ARMSTID

 

 

 

Il tempo di dargli un altro sorso di whisky, con la cena che era quasi in tavola, e aveva bell'e comprato un paio di bestie da qualcuno, a credito. Faceva il difficile, adesso, diceva che quella pariglia non gli piaceva e che dal tal dei tali non avrebbe mai comprato nulla, neanche una stia per le galline.

«Potresti provare con Snopes» dico io. «Ce n'ha tre o quattro, di pariglie. C'è il caso che una ti vada bene».

Allora ha cominciato a biascicare qualcosa, guardandomi come se io fossi l'unico in tutta la contea che aveva una pariglia e non gliela volevo vendere, quando sapevo benissimo che novantanove su cento sarebbero state le mie bestie a levarmeli di torno. Solo che non so che cosa se ne sarebbero fatti di una pariglia. Littlejohn mi aveva detto che l'argine giù nel fondo di Haley se n'era andato per un paio di miglia, e che l'unico modo di arrivare a Jefferson era fare il giro da Mottson. Ma eran problemi di Anse.

«È uno duro da farci affari» dice, biascicando. Poi però quando dopo cena gli ho dato un altro sorso, ha ripreso un po' di buon umore. Voleva tornare alla tettoia a vegliarla. Magari secondo lui se restava laggiù pronto a ripartire, Babbo Natale magari gli portava un paio di muli. «Però mi sa che riesco a convincerlo» dice. «Uno l'aiuta sempre qualcuno che è alle strette, se dentro ha un goccio di sangue cristiano».

«Chiaro che potete sempre prendere i miei» ho detto io, sapendo quanto lui ci credesse che quella era la ragione.

«Ti ringrazio» ha detto lui. «Lei vorrà andare coi nostri» sapendo quanto io ci credessi che quella era la ragione.

Dopo cena Jewel ha preso il cavallo e è andato al Gomito per prendere Peabody. Avevo sentito dire che oggi doveva essere da Varner. Jewel è tornato che era quasi mezzanotte. Peabody era andato da qualche parte giù passato Inverness, ma Zio Billy è ritornato con lui, portandosi dietro la borsa delle medicine da cavallo. Come dice lui, un uomo non è poi tanto differente, tutto sommato, da un cavallo o da un mulo, a parte che un mulo o un cavallo ha un po' più di cervello. «Adesso cosa sei andato a combinare, ragazzo?» dice, guardando Cash. «Portatemi un materasso, una seggiola e un bicchiere di whisky».

Ha fatto bere il whisky a Cash, poi ha cacciato Anse dalla stanza. «Per fortuna era la stessa gamba che si è rotto l'altra estate» dice Anse, funereo, biascicando e sbattendo gli occhi. «È già qualcosa».

Abbiamo messo il materasso, a doppio, sopra le gambe di Cash, ci abbiamo sistemato sopra la seggiola e io e Jewel ci siamo seduti sulla seggiola, con la ragazza che teneva la lampada, poi Zio Billy ha addentato una presa di tabacco e si è messo al lavoro. Cash per un po' ha lottato e anche parecchio forte, finché è svenuto. Allora è rimasto lì steso, immobile, con dei goccioloni di sudore fermi sul viso come se avessero cominciato a rotolar giù e poi si fossero fermati a aspettarlo.

Quando è rinvenuto, Zio Billy aveva già messo via le sue cose e se n'era andato. Ha continuato a cercare di dire qualcosa finché la ragazza si è chinata e gli ha ripulito la bocca. «È per i suoi arnesi» ha detto.

«Li ho portati qui in casa» ha detto Darl. «Ce li ho qui».

Lui ha cercato un'altra volta di parlare; la ragazza si è chinata. «Vuole vederli» ha detto. Allora Darl è andato a prenderli e li ha messi dove lui poteva vederli. Glieli hanno messi accanto, sotto il letto, così quando si sentiva meglio poteva allungare la mano e toccarli. La mattina dopo Anse ha preso quel cavallo e se n'è andato. Mi sa che era la prima volta che Jewel lasciava qualcuno cavalcare quel cavallo, e finché Anse non è tornato lui è rimasto lì a aspettare con quell'aria tutta gonfia di superbia, gli occhi fissi sulla strada come se avesse una mezza intenzione di andar dietro a Anse per riprendersi il cavallo.

Poi verso le nove ha cominciato a far caldo. È stato allora che ho visto il primo avvoltoio. Per via di tutta quell'acqua, mi sa. Comunque è stato solo a metà mattina che li ho visti. Fortuna che la brezza non tirava in direzione della casa, perciò è stato solo a mattinata inoltrata. Ma appena li ho visti è stato come se soltanto a vederli lo potessi fiutare a un miglio di distanza giù nel campo, con quelli che giravano lassù per aria così che tutta la contea sapeva che cosa c'era nel mio fienile.

Ero ancora a un buon mezzo miglio da casa quando ho sentito quel bambino che gridava. Ho pensato che magari era cascato nel pozzo o qualcosa del genere, sicché ci ho dato con la frusta e sono arrivato di corsa al fienile.

Ce ne saranno stati una dozzina appollaiati lassù sulla trave di colmo del fienile, con quel bambino che ne rincorreva un altro per lo spiazzo neanche fosse stato un tacchino, e quello che si sollevava quel tanto da schivarlo e tornarsene tutto sgangherato in cima alla tettoia dove lui l'aveva trovato appollaiato sulla bara. Ormai faceva davvero un gran caldo, e la brezza era calata o girata o quel che era, sicché sono andato a cercare Jewel, ma è venuta fuori Lula.

«Devi farci qualcosa» ha detto. «È una vergogna».

«È quello che voglio fare» ho detto io.

«È una vergogna» ha detto lei. «Dovrebbero metterlo dentro, per come la tratta».

«La sotterra appena può» ho detto io. Poi ho trovato Jewel e gli ho domandato se non voleva prendere uno dei muli e andare al Gomito a vedere di Anse. Lui non ha detto nulla. Mi ha solo guardato con quelle mascelle che gli si sbiancavano e quegli occhi che ha, bianchi anche quelli come delle ossa, e ha cominciato a chiamare Darl.

«Cos'hai intenzione di fare?» ho detto.

Lui nulla. È venuto fuori Darl. «Vieni» ha detto Jewel.

«Cosa vuoi fare?» ha detto Darl.

«Andare a spostare il carro» ha detto Jewel da sopra la spalla.

«Non fare lo scemo» ho detto io. «Non è questo che volevo dire. Non è colpa vostra». E anche Darl si tirava indietro, ma a Jewel non andava bene niente.

«Chiudi quel maledetto becco» dice.

«Da qualche parte bisogna pure che stia» ha detto Darl. «Lo leviamo appena torna Pa'».

«Allora non m'aiuti?» dice Jewel, con quei suoi occhi bianchi che sembravano di fuoco e il viso che gli tremava come avesse la malaria.

«No» ha detto Darl. «Non t'aiuto. Aspetta che torni Pa'».

Sicché son rimasto lì sulla porta a guardarlo che spingeva e tirava quel carro. Era in pendenza, e a un certo punto ho pensato che volesse sfondare la parete di fondo della tettoia. Poi è suonata la campana del mangiare. L'ho chiamato, ma lui non s'è voltato. «Vieni a mangiare» ho detto. «Dillo a quel bambino». Ma lui nulla, sicché sono andato a mangiare. La ragazza è andata giù a prendere quel bambino, ma è tornata senza. Non eravamo neanche a metà che l'abbiamo sentito che ricominciava a gridare, sempre a rincorrere quell'avvoltoio.

«È una vergogna» ha detto Lula. «Una vergogna».

«Fa quello che può» ho detto io. «Uno non contratta con Snopes in mezz'ora. Se ne staranno là all'ombra a discutere per tutto il pomeriggio».

«Fa?» dice lei. «Fa? Ha già fatto anche troppo».

E mi sa anche a me di sì. Il guaio è che se smetteva lui, era a noi che toccava di fare. Non sarebbe mai riuscito a comprare una pariglia da nessuno, figuriamoci da Snopes, senza avere qualcosa da ipotecare che ancora non sapeva se riusciva a ipotecarlo. Sicché quando son tornato giù nel campo ho guardato i miei muli e è come se gli avessi detto addio per un bel pezzo. E la sera quando son tornato su, col sole che aveva battuto tutto il giorno su quella tettoia, non ero neanche tanto sicuro che mi sarebbe dispiaciuto.

Arriva a cavallo proprio mentre io uscivo sul portico, dove c'erano tutti. Aveva un che di strano: con un'aria più contrita del solito, e allo stesso tempo quasi orgogliosa. Come se avesse fatto qualcosa che secondo lui era una furberia ma non era poi tanto sicuro di come l'avrebbero presa gli altri.

«Ho trovato una pariglia» ha detto.

«Hai comprato una pariglia da Snopes?» ho detto io.

«Mi sa che non c'è solo Snopes, da queste parti, che sa fare un affare» ha detto lui.

«Sicuro» ho detto io. Stava guardando Jewel con quell'aria strana, ma Jewel era sceso dal portico e stava andando verso il cavallo. Per vedere che cosa gli aveva fatto Anse, mi sa.

«Jewel» dice Anse. Jewel si è voltato. «Vieni qui» dice Anse. Jewel torna un po' indietro e si ferma un'altra volta.

«Cosa vuoi?» ha detto.

«Sicché hai preso una pariglia da Snopes» ho detto io. «Te la farà avere stasera, mi sa. Sarà bene che partite presto, domattina, visto che dovete fare il giro da Mottson».

Allora ha smesso con quell'aria che aveva prima e ha fatto quell'aria afflitta che ha sempre, biascicando e borbottando.

«Io faccio il meglio che posso» ha detto. «Quant'è vero Iddio, ci sarà mai stato uno al mondo che ha patito i tormenti e le indegnità che ho patito io».

«Uno che ha appena fregato Snopes in un baratto dovrebbe sentirsi parecchio allegro» ho detto io. «Cosa gli hai dato, Anse?».

Lui non mi ha guardato. «Gli ho dato un'ipoteca sul mio coltivatore e la sgranatrice» ha detto.

«Ma non arrivano neanche a quaranta dollari. Quanta strada pensi di fare con una pariglia da quaranta dollari?».

Adesso tutti lo stavano guardando fisso, in silenzio. Jewel era fermo, là a metà strada, che aspettava di tornare verso il cavallo. «Ho dato delle altre cose» ha detto Anse. Ha ricominciato a biascicare, lì fermo come se stesse aspettando che qualcuno gli desse una botta in testa, con lui che aveva già deciso che se la sarebbe presa e tenuta senza fiatare.

«Quali altre cose?» ha detto Darl.

«Al diavolo» ho detto io. «Prendete i miei muli. Poi me li riportate. In qualche modo mi arrangio».

«Ecco cosa facevi stanotte intorno ai vestiti di Cash» ha detto Darl. L'ha detto così, come se lo stesse leggendo sul giornale. Come se non gliene importasse un accidente in una maniera o nell'altra. Adesso Jewel era tornato fin lì e si era piantato davanti a Anse, guardandolo con quegli occhi che sembrano delle palline di vetro. «Con quei soldi, Cash ci voleva comprare quella macchina che parla che vende Suratt» ha detto Darl.

Anse se ne stava lì fermo a biascicare. Jewel lo fissava. Sempre senza battere le palpebre.

«Ma sono solo otto dollari» ha detto Darl, con quel tono come se stesse solo ascoltando e per quanto lo riguardava non gliene importava un accidente. «Anche così, una pariglia non ci si compra».

Anse ha guardato Jewel, rapido, come facendo strisciare gli occhi in quella direzione, poi ha guardato di nuovo per terra. «Lo sa Iddio se c'è mai stato uno» dice. Ancora non avevano detto nulla. Lo guardavano e basta, aspettando, e lui che faceva strisciare gli occhi verso i loro piedi e su per le gambe, ma non più su di quello. «E il cavallo» ha detto.

«Quale cavallo?» ha detto Jewel. Anse se ne stava lì fermo e basta. Che mi venga un accidente, ma se uno non è capace di tener sotto controllo il suo figliolo, allora dovrebbe cacciarli di casa, anche se sono grandi e grossi. E se non riesce a cacciarli di casa, che mi venga un accidente se non dovrebbe pigliare e andarsene lui. Mi venga un accidente se non è quello che farei io. «Vuoi dire, hai cercato di barattare il mio cavallo?» dice Jewel.

Anse se ne sta lì, le braccia ciondoloni. «È da quindici anni che non ho un dente in bocca» dice. «Lo sa Iddio. Lui lo sa: sono quindici anni che non mangio il cibo che Lui ha inteso che l'uomo mangi per tenersi in forze, e io a mettere da parte cinque centesimi di qua e cinque centesimi di là perché la mia famiglia non ne abbia a soffrire, per comprarmi quei denti da poterci mangiare il cibo che Dio comanda. Anche quei soldi, ho dato. Pensavo che se io potevo fare a meno di mangiare, i miei figli potevano fare a meno di andare a cavallo. Dio m'è testimone».

Jewel se ne sta lì con le mani sui fianchi, a fissare Anse. Poi guarda via. Si è messo a guardare verso il campo, il viso immobile come una pietra, come se fosse stato qualcun altro che parlava del cavallo di qualcun altro ancora, e lui neanche stava a sentire. Poi ha sputato, lento, ha detto «All'inferno» e si è girato e se ne è andato al cancello, ha slegato il cavallo e è montato. Quello era già in movimento mentre lui saliva, e quando si è messo in sella erano già in fondo alla strada che correvano come se avessero avuto la polizia alle calcagna. Sono spariti così, che fra tutti e due sembravano una specie di ciclone pezzato.

«Be'» dico io. «Prendete la mia pariglia» ho detto. Ma lui nulla. E neanche volevano restare, e quel bambino tutto il giorno a dar dietro a quegli avvoltoi sotto il sole che bruciava finché era mezzo ammattito come loro. «Almeno lasciate qui Cash» ho detto. Ma neanche quello. Gli hanno fatto un pagliericcio sopra la bara con delle trapunte, ce l'hanno steso sopra, gli hanno messo accanto i suoi arnesi, poi abbiamo attaccato i miei muli e abbiamo tirato il carro circa un miglio giù per la strada.

«Se qui vi diamo noia,» dice Anse «basta che tu ce lo dica».

«Certo» ho detto io. «Qui va bene. E sicuro, poi. Ora torniamo a casa e ceniamo».

«Ti ringrazio» ha detto Anse. «Abbiamo qualcosa nel cestino. Ci arrangiamo».

«Dove l'avete preso?» ho detto io.

«Ce lo siamo portati da casa».

«Ma a quest'ora sarà rancido» ho detto io. «Venite a prendere qualcosa di caldo».

Ma loro nulla. «Mi sa che ci arrangiamo» ha detto Anse. Sicché sono andato a casa, ho mangiato, gli ho portato un cestino e ho provato a farli tornare da noi.

«Ti ringrazio» ha detto lui. «Mi sa che ci arrangiamo». Sicché li ho lasciati lì, accovacciati intorno a un focherello, a aspettare; Dio solo sa che cosa.

Son tornato a casa. Continuavo a pensare a quelli laggiù, e all'altro che se n'era scappato via sul suo cavallo. E che quella sarebbe stata l'ultima volta che lo vedevano. E mi venga un accidente se potevo dargli torto. Non di non voler rinunciare al suo cavallo, ma di liberarsi di quel maledetto idiota di Anse.

O meglio, questo è quello che pensavo in quel momento. Perché mi venga un accidente se non c'è qualcosa in quel maledetto disgraziato di Anse che sembra ti costringa a dargli una mano, anche se sai benissimo che di lì a un momento ti prenderesti a calci da solo. Perché la mattina dopo, più o meno un'ora dopo la colazione, Eustace Grimm, quello che lavora da Snopes, arriva con una pariglia di muli e cerca di Anse.

«Credevo che lui e Snopes non si fossero trovati d'accordo» ho detto io.

«Sicuro» ha detto Eustace. «L'unica cosa che gli andava era il cavallo. Come ho detto al signor Snopes, dava via questa pariglia per cinquanta dollari perché se il suo zio Flem si fosse tenuto quei cavalli del Texas quando erano suoi, Anse non avrebbe mai...».

«Il cavallo?» ho detto io. «Il ragazzo di Anse ieri sera ha preso quel cavallo e se l'è filata, probabile che ormai sia a metà strada tra qui e il Texas, e Anse...».

«Chi l'ha portato non lo so» ha detto Eustace. «Io non li ho visti. So solo che stamattina quando sono entrato nel fienile per governare ce l'ho trovato, e l'ho detto al signor Snopes e lui ha detto di portar qui la pariglia».

Be', non lo vedranno mai più, poco ma sicuro. Magari per Natale gli manderà una cartolina dal Texas, mi sa. E se non lo faceva Jewel, mi sa che lo facevo io; questo glielo devo, anch'io. Mi venga un accidente se Anse non riesce a incantarti, non so come. Mi venga un accidente se non è uno spettacolo da vedere.