14
Era domenica.
Di solito Penelope lavorava in giardino per l'intera settimana, ma la domenica no, quella era dedicata al cucito. La notte, quando la luna era alta e luminosa, sentiva spesso l'istinto di aprire l'armadio in cerca dei ricordi, e non c'era verso di calmarsi se non gettandosi la trapunta sulle spalle e lavorare. Cuciva alla luce dell'abat-jour sino a quando non le bruciavano gli occhi e le dita iniziavano a saltare i punti. Allora si abbandonava al sonno, spesso quando il primo raggio di sole si affacciava alla finestra.
In una di quelle mattine, molto presto, Addison aprì gli occhi. Ryan russava accanto a lei, di spalle, ma il resto della casa era avvolto dal silenzio; non un suono nella stanza di Leonard, e nemmeno da quella di Penelope.
La vita fuori, poi, era pura immaginazione. Niente pioggia, nessuna ventata di foglie sbattute contro la finestra; solo pace.
Una perfetta domenica mattina.
Addison sollevò il braccio mentre guardava l'uomo che le respirava accanto, quel marito con cui era sempre più difficile parlare.
Dopo il burrascoso arrivo di Penelope, il loro matrimonio stava attraversando una fase complicata. La serenità iniziale si era andata via via incrinandosi, sino quasi a spezzarsi del tutto a causa della crescente intesa fra lui e sua sorella.
Il giorno prima Addison aveva sorpreso Ryan a guardare Penelope dalla veranda; era uscita fuori per prendere un po' d'aria, distrarsi dalle pratiche sulle quali lavorava da giorni e per scambiare quattro chiacchiere con suo marito, ma la vista di Ryan seduto sulla sedia con le mani conserte e gli occhi fissi su Penelope che lavorava in giardino l'aveva paralizzata sulla porta.
Addison non sapeva esattamente cosa, ma sentiva che in quello che stava vedendo c'era qualcosa di profondamente sbagliato; non era normale il modo in cui Ryan fissava Penelope, l'attenzione con cui seguiva ogni suo passo, senza perdere nemmeno un respiro, ed era qualcosa che non poteva perdonargli, per cui la disgustava il solo pensiero delle sue mani che la sfioravano.
Lei però conosceva bene suo marito: Ryan non era mai stato un tipo che si accontentava delle piccole vittorie, no. Lui voleva di più dal loro matrimonio, glielo aveva detto chiaramente poche ore prima; Ryan aveva preteso di fare l'amore, ma lei non aveva voluto sentirne parlare. Dalla notte dell'incidente la loro intimità si era arenata, e con tutti i problemi che le davano Leonard e Penelope il sesso coniugale era scivolato in fondo alla lista delle sue priorità.
Le cose però potevano cambiare, Addison non era tipo da arrendersi; se Leonard avesse fatto qualche progresso e Penelope cominciato a riconoscere i suoi errori forse sarebbe stato più semplice per lei cedere alle richieste del marito, ma per il momento quella era e rimaneva una possibilità remota.
Lanciò un ultimo sguardo a Ryan, all'uomo insieme al quale un tempo aveva ballato un lento in riva al mare; era accaduto in viaggio di nozze, eppure da allora le sembravano trascorsi decenni di grigiore. La Addison con indosso l'abito di seta a fiori era svanita, e con lei l'uomo che la stringeva come se non volesse più lasciarla andare via.
«Quanto tempo» disse tra sé coprendosi il viso con la mano.
Ancora un paio di minuti per raccogliere la forza di alzarsi dal letto e infilarsi sotto la doccia.
Cominciò a sfregare sulla pelle la saponetta all'olio di mandorle, ma la prima bolla di sapone che si sollevò fra le pareti appannate la riportò a moltissimi anni prima, quando era sua madre a lavarla.
Claire partiva dalla testa, lentamente, ma già quando arrivava alle braccia decine di bolle di sapone erano in volo intorno a lei, che rideva felice.
Era il loro rituale, un gioco tra madre e figlia, ma appena Penelope varcò la soglia Claire le disse che avrebbe dovuto iniziare a fare il bagno da sola. Lei aveva vissuto quel cambiamento come un tradimento, ma per quanto ne soffrisse si era imposta di non darlo a vedere, almeno sino al giorno in cui Philip sostituì la vasca da bagno con un box doccia e Claire le chiese di fare il bagno con la sorella. Lei allora pianse e puntò i piedi, sbraitando che Penelope non era sua sorella, ma Claire non cedette di un millimetro; una sera, dopo cena, aspettò che tutti andassero a dormire, la fece sedere sulle sue gambe e le disse una frase che si scolpì nella sua memoria: «Chi ha buon senso lo adoperi».
Non aggiunse altro; solo una carezza e il bacio della buonanotte, ma da allora sua madre non tornò più sull'argomento. Niente più bolle di sapone, ma soprattutto niente più risate chiusa in bagno insieme a lei.
Addison chiuse il rubinetto e allungò il braccio a cercare l'accappatoio.
«Non ha senso pensare ancora a queste cose» disse scuotendo la testa, mentre il passato svaniva dai ricordi. Claire era morta, e così la gelosia feroce che l'aveva spinta per anni a vedere in Penelope una nemica. Per lungo tempo si era convinta che fosse lei, fra loro due, quella più forte, ma la vita aveva spezzato Penelope, e di lei ormai non rimanevano che macerie.
Non era lei quella forte, che lavorava nel suo giardino dalla mattina alla sera solo per scacciare il fantasma di un amore che non riusciva a cavarsi via dall'anima.
Il tempo della guerra, perciò, doveva finire quella mattina stessa, perché ne aveva abbastanza di combattere con Penelope; lo aveva fatto per anni, da quando era un'adolescente arrabbiata, ed era stanca di tutti quei drammi.
La sola cosa che Addison desiderava era un po' di pace, e ristabilire un equilibrio famigliare che le permettesse di svegliarsi la mattina con la voglia di vivere in quella casa insieme a Ryan, Penelope e Leonard.
Scese in cucina per preparare la colazione, e sentendo i primi rumori dal piano di sopra salì a chiamare Penelope. Raggiunse la cima delle scale con il fiatone, sicura che fosse sveglia, ma quando bussò alla porta non rispose nessuno.
Addison aspettò un altro minuto, ed entrò. Voleva riappacificarsi con Penelope, ritrovare il capo di quel filo sottilissimo che la legava a sua sorella e camminare verso di lei, ma quando vide sparsa sul pavimento la sua vita, tutti i ricordi di Claire che aveva stipato in un paio di scatole si sentì improvvisamente debole. C'erano foto ovunque, i suoi lavori di cucito, i suoi ferri; Penelope aveva messo le mani su tutto, su ogni minimo ricordo di sua madre.
Addison aveva riposto ogni cosa per ritrovarla un giorno, quando avrebbe avvertito più forte la nostalgia di Claire e sentito il desiderio di raccontare di lei a Leonard, ma Penelope l'aveva preceduta, tentando di portargliela via, come la bambina che le aveva rubato la madre.
«Come ti sei permessa?» tuonò.
Penelope, rannicchiata sotto il piumone, si svegliò di soprassalto. Scattò a sedere sul letto, ma quando mise a fuoco la figura china sul pavimento si precipitò ai suoi piedi.
«Lascia stare, metto a posto io» farfugliò cercando di togliere quanto più materiale possibile dalle mani della sorella, che teneva strette contro il petto le foto di Claire.
Addison era pallida, ma erano gli occhi a spaventarla di più; Penelope non ci aveva mai visto tanta rabbia dentro.
«Come ti sei permessa?» ripetè piano. «Avevo messo tutto in ordine,» riprese «avevo fatto di tutto per conservare le sue cose, per mantenere intatto persino il suo odore, ma poi arrivi tu e distruggi tutto. Ti prendi quello che vuoi, di nuovo, e vieni in casa mia a rubarmi mia madre di nuovo.» Stringeva negli occhi tutto il suo disprezzo; ancora le immagini del passato, di suo padre con le spalle spioventi di fronte alla porta e Penelope nascosta dietro la sua giacca, le braccia strette intorno a un pupazzo di pezza uguale al suo.
Di nuovo le immagini di quella sera sulle ginocchia di sua madre, che le diceva sottovoce che l'infanzia era finita.
«Allora io non avevo voce in capitolo, non potevo fare niente per fermarti, ma stavolta non te lo permetto, no. Claire era mia madre, non la tua» sibilò.
Penelope la fissava spaesata; non aveva mai visto Addison in quello stato, le tremavano le mani, a lei che era sempre stata controllata.
Abbassò la testa, aveva nella voce parole che assomigliavano a delle scuse, ma niente poteva scaldare il cuore furioso di Addison, la protesta di una donna tornata bambina di fronte al furto perpetrato dei suoi affetti.
Lei avrebbe voluto rassicurarla, promettere all'adolescente che Addison era stata, che niente avrebbe potuto portarle via l'amore per sua madre, ma le bastò un'occhiata per capire di non avere scelta. Era arrivato per lei il momento di spiegarle di Adam, di dirle che quello era il solo modo che aveva per sentirlo ancora vicino, ma quando dovette tirare fuori la voce, quella la tradì. Non riuscì a fare altro che balbettare il nome di Adam, ma tanto bastò a far scattare Addison.
«Mio Dio, ancora lui!» gridò mentre Ryan allontanava Leonard, affacciatosi sulla porta richiamato dalle urla della madre.
Tremava, sulla bocca una smorfia di dolore, mentre una macchia paglierina imbrattò il pavimento fra le sue gambette.
«Vieni campione, andiamo» sussurrò Ryan sollevandolo per le braccia, ma quello che vide non gli piacque per niente: le due sorelle erano di nuovo pronte allo scontro.
«È trascorso più di un anno, e ancora ti comporti come se il suo funerale fosse stato ieri» sbottò Addison. «Non ti senti ridicola?»
«Nemmeno un po'» si difese Penelope alzandosi in piedi. Raccolse da terra la coperta su cui stava lavorando, scoprendo i ferri rimasti sul pavimento. Scambiò un'occhiata rapidissima con Addison, ma quando la vide allungare la mano con l'intenzione di prenderli li coprì con la punta del piede. «Lasciali dove sono» le intimò, gelida.
«Tu non ne hai il diritto» ribatté Addison stringendo i pugni. «Sono i ricordi della mia famiglia.
Non appartengono a te, non sono tuoi.» La coperta che Penelope teneva in mano volò sul letto. «Allora spiegami che ci faccio in questa casa se non sono parte della famiglia. Perché diamine vivo qui se non mi vuoi, se ti basta che prenda un gomitolo dalla soffitta per dare in escandescenze?» disse avanzando sino a sentire il profumo di Addison riempirle i polmoni. «Perché sono qui?» ripetè. «Si tratta del vicinato, per pavoneggiarti con loro? Hai bisogno della tua sorellina sbandata per appuntarti sul petto la coccarda della prima della classe? È di questo che si tratta? Sei ancora a questo punto, bloccata a un'infanzia che credi essere stata un inferno e che invece era tutto quello che qualsiasi bambino normale ti avrebbe invidiato?» Gli album che Addison stringeva crollarono a terra, aprendosi su attimi scoloriti di felicità.
«Credi davvero che io sia stata una bambina felice, Penelope?» sussurrò inclinando la testa.
Nella voce soltanto rabbia, mentre gli occhi si impregnavano nuovamente di rimpianti. «In effetti lo sono stata, sì» ammise. «Sono stata una bambina felice sino a quando Violet non è entrata nella mia vita. Sino ad allora era tutto perfetto; in famiglia non avevamo molto, ma era abbastanza per essere felici, e poi è comparsa Violet. Lei si è insidiata nelle nostre vite come il cancro che l'ha uccisa, divorandole un boccone alla volta. Philip, Claire e io potevamo essere la famiglia perfetta, non ci mancava niente per esserlo, ma lei ha rovinato tutto.» Fece una pausa, avvicinandosi alla finestra.
«Da quando tua madre è comparsa all'orizzonte è cominciato il nostro calvario, che è culminato il giorno in cui Claire ti ha accolto in casa» continuò con le braccia strette, come a voler tenere insieme i pezzi della bambina che era stata. «Da quel momento smisi di essere la sua unica figlia, e ancora oggi non so il perché. Ho dovuto dividere tutto con te; la camera, i vestiti, i libri di scuola.
Persino l'affetto di nostro padre, ma volevo che almeno Claire rimanesse per me, e invece tu non me lo hai permesso. Ti sei presa anche lei, proprio come Violet con nostro padre, e ora che ti ho voluto con me per cercare di aiutarti tu ti prendi questa casa. Hai iniziato in sordina con la storia del giardino, ma tempo qualche settimana e sei arrivata alla soffitta. Probabilmente fra qualche mese metterai le mani persino su Ryan e Leonard, perché in fondo sei esattamente come lei. Non puoi modificare la tua natura; non ti fermerai fino a quando non avrai fatto a pezzi anche la mia famiglia» concluse voltandosi. Aveva gli occhi lucidi, ma cercò di mantenere il controllo per dimostrare alla sorella che non l'avrebbe spuntata.
Penelope la ascoltò impassibile, gli occhi sulle assi del parquet. Aveva registrato ogni parola, ogni pausa. Non aveva reagito nemmeno quando lei le aveva ricordato di cosa era stata capace Violet, di quello che aveva significato la sua nascita per la famiglia cui suo padre aveva giurato per primo cieca devozione.
Lei sapeva di non poterla smentire, perché le scelte di Violet non potevano essere difese, ma era pur sempre sua madre, capace di sparire e farla sentire la ragazzina più fortunata del mondo al tempo stesso.
Prese un respiro profondo.
«Vai al diavolo, Addison» disse forte e chiaro prima di lasciarsi lei e la sua ira alle spalle.
Affrontò le scale senza voltarsi, senza lasciare nemmeno a Ryan il tempo di una domanda.
Afferrò il cappotto all'ingresso e uscì sbattendo la porta.
Non ci voleva andare, si era ripromessa di stare lontana dal cimitero e da Kate, ma le gambe non ascoltarono una sillaba di quello che le urlava la testa. I pensieri cadevano nel vuoto, inghiottiti da un pozzo di rancore.
Strattonò il cancello arrugginito percorrendo i viali a memoria. Presto avrebbe piovuto, il cielo sopra di lei era in tumulto. Corse fra le lapidi incurante dei visitatori e si fermò solo quando raggiunse la tomba della sua sconosciuta, Kate.
Lì cercò di nuovo Adam; lo cercò di nuovo nelle parole strazianti dell'epitaffio, ma quella volta non funzionò. Il marmo rimase muto, la foto di Kate sbiadita come non le era mai sembrato prima.
Anche lì, in piedi davanti al suo angelo triste, nient'altro che una solitudine feroce.
Intorno, invece, il canto indaffarato degli uccelli, e il profumo vischioso dei lilium sulla tomba.
Era stata sconfitta, vinta.
Rimase davanti alla lapide di Kate inerme, le mani nelle tasche del cappotto, a mordersi le labbra sino a farle sanguinare.
«Posso aiutarti?» Tristan era dietro di lei, ma Penelope non lo aveva sentito arrivare, immersa com'era nella sua disperazione. La mano appoggiata sulla spalla però era la sua, ne era sicura. L'aveva riconosciuta dal mignolo storto - una frattura mai curata che si era procurato da bambino - e da quel profumo di erba bagnata che gli impregnava i vestiti. Il calore che sentiva ogni volta che lui le era vicino, poi, l'aveva investita come una folata d'estate. Si girò appena, storcendo la bocca nella brutta imitazione di un sorriso.
Tristan, invece, aveva stampato il buonumore sul volto. «È da un po' che non ti fai vedere» disse appoggiando un mazzo di calle sulla panchina. «Ti senti bene?» Lei si girò a guardarlo; era spettinata, con la faccia stralunata e la maglia del pigiama sotto un cappotto di lana enorme.
In lontananza le campane della chiesa richiamavano i fedeli al primo appuntamento della giornata.
«Accidenti» commentò Tristan, scontrandosi con i suoi occhi torbidi. Le cinse le spalle, e le abbottonò il cappotto. «Addison?» tirò a indovinare.
«Non la sopporto più» confessò Penelope, lo sguardo perso fra i ciottoli. «Stamattina mi ha tirato giù dal letto solo per insultare me e mia madre, ma lo fa da così tanto tempo che inizio a pensare che ci provi gusto a farmi sentire un verme.» Scosse la testa, negli occhi solo la voglia di piangere, e nelle spalle strette quella di dimenticare e ricominciare da zero, dalla sua vita a Londra, senza Adam, anche se al solo pensiero di tornare nell'East End sentiva il respiro sbriciolarsi.
Nascose il viso fra le mani, quando all'improvviso un calore forte si diffuse fra le scapole; la mano di Tristan, di nuovo.
«Perché fa così? Siete sorelle, avete parecchie cose in comune.»
«Troppe se stai a sentire lei» replicò Penelope. «È convinta che io e mia madre le abbiamo rubato la vita, e adesso sta rendendo un inferno la mia. Non fa che starmi addosso, giudicarmi per ogni sciocchezza. È un incubo.»
«Perché non te ne vai, allora? Che ci guadagni a stare in un posto del genere?» Sembrava la soluzione più naturale, eppure lei non reagì. Allungò la mano verso Tristan in cerca di Adam, di nuovo, ma senza successo.
«Rimani con me» sussurrò facendogli spazio sulla panchina. «Ti voglio raccontare una storia» bisbigliò, a fatica. Era terribile, ma si impose di non cedere.
Penelope cominciò dall'inizio, da suo padre. Raccontò a Tristan di lui, Claire e Violet, e di quella spirale di gelosie che da anni perseguitava la sua famiglia.
«In realtà mia madre morì nubile» precisò. «Mio padre avrebbe voluto sposarla, ma fu lei a dire di no. Non voleva legarsi per l'eternità a qualcuno mettendo una firma su un registro, ma pretese che mi riconoscesse ufficialmente. Immagino che lei volesse sapermi al sicuro, nel caso le fosse successo qualcosa, e a posteriori direi che è stata una scelta saggia, forse l'unica che abbia preso in tutta la sua vita» continuò con un tono volutamente ironico.
Violet era un uragano, incostante, inaffidabile, palesemente infedele, ma niente era capace di scaldare un cuore come il suo sorriso. Solo il cancro era riuscito a spegnerlo; settimane piene d'angoscia in cui Penelope aveva visto la sua esistenza stravolgersi. Di colpo sua madre era sempre stanca, con un ago perennemente infilato nel braccio e la pelle ogni giorno più bianca. Era appassita come il fiore di cui portava il nome, senza nemmeno darle il tempo di abituarsi all'idea che presto non avrebbe più potuto abbracciare sua madre.
Penelope strinse più forte la mano di Tristan. Era stato orribile vederla immobile in una bara, lei che era stata sempre così vitale.
«Quando morì, mio padre tornò a vivere da sua moglie Claire, la madre di Addison. Io andai con lui, e quello fu l'inizio di tutti i nostri problemi.» Tornò con la memoria a quella sera, allo zainetto rosa premuto contro la sua gamba, al tuffo al cuore nel momento in cui Claire aveva aperto la porta al marito. Dietro di lei c'era Addison, che guardava il padre con gli occhi pieni di sconcerto, combattuta fra il gettargli le braccia al collo e la voglia di chiudere la porta. Se solo lui avesse aspettato un altro po' prima di girarsi verso di lei avrebbe vinto la prima, ne era convinta, ma quando la presentò a Addison, Penelope aveva visto il sorriso di sua sorella crollare.
«Da quella sera lei mi odiò; mi considerava un'intrusa, ed è quello che sono sempre stata» riprese. «Le sono stata tra i piedi fino a quando non sono diventata grande abbastanza per andarmene, una volta finito il liceo; però amavo sua madre. La amavo come e forse più della mia.
La notte pregavo affinché Claire diventasse mia madre a tutti gli effetti e io non fossi più considerata la figliastra. Lei sembrava nata per i bambini; mi aiutava a fare i compiti, giocavamo insieme, mi sosteneva quando ero giù e mi spronava a migliorare quando sentivo di non farcela.
Allora mi prendeva da parte e mi ripeteva che dovevo prendere a esempio la donna di cui portavo il nome; la Penelope dell'epica che aveva fatto della perseveranza il suo motto: io dovevo essere come lei.»
«Continua,» la spronò Tristan «voglio conoscere tutta la storia. Inclusa quella del tuo nome.
Come è saltato in mente a tua madre di chiamarti Penelope?» le domandò con un lampo di interesse negli occhi.
Penelope gli accarezzò con la punta delle dita il dorso della mano, scivolando sicura sulla sua pelle ruvida. Il vento era stato impietoso, eppure nelle sue mani c'era un'enorme delicatezza.
«A quel tempo mia madre era in giro per il mondo, e per un paio di mesi aveva deciso di fermarsi in Italia. Si guadagnava da vivere facendo la cameriera in una trattoria; lì conobbe mio padre» iniziò a raccontare. «Lui era in viaggio premio con i colleghi di lavoro. Fu un caso che una sera decidesse di fermarsi a mangiare nella trattoria vicino al suo albergo, proprio quella in cui lavorava mia madre.» Fece una pausa, mentre nella testa si componevano stralci di quel frammento di vita; quando era piccola Violet adorava raccontarle come aveva conosciuto Philip. «Indovina come si chiamava il posto?» lo incalzò Penelope con un sorrisetto malizioso.
Tristan si strinse nelle spalle. «Non ne ho idea.»
«"Trattoria da Penelope".» Una risata genuina riecheggiò fra le mura del cimitero.
«No, non ci credo!»
«Invece è così, giuro» ribadì lei mentre lui rideva divertito.
«Perciò si sono conosciuti così, poi da cosa è nata cosa e si sono ritrovati insieme?»
«Esatto; a quanto ne so sono stata concepita tra barattoli di pomodori e trecce d'aglio.» Tristan la guardò affascinato, gli occhi enormi che assorbivano ogni dettaglio. «Questa sì che è una storia.»
«Già» annuì lei. «Era facile far girare la testa a mio padre, e in questo Violet era imbattibile; nel corso della sua vita ha collezionato parecchi successi» aggiunse cupa.
Di colpo Tristan tornò serio. «Devi averne sofferto parecchio» azzardò.
«In realtà non capivo granché di quello che succedeva; a quei tempi ero solo una bambina» rispose. «Ricordo solo che quando mia madre spariva misteriosamente, e lo fece spesso nel periodo in cui viveva con mio padre, era perché non sopportava la routine. Mia madre aveva bisogno di distrazioni, era una ribelle» continuò virgolettando l'ultima parola. Penelope aveva visto molti uomini entrare e uscire dalla camera da letto di Violet quando Philip era via, ma solo una volta aveva avuto la sensazione che sua madre si fosse innamorata davvero di un altro. Per via della relazione con un agente di cambio di New York era sparita per due mesi, salvo poi tornare a casa con i capelli bagnati di pioggia e gli occhi tristi di un amore finito male.
Penelope ricordava che suo padre ne aveva sofferto terribilmente, eppure non pensò nemmeno per una volta di lasciarla; lui le aveva promesso di starle accanto per sempre, e avrebbe mantenuto la parola.
«Mio padre visse sino alla fine con me e mia madre, ma non smise mai di amare sua moglie; Violet era una donna troppo difficile e pericolosa per farsi amare davvero» spiegò. «Da parte mia io ho sempre sospettato che noi due lo avessimo incastrato, e quando dopo il funerale ci trasferimmo da Claire ne ebbi la conferma. Quando conobbi Addison, poi, capii che in quella casa non avrei avuto vita facile.» Gli raccontò dei primi tempi della sua convivenza con la sorella, delle loro liti furibonde e dei dolori che le avevano inaspettatamente unite, primo fra tutti la morte di Philip. Era stato un duro colpo per entrambe. Da allora il loro rapporto era migliorato, grazie anche alla lontananza imposta dalle vite che conducevano, ma era Adam il solo che riuscisse a calmarla quando dopo un incontro con Addison lei lo chiamava in lacrime. Lui era la sua via d'uscita, le sue braccia un rifugio dal mondo.
«Peccato che non abbia potuto finire il lavoro che aveva cominciato» aggiunse. Nel raccontare le era sfuggito il nome di Adam, un passo naturale vista la vicinanza che si era creata fra loro.
«Perché, che è successo al tuo fidanzato?» domandò lui.
Un tuono scosse il cielo. Presto avrebbe iniziato a piovere.
Penelope alzò la testa, a cercare nelle nuvole antracite un segno, uno qualunque.
«Un incidente, una storia di cui preferirei non parlare» tagliò corto.
«Quando è successo?»
«Troppo presto» rispose agitandosi sulla panchina, ma Tristan non desistette. Sentiva che il nocciolo era in quel non detto che lei si ostinava a evitare, in tutto quello che continuava a reprimere.
«Ti manca?» Penelope sbuffò. Seguì la caduta di un petalo, che planò sino ad accarezzare la foto di Kate.
«Lei ti manca?» rilanciò. Tristan deglutì, spingendo verso il basso la bolla di amarezza incastrata in fondo alla gola.
«Mi sento perso senza di lei» ammise.
Penelope appoggiò la mano sul suo ginocchio. «Solo? È così che ti senti?»
«E tu?»
«Come una barca in avaria nell'oceano in tempesta.» Lui mise la mano sulla sua, sulla bocca un mezzo sorriso. «Allora siamo in due su quella bagnarola.» Si soffermò sugli occhi profondi di Penelope, scivolando lento lungo la curva delle sue labbra; gli raccontavano di baci perduti, di una passione che un tempo le aveva fatte bruciare, di un amore che le aveva consumate, ma bastò un attimo, il tempo di pensare a quello che sarebbe stato se solo le avesse sfiorate, che Penelope sviò lo sguardo.
Era lontana, di nuovo in un posto in cui lui non avrebbe potuto seguirla.
Caddero le prime gocce. Il temporale li sorprese mentre erano ancora seduti di fronte al volto raggiante di Kate. Penelope e Tristan si coprirono la testa con i cappotti, trovando riparo nella tettoia del vivaio oltre la strada. Il negozio era a pochi passi.
«Vieni, ti preparo qualcosa di caldo» disse aprendo la porta mentre il vento spazzava la strada.
Le carte gettate dai passanti si sollevarono in aria, danzando con foglie avvizzite e rami secchi. Il campanello sopra la porta trillò, rivelando al silenzio la loro presenza.
Penelope si sedette accanto alla stufa, mentre Tristan metteva sul fuoco il bollitore.
Sentirlo muoversi sul retro, aprire e chiudere le ante per preparare il tè, sfumò i contorni delle ultime confessioni. All'improvviso erano soltanto due persone che si tenevano compagnia durante un temporale, non c'erano né lapidi né ricordi tra loro.
Attese che l'ambiente si scaldasse un po', e iniziò a vagare per il negozio; trovarsi lì mentre era chiuso la faceva sentire una privilegiata. Sfiorò con la punta delle dita i cartellini dei prezzi, mentre il ticchettio della pioggia si faceva sempre più insistente.
«Il tè è pronto» la richiamò Tristan sistemando un paio di tazze sul bancone.
Penelope sentì un frusciare di plastica provenire dalla cassa, e si affacciò a controllare. «Tutto ok?»
«Sì. Ho preso qualcosa da mangiare dall'armadio di mia nonna. Ci tiene dentro sempre qualcosa nel caso mi debba fermare più del solito» disse mostrando una crostatina ai mirtilli.
«Uhh, fantastico. Dammene una, sto morendo di fame» rispose lei allungando la mano.
Penelope si lasciò la porta del vivaio alle spalle quando era già buio.
La giornata insieme a Tristan era volata, virando verso il tramonto non appena avevano iniziato a discutere del giardino. Negli ultimi tempi il lavoro di cucito l'aveva assorbita quasi completamente, ma nonostante questo niente l'avrebbe distolta dalla promessa fatta al cognato. Aveva chiesto a Tristan di rivedere il progetto di Ryan e darle qualche suggerimento anche in merito all'angolo invernale che aveva in mente, ma lui aveva iniziato a elencarle una lista di cose da fare, riempiendo un intero foglio di prodotti e attrezzi da acquistare.
«Se vuoi che il giardino fiorisca fra un paio di mesi dovrai darti da fare» le aveva detto mostrandole un catalogo di sementi, ma quando aveva visto lo sconforto sul viso di Penelope le aveva promesso che non l'avrebbe abbandonata. Non appena alzarono gli occhi dalla pila di cataloghi che avevano esaminato, Tristan la informò che si era fatta ora di tornare a casa.
«Non vorrei che tua sorella se la prendesse con me» aveva scherzato, ma al solo sentir nominare Addison Penelope storse il naso, dicendo che sarebbe rimasta volentieri al vivaio se fosse servito a evitarle di tornare a casa, tanto che quando si propose come guardiano notturno lui scoppiò a ridere.
«Torna a casa, ci vediamo presto» le aveva detto accompagnandola alla porta.
Penelope si era voltata controvoglia a salutarlo, guardando la sua mano sollevata con il cuore stretto. Aveva voglia di rimanere lì e continuare a chiacchierare con lui, stargli seduta vicino ancora per un po', ma lui non le lasciava scelta.
«A presto» disse senza voce, e se ne andò.
Si soffermò a guardare il paese deserto, con l'orecchio teso a carpire stralci di conversazioni trascinate in strada dal vento.
Sovrappose le falde del cappotto, pensando alla ragazza che era arrivata nel Kent solo qualche tempo prima e a quella che era diventata; più forte, con un colorito finalmente sano e carne sui fianchi sufficiente a riempire i jeans. Stava cambiando, gli abiti e la forza che aveva nelle mani non mentivano. E forse si sentiva un po' più leggera.
Camminò in compagnia di quei pensieri lungo la strada che conduceva alla villa dei Walker, e quando ebbe il coraggio di entrare in casa e trovò ad aspettarla Ryan si sentì infinitamente sollevata.
«Addison è andata a dormire, domani deve svegliarsi presto» la informò chiudendo la porta.
«Meno male.»
«Penelope» la rimproverò.
«Che ho detto?» si difese lei, ma il cognato preferì rivolgere le ruote della sedia verso il frigorifero della cucina, invece di risponderle.
«Vuoi mangiare qualcosa?»
«No, grazie, ho già mangiato.» Le ruote si bloccarono di colpo. «Dove?»
«Da Tristan. Sono stata da lui.» Ryan rimase interdetto. Lasciò la presa sulla sedia, incrociando le braccia mentre lei si sfilava il cappotto. «Tutto il giorno?» Il tono era cambiato, all'improvviso; di colpo era freddo, la voce era scesa di un'ottava. Anche il viso si era irrigidito; la solita rosea cordialità era svanita dalle guance, così come le labbra avevano smesso la posa sorridente con cui lui accoglieva ogni suo rientro.
«Sì, perché?»
«Niente» rispose con un sorrisetto allusivo, conficcando le unghie nel bracciolo.
Penelope gli dedicò appena un'occhiata accigliata.
«Sai com'è, dopo il bel risveglio con Addison avevo bisogno di cambiare aria» spiegò mentre lui cercava le parole strette nel pugno chiuso.
«A proposito» iniziò con voce piatta. Penelope prese dal frigorifero un paio di yogurt, sovrastandolo con il rumore di ante e cassetti. «Addison è una donna complicata, ma ti vuole bene.»
«Questa è bella!» esclamò lei togliendosi il cucchiaino dalla bocca. «A me sembrava di aver sentito che sono una rovina famiglie, una specie di cancro della felicità.» Era tardi per un'altra discussione, eppure Ryan voleva provare ancora.
«Addison ti ha detto delle cose terribili, ma non le pensa sul serio.»
«Io invece credo che abbia detto esattamente ciò che pensa. Se non sbaglio questa è la terza volta che mi paragona a Violet. Sono stanca di sentirmi ripetere sempre le stesse cose.»
«Perciò che intendi fare, scappare?» Penelope affondò il cucchiaino nel vasetto, immaginando la faccia della sorella guardarla andarsene. «Non dovrei?»
«Secondo me dovreste parlare con calma» insistè lui.
Penelope prese uno sgabello e si mise a sedere, di fronte a Ryan, che la guardava scettico. «Già che ci sei dille anche di lasciar perdere Adam. La prossima volta che glielo sento nominare potrei non rispondere di me.»
«Perché, che altro ha detto?»
«Che sono ridicola e che dovrei smettere di pensare a lui, dato che è passato molto tempo» rispose, ma quando vide Ryan stringersi nelle spalle scattò. «Non dirmi che la pensi come lei?» disse. Ryan non poteva tradirla. Non lui, che era il suo unico alleato in casa.
«Il fatto è che è davvero passato molto tempo, Penelope, ma forse non te ne rendi conto. A un certo punto la vita ricomincia, e poi...» Un colpo, rapido ma non indolore, l'attraversò. Penelope aveva la delusione negli occhi. «Si può sapere che avete nella testa, tutti e due?» disse puntandogli contro il cucchiaino. «Siete davvero convinti che si possa dare una scadenza al dolore?»
«Penelope, io non lo so» balbettò lui, confuso di fronte al rossore della cognata, a quello sguardo ferito, fatto a pezzi dalle sue parole. Erano sbagliate, tutte, ma se ne rese conto solo quando vide una donna bellissima in un cappotto troppo largo, lo spettro di una solitudine che non voleva andarsene.
«Mi dispiace» borbottò.
«Chi dice che c'è un tempo per il dolore: Addison?» insistè. «Chi le ha dato il potere di stabilire quando e per quanto tempo sia lecito piangere la persona che si ama?» continuò, nonostante le scuse del cognato.
Penelope attese una risposta che non arrivò. Avrebbe voluto gridare, ma non disse una parola. S i scosse solo quando Ryan le sfiorò il braccio; allora prese un bel respiro.
«Io amavo Adam» sussurrò in sua difesa. Era tutto quello che aveva, la partenza e l'arrivo del suo andare inquieto. «Lo amavo, ma adesso non so più dov'è, non lo posso toccare. Non ho più niente» aggiunse sottovoce.
Ryan rimase inerme sulla sedia a rotelle. Dopo settimane aveva imparato a conoscere la vera Penelope, una giovane donna costretta dalla vita a giocare in difesa, ma che di difese non ne aveva più. Eppure lui avrebbe dato tutto pur di avere quello che c'era stato e continuava a esserci tra lei a Adam, per poter vivere per sempre nel cuore di sua moglie.
«Penelope, io» balbettò. Era il momento, l'attimo per tirare fuori ciò che da giorni lo opprimeva, liberare se stesso del peso di un tradimento che non poteva sopportare.
Aveva bisogno di dire a Penelope la verità, di confessarle che non faceva che pensare a lei, che la Addison di cui si era innamorato un tempo era esattamente come lei, ma che gli occhi di sua moglie erano lame troppo affilate per concedergli uno spazio, e il suo corpo era devastato da ferite che nessuna parola d'amore avrebbe potuto lenire.
«Parliamo di te, invece» rilanciò Penelope algida. «Il tentativo di fare da paciere tra me e Addison è inutile, così come lo è continuare a ripetermi che lei mi vuole bene. Non è così, Ryan» continuò. «Forse tu hai bisogno di ripetertelo per sopravvivere al tuo matrimonio, per darti la forza di affrontare questo inferno, ma con me non funziona» aggiunse col pugno serrato contro lo sterno.
«A me non basta una pacca sulla spalla per cancellare le parole cariche di odio di mia sorella; sei tu quello che con Addison è accondiscendente all'inverosimile, ma io sono diversa. Semplicemente non ne ho bisogno. A te che ti ostini a non vedere che la sfera affettiva di mia sorella si ferma a Leonard forse può star bene, ma non puoi pretendere che questa regola valga per tutti. Non puoi chiedermi di stare al gioco.» Sperava in una reazione del cognato, ma lui non disse una parola. Rimase a guardarla immobile, muto, fino a quando fece marcia indietro e lasciò la cucina.
Penelope lo sentì attraversare il salotto sino ad arrivare al suo studio, e chiudere la porta.
Il silenzio, poi, fu la sola cornice della serata.
Scostò la tendina sopra il lavello, che svelò l'inizio di un nuovo temporale. Il vento da nord strideva muovendo le ultime fronde degli alberi.
Anche quella notte non avrebbe dormito.