Capitolo 49

Francis

La funzione non stava dando a Francis la pace che sperava. Era la prima volta che si trovava di fronte a una persona così profondamente cattiva. Certo, conoscere e comprendere la mente di un assassino era il fulcro del suo lavoro, era così sin da quando si era arruolato. Ma stavolta era diverso. Era una questione personale, dato che era il responsabile del caso e non aveva mai visto un simile livello di depravazione. La repulsione che aveva provato di fronte all’orrore della fattoria Stone Acre e al sorrisino di Sam Kirby a fine interrogatorio lo aveva fatto sentire sporco.

Come al solito la chiesa di St Catherine lo aveva tranquillizzato, ma nessuna preghiera quella sera gli arrivò al cuore. Le letture non riuscivano a placare del tutto l’angoscia, e non trovava più conforto neanche nella voce altisonante di padre William. Come poteva esistere un male così profondo? Una domanda che l’umanità si poneva da secoli, e alla quale Dio non aveva mai risposto.

I suoi pensieri vagarono fino a posarsi sulla sua famiglia. Sua madre non se l’era mai presa per le sue lunghe assenze, sapeva che il lavoro spesso gli impediva di andare a trovarla; Robin invece non si era mai fatta problemi a dirgli chiaro e tondo come la pensava. Ovviamente Francis si sentiva in colpa – non faceva neanche la metà del suo dovere nei loro confronti. Aveva portato Robin dalla madre quella sera, proprio prima di andare a messa, e non era andata bene. La madre, quasi completamente cieca e costretta sulla sedia a rotelle, aveva pianto per tutto il tempo. Voleva sapere se avessero notizie del padre, e ovviamente la risposta era no. Se n’era andato da anni ormai, ma rimaneva sempre al centro dei suoi pensieri. Una sofferenza che faceva male.

Robin lo aveva sgridato perché non andava a trovarla abbastanza spesso, ma alla fine di ogni singola visita, quando lasciava sua madre da sola nel suo mondo privato, chiusa in una stanza solitaria, Francis stava malissimo. Quel pomeriggio non aveva fatto eccezione. L’interesse della madre per il mondo esterno era diminuito e Robin mascherava la paura che un simile futuro aspettasse anche lei dietro un velo di brusca irritabilità. Quando Francis l’aveva baciata per salutarla, la guancia di sua madre era bagnata di lacrime. Il futuro non aveva più nulla in serbo per lei.

Chiuse gli occhi e abbassò il capo. Padre William stava recitando la preghiera finale, Corinzi 2, 13. Francis si mosse sulla panca, dispiaciuto che la messa fosse già finita.

Mentre i pochi fedeli uscivano dalla chiesa in fila indiana, Francis restò seduto a contemplare gli angeli alle spalle del crocifisso. La chiesa era piombata nel silenzio, fatta eccezione per il rumore attutito dei passi. L’organista non suonava di sera. Si piegò in avanti e si prese la testa tra le mani, pregando in silenzio per Robin e per sua madre, e per avere la forza di cui aveva bisogno per svolgere bene il suo lavoro. Chiese perdono per tutte le volte in cui era caduto preda di distrazioni e falsità. Padre William gli strinse una spalla mentre tornava verso l’altare.

Non era affatto il momento adatto per ricevere una telefonata. E così, ovviamente, il suo telefono squillò. Padre William si voltò di scatto con uno sguardo di silenzioso rimprovero. Francis lo spense all’istante, ma fece comunque in tempo a leggere il nome sullo schermo. Thierry Mullins. E che voleva? Minacciarlo di nuovo? Si rimise il telefono in tasca, continuando a pregare.

Mezz’ora più tardi, quando uscì dalla chiesa, il cielo era coperto e faceva molto più freddo rispetto a quando era entrato. St Catherine era in cima a una collina, il sagrato scendeva verso Dyke Road e, poco più in là, North Street. Adesso che l’ansia si era un po’ attenuata, Francis si incamminò sul marciapiede consumato superando l’arco in pietra che portava a Wykeham Terrace. Raggiunse la porta dell’enorme casa vittoriana di suo padre. Aveva sempre amato quel posto, anche se da bambino ci era stato poco. La facciata bianca e grigia e le mura merlate ne facevano un vero e proprio castello ai suoi occhi di fanciullo. Suo padre l’aveva abbandonata più di dieci anni prima, perciò gli era sembrata una buona idea trasferirsi lì quando aveva sentito il desiderio di avere un posto tutto per sé – certo, come sistemazione temporanea. Ma erano passati tre anni e non aveva mai cercato un’alternativa.

Prese il telefono e lo riaccese. Stava pensando a cosa preparare per cena, quando un messaggio comparve sullo schermo.

 

Marni è scomparsa. Chiamami.

 

Era da parte di Thierry. Lo aveva inviato due minuti dopo averlo chiamato in chiesa. Ne arrivò un altro.

 

Chiamami. È una cosa seria.

 

E poi altri due, più o meno identici.

Francis premette subito il tasto “Chiama”.

«Grazie a Dio», rispose Thierry all’istante. «È uscita dall’ospedale di testa sua ed è andata allo studio. Stavo venendo a prenderla ma qui non c’è».

«Magari si è stancata di aspettarti e se n’è andata a piedi, no?», disse Francis. Cercò di non far trasparire l’ansia nella sua voce.

Non è finita…

«Non risponde al telefono. E non ha dovuto aspettare molto, io ci ho messo solo dieci minuti. Ho controllato la strada in lungo e in largo, non si vede da nessuna parte. Non ha avuto il tempo di arrivare a casa, e poi perché mai avrebbe dovuto farsela a piedi se sapeva che la stavo venendo a prendere?»

«E che è successo secondo te?»

«Come faccio a saperlo?», rispose Thierry in tono agitato. «Ti prego, date l’allarme, cercatela».

«Non mi stai dicendo tutto, non è vero?». C’era qualcosa nella voce di Thierry… Sapeva di più di quello che gli aveva raccontato.

«Non credo che c’entri qualcosa, ma te lo dico lo stesso. In questo periodo dovrebbero rilasciare il mio fratello gemello, Paul. Fra loro non corre buon sangue».

«Tuo fratello, cioè l’uomo che Marni ha accoltellato, giusto?»

«Ti ha raccontato cosa è successo?»

«Solo qualcosa. Quindi credi che tuo fratello possa venire qui? Per fare cosa?»

«No, io… Non lo so. Voglio solo sapere che è al sicuro».

«Vediamoci allo studio».

 

Dieci minuti più tardi Francis parcheggiò a Gardner Street, infischiandosene del divieto di sosta. Thierry lo aspettava già dentro.

«La porta era aperta?», chiese Francis fiondandosi dentro.

Thierry fece di no con la testa. «Ho la chiave. Lavoravo qui di tanto in tanto».

«Qualche indizio su dove possa essere andata?»

«Zero».

Francis andò sul retro. «Deve essersi trattenuta un bel po’: ha pulito tutto il casino di ieri».

«Se n’è andata dall’ospedale alle cinque, più o meno».

Francis controllò l’orologio. Quasi le sette e mezza.

«Quando ci hai parlato per l’ultima volta?»

«Intorno alle sette. Ero andato all’ospedale e invece lei era qui. Ma quando sono venuto a prenderla era sparita».

Non aveva senso. Il Ladro di Tatuaggi era dietro le sbarre. Marni in teoria non correva alcun pericolo. Francis voleva disperatamente credere che avesse semplicemente deciso di non aspettare Thierry. Ma allora perché non rispondeva al telefono?

«Tuo fratello Paul è ancora in Francia? In prigione?»

«Per quanto ne so, sì».

«Non hai modo di esserne sicuro?»

«Mia madre lo saprà di sicuro».

Thierry compose alla svelta un numero e iniziò a parlare velocemente in francese. Quando riagganciò, il suo volto era decisamente più rilassato.

«Paul è ancora in prigione. Gli daranno la condizionale, ma è ancora dentro. Così dice mia madre».

Quindi Paul non c’entrava nulla. Ma questo non li aiutava affatto: Marni era ancora scomparsa. Francis aveva paura. C’erano molte possibilità diverse. Tirò fuori il cellulare.

«Rory, dirama un annuncio per una persona scomparsa: Marni Mullins. Sparita dallo studio di Gardner Street intorno alle sette». Rimase in ascolto per qualche secondo, aggrottando la fronte. «Sì, penso che possa essere in pericolo. Ora vai».

Non è finita…