2.

STORIA.

 

L’uomo che Imaduddin e l’Associazione degli intellettuali islamici tenevano d’occhio piu’ di ogni altro era il signor Wahid.

A Wahid le idee religiose e politiche di Habibie non interessavano ed e’ uno dei pochi indonesiani che lo poteva dire. E’ il presidente della Nahdlatul Ulama o NU. La NU e’ un’organizzazione che si occupa delle scuole a convitto islamiche tipiche dell’Indonesia rurale; si dice che conti trenta milioni di iscritti. Trenta milioni di persone che opponevano resistenza agli esercizi mentali e all’Associazione degli intellettuali islamici: un fatto che rende Wahid un uomo formidabile. E non e’ una persona qualunque: proviene da una buona famiglia, cosa che in Indonesia e specialmente nell’isola di Giava conta molto. La sua famiglia si occupava delle scuole rurali da oltre un secolo, sin dai tempi bui del colonialismo, quando Giava era stata ridotta dagli olandesi a una piantagione e le scuole islamiche erano uno dei pochi rifugi nei quali gli indigeni potevano conservare una sfera personale e il rispetto di se’. Ai tempi dell’indipendenza il padre di Wahid era una figura importante in campo politico e religioso.

Il Jakarta Post , scegliendo le parole con cautela, ha scritto che Wahid e’ un personaggio controverso ed enigmatico. C’era una storia dietro questi termini. Imaduddin era convinto che fosse stato Dio, nientemeno, a rafforzare la fede del presidente Suharto negli ultimi anni, a mandarlo in pellegrinaggio alla Mecca e a fare di lui un sostenitore delle idee tecnologico-politico-religiose di Habibie. Wahid la pensava diversamente. Riteneva che la religione dovesse restare separata dalla politica e si spinse a fare l’impensabile: critico’ il presidente Suharto di fronte a un giornalista straniero. Solamente una figura forte e indipendente come lui poteva sopravvivere; e infatti Wahid e’ sopravvissuto, anzi e’ stato rieletto presidente della NU. Ma a otto mesi dall’intervista non era stato ricevuto dal presidente Suharto neanche una volta, e tutti sapevano che Wahid era sotto tiro.

E’ stato certamente per l’odore del sangue che molti mi suggerirono di incontrare Wahid; la nota di un giornalista straniero lo descriveva come un vecchio religioso cieco che aveva un seguito di trenta milioni di persone , il che dava a Wahid l’aria di un personaggio dei fumetti. Non aveva una buona vista, ma non era cieco, aveva solo cinquantadue o cinquantatri’ anni e non era un religioso.

Anche sedici anni fa molti avevano insistito Perche’ incontrassi Wahid, ma per un altro motivo.

Nel 1979 Wahid e i suoi “pesantren”, il movimento delle scuole a convitto islamiche, erano considerati all’avanguardia del movimento islamico moderno. Allora i “pesantren” avevano avuto l’onore di una visita dell’esperto di didattica Ivan Illich, che li aveva descritti come un buon esempio della descolarizzazione da lui propugnata. Tuttavia, la descolarizzazione forse non era il meglio che si potesse dare agli abitanti dei villaggi che non avevano quasi conosciuto la scolarizzazione. Ma l’ammirazione di Illich faceva dei “pesantren” indonesiani una luce inaspettata che si accendeva in Asia dopo le tenebre del colonialismo. Un giovane imprenditore di Giacarta, sostenitore di Wahid, mi aveva organizzato una visita ad alcuni “pesantren” vicino alla citta’ di Yogyakarta, uno dei quali era proprio il “pesantren” di Wahid, fondato dalla sua famiglia.

Erano seguiti due giorni d’inferno: innanzitutto cercare i posti giusti, spostarsi per le trafficate strade di campagna fra complessi scolastici affollati, di solito tranquilli e silenziosi all’ingresso, ma poi improvvisamente, anche la sera, brulicanti di vita e di rivalita’ come un allevamento di trote quando danno loro da mangiare: torme di ragazzi e di giovani, qualcuno solo con l’informale sarong, che sospendevano le faccende domestiche per seguirmi, alcuni gridando: Illich! Illich! .

La distrazione era tale che non ero sicuro di cio’ che vedevo, e sono certo di essermi perso molto. Tuttavia, descolarizzazione non mi pareva il termine adeguato per descrivere quello che vedevo. Non capivo che senso avesse che quei giovani si riunissero in una specie di accampamento per apprendere le arti e i mestieri rurali che avrebbero imparato comunque. Inoltre, mi preoccupava l’aspetto religioso: i testi semplicissimi, le classi molto numerose, l’apprendimento a memoria e la finzione dello studio individuale dopo le lezioni. Nei cortili affollati, di notte, vedevo ragazzi seduti al buio davanti a un libro aperto che facevano finta di leggere.

Non era un posto dove mi sarebbe piaciuto stare e l’avevo detto al giovane indonesiano che mi accompagnava da Giacarta per fare da guida e da interprete. Era intelligente, istruito e cordiale, sempre leggermente dalla mia parte durante le nostre avventure. Ma in quel momento, abbandonando i modi cortesi, mi aveva manifestato la sua chiara irritazione. Anche altri si irritavano quando mi sentivano dire cio’ che pensavo dei “pesantren”.

Alla fine di quei due giorni incontrai Wahid nella sua casa all’interno del “pesantren”. Ho scritto del nostro incontro, ma la cosa strana e’ che non ho conservato alcun ricordo di quell’uomo o della situazione finche’ non ho riletto le mie parole. Sara’ stato per la stanchezza di quei due giorni, o forse per la brevita’ dell’incontro - Wahid, come sempre occupatissimo con le attivita’ del “pesantren”, quella sera doveva andare a Giacarta e non poteva concedermi molto tempo. Oppure, e questo e’ piu’ probabile, sara’ stato per la luce molto fioca nel soggiorno: riuscire a vedere Wahid in quella penombra richiedeva un grosso sforzo. Devo essermi arreso, accontentandomi della voce e restando senza un’immagine.

Quello che mi disse spiegava in gran parte cio’ che intuivo sui “pesantren”. Prima dell’Islam erano probabilmente monasteri buddhisti, sostenuti economicamente dalla gente del villaggio che in cambio veniva rassicurata sull’esistenza di verita’ eterne. Dopo l’avvento dell’Islam rimasero centri spirituali, centri sufi, e diventarono scuole islamiche durante la dominazione olandese. piu’ tardi avevano provato a convertirsi in un tipo di scuola piu’ moderno. Qui, come altrove in Indonesia, dove l’Islam e’ relativamente recente, si possono ancora distinguere chiaramente i diversi livelli della storia. Pero’ - e questa e’ una mia opinione, non condivisa da Wahid - i “pesantren” applicavano queste idee tutte insieme, creando la confusione che avevo osservato.

Mentre parlavamo, da fuori veniva il suono di una cantilena: una lezione di arabo. Alla fine Wahid e io uscimmo a dare un’occhiata. Il suono proveniva dalla veranda di una piccolissima costruzione in fondo al giardino. La luce era molto fioca e riuscivo appena a distinguere l’insegnante e i suoi alunni. L’insegnante era uno degli uomini piu’ istruiti della zona, disse Wahid. Il “pesantren” gli aveva costruito quella casetta, gli abitanti del villaggio gli offrivano da mangiare e, in aggiunta, riceveva uno stipendio di cinquecento rupie al mese, allora equivalenti a circa ottanta centesimi di dollaro. Quindi, per quanto fosse musulmano e impartisse con una cantilena ininterrotta una lezione sul diritto arabo, il maestro, in quanto uomo saggio e canale spirituale, che sopravviveva grazie alla generosita’ delle persone che serviva, era un discendente dei monaci dei monasteri buddhisti.

Ero enormemente incuriosito dallo stipendio di ottanta centesimi al mese e, quando Wahid lo chiamo’ e l’insegnante si presento’ umilmente nella grande penombra, minutissimo, piu’ e curvo, con gli occhiali dalle lenti molto spesse, non riuscivo a liberarmi dall’idea degli ottanta centesimi e mi chiedevo come glieli dessero e con quale frequenza.

Wahid lodava l’insegnante che restava in piedi davanti a noi; disse che aveva trent’anni e che sapeva a memoria parecchie parti del Corano. Io commentai che era una cosa stupenda sapere il Corano a memoria. A meta’ , preciso’ Wahid a meta’ . Rivolgendomi all’uomo curvo di fronte a noi che non aveva molto altro da fare, dissi con severita’ che non bastava. Lui, l’uomo da ottanta centesimi, piego’ ancora un po’ la schiena con l’aria di accettare umilmente qualsiasi rimprovero avessimo da fargli e di volerlo trasformare in merito religioso. Credo che fosse disposto a curvarsi illimitatamente finche’ non avesse finito per somigliare a uno cui la testa e’ cresciuta direttamente sul tronco.

Quest’uomo, e non Wahid, e’ sopravvissuto nel ricordo di quella sera.

 

L’imprenditore di Giacarta che mi aveva mandato a visitare i “pesantren” nel 1979 si chiamava Adi Sasono. Allora era un sostenitore di Wahid, ma ora se ne era allontanato, passando dall’altra parte, con l’Associazione degli intellettuali islamici. Aveva un incarico importante nell’Associazione e un ampio ufficio con tutti gli orpelli della grande multinazionale moderna ai piani alti di un palazzone nel centro di Giacarta.

Quando andai a trovarlo, volle chiarire che, nonostante le apparenze, lui era rimasto fedele al principio che si debbono emancipare i villaggi; era Wahid a essere rimasto indietro. Una volta le scuole dei “pesantren” andavano bene; in seguito non piu’ .

Nel secolo scorso, al tempo degli olandesi, i “pesantren” conferivano agli abitanti dei villaggi una sorta di dignita’ e i capi dei “pesantren”, chiamati “kiyai”, erano personaggi di spicco a livello locale, che senza un’investitura formale riuscivano a dare alla gente una limitata protezione. I tempi erano cambiati, l’antico sistema non trovava rispondenza nel mondo moderno. Il “kiyai” era diventato il padrone del “pesantren”; il comando o il diritto di proprieta’ si tramandava di padre in figlio cosicche’, fatte salve le virto di alcuni “kiyai”, c’era sempre il rischio di formare i’lite e gerarchie religiose feudalo’ .

Il metodo tradizionale di mobilitazione della gente non si puo’ mantenere a lunga’ disse Adi. C’e’ bisogno di un processo di maggior controllo democratico e di un sistema decisionale a livello nazionale . Nel 1979 si era unito al movimento dei “pesantren” per promuovere l’istruzione moderna come complemento del tradizionale insegnamento religioso e per incentivare lo sviluppo delle campagne. Ora credeva che le stesse finalita’ si potessero perseguire meglio tramite l’Associazione degli intellettuali islamici, la cui sigla in indonesiano e’ ICMI. Vogliamo che tutti abbiano maggiore indipendenza nel decidere, specie nei confronti del grande capitale che raggiunge le zone rurali. Il “kiyai”, che e’ un uomo solo e un privilegiato, non puo’ farsi garante della vita della comunita’ . Quindi l’ICMI e’ per lo sviluppo delle risorse umane e della ricchezza individuale .

Adi si era avvicinato a poco a poco alla meta: l’idea missionaria di Imaduddin sullo sviluppo e sulla gestione delle risorse umane.

Adi non fece cenno alla descolarizzazione e a Ivan Illich che rappresentavano la modernita’ di ieri e la vita accademica del passato. Secondo l’attuale analisi di Adi, a un visitatore imparziale le capanne e i cortili assordanti dei “pesantren” non potevano apparire che rozzi e arretrati. Ora esisteva una serie nuova di parole e idee accettate: i’lite, feudalesimo religioso, responsabilita’ , sistema di decisione collettivo, mobilitazione della gente e, ovviamente, risorse umane, tutti termini che venivano usati in senso figurato per bastonare il povero Wahid.

E anche per bastonare, almeno per me, il personaggio riemerso dalla memoria: la figura minuta, curva, con il cappellino e la tunica bianchi apparso nella penombra - nemica degli occhi - del giardino dietro la casa di Wahid; l’uomo da ottanta centesimi al mese (al tasso di cambio attuale e’ diventato l’uomo da venticinque centesimi), chiamato dalla sua veranda quasi buia e dalla lezione cantilenata di diritto islamico per presentarsi a noi e accettare umilmente a capo chino il rimprovero che gli facevo di sapere a memoria soltanto meta’ del Corano, a trent’anni, con quasi nient’altro da fare; il villaggio gli aveva costruito una casetta stretta e gli dava quel tanto da mangiare che bastava per i suoi magri bisogni. Un discendente improbabile, nell’Indonesia convertita a meta’ , dei primi sufi islamici e, prima ancora, dei monaci dell’epoca buddhista.

L’Islam e l’Europa sono arrivati qui quasi contemporaneamente come forze imperialiste concorrenti e insieme hanno distrutto il lungo passato buddhista e induista. L’Islam e’ arrivato in questa parte della grande India dopo aver devastato l’India vera e propria, trasformando, almeno in questa regione, la luce religiosa e culturale del subcontinente in una stella spenta. Tuttavia la dominazione europea si e’ imposta tanto velocemente che l’Islam ha cominciato a essere avvertito come la religione di una cultura colonizzata. La storia che un uomo dotto e sicuro di se’ come Wahid si portava dietro, una storia che nei ricordi familiari effettivamente abbracciava solo un secolo e mezzo, e’ allo stesso tempo la storia della colonizzazione europea e del recupero dell’Islam.

La prima volta che lo incontrai Wahid parlo’ della storia della sua famiglia, ma solo di sfuggita. Cio’ che aveva detto mi aveva colpito e sentivo il desiderio di saperne di piu’ . Andai a trovarlo di nuovo.

Ci incontrammo nella sede centrale della NU, al pianterreno di una costruzione semplice e all’antica in una strada principale della citta’ , con uno spiazzo aperto sul davanti per le automobili. Le stanze, completamente diverse da quelle di Adi Sasono, assomigliavano alle sale d’aspetto ferroviarie, piene di grandi mobili scuri e con lo stesso tipo di patina.

Volevo sedermi su una sedia alta con lo schienale diritto per poter scrivere, ma nell’ufficio di Wahid tutte le sedie erano basse. Un assistente disse che c’erano sedie adatte in un’altra stanza, che pero’ era occupata da una riunione. Wahid, da uomo che aveva sopportato fin troppe di queste riunioni, disse di cacciarli via. E via li cacciarono con tanta prontezza che, quando ci sistemammo, ancora si libravano a mezz’aria calde volute di fumo di sigaretta. Le sigarette erano sigarette indonesiane ai chiodi di garofano. Il fumo era aromatico e la stanza ne era tanto satura che, dopo averci trascorso il pomeriggio in compagnia di Wahid, l’odore mi e’ rimasto impregnato nelle mani e nei capelli per diversi giorni, resistente ai bagni, come l’anestetico dopo un’operazione; e non ha piu’ abbandonato la mia giacca finche’ mi sono trattenuto in Indonesia.

Di Wahid, che avevo incontrato nel 1979, non restava niente nella memoria, ed ero sorpreso di scoprire che aveva solamente cinquantuno o cinquantadue anni; quindi nel 1979, quando era gia’ famoso e molto autorevole, doveva avere meno di quarant’anni. Un uomo pingue e di bassa statura, probabilmente un metro e cinquantasette o un metro e sessanta. Come dicevano tutti, non ci vedeva bene, ma l’aspetto fisico generale indicava anche altri disturbi, cardiaci o respiratori. Era vestito informalmente, con una camicia aperta sul collo, non aveva niente che lo distinguesse in mezzo alla folla indonesiana. Tuttavia, non appena ha iniziato a parlare in un inglese scorrevole, buono e preciso, le sue qualita’ si sono evidenziate. Un uomo a cui un paio di generazioni hanno dato sicurezza ed eleganza.

Mio nonno nacque nel 1869 nella parte orientale di Giava, in una piantagione di zucchero di una zona chiamata Jombang ha cominciato a dire. Veniva da una famiglia di contadini che seguiva una tradizione sufi. I sufi hanno gestito i “pesantren” a Giava per secoli, i miei antenati hanno avuto i loro “pesantren” per due secoli, vale a dire sei o sette generazioni prima di mio nonno.

Il mio bisnonno veniva dal centro dell’isola di Giava, studio’ in un “pesantren” di Jombang e fu accettato dal suo insegnante come figliastro. Era all’incirca il 1830 quando cominciarono a piantare la canna da zucchero nella regione. In quel periodo ebbero inizio anche i viaggi a vapore per mare verso il Medio Oriente, una cosa importante per la “haj”, il pellegrinaggio alla Mecca, che diventava piu’ facile. Favori’ anche l’ascesa di famiglie musulmane che si arricchirono grazie a una produzione agricola per la vendita diretta. Questa nuova classe ricca poteva mandare i figli con le navi a vapore a studiare alla Mecca. E’ una coincidenza, ma la storia e’ spesso il risultato di innovazioni e sviluppi tra loro non collegati.

Il mio bisnonno riusci’ a mandare suo figlio alla Mecca nell’ultimo quarto del secolo scorso e mio nonno ci ando’ forse nel 1890 all’eta’ di ventun anni. Ci rimase probabilmente per cinque o sei anni. Grazie alle linee marittime, era possibile inviare denaro agli studenti. Quando fece ritorno fondo’ il proprio “pesantren”. Era il 1898.

Si dice che l’abbia fondato con solo dieci studenti; in quel tempo la fondazione di una scuola di preghiera era considerata una sfida ai valori dominanti. Attorno alle piantagioni di canna da zucchero la vita religiosa era assente. Lo zuccherificio creava dipendenza nella gente Perche’ dava soldi facili per le scommesse, l’alcol, le prostitute, tutte cose che l’Islam disapprova. Per i primi mesi, di notte, questi dieci studenti dovettero dormire nel centro della casa per la preghiera, le cui pareti erano fatte di bambo intrecciato, Perche’ da fuori vi infilavano lance e armi appuntite di ogni tipo.

Forse mio nonno criticava la gente troppo severamente; aveva scelto la zona della piantagione di proposito. Forse lo fece seguendo un’intuizione spirituale profetica; il desiderio dichiarato era di trasformare tutta la comunita’ e spingerla a vivere in modo islamico. Nel 1947 il “pesantren” di mio nonno, che sarebbe morto di li’ a poco, comprendeva quattrocento studenti e cinque ettari di terra. All’inizio aveva avuto meno di due ettari. Oggi la comunita’ e’ completamente trasformata; c’e’ ancora uno zuccherificio, ma la gente ha abbandonato le vecchie abitudini e segue il modello di vita islamico.

Mio nonno si e’ sposato molte volte, era gia’ sposato prima di partire per La Mecca, ma tutti i suoi matrimoni sono finiti con un divorzio o con la morte della moglie. Forse all’inizio di questo secolo ha sposato un’aristocratica, cioe’ della stirpe reale di Giava, che governa a Solo. Abbiamo lo stesso lignaggio della moglie del presidente Suharto. L’aristocrazia era gia’ un po’ laicizzata, occidentalizzata. La nuova moglie di mio nonno andava tanto fiera delle sue nobili origini che, secondo mia madre, diceva spesso: ‘Voglio che i miei figli abbiano un’istruzione diversa; non voglio che vivano da contadini come mio marito’.

E’ stata lei a decidere l’indirizzo di studio di mio padre e dei suoi undici fratelli minori. Hanno avuto maestri che venivano da fuori e insegnavano loro cose sconosciute nel “pesantren”: matematica, lingua olandese, cultura generale. Mio padre segui’ persino un corso di dattilografia. La gente aveva riserve al riguardo, Perche’ la comunita’ musulmana impiegava ancora la scrittura araba per la lingua locale. piu’ tardi, nella sua vita pubblica, mio padre scriveva a macchina seduto sul sedile posteriore dell’automobile mentre lo portavano in giro. Oltre a studiare queste materie moderne, studiava anche nel “pesantren” sotto la guida di suo padre e dei suoi cugini. E mia nonna invito’ uno sceicco dell’Al-Azhar del Cairo, che rimase sette anni a fare da maestro a mio padre e ai suoi fratelli minori. Era una cosa mai vista a Giava. I curdi fornivano un tipo di istruzione molto tradizionale nell’Islam. Tramite l’Al-Afghani, gli egiziani hanno completamente riformato la tradizione dell’educazione religiosa nell’Al-Azhar. Cosi’ mio padre ha avuto il vantaggio di due tipi di educazione, come un membro della famiglia reale. Ecco Perche’ parlava l’arabo perfettamente e conosceva cosi’ bene la letteratura araba. Era abbonato a riviste famose del Medio Oriente .

Anche il padre di Wahid era andato alla Mecca. Ci ando’ nel 1931 all’eta’ di quindici anni e ci rimase per due. Al suo ritorno (la sua istruzione istituzionale era ormai completa, devo aggiungere, anche se Wahid non l’ha rilevato) inizio’ ad arricchire il programma di studi del “pesantren” per avvicinarlo al programma diversificato che aveva seguito lui stesso. Vi aggiunse geografia e storia moderna. Wahid ha detto che aggiunse anche l’idea di scuole’: vale a dire che gli insegnanti sottoponevano gli studenti a esami.

In precedenza non c’era stato niente di simile. Era tutto molto tranquillo. Nessuna domanda. Bastava ascoltare l’insegnante. Con l’introduzione del sistema scolastico nei “pesantren” mio padre ha dato il via a una serie di importanti trasformazioni graduali. Prima di allora c’erano stati altri cambiamenti di entita’ minore e di rilevanza ridotta. Nel 1923 il mio nonno materno ha istituito il primo “pesantren” femminile. Adesso e’ comune dovunque .

 

I “pesantren” erano sostanzialmente collegi religiosi che per loro stessa natura non si potevano innalzare molto sul livello della gente. I miglioramenti di cui parlava Wahid sembravano modesti: dattilografia, geografia, storia moderna; ma forse all’epoca non erano cose da poco. Forse, come diceva lui, l’effetto e’ cresciuto esponenzialmente.

Gli rivolsi qualche domanda sull’aspetto tradizionale dell’insegnamento nei “pesantren”. Mi racconto’ delle sue esperienze alla fine degli anni Quaranta, molti anni dopo le riforme introdotte da suo padre.

All’eta’ di otto anni, completata la lettura del Corano, mi e’ stato detto di memorizzare l‘“Al-Ajrumiyah”, un libro di grammatica. Erano circa quindici pagine. Ogni mattina il mio insegnante mi chiedeva di impararne una riga o due a memoria e poi mi interrogava. piu’ tardi, la sera, dovevo leggere un altro libro, un testo elementare di precetti religiosi: come fare le abluzioni, come pregare correttamente . Esattamente cio’ che avevo osservato nel 1979, trent’anni dopo, nei “pesantren” la sera tardi: ragazzi che si trastullavano ipnotizzati davanti a un semplice testo di precetti religiosi che sicuramente conoscevano a memoria e perfino ragazzi seduti al buio davanti a un libro aperto che facevano finta di leggere.

Forse l’insegnamento religioso non puo’ non avere questa ripetitivita’ ; isolare, martellare, ottundere la mente, infliggere questo tipo di dolore. Forse da tutto cio’ scaturiva in qualche modo il rispetto di se’ e forse anche, nella generale depressione culturale, l’idea, che altrimenti non sarebbe esistita, di un sapere che si puo’ acquisire. Infatti da questa educazione religiosa, nonostante il pietismo, la finta erudizione e il dolore genuino, e’ venuto il risveglio politico.

Questo e’ l’altro aspetto della storia familiare di Wahid, intrecciato alle vicende che hanno portato all’affermazione e alla riforma dei “pesantren”.

 

Nel 1908 un commerciante che aveva fatto il pellegrinaggio alla Mecca fondo’ a Solo un’organizzazione locale chiamata Sarekat Dagung Islam, che quattro anni dopo si trasformo’ in un’organizzazione nazionale chiamata Sarekat Islam, non piu’ limitata al commercio.

Mio nonno aveva un cugino di dieci anni piu’ giovane, Wahab Hasbullah, che gli era stato mandato per essere istruito. Wahab poi ando’ alla Mecca con un amico, Bisri. Dopo quattro anni alla Mecca, seppero della Sarekat Islam e chiesero di aprire una sezione dell’organizzazione alla Mecca. Era il 1913, l’anno successivo alla fondazione della Sarekat Islam. Bisri non si associo’ Perche’ non aveva il permesso di mio nonno, che era anche il suo maestro. Bisri e’ il mio nonno materno; Wahab, il mio prozio materno. Dopo essere tornato dalla Mecca, nel 1917, ando’ a Surabaya. Nel 1919 la Sarekat Islam si scisse. Un olandese convinse due membri dell’organizzazione a formare la Sarekat Islam Rossa. Nel 1924 si tenne un congresso saudita per il nuovo califfato per i musulmani. Wahab faceva parte della delegazione di Surabaye’.

Nel 1926 comparve Sukarno e la politica nazionale ne fu rivoluzionata. Ma il padre e il nonno di Wahid sono rimasti due figure importanti del movimento religioso.

Nel 1935 gli olandesi, temendo la minaccia giapponese, favorirono la creazione di una milizia locale per la difesa dell’Indonesia o dell’impero dalla minaccia giapponese sempre piu’ prossima. Mio nonno indisse un congresso per discutere la questione: fa parte del dovere di un vero musulmano difendere una nazione governata da non musulmani? La risposta fu un si’ quasi unanime Perche’ in Indonesia nel 1935, sotto gli olandesi, i musulmani avevano la liberta’ di mettere in pratica gli insegnamenti della loro religione. Secondo me cio’ significa che mio nonno vedeva l’Islam come una forza morale, non una forza politica esercitata dallo Stato .

Si puo’ dire che fosse un dibattito morale in ambito coloniale fra persone che non esercitavano alcun potere, simile al dibattito nato in India allo scoppiu’ della guerra. Ma, per come andarono le cose, la milizia nella quale fine’ per combattere il padre di Wahid fu quella organizzata dai giapponesi, che conquistarono l’Indonesia nel 1942.

I giapponesi organizzarono due tipi di milizia, una musulmana e una nazionalista. Mio padre fu il fondatore della milizia Hizbullah nel 1944. I giapponesi reclutavano giovani dai “pesantren” e dalle scuole religiose. Il fratello minore di mio padre fu addestrato e in seguito divento’ comandante di battaglione. Il quartier generale si trovava proprio dentro il “pesantren”, il che coinvolse tutta la famiglia negli affari nazionali. Discutevano la guerra giapponese, la situazione in Germania, il movimento di indipendenza.

Nel 1944-1945 i giapponesi crearono un comitato per preparare l’indipendenza dell’Indonesia. Il presidente era Sukarno. Mio padre faceva parte di questo comitato e, assieme ad altri otto componenti, formava il gruppo che avrebbe definito i cinque princi’pi della nuova nazione, il “panchasila”. In questo modo divenne uno dei padri fondatori del paese. cosi’ , quando scoppio’ la guerra di indipendenza, mio padre ne fu uno dei protagonisti. Prima divenne ministro e in seguito consigliere politico del comandante delle forze armate, il generale Sudirman.

Quando gli olandesi scatenarono la repressione, mio padre ando’ in clandestinita’ . Io fui evacuato e mandato nella casa del nonno materno dove mio padre si presentava diverse volte la settimana e restava nascosto, senza uscire, per curare le ferite che gli procurava il diabete, non le pallottole. Io dovevo acchiappare le rane da friggere, per ricavarne olio e medicare le ferite. Dieci o quindici rane alla volta, due o tre volte alla settimana. Dopo la medicazione tornava a nascondersi nei villaggi vicini.

Quando gli olandesi concessero la sovranita’ al nostro Stato, mio padre fu nominato ministro per gli Affari religiosi, un incarico che mantenne per tre anni. Durante il periodo giapponese c’era stato un ufficio per gli Affari religiosi affidato a mio nonno, ma l’aveva diretto mio padre. Quell’ufficio fu l’embrione del ministero degli Affari religioso’ .

E come succede di frequente nelle storie che risalgono a questo periodo, se si potessero ignorare le atrocita’ dell’occupazione, andrebbero riconosciuti l’intelligenza, la rapidita’ e gli effetti duraturi della riorganizzazione giapponese di una vastissima regione molto diversificata.

Wahid, benche’ fosse un bambino, inizio’ a vivere a contatto con la politica nazionale.

Quando avevo nove anni, mio padre mi porto’ a una grande manifestazione allo stadio Ikada dove sarebbe intervenuto anche Sukarno . Probabilmente successe nel 1950. Lo stadio era stato costruito dai giapponesi per tenerci buoni; e’ dove ora sorge un grande monumento nazionale . E’ lo stesso posto dove i francesi, di fronte a una folla di un milione di persone, organizzarono il grande spettacolo pirotecnico per il cinquantesimo anniversario dell’indipendenza dell’Indonesia. C’erano oltre sessantamila persone quel giorno a sentire Sukarno. A me sembrava un gigante. Tenne un discorso infuocato contro l’imperialismo, chiese alla gente di unirsi alla lotta, di combattere e la gente rispose con enorme entusiasmo. Ero felice, sentivo in me il movimento della massa che partecipava all’estasi. E cosi’ gridavo anch’io, saltavo. Mio padre trattenendomi mi disse: ‘Stai seduto, non saltare’. Forse non voleva che mi stancassi, altrimenti avrebbe dovuto riportarmi alla macchina in braccio .

Volevo che mi parlasse dell’aspetto fisico di Sukarno.

Wahid disse: Aveva un buon portamento: il viso non era bello, ma mostrava una volonta’ d’acciaio, una specie di forza. In tutta sincerita’ , aveva un volto duro, che emanava autorita’ e forza di carattere. Ecco Perche’ era carismatico, specialmente quando levava le mani in alto e gridava. Quel giorno scorsi il suo sguardo, vivissimo, come se fissasse l’imperialismo dritto negli occhi aspettando che li abbassasse. Siccome mio padre era ministro, il nostro posto era in prima fila, non lontano da lui. Sukarno era li’ , in piedi, di fronte a noi.

Mio padre mori’ nel 1953. Aveva trentanove anni. Nel 1952 si era dimesso dal governo Perche’ la nostra organizzazione era stata estromessa dall’unico partito islamico di allora. Quell’anno mio padre diede le dimissioni e fondo’ il nuovo partito, la NU. Era molto impegnato a istituire nuove sezioni del partito. In uno di quei viaggi - io seduto davanti e lui dietro - ci fu un incidente stradale: mio padre rimase gravemente ferito e il giorno dopo mori’. Fu sbalzato fuori dalla vettura che lo colpi’ mentre andava in testa-coda.

Quella notte mia madre arrivo’ a Sandung e diverse autorita’ accompagnarono il feretro a Giacarta. Cio’ che vidi quel giorno mi impressiono’ molto. La gente era assiepata sulla strada lungo i centottanta chilometri del tragitto in attesa che passasse il corpo, per dirgli addio. A casa quella notte vennero in migliaia. La mattina successiva arrivo’ Sukarno. Poi il corpo fu portato all’aeroporto e in aereo a Surabaya. Li’ ci accolse un’enorme folla, decine di migliaia di persone in lacrime che gli rendevano l’estremo saluto. Con mio zio, un generale, ad aprire il corteo in motocicletta, passammo in mezzo a questa folla spessa quattro o cinque file ai bordi della strada, per ottanta chilometri fino al cimitero di famiglia a Jombang.

Vedere tutta quella gente che piangeva e lo salutava mi fece un’impressione che posso riassumere cosi’ : c’e’ qualcosa di piu’ grande nella vita che essere amati da tanta gente? Ero ancora piccolo quando mori’ Gandhi. In seguito ho visto le foto dei suoi funerali e mi e’ tornato in mente quello di mio padre. Sono fatti che rafforzano il mio orientamento .

 

Questa e’ la storia della sua famiglia come l’ha raccontata Wahid per buona parte di un caldo pomeriggio, in una stanza al pianterreno della sede centrale della NU a Giacarta, immersi nell’odore saturo e stantio del fumo di sigarette ai chiodi di garofano, mentre fuori, oltre lo spiazzo aperto, il traffico intenso ruggiva tra i fumi dei tubi di scappamento. La storia della sua famiglia - in qualche punto riassunta su mia richiesta, in altri costretta a fare qualche salto - contiene strato su strato la storia del paese nell’ultimo secolo e mezzo. E’ la storia che ha segnato il corso della vita dello stesso Wahid. E’ la storia a cui fanno ancora riferimento le sue azioni e i suoi atteggiamenti.

Eredito’ la guida del partito di suo padre, la NU, e nel 1984 decise di portarlo fuori della politica.

Abbiamo capito che il legame diretto fra l’Islam e la politica poteva essere molto dannoso, come lo era stato in Pakistan, in Iran, in Sudan, in Arabia Saudita, Perche’ allora tutti consideravano l’Islam una religione che impiega la violenza, cosa che secondo noi e’ falsa. Secondo noi l’Islam e’ una forza morale che opera attraverso l’etica e la moralita’ . Non sono il solo a pensarla cosi’ , questa e’ la decisione collettiva degli ulama educati da mio padre. Nel 1983 abbiamo avuto un aspro dibattito con un esperto in diritto costituzionale.

Nel 1991 fu fondato il Forum for Democracy che rifiuta completamente la politica islamica; la politica islamica quale era presentata, per esempio , dal presidente Suharto e dal professor Habibie. La lotta fra i centri di potere nel nostro paese negli anni Novanta riflette la necessita’ da parte del presidente di ottenere il piu’ largo sostegno possibile dalla societa’ , compresi i movimenti islamici. Al fine di ottenere tale sostegno, e’ necessario identificare la politica nazionale con l’Islam. Mio nonno, con la decisione del 1935, - quella del congresso che sanciva la scelta dei musulmani di difendere l’Indonesia dominata dagli olandesi contro i giapponesi - stabili’ la necessaria separazione tra le funzioni della politica e quelle della religione. Ora, la decisione del ministro Habibie di prendere la strada dell’islamizzazione significa considerare la politica parte integrante dell’Islam. Per me e’ una questione personale Perche’ mio padre era fra coloro che scrissero la costituzione in cui a tutti i cittadini viene concessa parita’ di grado. Si deve praticare l’Islam per motivi di coscienza, non per paura. Habibie e i suoi associati incutono nei non musulmani e nei musulmani non praticanti la paura di uscire allo scoperto. E’ il primo passo verso la tirannide .

Wahid si scaldava su questo argomento. Ci tornava di continuo e ho sempre avuto l’impressione che si fermasse Perche’ prendessi nota delle sue parole. Ho provato a farlo parlare piu’ esplicitamente di Habibie. Volevo un ritratto, una conversazione, una storia. Non e’ stato facile.

Habibie mi e’ venuto a trovare in ospedale e mi ha chiesto di entrare nell’ICMI, la sua Associazione degli intellettuali islamico’ .

Mi e’ piaciuto il dettaglio dell’ospedale; sembrava confermasse le mie impressioni sullo stato di salute di Wahid, ma non sono riuscito a saperne di piu’ .

Gi risposi: ‘Invece che entrare nel suo rispettabile gruppo, mi lasci rimanere fuori dei circoli intellettuali che si formano agli angoli delle strade’ .

Questi sono i miei appunti; non sono sicuro di quello che intendesse, ma in seguito conclusi che dal suo letto d’ospedale Wahid voleva dire con estrema ironia che il rispettabile gruppo di Habibie e gli intellettuali di strada sono le stesse persone. Imaduddin, il predicatore, l’uomo che compare in televisione, la mente che ha partorito l’ICMI, era uno di quegli intellettuali di strada, benche’ Wahid non abbia mai pronunciato il suo nome quel pomeriggio.

 

Anche Adi Sasono, un sostenitore di vecchia data, era sotto tiro, ma il fatto divenne chiaro solo in seguito, dopo che li avevo incontrati tutti e quando avevo solo i miei appunti a cui far riferimento.

Adi ha detto, verso la fine del nostro incontro nel suo bell’ufficio: Wahid viaggia troppo. E’ un conferenziere e un intellettuale piu’ che un “kiyai” . Il “kiyai” e’ il capo di un “pesantren”; probabilmente la strategia di Adi era di manipolare la reputazione di Wahid e ridimensionarlo. Un “kiyai” di solito sta nel “pesantren” di un certo villaggio e la gente va da lui e gli fa delle domande. E’ sempre in mezzo alla gente .

Adi presiedeva il consiglio del CIDES, la sigla di un importante serbatoio di pensiera’ dell’ICMI, la cui denominazione per esteso e’ Centre for Information and Development Studies. Ecco spiegato lo sfarzo dei suoi uffici. Adi mi consegno’ una presentazione del CIDES, elegantemente stampata e di grande formato, in cui compariva una sua introduzione; ecco il primo capoverso:

La nascita dell’Associazione degli intellettuali islamici (ICMI) tre anni or sono ha rafforzato la coscienza collettiva della nostra nazione in merito all’importanza della qualita’ delle risorse umane intese come la principale e inesauribile fonte della ricchezza e dello sviluppo. Tale coscienza deve manifestarsi in grandi impegni diretti alla moralita’ dello sviluppo, ponendo l’accento sulla centralita’ della dimensione umana sia nelle idee sia nelle pratiche dello sviluppo. Tale prospettiva significa altresi’ che la partecipazione cosciente e attiva della nazione nella sua interezza e’ un valore fondamentale… .

Ecco insomma l’idea delle risorse umane di Imaduddin, l’idea missionaria, ingigantita e riverniciata da strati e strati di parole moderne, imprenditoriali e accademiche. Parole che venivano usate come se sotto la vernice non ci fosse niente. Sotto invece c’erano la grande idea di Imaduddin del destino dei musulmani di lingua malay, il suo desiderio di portare a compimento il processo di conversione che l’Europa aveva congelato per due o tre secoli e di issare finalmente la bandiera dell’Islam in questa estrema frontiera orientale della fede.