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Penelope aprì gli occhi, e subito percepì nell'aria la scia di fumo del barbecue. Per un momento aveva creduto di essere tornata bambina, alle domeniche con i vicini americani e le torte di Claire, ma una volta nella doccia aveva capito che non c'era speranza di evitare il brunch di Addison.

Dopo varie insistenze Ryan era riuscito a convincerla a parteciparvi, ma non era certa che fosse la scelta giusta. Si era presentata in veranda con i jeans e un vecchio maglione di Adam, appositamente spettinata e struccata, ma quando si era vista circondare da un esercito di sconosciuti venuti apposta per incontrarla se ne era pentita. In quel modo non avrebbe fatto altro che attirare l'attenzione su di sé, l'eterna vedova.

Da parte sua era pronta a sopportare le pacche sulle spalle e gli sguardi intrisi di compassione degli invitati, ma per farlo avrebbe dovuto prima ammorbidire gli spigoli dei ricordi con del vino.

Tutti volevano sapere di lei, di Adam, di Londra; Addison aveva sbandierato all'intero vicinato della tragedia che l'aveva investita, una ferita che Penelope non poteva sopportare. Voltò le spalle alla festa, cercando rifugio fra le ortensie della sorella. Nascosta fra quei petali colorati si sentiva al sicuro, protetta da una bolla di profumi che la riportarono alle domeniche nell'East End, al mercato di fiori. Appoggiò il bicchiere vuoto nell'erba. Leonard la guardava con le manine nelle tasche degli shorts griffati, già macchiati di terra, un particolare che la fece sorridere. Il piccolo aveva preso il meglio dai genitori, ma le sue stranezze e lo spirito ribelle ricordavano piuttosto il clan McNamara.

Per qualche ragione che sfuggiva alla logica, lei aveva stabilito da subito un'intesa con lui: le bastava un'occhiata per capire di cosa avesse bisogno. Ma ogni volta che lo guardava vedeva in lui un fiume di angoscia. Penelope gli leggeva negli occhi la stessa paura di non essere amati delle McNamara, la solitudine che aveva scavato talmente a fondo nella vita di sua madre da portargliela via a meno di quarant'anni, ma tutta quella malinconia era un insulto sul viso innocente di un bambino.

«Come va, campione?» gli domandò. Tese la mano verso quella del nipote, che avanzò a piccoli passi sino a sfiorarla. Le sue dita si perdevano nel palmo di Penelope, ma si ritrassero spaventate non appena captarono un fruscio dietro le ortensie. Leonard scappò subito in casa, mentre lei tornò alla recita messa su da Addison. Afferrò il bicchiere vuoto e si alzò in piedi, avanzando verso il viso tondeggiante della sconosciuta che aveva messo in fuga suo nipote.

Penelope ascoltò anche lei, annuì contrita quando la donna le mostrò la foto del figlio morto ad appena diciassette anni, ma il cammeo che portava al collo con incise le date di nascita e di morte del ragazzo la colpì come una pugnalata.

Penelope non aveva idea di quanti anni avesse Adam al momento dello schianto. Lui detestava i compleanni; era convinto che l'età non fosse rilevante. Persino gli Spencer non avevano voluto date sulla lapide, perché Adam era un regalo senza tempo, da serbare per l'eternità.

Penelope abbassò lo sguardo. Di colpo si sentì catapultata al funerale, un anno prima; di nuovo l'odore pastoso dei fiori a serrarle la gola. Non poteva restare, non riusciva più a respirare tra quella gente.

Aspettò che Addison facesse il suo ingresso in veranda con indosso il vestito cipria e un nastro di raso fra i capelli chiari, impeccabile come sempre, e abbandonò la festa. Ancora un minuto e sarebbe impazzita.

Attraversò il vialetto correndo, sorda al frusciare della siepe dietro cui si nascondeva il vociare degli ospiti, e una volta in strada ripercorse a memoria il tragitto fatto insieme alla sorella. Di nuovo i campi illuminati da un sole tiepido, le reti sbilenche ai lati della strada e i cespugli di eriche a tracciare il cammino. Oltre i muretti a secco un piccolo gregge candido pascolava nei prati inverditi dalle piogge, sotto la guida di un cane dal pelo scuro. Penelope lo sentì abbaiare furioso a un pick up che si inerpicava per i campi, ma ignorò le proteste del cane e riprese a correre lungo l'asfalto. La strada si innestò quasi subito su quella principale, e di lì Penelope svoltò in direzione del paese.

Ancora case in pietra ai lati della strada e vasi fioriti sui balconi, e ancora il profumo di brace nell'aria. A passo svelto oltrepassò il centro impigrito dal sole domenicale, superò le finestre decorate con le tendine di pizzo, i portoni colorati e quello austero della chiesa, e si fermò di fronte a un cancello arrugginito stretto fra due torrette di pietra.

Il cimitero del paese.

Penelope era bloccata. Sapeva cosa c'era oltre quel cancello, e sapeva che entrando avrebbe rischiato di sgretolare quel briciolo di autocontrollo che la teneva in piedi, eppure lo spinse, attratta dalla voce del vento.

Costeggiò i vialetti deserti, dissolvendo in un sospiro un coagulo di amarezza; finalmente in pace. Attraversò i campi con le croci sbilenche e le date incise a penna e si diresse verso l'ala più antica, lì dove sentiva forte la spinta del vento. Tagliò per un vialetto ricoperto di foglie, lacrime di un platano che già si preparava all'autunno, studiando le foto di ceramica che incontrava lungo la strada; lesse le date di morte raffrontandole con quelle di nascita, ripensando alla lapide spoglia del suo Adam. Per sé Adam non aveva voluto nemmeno quella minuscola manciata di numeri.

Nemmeno i suoi organi.

Quando lei aveva riaperto gli occhi dopo il coma, in ospedale, il medico cui era stato affidato il cuore di Adam aveva scosso la testa di fronte alle sue insistenze. La dottoressa le aveva detto solo che la sorte di quegli organi rientrava tra le informazioni riservate, e che non la riguardava.

Adam però, lui la riguardava eccome; loro due si sarebbero dovuti sposare. Penelope avrebbe acquisito il suo cognome e partorito i suoi figli, ma tutto quello che si sentì dire fu un laconico «mi dispiace», «dimentichi questa storia e vada avanti, la vita ha ancora molto da offrirle».

«Stronzate» borbottò, lasciandosi cadere su una panchina davanti alla tomba di una donna.

Un angelo triste vegliava sulle sue spoglie, incorniciate da un arco di rose sfiorite. L'intera struttura soffocava nell'abbraccio del muschio risalito lungo la pietra, a ricordarle i monumenti funebri nei cimiteri storici delle grandi città.

Penelope rivolse uno sguardo pieno di compassione al volto della sconosciuta, ma quando lesse le poche righe a custodia del suo epitaffio, le stesse di Sandor Petofi che un giorno di novembre Adam le aveva letto mentre fuori pioveva a dirotto, sentì il cuore sbriciolarsi.

Cadde in ginocchio ai piedi della lapide, la mano tesa a sfiorarle con un filo di voce; un po' di più e si sarebbe spezzata anche lei.

 

 Tu eri il mio unico fiore: sei stato reciso e la mia vita è deserta.

 Tu eri il mio sole raggiante: sei tramontato e intorno ho la notte.

 Tu eri l'ala della fantasia: sei stata spezzata e io non posso volare.

 Tu eri l'ardore dentro il mio sangue: ti sei spento e io sono di gelo.

 

Penelope abbassò la testa, il pugno chiuso sulla pietra.

Il tempo non era il medico pietoso di cui le avevano parlato, solo un disgustoso palliativo. Il dolore si attenuava, sì, ma rimaneva la seconda tazza di caffè da riempire la mattina, il bacio prima di spegnere la luce la sera. Un vuoto che le ore non sapevano colmare.

Si accucciò ai piedi dell'angelo, i capelli che le cadevano scomposti sul viso pallido; non aveva idea di cosa ci facesse sulla tomba di una sconosciuta, ma non voleva andarsene.

Chiuse gli occhi, appena il tempo di realizzare che qualcuno si stava avvicinando. Un ragazzo, forse, Penelope lo intuì dalla camminata sicura, ma subito scattò in piedi e corse verso il vialetto più esterno, il più lontano possibile dal nuovo arrivato, dal rumore di una vita che tornava a tormentarla, sempre.

Rientrò a casa dopo aver girato per ore senza meta, e quando si ritrovò nel vialetto notò con sollievo che la festa era finita da un pezzo. La veranda era deserta, nell'erba nemmeno un tovagliolo dimenticato da un ospite distratto. Tutto era stato accuratamente ripulito.

Penelope attraversò la porta, subito accolta da una fresca nota di limone. I pavimenti erano ancora umidi, in casa non sembrava esserci più alcuna traccia del brunch domenicale.

Addison aveva riordinato ogni angolo; persino i piatti erano asciutti e impilati, pronti per essere riposti nella credenza, e gli avanzi ordinatamente sistemati in vaschette di alluminio.

«Addison?» la chiamò, ma nessuno le rispose. Si fece largo nel silenzio surreale che regnava in casa, strisciando in punta di piedi verso la cucina avvolta nel buio, ma balzò indietro non appena vide le luci della stanza accendersi di colpo.

«Ah, eccoti. Iniziavo a dubitare che saresti tornata.» Addison stava con le mani appoggiate al lavello, fissando la sorella come i giudici scrutano i colpevoli sottoposti al loro giudizio: rigida e implacabile.

Penelope infilò le mani nelle tasche dei jeans. «Preferivi che non tornassi?»

«Questa è casa tua, lo sai» rispose allargando le braccia. «Però avrei preferito che non mi avessi piantato nel bel mezzo della festa che ho dato per te.»

«Non volevo che ne organizzassi una.» Addison incrociò le braccia; avrebbe preferito masticare sassi piuttosto che sopportare le stoccate della sorella, ma era troppo stanca per discutere. «Fa' come ti pare, tanto è inutile parlare con te.» Le voltò le spalle, la mente già rivolta ad altre cose.

«Buonanotte» aggiunse ripiegando inutilmente uno strofinaccio, ma la vista di Ryan sulla porta la bloccò. Salutò Penelope con un cenno e si rivolse alla moglie.

«Leonard ha fame. Vorrebbe il budino che avevi preparato, ce ne dovrebbe essere ancora un po' in frigorifero» disse avvicinandosi a Addison, che ruppe in una risata sarcastica.

«Davvero ha fame?»

«È quello che ho detto, sì» rispose lui, confuso.

«E come fai a saperlo, te lo ha detto lui?» Ryan si passò la mano fra i capelli. Era esausto anche lui; voleva solo andare a dormire. Si voltò verso Penelope in cerca di un'alleata, ma lei rimase zitta.

«Possiamo parlarne in un altro momento?»

«Perché?» rispose Addison. «Penelope fa parte di questa famiglia, ma fa di tutto per negarlo» rispose indicando la sorella che se ne stava con le braccia incrociate sulla porta.

Penelope ebbe di nuovo la sensazione di stare in qualche modo spiando il matrimonio di sua sorella dal buco della serratura; sulla pelle percepì lo stesso disagio di quando era arrivata.

«Se vuoi glielo porto io, il budino» propose, ma Addison la fulminò con un'occhiata.

«Evita di fingere che ti importi di questa famiglia, per favore.»

«Addison, guarda che io non volevo...»

«A mio figlio ci penso da sola, grazie» concluse con un sorriso velenoso. Aprì il frigorifero con uno strattone, afferrò il budino e uscì a grandi passi dalla cucina sotto lo sguardo impotente dei due cognati.

Penelope seguì la scia di profumo di fresia della sorella, ascoltando i piccoli tacchi che affrontavano la scala; era senza parole.

Almeno quanto Ryan, col medesimo sconcerto impresso sul viso.