Giuseppe Bolsano era un ometto magro, di mezza età, con un viso intelligente che aveva qualcosa di scimmiesco. Era un po' nervoso, ma composto. Parlava l'inglese correntemente, poiché, come spiegò, si era stabilito in Inghilterra a sedici anni e aveva sposato un'inglese.

Kemp lo trattò bonariamente.

«E dunque, Giuseppe, sentiamo un po' se vi è venuto in mente qualcosa riguardo all'accadute.»

«Per me è una brutta faccenda» dichiarò il cameriere. «Ero io che servivo quella tavola, io che versavo il vino. La gente dirà che sono diventato matto e che ho messo del veleno nelle coppe. Non è vero, ma se comincia a girare la voce... Il signor Goldstein mi ha già detto che sarà bene che mi prenda una settimana di vacanza per evitare che i clienti mi interroghino o mi segnino a dito. È un uomo giusto e sa che non è colpa mia. Sono alle sue dipendenze da anni e anni e non mi licenzia come farebbe qualche altro proprietario di ristorante. Anche il signor Charles è stato gentile, ma per me, ripeto, è una gran brutta faccenda. E mi preoccupa, anche. Ho forse qualche nemico, mi domando?»

«Ebbene, avete qualche nemico?» chiese imperturbabilmente Kemp.

Il viso malinconico del cameriere si illuminò d'un sorriso. Giuseppe allargò le braccia.

«Non ho mai avuto un nemico al mondo. Molti amici, ma niente nemici.»

«Bene, veniamo a ieri sera» fece Kemp. «Ditemi tutto quel che sapete riguardo allo champagne.»

«Era Clicquot 1928... ottimo e costoso. Il signor Barton era così... gli piaceva la roba buona e non badava a spese.»

«Aveva ordinato i vini in precedenza?»

«Sì, si era accordato con Charles su tutti i particolari.»

«E quel posto vuoto a tavola?»

«Anche per quello aveva dato disposizioni. Ne aveva parlato a Charles che lo ha detto a me. Più tardi, nella serata, sarebbe stato occupato da una signorina.»

«Da una signorina?» Race e Kemp si guardarono. «Sapete chi fosse la signorina?»

Giuseppe scosse il capo.

«Non ne so nulla. Il signor Barton ha detto soltanto che sarebbe venuta tardi.»

«Ritorniamo al vino. Quante bottiglie?»

«Due bottiglie e una terza da tenersi pronta in caso di necessità. La prima bottiglia è finita subito. La seconda l'ho aperta poco prima dello spettacolo. Ho riempito le coppe poi l'ho rimessa nel secchiello del ghiaccio.»

«Quando avete visto per l'ultima volta il signor Barton che beveva dalla propria coppa?»

«Un momento... ah, ecco, è stato dopo la fine dello spettacolo. Tutti hanno bevuto alla salute della signorina. Se non mi sbaglio era il suo compleanno. Poi sono andati a ballare. Al ritorno il signor Barton ha bevuto e un istante dopo era morto.»

«Avevate riempito le coppe mentre quei signori ballavano?»

«Nossignore. Erano piene quando c'è stato il brindisi per la signorina e tutti hanno bevuto soltanto un sorso.»

«Nessuno, proprio nessuno, si è avvicinato alla tavola mentre ballavano?»

«Nessuno, signore. Ne sono sicuro.»

«Sono andati a ballare tutti simultaneamente?»

«Sì.»

«E sono tornati tutti assieme?»

Giuseppe corrugò la fronte in uno sforzo di memoria.

«Il signor Barton è tornato alla tavola per primo, assieme alla signorina. Era un po' grasso e non ballava a lungo. Poi è ritornato quel signore biondo, il signor Farraday, con l'altra signorina in nero. Lady Sandra Farraday e quel giovanotto bruno sono ritornati per ultimi.»

«Conoscete bene i signori Farraday?»

«Sissignore. Li vedo spesso al Luxembourg. Sono persone molto distinte.»

«Ora, Giuseppe, avreste visto se qualcuno di quei signori avesse messo qualcosa nella coppa del signor Barton?»

«Non è detto, signor ispettore. Dovevo badare al mio servizio. Avevo le altre due tavole dell'alcova e due ancora nel salone. Soltanto dopo lo spettacolo, quando quasi tutti erano intenti a ballare, io sono rimasto in ozio e posso dire con sicurezza che in quel momento nessuno si è avvicinato alla tavola. Ma non appena i miei clienti sono tornati ai loro posti, ho avuto di nuovo il mio daffare.»

Kemp fece un cenno di assenso e Giuseppe aggiunse:

«In ogni modo penso che sarebbe stato difficile per una persona avvicinarsi a quella tavola e mettere del veleno nella coppa senza essere osservata. Mi pare che soltanto il signor Barton abbia potuto farlo, ma forse voi non la pensate così.»

«Ah, è questa la vostra idea?» fece il funzionario.

«Intendiamoci, io non so nulla, è soltanto un'ipotesi. Un anno fa la bella signora Barton si è uccisa. Potrebbe anche darsi che il signor Barton fosse così addolorato da decidere di ammazzarsi nello stesso modo. Sarebbe una cosa poetica. Poco piacevole per il ristorante, s'intende... ma un uomo che ha intenzione di uccidersi, non pensa a queste cose.»

Guardò i due uomini con fare interrogativo. Kemp scosse il capo.

«Non credo che la faccenda sia tanto semplice» disse.

Rivolse ancora qualche domanda a Giuseppe, poi lo congedò.

Mentre la porta si chiudeva alle spalle del cameriere, Race disse:

«Mi domando se sia questa la tesi che nelle intenzioni e nelle speranze del colpevole dovrebbe prevalere.»

«La tesi del marito disperato che si uccide il giorno della morte della moglie? Non che fosse proprio l'anniversario, ma ci mancava poco.»

«Era il giorno dei morti» mormorò Race.

«Già, può darsi che questa sia stata l'idea del colpevole, ma in tal caso ignorava l'esistenza di quelle lettere e non sapeva che Barton aveva consultato voi e le aveva mostrate a Iris Marie.»

Il funzionario guardò l'orologio.

«Sono aspettato a palazzo Kidderminster alle dodici e mezzo. Abbiamo tempo per fare una visita alle persone che erano alle altre due tavole dell'alcova... o a qualcuna di loro, per lo meno. Volete venire con me, colonnello?»

Giorno dei morti
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