XI

Non respiro.

Continuo a sentire la voce di mio padre nella testa. Dice che ho fatto un casino. Come al solito. Non faccio altro che combinare casini. Sempre la mossa sbagliata. E il Collezionista mi ripete le stesse cose adesso, con la voce di mio padre. Non può essere successo davvero. Non può succedere di nuovo.

Mi sforzo, ma non respiro.

La procedura. Devo tenere a mente la procedura. Per non impazzire. Rimarrò qui finché non riuscirò a elaborare un piano B. A capire cos’altro devo fare.

La procedura.

Ma quello che volevo è rovinato. È andato tutto a puttane.

Prendo un coltello pulito e lo passo velocemente contro il braccio. Il sangue inonda la fitta rete di cicatrici. È l’unico modo in cui riesco a calmarmi. Il dolore mi acquieta e la rabbia pian piano svanisce.

Fascio la ferita e mi preparo di nuovo per il lavoro.

La pelle che stringo fra le mani è dello scalpo con la ragnatela. È viscida in questa fase, leggermente gommosa, le mie dita scivolano sulla superficie mentre la ruoto per controllarla, centimetro dopo centimetro. Mi piace sentirla sotto i polpastrelli, soffice e malleabile, umida. Dovrei indossare dei guanti, l’ho appena tirata fuori da una tinozza piena di agenti chimici, dopo tutto. I peli e il grasso che vi erano attaccati si sono parzialmente dissolti e la puzza di rancido è mascherata dal solfuro di sodio e l’idrossido di sodio. Pagherò il prezzo di non aver indossato i guanti più tardi. Avrò le mani rosse e irritate, la pelle secca e squamata. Ma mi merito tutto il dolore.

Stanotte devo ripulire la pelle dai peli rimasti e rimuovere ogni traccia di grasso, così da prepararla per bene alla concia. Certo, gran parte della peluria è andata, ma c’è sempre qualche minuscolo peletto che rimane attaccato alla superficie durante la calcinazione. E io li tolgo con lo scudding, cioè grattando la pelle con una lama spuntata. È un’operazione delicata. Il rischio di graffiare o tagliare la pelle è grande, e l’intero pezzo verrebbe rovinato. La concentrazione è tutto. Non posso vacillare neanche per un istante. Ed è per questo che la procedura è così terapeutica per me. Nessun altro pensiero può interferire, ho tutto il tempo di calmarmi.

Cerco di perdermi nei movimenti, ma la mia mente non me lo permette.

Sento ancora la voce di quella donna. «È morto», continua a gridare. «È morto». Non era morto, non del tutto. In fondo alla via oscura, ho guardato la polizia e l’ambulanza che arrivavano di fretta. Li ho visti portarlo via con una maschera d’ossigeno, il sangue aveva macchiato i loro camici. Non è morto e per me potrebbe essere un bene o un male.

Cazzo! Cazzo! Cazzo!

Non sarebbe mai dovuto accadere. Maledetti ragazzi. Volevano soltanto trovare un angolo per scopare, in mezzo alla strada come animali. Completamente inebriati dal desiderio e dall’alcol. Puzzavano da far schifo.

Oh no! Quello lì sulla pelle è un graffio? Devo assolutamente concentrarmi sul mio lavoro o rovinerò tutto.

Non posso dire al Collezionista cosa è successo. Non ancora. So che dovrei. So che la notizia sarà su tutti i giornali: un nuovo attacco del Ladro di Tatuaggi è stato sventato. È così che mi chiamano sui giornali. Il Ladro di Tatuaggi. L’intera città vive nella paura. Temono il mio coltello. Ma ho quasi finito. Solo un altro paio di nomi sulla mia lista e tornerò di nuovo nell’oscurità, dopo aver lasciato il segno e aver dato al Collezionista ciò che il suo cuore desidera di più.

È una buona cosa che Dan Carter sia vivo, a conti fatti. Credo di poter dire con sicurezza che non ha nessuna informazione utile per la polizia. E una volta dimesso dall’ospedale, potrò avere una seconda possibilità con lui.

Dopo tutto, il suo nome è ancora sulla mia lista.