ricevitore:
«Pronto?»
«Sei tu, Mark?»
«Sì, chi è?»
«Sono io, naturalmente» rispose la voce, in tono di rimprovero. «Ascolta, voglio dirti una cosa.»
Riconobbi la voce della signora Oliver. «Oh, sei tu. Senti, ho una premura terribile, devo uscire, ti richiamerò più tardi.»
La signora Oliver ribatté risoluta: «Niente affatto! Devi ascoltarmi ora. È
importante».
«Be', fa' presto. Ho un appuntamento.»
«Poco male. Puoi sempre arrivare in ritardo. Lo fanno tutti. E poi ti sti-meranno di più.»
«No, davvero, devo...»
«Ascolta, Mark, è molto importante. Ne sono sicura. Deve esserlo.»
Cercai di frenare la mia impazienza, guardando l'orologio. «Allora?»
«La mia Milly aveva la tonsillite. Stava molto male ed è andata in campagna, da sua sorella...»
Digrignai i denti. «Me ne dispiace infinitamente, ma...»
«Ascoltami. Non ho ancora cominciato. Dove ero rimasta? Oh, sì. Milly è dovuta andare in campagna e così ho telefonato alla solita agenzia di col-locamento per sentire se potevano mandarmi qualcuno. Mi hanno risposto che era molto difficile, al momento... cosa che dicono sempre, però mi hanno promesso di fare del loro meglio...»
Non avevo mai considerato la mia amica tanto esasperante.
«E così, questa mattina, è arrivata una donna, e chi pensi che fosse?»
«Non riesco a immaginare. Senti...»
«Una donna che si chiama Edith Binns; che nome buffo, vero? E tu la conosci.»
«No, affatto. Non ho mai conosciuto nessuna donna che si chiamasse Edith Binns.»
«Eppure tu la conosci e l'hai vista poco tempo fa. Per molti anni, è stata al servizio della tua madrina: Lady Hesketh-Dubois.»
«Oh, davvero?»
«Sì. Lei ti ha visto il giorno in cui sei andato a prendere dei quadri.»
«Bene, tutto ciò è molto carino, e penso che sei davvero fortunata ad avere trovato una donna come lei, brava e fidata. Così diceva di lei la zia Min. Ma, veramente, ora...»
«Aspetta! Non sono ancora arrivata al punto. Edith Binns mi ha parlato molto di Lady Hesketh-Dubois e della sua malattia, e infine mi ha detto una cosa che ha attratto la mia attenzione.»
«Che cosa?»
«Mi ha detto qualcosa del genere "Povera cara signora, ha sofferto tanto.
Quel terribile male al cervello, e pensare che fino allora era sempre stata benissimo. Ed era veramente penoso vederla in quella clinica, con i suoi bei capelli bianchi che le cadevano sul guanciale. Pensate, le venivano via a manciate". Allora, Mark, ho pensato a Mary Delafontaine, quella mia amica: "anche a lei cadevano i capelli". E mi sono ricordata che tu mi avevi parlato d'una ragazza vista in un bar di Chelsea alla quale, litigando, un'altra ragazza aveva strappato i capelli a manciate. I capelli non vengono via con tanta facilità, Mark. Provaci, prova soltanto a strappartene una piccola ciocca. Provaci! Vedrai. Non è naturale, Mark, che a tutta quella gente vengano via i capelli con tanta facilità. Non è naturale. Dev'essere una specie di malattia nuova, deve significare qualcosa.»
Strinsi il ricevitore, e il mio cervello cominciò a lavorare febbrilmente.
Ricordi vaghi, fatti frammentari riaffiorarono alla mente prendendo forma, riunendosi con chiarezza. Rhoda e i suoi cani sul prato... un articolo che avevo letto sulla Rivista Medica di New York... Ma certo... Naturalmente!
Mi accorsi a un tratto che la signora Oliver continuava a parlare allegramente.
«Che il Cielo ti benedica. Sei un tesoro!» le dissi.
Posai il ricevitore e lo risollevai subito. Composi un numerò, e questa volta ebbi la fortuna di trovare immediatamente l'ispettore Lejeune: «Mi ascolti» lo pregai. «I capelli di Ginger vengono via a ciocche?»
«Be'... a dire la verità credo di sì. Penso che sia colpa della febbre.»
«La febbre un corno!» sbottai. «Il male di Ginger, che è il male che hanno avuto tutti gli altri, è un avvelenamento da tallio. Che Iddio ci aiuti, forse siamo ancora in tempo...»