ADDIE

 

 

 

Il pomeriggio quando la scuola era finita e anche l'ultimo se ne era andato tirando su col nasino sporco, invece di tornarmene a casa scendevo giù alla sorgente dove potevo starmene in silenzio a odiarli A quell'ora c'era silenzio, con l'acqua che sgorgava e se ne andava via, e il sole silenzioso negli alberi e il silenzio che odorava di terra fresca e di foglie umide che imputridivano; specialmente all'inizio della primavera, perché quella era la stagione peggiore.

Mi ricordavo di mio padre che diceva sempre che la ragione per cui si viveva era per prepararsi a restare morti tanto tempo. E quando dovevo averli davanti agli occhi giorno dopo giorno, ognuno col suo segreto, egoistico pensiero fisso, e il sangue estraneo l'uno a quello dell'altro e estraneo al mio, e pensavo che quello sembrava proprio l'unico modo per potermi preparare a restare morta, odiavo mio padre che mi aveva seminata. Non vedevo l'ora che facessero uno sbaglio, così potevo prenderli a frustate. Quando la verga si abbassava me la sentivo sulla mia carne; quando cadeva e lasciava il segno era il sangue mio che scorreva, e a ogni colpo della verga pensavo: Ora te ne accorgi, di me! Ora sono pur qualcosa nella tua vita segreta e egoistica, visto che ho marchiato per sempre il tuo sangue col mio.

E così mi presi Anse. Lo vidi passare davanti alla scuola tre o quattro volte prima di venire a sapere che col suo carro faceva quattro miglia in più per passare di lì. Poi mi accorsi che, alto e giovane com'era, già incominciava a stare curvo, tanto che lassù a cassetta aveva l'aria di un uccellaccio ingobbito per il freddo. Passava davanti alla scuola col carro che scricchiolava lento, la testa che si girava lenta a guardare la porta della scuola mentre il carro passava, giù fino alla curva, finché spariva. Un giorno mi feci sulla porta e rimasi lì mentre passava. Quando mi vide si voltò subito in là e non guardò più indietro.

L'inizio della primavera era la stagione peggiore. A volte ero convinta di non farcela a sopportarla, distesa a letto la notte, con le anatre selvatiche che andavano verso nord e il loro grido che veniva debole, alto e selvaggio nell'oscurità selvaggia, e durante il giorno mi sembrava che non ce l'avrei mai fatta a aspettare che anche l'ultimo si fosse levato di torno in modo da potermene andare giù alla sorgente. E così quel giorno quando alzai gli occhi e vidi Anse lì ritto con il vestito della domenica che si rigirava il cappello fra le mani, dissi:

«Se ha delle donne, in casa, com'è che non la mandano a farsi tagliare i capelli?».

«Non ce n'ho, di donne» disse lui. Poi d'un tratto, piantandomi gli occhi addosso come due cani da caccia nello spiazzo davanti a un fienile che non conoscono, disse: «È proprio di questo che son venuto a parlarle».

«E non le fanno tenere le spalle diritte» dissi io. «Davvero non ce n'ha? Una casa però ce l'ha. Mi dicono che ha una casa e una bella fattoria. E ci vive da solo, giusto?». Lui rimase lì a guardarmi, rigirandosi il cappello fra le mani. «Una casa nuova» dissi. «Ha intenzione di sposarsi?».

E lui ripetè, guardandomi fisso negli occhi: «È proprio di questo che son venuto a parlarle».

Dopo mi disse: «Famiglia non ne ho. Sicché questa non è una cosa di cui si deve preoccupare. Mi sa che lei non potrà dire la stessa cosa».

«No. La famiglia ce l'ho. A Jefferson».

Fece un po' la faccia lunga. «Be', io ho una piccola proprietà. Ho dei risparmi; ho il nome di uno onesto. So come è la gente che sta in paese, ma magari se mi parlano...».

«C'è anche il caso che la stiano a sentire» dissi io. «Ma parlargli sarà difficile». Lui mi guardava in viso. «Sono al cimitero».

«Ma i parenti vivi» disse lui. «Saranno differenti».

«Pensa?» dissi io. «Non saprei. Non ne ho mai avuti di altri».

Così mi presi Anse. E quando mi resi conto di avere Cash, mi resi conto che vivere era terribile e che quella era la risposta. Fu allora che capii che le parole non servono a nulla; che le parole non corrispondono mai neanche a quello che tentano di dire. Quando nacque mi resi conto che maternità era stata inventata da qualcuno che doveva trovarle una parola perché a chi i bambini li ha avuti non gli importava nulla se c'era una parola o no. Mi resi conto che paura era stata inventata da qualcuno che non aveva mai avuto paura; orgoglio, da qualcuno che di orgoglio non ne aveva mai avuto. Mi resi conto che così era stato, non che avessero il naso sporco, ma che avevamo dovuto usarci l'un l'altro con parole, appesi per la bocca come ragni a una trave, che oscillano e si attorcigliano senza toccarsi mai, e che solo attraverso le spinte del maschio il mio sangue e il loro potevano scorrere come un solo flusso. Mi resi conto che così era stato, non che il mio essere sola andava violato in continuazione tutti i giorni, ma che non era mai stato violato finché non era arrivato Cash. Neppure da Anse la notte.

Anche lui aveva una parola. Amore, lo chiamava. Ma era da un pezzo che avevo fatto l'abitudine alle parole. Sapevo benissimo che quella parola era come tutte le altre: semplicemente una forma per riempire un vuoto; che quando fosse venuto il momento, non ci sarebbe stato bisogno di una parola, per quello, più che per l'orgoglio o per la paura. Cash non aveva bisogno di dirla a me né io a lui, e dicevo: Che Anse la usi pure, se vuole. Così quello che era, era Anse o amore; amore o Anse: non aveva importanza.

Lo pensavo anche mentre giacevo con lui nell'oscurità, con Cash addormentato nella culla che bastava allungassi la mano. Pensavo che se si fosse svegliato e si fosse messo a piangere, me lo sarei attaccato al petto anche lui. Anse o amore: non aveva importanza. Il mio essere sola era stato violato e poi reso intero dalla violazione: il tempo, Anse, l'amore, quello che volete, fuori del cerchio.

Poi scoprii di avere Darl. Dapprima non ci volevo credere. Poi pensai che avrei ammazzato Anse. Era come se mi avesse ingannato, nascosto dentro una parola come dentro un paravento di carta, e attraverso quello mi avesse colpito alle spalle. Ma poi capii che ero stata ingannata da parole più antiche di Anse o di amore e che quella stessa parola aveva ingannato anche Anse, e che la mia vendetta sarebbe stata che lui non avrebbe mai saputo che mi stavo vendicando. E quando Darl nacque mi feci promettere da Anse che quando fossi morta mi avrebbe riportata a Jefferson, perché sapevo che mio padre aveva ragione, anche se non poteva sapere di aver ragione più di quanto potessi sapere io di aver torto.

«Sciocchezze» disse Anse. «Tu e io non abbiamo neppure rotto il terreno, con solo questi due».

Non sapeva di esser morto, a quel punto. Certe volte giacevo accanto a lui nell'oscurità, udendo la terra che adesso era del mio sangue e della mia carne, e pensavo: Anse. Perché Anse. Perché sei Anse. Pensavo al suo nome finché dopo un po' vedevo la parola come una forma, un recipiente, e guardavo lui che si liquefaceva e ci si versava dentro come della melassa fredda che usciva dall'oscurità e si versava nel recipiente, finché il vaso rimaneva pieno e immobile: una forma significativa profondamente priva di vita come il telaio vuoto di una porta; e poi mi accorgevo di aver dimenticato il nome del vaso. Pensavo: La forma del mio corpo dove una volta ero vergine ha la forma di un e non riuscivo a pensare Anse, non riuscivo a ricordare Anse. Non è che riuscissi a pensare a me stessa come non più non-vergine, perché adesso ero tre. E quando pensavo Cash e Darl a quel modo finché i loro nomi morivano e si solidificavano in una qualche forma e poi svanivano, dicevo: Va be'. Non importa. Non importa come li chiamano.

E così quando Cora Tull mi diceva che non ero una vera madre, pensavo a come le parole vanno su diritte in una linea sottile, rapida e innocua, e a come sia terribile che il fare proceda lungo la terra, rimanendoci aggrappato, così che dopo un po' le due linee sono troppo distanti perché la stessa persona possa passare da una all'altra; e che peccato, amore e paura, sono soltanto dei suoni che gente che non ha mai peccato né amato né avuto paura ha per quello che non ha mai avuto e non potrà avere fintanto che non si dimenticherà delle parole. Come Cora, che non ha mai saputo neanche cucinare.

Mi diceva quello che dovevo ai miei figli, a Anse e a Dio. A Anse ho dato i figli. Io non avevo mai chiesto di averli. Non gli avevo neanche mai chiesto quello che avrebbe potuto darmi: il non-Anse. Quello era il mio dovere verso di lui, di non chiederglielo, e quel dovere l'ho compiuto. Io ero io; lui, lo lasciavo essere la forma e l'eco della sua parola. Questo era più di quanto lui stesso chiedesse, perché non avrebbe potuto chiederlo e essere Anse, servendosi di sé con una parola.

E poi morì. Non sapeva di essere morto. Giacevo accanto a lui nell'oscurità, udendo la terra oscura che parlava del peccato di Dio; udendo l'amore e la Sua bellezza e il Suo peccato; udendo l'oscura assenza di voce nella quale le parole sono i fatti, e le altre parole che non sono fatti, che sono soltanto gli interstizi nei vuoti della gente, che scendevano giù come i gridi della anatre selvatiche che uscivano dalla selvaggia oscurità in quelle terribili notti di un tempo, cercando di afferrare i fatti come degli orfani ai quali vengano indicati due visi in una folla e venga detto: Quello è tuo padre, quella tua madre.

Credetti di averla trovata. Credetti che la ragione fosse il dovere verso i vivi, verso il terribile sangue, l'amaro flusso rosso che ribolle nella terra. Pensavo al peccato come pensavo ai vestiti che tutti e due indossavamo agli occhi del mondo, alla circospezione necessaria perché lui era lui e io ero io; tanto più assoluto e terribile, il peccato, in quanto lui era lo strumento istituito da Dio, che aveva creato il peccato, per benedire quel peccato che Egli aveva creato. Mentre lo aspettavo nel bosco, aspettandolo prima che mi vedesse, lo pensavo vestito nel peccato. Lo pensavo così come pensavo anche a me stessa vestita nel peccato, lui tanto più bello in quanto la veste che aveva barattato per il peccato era benedetta. Pensavo al peccato come a degli indumenti che ci saremmo tolti per dar forma al terribile sangue e forzarlo nell'eco della parola morta, sperduto in aria, lassù in alto. Poi di nuovo giacevo con Anse - non gli mentivo: semplicemente mi rifiutavo, proprio come avevo rifiutato il petto a Cash e a Darl quando avevano avuto l'età - udendo la terra oscura che parlava nella sua lingua senza voce.

Non nascosi nulla. Non cercai di ingannare nessuno. Non me ne sarebbe importato niente. Presi soltanto le precauzioni che lui riteneva necessarie per il suo bene, non per la mia sicurezza, ma esattamente come indossavo delle vesti agli occhi del mondo. E allora pensavo, quando Cora mi parlava, come col tempo le morte parole altisonanti sembravano perdere perfino il senso del loro suono morto.

Poi finì. Finì nel senso che lui se ne era andato, e io capii che per quanto potessi continuare a vederlo, non l'avrei mai più visto venire a me nel bosco, rapido e segreto, vestito nel peccato come in uno splendido indumento che già si apriva nella furia del suo venire segreto.

Ma per me non era finito. Voglio dire, finito nel senso di un inizio e di una conclusione, perché per me, ormai, non c'era nulla che potesse iniziare o potesse concludersi. Continuavo perfino a tenere Anse a distanza, non che lo respingessi, ma come se non ci fosse mai stato nient'altro. I miei figli appartenevano soltanto a me, al sangue selvaggio che ribolliva e scorreva sulla terra, a me e a tutto ciò che viveva; a nessuno e a tutto. Poi scoprii di avere Jewel. Quando mi svegliai e mi ricordai di scoprirlo, lui se ne era andato da due mesi.

Mio padre diceva che la ragione per cui si vive è per prepararsi a restare morti. Finalmente avevo capito quello che intendeva dire, e che neppure lui poteva sapere quello che intendeva dire perché uno, dopo, che ne sa di come mettere in ordine la propria casa. E così misi in ordine la mia casa. Con Jewel - giacqui lì con la lampada accanto, tenendo su la testa, guardandolo arrestare il flusso e suturare prima ancora che lui respirasse - il sangue selvaggio finì di bollire e cessò di risuonare. Poi ci fu solo il latte, caldo e tranquillo, e io che giacevo lì nel silenzio lento, preparandomi a mettere in ordine la mia casa.

Detti a Anse Dewey Dell per annullare Jewel. Poi gli detti Vardaman per rimpiazzare il figlio di cui l'avevo defraudato. E adesso lui ha tre figli che sono suoi e non miei. E allora potei prepararmi a morire.

Un giorno stavo parlando con Cora. Si mise a pregare per me perché credeva che fossi cieca al peccato, e voleva che anch'io m'inginocchiassi a pregare, perché la gente per cui il peccato è solo una questione di parole per loro anche la salvezza non è altro che parole.