Il sogno della mia vita

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–Dian, dove stai andando? – mi disse sorridente un mio collega, uno dei primi che avevo conosciuto a Louisville, nel Kentucky, dov’ero giunta dalla California per lavorare all’ospedale pediatrico Kosair.

– A casa, ho ancora un sacco di cose da sistemare.

– Buona fortuna allora, ci si vede domani.

La prima cosa che avevo fatto, arrivando a Louisville, era stata di cercarmi casa; volevo un luogo dove vivere immersa nella natura, circondata da tutti gli animali che avevo sempre desiderato di possedere. Dopo una rapida ricerca, decisi di affittare un cottage in una grande fattoria chiamata Glenmary, appena fuori città. Anche se la casa cadeva a pezzi, tanto era malandata, la vita della fattoria mi piaceva. I proprietari erano persone semplici e simpatiche, dai modi spicci, come lo sono gli abitanti del Kentucky. Sembravano apprezzare sinceramente le mie qualità veterinarie, sia pure non certificate da alcun diploma, e in più di un’occasione chiesero il mio aiuto.

Stare con gli animali e fare dei piccoli lavori di campagna erano i miei svaghi preferiti. Mi piaceva ascoltare i rumori della natura, svegliarmi con il canto degli uccelli, sentire in lontananza il muggito dei buoi. Mi sembrava che tutto il mondo ritrovasse un suo ordine in quei suoni e anche nei suoi silenzi, così diversi da quelli sofferenti e cupi dei bambini autistici che avevo in cura all’ospedale. Erano bambini smarriti, che avevano bisogno di molte cure e ancor più di affetto. Lavoravo molto in cambio di progressi lentissimi. Ma ero felice. Sentivo che ero utile a qualcuno. Cercavo di aprire un varco nel loro mutismo. Imparavo a comunicare nel silenzio.

In quel periodo tornavo raramente dai miei genitori, di solito qualche fine settimana, ma erano visite abbastanza formali e tali rimasero per il resto della mia vita. Ma non mi sentivo sola. Dove abitavo, nel Kentucky, avevo conosciuto molte persone nuove, tra cui Mary Jo White che lavorava con me e diventò presto una delle mie migliori amiche.

Mary Jo aveva un fisico asciutto. Gli occhi erano penetranti e ironici in un viso incorniciato da una capigliatura scura e sempre ben pettinata. La sua più grande dote era la generosità e anche una certa stravaganza.

Conosceva praticamente tutti, in città, e con lei era divertente andarsene in giro.

– Dian, cosa fai questa sera? – mi diceva di solito prima di lasciare l’ospedale.

Se non avevo voglia di rifugiarmi subito nella quiete della campagna, accettavo il suo invito.

Un giorno Mary Jo mi volle a tutti i costi presentare un suo amico.

– Dian, questo è Franz Forester, ha una vera passione per l’Africa e ti potrebbe parlare per ore e ore di leoni ed elefanti.

– Interessante – dissi divertita, guardandolo dritto negli occhi.

In realtà Franz aveva molto di più che una passione per l’Africa: ci era vissuto. Veniva da una famiglia di origine austriaca che aveva fatto affari in Rhodesia (l’odierno Zimbabwe). Mi spiegò tutto questo, senza mai staccarmi gli occhi di dosso.

– Hai fatto colpo! Hai visto come ti guardava? – mi disse più tardi Mary Jo.

Io avevo alzato le spalle divertita. Ero lusingata ma nulla di più. Intuivo che gli uomini erano attratti dalla mia bellezza irregolare e un po’ mascolina. Ma avevo
altri progetti. Volevo scoprire il mondo, anzi, volevo scoprire l’Africa, non farmi intrappolare in una vita normale o, peggio ancora, da un fidanzato.

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