TULL
Sicché alla fine riuscirono a far dire a Anse che cosa voleva fare, e lui, la ragazza e il bambino scesero dal carro. Ma anche quando eravamo sul ponte Anse continuava a guardare indietro, come se pensasse che magari, una volta sceso dal carro, tutto poteva saltare per aria e lui si ritrovava nel suo campo con lei distesa su in casa, che aspettava di morire e poi tutto ricominciava da capo.
«Dovevi lasciargli prendere il tuo mulo» dice, col ponte che vibrava e oscillava sotto di noi, e entrava nell'acqua che ribolliva come se andasse diritto dall'altra parte della terra, e l'altra estremità che usciva dall'acqua come se non fosse lo stesso ponte e quelli che fossero usciti dall'acqua da quella parte dovessero venir su dal centro della terra. Ma era ancora intero; si capiva da come, quando questa estremità oscillava, l'altra sembrava che non oscillasse per niente: solo che gli altri alberi e la riva laggiù oscillavano avanti e indietro, lenti, come un grande pendolo. E quei tronchi che raschiavano e cozzavano contro la parte sommersa e si rizzavano, schizzavano fuori dell'acqua e proseguivano verso il guado e l'attesa, ribaltandosi e vorticando, lucidi di melma e schiumosi.
«E a che serviva?» dico io. «Se le tue bestie non riescono a trovare il guado e a portarla dall'altra parte, che differenza farebbero tre muli o anche dieci muli?».
«Mica te lo chiedo, a te» dice lui. «A me e ai miei so sempre badare da me. Mica ti chiedo di rischiare il tuo mulo. Mica è tuo, il morto; io non ti accuso di niente».
«Dovrebbero riportarla indietro e aspettare fino a domani» dico io. L'acqua era fredda. Era densa, come fanghiglia. Solo che era come se fosse viva, la stessa cosa che era sempre passata sotto quello stesso ponte, però quando ti vomitava fuori quei tronchi non ti meravigliavi, era come se facessero parte dell'acqua, dell'attesa e della minaccia.
È stato solo quando siamo arrivati dall'altra parte, di nuovo fuori dell'acqua e con la terra dura sotto i piedi, che mi sono meravigliato. È stato come se non ci si aspettasse che il ponte finisse sull'altra riva, su qualcosa di docile come di nuovo la terra dura che avevamo sempre calpestato prima di adesso e conoscevamo bene. Come se non potessi essere io quello che era lì, perché avrei dovuto avere quel tanto di cervello da non mettermi a fare quello che avevo appena fatto. E quando mi sono voltato e ho visto l'altra riva e ho visto il mio mulo là fermo dove prima c'ero anch'io e sapevo che in un modo o nell'altro avrei dovuto tornarci, ho capito che non poteva essere, perché proprio non riuscivo a pensare a nulla che potesse mai farmi riattraversare quel ponte nemmeno una sola volta. Eppure ero lì, e quello che fosse riuscito a convincersi a traversarlo due volte non potevo essere io, nemmeno se a dirmelo fosse stata Cora.
È stato quel bambino. Ho detto «Ehi, sarà meglio che mi dia la mano» e lui ha aspettato e mi è rimasto accanto. Mi prenda un accidente se non è stato come se fosse tornato indietro a prendermi; come se dicesse Non ti faranno nulla. Come se dicesse di un bel posto che sapeva lui dove il Natale viene due volte insieme al Giorno del Ringraziamento e dura tutto l'inverno, la primavera e l'estate, e bastava gli restassi accanto e non mi sarebbe successo nulla.
Quando mi son voltato a guardare il mio mulo era come se fosse uno di quei cannocchiali e lo vedevo là fermo e tutta la terra distesa e la mia casa tirata su a forza di sudore come se fosse tanto più sudore, tanta più terra; tanto più sudore, tanto meglio fatta la casa perché per Cora ci voleva una casa fatta bene, per tenerci Cora come una brocca di latte nella sorgente: bisogna avere una brocca che chiude bene oppure bisogna avere una bella sorgente ricca, così se hai una bella sorgente, be' allora hai l'incentivo a avere delle belle brocche fatte bene che chiudono bene, perché il latte è tuo, acido o no, perché è meglio avere del latte che diventa acido piuttosto che del latte che non lo diventa, perché sei un uomo.
E lui che si teneva alla mia mano, con quella mano tutta calda e fiduciosa, sicché mi veniva da dirgli: Guarda. Non lo vedi quel mulo laggiù? Non aveva nessuna ragione di essere qui, perciò non è venuto, visto che non è altro che un mulo. Perché ogni tanto uno si rende conto che i bambini hanno più giudizio di lui. Ma gli secca ammetterlo davanti a loro fino a che non gli cresce la barba. Dopo che gli cresce la barba, hanno troppo daffare perché non sanno se ce la faranno mai a tornare al punto che avevano giudizio prima che gli crescesse il pelo, sicché a quel punto non ti periti più di ammettere con la gente che si preoccupa della stessa cosa che non vale la pena di preoccuparsi di essere quello che sei.
Poi avevamo traversato e eravamo lì, a guardare Cash che girava il carro. Li abbiamo guardati che tornavano indietro fino a dove cominciava il sentiero giù verso il fiume. Dopo un po' il carro non si vedeva più.
«Sarà meglio arrivare al guado e tenersi pronti a dare una mano» ho detto io.
«Le ho dato la mia parola» dice Anse. «È sacra, per me. Lo so che me ne vuoi, ma lei dal cielo ti benedirà».
«Be', devono finire di fare il giro prima di poter sfidare l'acqua» ho detto io. «Andiamo».
«È il tornare indietro» ha detto lui. «Porta male, tornare indietro».
Se ne stava lì fermo, ingobbito, funereo, a guardare la strada vuota oltre il ponte che ondeggiava e oscillava. E anche quella ragazza, col cestino del mangiare a un braccio e quel pacchetto sotto l'altro. Pronta per andare in paese. Decisa. Disposti a rischiare fuoco, terra, acqua e tutto quanto solo per mangiarsi un cartoccio di banane. «Dovevate aspettare un altro giorno» ho detto. «Sarebbe calato, la mattina. Magari non pioveva. E salire, non può salire».
«Gliel'avevo promesso» dice lui. «Lei ci conta».