5
«Che sollievo, pensare che è tutto finito e che non è accaduto nulla!» sospirò la signora Oliver.
Era un momento di riposo. La festa di Rhoda si era svolta come tutte le feste. Grande preoccupazione per il tempo che, nelle prime ore della mattina, era stato estremamente volubile. Numerose e animate discussioni per decidere se qualche banco poteva esser collocato all'aperto o se si doveva preparare tutto nel lungo granaio e sotto il tendone. Varie e accese contro-versie circa il servizio del tè, la sistemazione dei banchi dei rinfreschi, e così via. Abile soluzione di ogni problema da parte di Rhoda. Arrivo dei numerosi ospiti. Enorme successo al banco delle bevande. Le solite difficoltà nel dare i resti. Confusione generale all'ora del tè.
Infine, arrivo benedetto della sera. Congedati gli ospiti, i padroni di casa e gli organizzatori della festa si erano ritirati per consumare una cena fredda nella sala da pranzo.
Il gruppo comprendeva mia cugina Rhoda e suo marito colonnello Despard, la signorina Macalister, una ragazza dai capelli rossi che si chiamava Ginger, la signora Oliver e il vicario, reverendo Caleb Dane Calthrop e sua moglie.
«Credo che gl'incassi supereranno quelli dell'anno scorso per i bambini orfani» commentò Rhoda con gioia.
La signora Calthrop, una donna sconcertante con un bel paio d'occhi, stava studiando la signora Oliver con aria assorta. Di punto in bianco, le chiese: «Che cosa si aspettava che accadesse, durante la festa?».
«Be', a dire il vero, un assassinio o qualcosa del genere.»
La signora Calthrop parve interessarsi. «Ma perché sarebbe dovuta accadere una cosa simile?»
«Per nessuna ragione. Anzi, la cosa era molto improbabile. Ma ce ne fu uno durante l'ultima festa alla quale partecipai.»
«Capisco. E la impressionò?»
«Moltissimo.»
Dopo una breve pausa, parlò Despard: «È stato davvero gentile, il vecchio Lugg delle Armi del Re, a mandarci dodici dozzine di birre per il banco delle bevande».
«Le Armi del Re?» chiesi bruscamente.
«È la locanda del villaggio, caro» mi spiegò Rhoda.
«Non c'è qualche altro locale, da queste parti? Non avevi parlato del...
Cavallo Pallido?» chiesi rivolgendomi alla signora Oliver.
Alla mia domanda, non seguì la reazione che mi ero quasi aspettato. I visi rivolti verso di me avevano un'espressione vaga e priva d'interesse.
«Il Cavallo Pallido non è un locale pubblico. Voglio dire, non lo è più, ora» m'informò Rhoda.
Despard precisò: « Era una vecchia locanda. Direi del XV secolo, più o meno. E ora è una comune abitazione privata. Penso sempre che avrebbero dovuto cambiarle il nome».
«Oh, no!» protestò Ginger. «Sarebbe stato terribilmente banale, chiamarla Bellavista o qualcosa di simile. Secondo me, Cavallo Pallido è molto più carino, e c'è una graziosissima insegna della vecchia locanda. La tengono incorniciata nell'atrio.»
«Chi sono i proprietari?» m'informai.
«La casa appartiene a Thyrza Grey» rispose Rhoda. «Non so se l'hai no-tata, oggi. Alta, coi capelli grigi, corti.»
«Si occupa di scienze occulte. Tiene sedute spiritiche, pratica magie; non proprio magie nere, ma qualcosa del genere.»
Ginger scoppiò improvvisamente a ridere, poi disse: «Chiedo scusa, ma stavo pensando alla signorina Grey nelle vesti di Madame de Montespan, sopra un altare ricoperto di velluto nero».
«Ginger! Non di fronte al vicario» la riprese Rhoda.
«Le chiedo scusa, signor Calthrop.»
«Non importa» la rassicurò il vicario, sorridendo.
Dopo un breve silenzio, tornai all'attacco. «Vorrei ancora sapere chi vive in quella casa... la signorina Grey e chi altri?»
«Oh, abita con lei un'amica. Sybil Stamfordis. Credo che faccia da medium. Devi averla vista, in giro. Piena di ninnoli e fronzoli... e alle volte indossa un sari indiano. Non so proprio perché: è un'altra delle sue strava-ganze...»
«E poi c'è Bella» m'informò la signora Calthrop. «È la loro cuoca. Anche lei è una strega. Viene dal villaggio di Little Dunning. Là godeva di notevole fama per le sue arti magiche. È una tradizione della sua famiglia.
Era una strega anche sua madre.»
La moglie del vicario parlava in tono serio e convinto.
«Si direbbe che lei creda nella stregoneria, signora Calthrop» osservai.
«Ma naturalmente! Non c'è nulla di segreto o di misterioso. È tutto assolutamente reale. Come un'eredità che viene trasmessa in certe famiglie da una generazione all'altra.»
La guardai dubbioso. Lei sembrava convintissima delle sue affermazioni.
«Sybil ci è stata di grande aiuto, oggi, predicendo il futuro. Era nella tenda verde. Credo sia abilissima» commentò Rhoda.
«A me ha predetto un futuro splendido» dichiarò Ginger. «Denaro in ab-bondanza. Un aitante straniero bruno da oltre oceano, due mariti e sei bambini. Davvero molto generosa.» Poi, ridendo, aggiunse: «La vecchia signora Parker era terribilmente scettica. "Tutte queste sciocchezze!", l'ho sentita borbottare. Allora è venuta fuori la signora Cripps che ha ribattuto:
"Cara Lizzie, tu sai bene quanto me che la signorina Stamfordis vede cose che gli altri non sono in grado di vedere e che la signorina Grey è capace di predire il giorno in cui qualcuno morirà. Non sbaglia mai! Alle volte mi fa venire i brividi. Comunque stiano le cose, non oserei mai offendere nessuna di quelle tre donne, per nulla al mondo!"».
«Tutto ciò mi sembra molto emozionante. Mi piacerebbe conoscerle» affermò la signora Oliver, con vivo interesse.
«L'accompagneremo da loro domani» promise il colonnello Despard.
«La vecchia locanda merita veramente d'esser vista. Le nuove proprietarie sono state davvero abili, a trasformarla in una comoda abitazione senza ro-vinarne lo stile.»
«Domattina telefonerò a Thyrza» disse Rhoda.
Devo ammettere che andai a letto alquanto deluso. Il Cavallo Pallido, che si era delineato nella mia mente come il simbolo di qualcosa d'ignoto e sinistro, era risultato non essere nulla del genere. A meno che, naturalmente, non ci fosse un altro Cavallo Pallido da qualche altra parte. Rimuginai quell'idea finché non mi addormentai...
Il giorno dopo, domenica, c'era una sensazione generale di rilassamento.
Un'atmosfera da dopo-festa. Sul prato, le tende ondeggiavano dolcemente, mosse da una leggera brezza umida, in attesa d'essere smontate nelle prime ore della mattina seguente. Il lunedì ci saremmo messi tutti al lavoro per verificare i danni causati e per riordinare ogni cosa. Ma, per il giorno festi-vo, Rhoda aveva saggiamente deciso che sarebbe stato meglio starcene fuori il più possibile.
Andammo tutti in chiesa e ascoltammo con molto rispetto il sermone del vicario Dane Calthrop, ispirato a un passo di Isaia, che sembrava trattare più di storia persiana che di religione.
Più tardi, Rhoda ci annunciò: «Andiamo tutti a pranzo dal signor Venables. Sono certa che ti piacerà, Mark. È un uomo interessantissimo. È stato in tutto il mondo e ha fatto le cose più svariate. Conosce usanze stranissi-me. Ha comprato Priors Court circa tre anni fa. E le innovazioni che vi ha apportato devono essergli costate un patrimonio. Ha avuto la poliomielite e ha perso l'uso delle gambe, perciò deve andare in giro in una poltrona a rotelle. È molto triste per lui, perché, prima di ammalarsi, viaggiava molto.
Naturalmente è ricco sfondato e, come ti ho detto, ha restaurato quella casa in un modo meraviglioso; quando lui l'ha acquistata, era in rovina, cadeva a pezzi. Ora è piena di oggetti splendidi. Credo che le vendite all'asta costi-tuiscano, ora, il suo principale interesse».
Priors Court distava solo poche miglia. Vi andammo in macchina e il nostro ospite ci venne incontro nell'atrio manovrando da solo la sua poltrona a rotelle.
«Grazie a tutti per esser venuti» ci disse, con slancio sincero. «Dovete essere esausti, dopo la giornata di ieri. La festa è stata un vero successo, Rhoda.»
Il signor Venables era un uomo sulla cinquantina col volto scarno, da falco, e un naso a becco che sporgeva prepotente. Rhoda fece le presentazioni.
Venables sorrise alla signora Oliver. «Ho già conosciuto ieri questa signora nella sua attività professionale. Ho sei dei suoi libri con autografo. E
questo mi risolve sei regali di Natale. Lei è una grande scrittrice, signora Oliver. Ci dia altri romanzi. Non ne avremo mai abbastanza.» Poi sorrise a Ginger: «E lei, mia cara ragazza, per poco non mi affibbiava un'anitra vi-va!». Quindi, si rivolse a me: «Mi è piaciuto molto il suo articolo sulla rivista del mese scorso».
«È stato davvero gentile, a venire alla nostra festa, signor Venables. Do-po il generoso assegno che ci ha mandato, non speravo proprio di vederla in persona.»
«Oh, io mi diverto, in queste cose. Fanno parte della vita di campagna inglese, no? Son tornato a casa tenendo in braccio un'orribile bambola che ho vinto al lancio dei cerchi, e con la prospettiva di uno splendido ma pa-radossale avvenire profetizzatomi dalla nostra Sybil.»
«Andiamo a prendere il tè da Thyrza questo pomeriggio» annunciò il colonnello Despard. «La vecchia casa è molto interessante.»
«Il Cavallo Pallido? Già. Avrei preferito che fosse rimasta una locanda.
Ho sempre la sensazione che quel luogo racchiuda un passato misterioso e sinistro. Non può essere stato un centro di contrabbando: per questo non è abbastanza vicino al mare. Un covo di banditi, forse? Oppure, ricchi viag-giatori si fermavano per trascorrervi la notte e poi venivano fatti sparire?
In un certo senso, mi sembra piuttosto temerario, l'averlo trasformato in una graziosa abitazione per tre vecchie zitelle.»
Rhoda protestò con calore. «Oh, non mi è mai passato per la mente di considerarle tali. Sybil Stamfordis, forse... con i suoi sari e le sue collane e la mania di vedere sempre una aureola attorno alla testa della gente... è un po' ridicola. Ma in Thyrza c'è qualcosa che incute insieme timore e rispetto, non vi pare? Si ha la sensazione che sappia esattamente ciò che stiamo pensando. Lei non dice di essere dotata di chiaroveggenza... ma tutti sanno che lo è.»
«Quanto a Bella, ben lungi dall'essere una vecchia zitella, ha già sepolto due mariti» aggiunse il colonnello Despard.
«Le chiedo umilmente perdono» disse Venables, ridendo.
«E pare che la morte dei due sventurati sia stata interpretata in maniera piuttosto macabra dai vicini di casa» spiegò il colonnello Despard. «Si dice che i due l'avessero fatta irritare e che perciò, colpiti dal suo sguardo, abbiano cominciato lentamente a languire e si siano spenti!»
«Già, dimenticavo: lei è la strega del villaggio no?»
«Così dice la signora Calthrop.»
«Cosa interessante, la stregoneria» osservò gravemente Venables. «In tutto il mondo, si trovano variazioni sul tema... Ricordo quando mi trovavo in Africa Orientale...»
Il nostro ospite parlò in modo disinvolto e divertente sull'argomento. Ci parlò degli stregoni africani, di culti quasi sconosciuti del Borneo. Ci promise che, dopo colazione, ci avrebbe mostrato alcune maschere di stregoni dell'Africa Occidentale.
«C'è tutto, in questa casa» commentò Rhoda ridendo.
Venables scosse le spalle. «Oh, be'... quando non si può andare in giro per procurarsi tutto ciò che si vuole, si fa in modo che tutto ciò che si vuole venga a noi.»
Solo per un momento, ci fu un'improvvisa nota d'amarezza, nella sua voce. Venables abbassò fugacemente lo sguardo sulle sue gambe paraliz-zate. «Ci sono tante cose, al mondo, che vorrei conoscere, vedere! Ma, in fondo, ho fatto abbastanza quando potevo. E anche ora, la vita mi dà parecchie consolazioni.»
«Ma perché qui?» chiese improvvisamente la signora Oliver. «Voglio dire, perché è venuto a stabilirsi qui? Così lontano dal movimento, dalla vita attiva. Forse perché aveva degli amici, nelle vicinanze?»
«No. Ho scelto questa parte del mondo perché qui non avevo nessun amico» rispose Venables, mentre un lieve sorriso ironico gli sfiorava le labbra.
Fino a che punto, mi domandai, la sua invalidità lo aveva colpito mo-ralmente? La perdita del movimento, della libertà di esplorare il mondo, lo aveva ferito nell'anima? O lui si era adattato alle nuove circostanze con a-deguata rassegnazione... con vera grandezza d'animo?
Come se avesse letto nei miei pensieri, Venables mi disse: «Nel suo articolo, discuteva sul significato della parola grandezza, paragonava i diversi significati coi quali viene usata, nell'Est e nell'Ovest. Ma che cosa intendiamo dire, al giorno d'oggi, qui in Inghilterra, quando diciamo un grand'uomo?».
«Altezza d'intelletto e forza morale» risposi.
Lui mi guardò con una luce viva e brillante negli occhi. «Allora, un uo-mo cattivo non può essere definito grande?»
«Oh, sì!» gridò Rhoda. «Prendete Napoleone, Hitler e tanti altri. Furono tutti grandi uomini.»
«Per quello che fecero?» chiese Despard. «Ma se uno li avesse conosciuti personalmente, non credo che ne sarebbe rimasto molto impressionato.»
Ginger si piegò leggermente in avanti, passandosi le dita nei folti capelli color carota. «È un'osservazione interessante. Non è possibile che quegli stessi uomini fossero di aspetto timido, di corporatura più piccola del normale? Che si mettessero in posa, che assumessero atteggiamenti solenni, sentendosi inferiori, decisi a essere qualcuno, anche a costo di sconvolgere il mondo che li circondava?»
Rhoda ribatté con calore: «Oh, no! Non avrebbero dato i risultati che hanno dato, se fossero stati così».
«Non so. Dopotutto, anche il bambino più stupido sa dar fuoco a una ca-sa con la massima facilità» intervenne la signora Oliver.
«Veramente, io non sono d'accordo con questo sistema moderno d'igno-rare il male come se fosse qualcosa che non esiste realmente. Il male c'è.
Ed è più potente del bene. Il male esiste: bisogna riconoscerlo e combatter-lo. Altrimenti, si piomba nel buio» osservò Venables.
«Anch'io, naturalmente, sono stata allevata con una chiara concezione del male» ribatté la signora Oliver, in tono di scusa. «Ho sempre creduto nel diavolo. Ma, sapete, mi è sempre parso tanto sciocco. Con quelle un-ghie, le corna, la coda, e quel suo saltellare qua e là come un pagliaccio.
Naturalmente, metto spesso un criminale diabolico nei miei romanzi: alla gente piace. Ma vi assicuro che la cosa mi diventa sempre più difficile.
Finché non ne svelo l'identità, riesco a farne una figura abbastanza impressionante, ma quando tutta la verità viene a galla, il personaggio crolla, delude, non corrisponde all'idea che i lettori si sono fatti di lui. È molto più facile descrivere semplicemente un direttore di banca che ha sottratto una grossa somma, o un marito che vuol disfarsi della moglie per sposare la governante dei bambini. È tanto più naturale... se capite che cosa voglio dire.»
Tutti risero e la signora Oliver cercò di scusarsi: «So che non mi sono espressa molto bene... ma voi capite quello che intendo dire, vero?».
Rispondemmo tutti che la capivamo perfettamente.