Capitolo 33
Francis
Bradshaw che si presentava in centrale di domenica sera era un evento più unico che raro. Era la prova inconfutabile dell’ansia che lo stava divorando: il caso andava risolto. Bramava la gloria riflessa di un arresto tempestivo, mentre sapeva perfettamente che, di fronte a un fallimento, sarebbe stata la sua carriera a risentirne più di ogni altra. Con un po’ di riluttanza, Rory aveva confidato a Francis che il capo lo tormentava senza sosta: voleva che arrestasse qualche sospettato e poi trovasse le prove per incastrarlo.
«Ma non dovremmo cercare le prove, giungere a delle conclusioni e poi effettuare gli arresti?», rispose Francis. «Si è dimenticato tutto quello che ha imparato durante l’addestramento, forse?»
«Il problema è che le prove che abbiamo trovato finora non servono a nulla», commentò Rory sospirando. «Dicono solo qualcosa sul tipo di lama usata, ma zero piste».
Rory e Francis avevano concordato una tregua momentanea. Stavano bevendo tè e rimuginando sugli eventi delle ultime ventiquattro ore quando Bradshaw entrò nella stanza. Rimase sorpreso vedendo il nuovo responsabile del caso che fraternizzava con l’ispettore appena sollevato dall’incarico.
«Che ci fai qui, Sullivan? Non è più il tuo caso».
Rory si alzò in piedi per guardare il capo in faccia, dritto negli occhi.
«L’ho chiamato io. Non sta lavorando a nient’altro, e ho pensato che la sua conoscenza del caso potesse tornarmi utile per analizzare gli eventi della scorsa notte. Non ha senso voltare le spalle a una risorsa che potrebbe dare una mano».
Per fortuna, quella frase rammentò a Bradshaw il motivo per cui si era presentato in centrale di domenica sera. «Voglio un aggiornamento sugli ultimi avvenimenti, Mackay. Nel mio ufficio tra cinque minuti».
Dopo, Rory si rimise a sedere e scolò la sua tazza di tè.
«Ti rivoglio sul caso, Sullivan».
Francis alzò le spalle. «Devi convincere Bradshaw».
Rory strinse gli occhi in due fessure. «No. Noi dobbiamo convincere Bradshaw».
Francis bussò alla porta del capo ed entrò. Il cuore gli batteva a mille e l’adrenalina gli tendeva i nervi. Rory era dietro di lui.
Bradshaw stava leggendo un rapporto, non alzò neanche lo sguardo.
«Siediti, Rory», disse.
Francis simulò un colpo di tosse, il minimo indispensabile per segnalare la sua presenza.
«Che ci fai qui? Ho convocato Rory e non mi pare di aver richiesto la tua presenza, o sbaglio?»
«Deve riassegnarmi il caso».
Rory si girò di scatto, guardandolo furente. «Ma che diavolo…? Non intendevo questo».
«Sono l’ufficiale più alto in grado in questo dipartimento. Dovrei essere io il responsabile delle indagini». Francis si voltò verso Rory. «Mi rivuoi? Allora sarai tu a lavorare per me. Capito?».
Bradshaw provò a intervenire, ma Francis non gliene lasciò il tempo.
«Ieri notte siamo stati molto fortunati. Una coppia, tornando a casa dopo la chiusura del pub, ha disturbato il Ladro di Tatuaggi in azione. È scappato, è vero. Ma ci ha lasciato con un sopravvissuto e due testimoni. Non sprechiamo queste opportunità».
«Rory può benissimo occuparsene senza il tuo aiuto».
«La vittima dell’ultimo attacco è Dan Carter. Ha un tatuaggio full body fatto da un’artista italiana, Petra Danielli. Anche lei ha partecipato alla mostra della Saatchi Gallery, cosa che rafforza la mia teoria, ovvero che l’assassino sia alla ricerca dei lavori di una cerchia ristretta di tatuatori. La stessa teoria in cui non credevate né lei, signore, né Rory. Ora è arrivato il momento di ammettere che avevo ragione io».
Bradshaw spostava lo sguardo da Francis a Rory. «E va bene, Sullivan. Che cos’altro hai per me?»
«L’aggressore ha inciso i contorni del tatuaggio usando, secondo noi, un coltello a lama corta. Poi ha cambiato arma, e ha iniziato a scuoiare la spalla di Carter. I coltelli usati sono sicuramente simili a quelli riscontrati per le ferite di Evan Armstrong, anche se non abbiamo la possibilità di stabilire che siano esattamente gli stessi. Le modalità dei tagli suggeriscono che lo scopo fosse rimuovere l’intero body suit in due pezzi, uno per il fronte e uno per il retro. Finché poi non è stato interrotto».
«Body suit?»
«Un tipico tatuaggio giapponese che copre tutto il busto, le braccia e le gambe».
«Oh Gesù».
«Il signor Carter non ha saputo dirci molto, dato che è stato aggredito alle spalle e poi ha perso i sensi. Ma in un breve momento di lucidità ha visto una cosa. L’assassino indossava dei guanti di lattice bianchi e, attraverso di essi, Carter ha visto che aveva il dorso delle mani tatuate, un disegno rosso scuro, probabilmente rose».
«Quindi avete un elemento concreto per identificarlo».
«Seguendo il mio consiglio, Mackay ha incaricato Hollins e Hitchins di cercare foto di persone con tatuaggi simili. Domani faranno il giro dei tatuatori del posto, e chiederanno se qualcuno ricorda di aver fatto un lavoro simile a quello descritto da Carter. Sono sicuro, signore, che riusciremo a cavarne fuori qualcosa».
«Rory riuscirà a cavarne fuori qualcosa, Sullivan. E la coppia di ragazzi? Che hanno detto loro?»
«Si erano imboscati in un vicolo dei Lanes per avere un po’ di intimità. Non si può dire che si stessero guardando intorno con attenzione ma l’assassino probabilmente si è sentito minacciato e li ha superati di corsa per darsela a gambe. Allo stesso momento, hanno sentito dei gemiti provenienti dal fondo del vicolo e il ragazzo è andato a vedere. In pratica, hanno salvato la vita a Carter».
«E l’aggressore? Hanno visto qualcosa?»
«Non molto. Trasportava una borsa pesante – per poco la ragazza non finiva a terra, ci ha sbattuto contro – e indossava un cappello da baseball con la visiera tirata giù per nascondere il volto. Era più alto di me, intorno al metro e ottanta come minimo. Non l’hanno sentito parlare ed era troppo buio per notare il colore degli occhi o dei capelli». Francis alzò le spalle. «L’informazione che ci ha dato Carter è il punto focale: dovrebbe permetterci di fare un passo avanti».
Bradshaw intrecciò le dita sopra la scrivania. «E dunque credi che ti debba riassegnare il caso? Rory sta facendo un buon lavoro senza di te, e niente di ciò che hai appena detto cambia radicalmente le cose».
«Rory, tu sei pronto a fare un passo indietro?», chiese il capo senza perdersi in convenevoli.
«No, signore», rispose Rory. «Sono l’ufficiale con maggiore esperienza, dopo tutto».
«Decisione difficile», commentò Bradshaw.
Ovviamente intendeva che era difficile capire quale scelta si sarebbe rivelata più propizia alla sua carriera, piuttosto che alla soluzione del caso. Francis non sopportava quell’uomo.
Bradshaw andò di fronte alla finestra e guardò fuori, dando le spalle a entrambi.
«Rory rimarrà al comando. Tu prenditi il resto della settimana libera, Sullivan. Ti assegnerò a un altro incarico lunedì». Non riusciva neanche a guardarli negli occhi.
«Grazie signore», rispose Rory. «È la scelta giusta».
Piccolo verme viscido.
Francis, invece, non aveva nulla da dire.
«Ora che sappiamo quali sono gli obiettivi dell’assassino, dovremmo essere in grado di attirarlo allo scoperto», disse Rory.
«Quindi proponi di tendergli una trappola», commentò Francis, «usando un’ipotetica vittima come esca».
«Zitto, Sullivan».
«Ma l’etica ci proibisce di…».
Bradshaw lo fulminò con lo sguardo. Francis si chiese se non avesse esagerato. Di questo passo non avrebbe mai riottenuto il caso.
«Secondo te dovremmo basarci esclusivamente su un confuso ricordo di una mano oscurata, Sullivan?», chiese ironicamente Bradshaw.
«È ridicolo», commentò Rory.
Francis sentì nella tasca dei pantaloni l’inconfondibile vibrazione di una chiamata persa.
«È la pista migliore che abbiamo finora», rispose Francis.
«Mackay, fa’ ciò che ritieni più giusto e tienimi aggiornato».
«Sissignore».
Nella tasca di Francis il telefono vibrò di nuovo.
«E sono certo che Rose troverà un mucchio di prove, una volta finiti gli esami sul luogo dell’aggressione. Concentrati su quelle».
«Sissignore».
«Bene, Mackay, tu e la tua squadra avete ventiquattro ore per portarmi qualcosa di concreto. Non mandare tutto a puttane, sergente. Non concedo mai una seconda occasione».
«Non lo farò, signore».
«Sullivan, non voglio rivederti finché non ti avrò assegnato a un altro caso».
Appena usciti dall’ufficio di Bradshaw, Rory salì le scale a tutta velocità senza dire una parola. Troppo arrabbiato per parlargli, Francis rimase indietro e finalmente prese il telefono. Ricominciò a vibrare nelle sue mani, qualcuno aveva un disperato bisogno di parlargli.
C’erano diversi SMS. Tutti di Marni Mullins. Aprì il più recente e si ritrovò di fronte a una foto che occupava tutto lo schermo. Era una mano. Una mano tatuata.
E non era affatto una rosa.
Interno rosso scuro, linee rigide, contorni neri.
Gli ci vollero un paio di secondi per elaborare mentalmente l’immagine, ma poi lo vide. Era un cuore umano, anatomicamente perfetto. Praticamente pulsava. Ai lati colavano persino delle gocce di sangue scuro.
La mano dell’assassino?