22
Le sirene delle volanti dipinsero riflessi bluastri sul viso pallido di Addison.
Un agente la accompagnò fuori dalla villa, le braccia sulle sue spalle a trattenere la coperta della polizia.
Addison tremava, e aveva le mani sporche di sangue. Le guance erano macchiate, il trucco sfatto.
Una vicina portò via Leonard, mentre gli invitati fuggivano da quella che la stampa locale avrebbe battezzato "la villa dell'orrore". Via dalle mani di sua madre, dall'orrore di una festa insanguinata.
Ryan si era suicidato. Un colpo alla testa. Aveva utilizzato un revolver regolarmente denunciato di cui Addison ignorava l'esistenza. Un acquisto di appena una settimana prima, la prova inconfutabile di una fine programmata.
Penelope e Tristan rimasero in giardino, accanto all'ambulanza intervenuta sul posto. I paramedici erano ancora in casa, in attesa che il medico legale autorizzasse lo spostamento del cadavere. Non sembrava esserci molto su cui indagare, per l'ispettore incaricato del caso era tutto piuttosto chiaro. Si trattava di suicidio, e preferiva chiudere in fretta la questione; non voleva fare troppa pubblicità alla faccenda, i giornali erano già pronti a fantasticare su quella storia.
«Non può essere vero» ripetè Penelope mentre il lampeggiante dipingeva di blu le mura della villa. Ripeteva quella frase di continuo, come un disco rotto.
Lei conosceva Ryan; forse era la sola con cui lui si fosse aperto negli ultimi tempi, ma da quando erano stati insieme erano a disagio ovunque, di fronte a Addison, seduti a tavola. Quella notte era stata un terribile errore.
Ci aveva riflettuto per giorni, ininterrottamente, eppure non capiva ancora cosa l'avesse spinta nel suo studio, dato che fra loro non c'era altro che simpatia, ma ormai era tardi. Troppo tardi per qualsiasi cosa.
«Non si può tornare indietro» sussurrò, e lo pensava davvero. Non poteva cancellare quella notte, il tremolio delle sue dita quando Ryan entrava in una stanza. «Non si può tornare indietro» ripetè, fissando imbambolata due agenti parlare con Addison. Le avevano portato del caffè, invitandola a sedersi sul sofà della veranda, ma Addison stava scuotendo la testa, decisa. Sembrava in difficoltà, così decise di avvicinarsi. Chiese a Tristan di aspettarla lì, non voleva che la seguisse; quella era una cosa che doveva fare da sola.
«Posso aiutarti?» chiese alla sorella una volta raggiunta la veranda. I due poliziotti si girarono verso di lei, ma l'espressione sollevata di Addison non appena le fu accanto sembrò confermarle di aver preso la decisione giusta, per una volta.
Sua sorella stava seduta con una lettera fra le mani, la coperta sulle spalle; era stravolta, il trucco ridotto a una macchia di colori impastati, e tremava. Batteva i denti, un brusio che colpì Penelope come un pugno. Non aveva mai visto Addison in quello stato.
«Ti spiace se mi siedo accanto a te?» le domandò, ma l'altra non rispose. Batté le palpebre, spostandosi di lato. Non era semplice per lei, tuttavia si sforzò di consolarla; Addison ne aveva bisogno, aveva bisogno che qualcuno le dicesse qualcosa. Qualsiasi cosa. «Non è colpa tua» azzardò Penelope scrutando il viso della sorella in cerca di una reazione, dopo che i poliziotti erano tornati alle loro auto.
«Lo so» rispose Addison, continuando a guardare nel vuoto. Altri poliziotti stavano discutendo con i paramedici in salotto, la porta aperta; parlavano del trasferimento del corpo, di autopsie da eseguire per fugare ogni dubbio.
Dubbi però non ce n'erano, per nessuno: Ryan si era suicidato e Addison ne aveva le prove.
«Ho trovato questa nel suo studio, prima che arrivasse la polizia» confessò mostrandole la lettera. A prima vista sembrava un fazzoletto, ma tra le macchie di sangue, il sangue di Ryan, Penelope lesse parole che si aspettava. Parole che toglievano il fiato.
Mia amata Addison, perdonami.
Perdonami per non essere stato l'uomo che meritavi, per non essere stato il marito che ti avevo promesso di essere. Perdona le mie tante debolezze, se puoi.
So di aver sbagliato tutto con te, ma andare avanti con l'illusione che le cose sarebbero cambiate sarebbe stato un inutile tormento per tutti noi.
Ho provato a essere forte, ad affrontare gli ostacoli a viso aperto come mi hai insegnato tu, ma la vita mi ha piegato sino a quando l'anima non ha retto e si è scheggiata, un tronco ormai senza più linfa ad alimentarlo.
La faccio finita perché non riesco più a vivere in questo mondo, perché so di averti deluso in un modo che non potresti mai perdonarmi, ma sappi che tutto quello che ho fatto l'ho fatto per amore.
Ti amo Addison. Ti ho sempre amata, non dimenticarlo mai, qualunque cosa accada, qualsiasi cosa ti dicano di me. Io ti amo, nient'altro conta.
È stato l'amore che provo per te a spingermi a uscire dalla tua vita; ero diventato un peso insostenibile, ma me ne sono reso conto troppo tardi.
Ti ho osservato a lungo in queste ultime settimane, e ho visto con i miei occhi quanta forza tu abbia dovuto sviluppare per riuscire a starmi accanto.
Sei diventata una roccia, amore mio, e proprio per questo io non ti merito. Non merito la tua compassione, i tuoi sforzi, ma soprattutto non merito te e la famiglia meravigliosa che abbiamo insieme.
Non hai bisogno di me, e forse non ne hai mai avuto. C'è stato un tempo in cui mi sono illuso di poterti proteggere dalle brutture del mondo, ma la vita mi ha smentito, rovesciando tutte le mie fragili convinzioni.
Fra noi due sei sempre stata tu quella che si è presa sulle spalle il peso maggiore, ma non posso sopportarlo, non più. Non posso tollerare anche questa umiliazione, non dopo la sedia a rotelle, non dopo quello che abbiamo passato. La disabilità è stata lo specchio impietoso della mia anima; mi ha sbattuto in faccia tutta la mia meschinità, le mie mancanze. La sedia che ho tanto odiato è servita a mostrarmi il vero Ryan: un uomo piccolo, talmente assorbito dai propri problemi da non accorgersi che stava uccidendo un amore, il più grande che abbia mai provato.
Non sono il marito perfetto, anche se nel cuore e nei pensieri ho desiderato esserlo ogni giorno, per te. Ma non è andata così.
Ho provato a cambiare, a tornare a essere l'uomo di cui ti eri innamorata, uno che potessi stimare, amare, ma ho ottenuto solo cumuli di parole non dette e risentimento. E frustrazione, l'anticamera della fine di un amore che volevo scongiurare in ogni modo. Leggevo con terrore il malcontento crescere giorno dopo giorno nei tuoi occhi luminosi, occhi in cui un tempo sapevo perdermi, la cui luce non riusciva più a scaldarmi. Ti ho fatto soffrire molto in questi anni, troppo, e non c'è modo per me di rimediare.
La mia unica consolazione è che ora dovrai continuare da sola. Finalmente camminerai più spedita nella vita, senza di me a rallentarti il passo, ma se mi vorrai accanto io non ti abbandonerò.
Sarò per sempre al tuo fianco, amore mio, vegliando su di te da un luogo in cui non potrò più farti del male. Non tormentarti cercando altre spiegazioni al mio gesto, ti prego. Sappi solo che ho fatto ciò che ho fatto per stanchezza, per vigliaccheria, e perché in questo corpo a metà, in una vita mutilata, io non volevo più starci. Non potevo vivere sapendo di aver ucciso ciò che ci legava; ti amo troppo per ferirti ancora. E ti amerò per sempre, non dimenticarlo. Non dubitarne mai. Tuo, Ryan La lettera scivolò fra le dita ghiacciate di Penelope, che la restituì alla sorella.
Dunque era quella la verità di Ryan, la voce limpida della sua anima. Si era ucciso per il troppo amore, per non far più soffrire sua moglie. La donna che amava più di se stesso, e che pure aveva tradito.
I paramedici attraversarono la porta con una barella grigia e un lenzuolo a coprire il volto sfigurato di Ryan.
Penelope ne seguì il tragitto sino alla macchina con il cuore sospeso.
Uno di loro invitò Addison a seguirlo in ospedale, ma lei si rifiutò, così anche l'ultima ambulanza lasciò il giardino. Sul prato rimasero soltanto stelle filanti e palloncini colorati, e una torta intatta sul tavolo. Ombre di una felicità interrotta di colpo.
Penelope lasciò la veranda e tornò da Tristan, rimasto ad aspettarla in giardino. Se ne stava appoggiato al camioncino, lo sguardo rivolto al fiume; la nebbia rendeva il paesaggio spettrale.
Gli sfiorò la spalla e si appoggiò a lui, lasciandosi andare a un lungo sospiro.
«Come va?»
«Non vuole parlare.»
«Veramente mi riferivo a te» precisò lui, ma Penelope scosse la testa, la mano a cercare la sua.
Non era importante; la sola cosa di cui aveva bisogno era ritrovare un po' del suo calore. Solo un po'.
Quando Addison le aveva mostrato la lettera di Ryan le era mancato il fiato, e ombre confuse le avevano annebbiato la vista. Era ancora troppo fragile per resistere a quella notizia, a una confessione di cui solo lei e Ryan conoscevano il significato più autentico.
Ryan si era ucciso per la vergogna, per la frustrazione, per la depressione che nessuno aveva voluto vedere. Era stato più comodo nascondere tutto sotto il tappeto e andare avanti, imparando a misurare le parole. Indietro non si torna, le conseguenze di una notte non potevano essere cancellate con uno sforzo di volontà. Non poteva bastare, ma non era quello il momento di pensarci, non se Tristan continuava a tenerle la mano, se il cuore di Adam batteva così vicino al suo.
Prese fiato, cercando la forza di dire quello che doveva. Non avrebbe mai voluto, ma non poteva lasciare Addison da sola.
«È meglio che tu vada» sussurrò.
Tristan annui, quasi se lo aspettasse, ma non sembrava convinto della sua decisione. «Sicura?
Potrei dormire sul divano.»
«Meglio di no» insistè lei, scostandosi. Era il distacco più difficile, ma non il più doloroso che avesse affrontato. Indietreggiò sull'erba con le mani in tasca, a ribadire le distanze. «Ci sentiamo presto, ok?» disse lui tendendo inutilmente la mano verso di lei, già lontana, prima di scomparire nella luce fioca del giardino. Voltò le spalle a Tristan e raggiunse la veranda correndo, appena in tempo per la messa in funzione degli irrigatori.
Getti d'acqua gelida infierirono sui resti di una festa abbandonata; le decorazioni fradice crollarono a terra, mentre la torta di panna vegetale si era allargata sul tavolo in un'enorme poltiglia gialla.
Penelope non si voltò a guardare, non aveva la forza di affrontare anche quel disastro. Ci avrebbe pensato il giorno dopo, con la luce del sole. Sentì il furgoncino del vivaio arrancare lungo il vialetto, lasciandosi alle spalle una scia di fumo bianco. Il motore doveva essere gelido come le pareti di una villa che le metteva i brividi.
«Che ne dici di rientrare? Qui fuori si gela» propose a Addison sfregandosi le braccia. La temperatura era scesa in picchiata, uno sbalzo termico di quasi venti gradi rispetto al tepore che aveva animato il giardino sino al momento atroce dello sparo.
Addison la guardò, impassibile, poi si alzò e oltrepassò la porta.
«Ti preparo una tisana?» si offrì Penelope seguendola in cucina.
Non sarebbe stato facile per Addison dormire nel letto che aveva condiviso con Ryan, passare indenne davanti alla porta dello studio sigillata con i nastri gialli della polizia.
Penelope rimase dietro il tavolo in attesa di un cenno della sorella, ma Addison non mosse un muscolo; continuò a guardare il vuoto, le braccia lungo i fianchi e i vestiti sporchi di sangue, perciò uscì dalla cucina e salì a prepararle un bagno caldo. Era quello che ci voleva per ristabilire un primo contatto con la realtà; quello era stato il consiglio che le aveva dato la sua psicologa quando aveva dovuto affrontare la prima notte senza Adam, forse l'unico che avesse mai seguito.
«Inizia con un bagno caldo; prenditi tutto il tempo, io ti aspetto qui fuori» le disse dopo lunghe insistenze. Convincere Addison a togliersi i vestiti, gli unici oggetti ancora intrisi di Ryan, fu doloroso e duro. Separarsene per sua sorella significava prendere coscienza del fatto che lui non sarebbe tornato, mai più.
E gettarli via significava accettare che Ryan si era suicidato. Suo cognato non aveva sopportato la vergogna del tradimento, del senso di colpa, di un bisogno d'amore che Addison non saziava.
Spesso lui le aveva chiesto un'altra notte, ma ogni volta che Penelope trovava uno dei suoi biglietti sotto la porta della stanza li gettava via, lontano.
Non voleva un'altra notte con lui, non era sicura nemmeno di aver voluto la prima.
Anche lei aveva tradito, ma non era stata Addison il suo unico bersaglio; con quella follia aveva ferito sua sorella e Ryan, ma soprattutto Tristan e Adam, il custode della sua parte più sacra, quello che aveva ingannato più di ogni altro.
Rimase in ascolto dello scrosciare dell'acqua, le ginocchia strette nella morsa delle braccia.
Lasciò andare indietro la testa, e prese fra le mani la tisana alla valeriana che aveva preparato per Addison. Osservò i dettagli della boiserie bianca a contrasto con la parete ocra del corridoio, e si fece del male con le foto di famiglia che riempivano i muri. C'erano Addison e Leonard su una spiaggia, e Ryan con lo zaino in spalla e le scarpe da trekking sulla vetta di un monte sconosciuto.
In quella foto sorrideva. Sorrideva come non gli sarebbe più stato possibile. In quel momento Penelope capì.
A ore dal disastro, seduta dietro una porta chiusa, realizzò che Ryan non sarebbe più uscito dallo studio, che non avrebbe più visto la sua sedia a rotelle in giro per casa. Lui era morto, proprio come Adam. Un singhiozzo, allora, le mozzò il respiro.