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Penelope aprì gli occhi, e fu subito colpita dalla certezza che quella sarebbe stata una giornata infernale. Addison le avrebbe fatto pagare il suo comportamento con il reverendo Williams; avrebbe sbattuto pentole e piatti per tutto il giorno, trafiggendola con occhiate piene di rancore.

«Fantastico» si lamentò facendo capolino dalle lenzuola, sconfitta dai suoi stessi pensieri. Gettò le coperte ai piedi del letto e si trascinò alla finestra, ma non appena vide la giornata di sole oltre il vetro si sentì sollevata.

Il giardino: la sua via di fuga, la sua salvezza.

Acciuffò i primi abiti che le capitarono sottomano e si catapultò in cucina, giusto il tempo di mandare giù un caffè e scappare fuori: il prato la stava aspettando.

Nei giorni precedenti aveva stipato lo sfalcio nei sacchi che aveva poi addossato al muro, ma era sicura che ne avrebbe riempiti almeno un'altra dozzina; davanti a sé aveva ancora da tagliare piante di malva e cardi alti quanto un uomo, e cumuli di erbacce di ogni genere. "Una bella fatica" pensò con un sorriso ottimista.

Lavorò per ore, con la sola pausa offertale dall'acqua che Leonard le portò a metà mattina, insieme a una mela; un'offerta di pace arrivata proprio dalla persona cui aveva fatto più male.

«Grazie» disse lei sollevando il frutto, ma poi tornò indietro, verso l'area ancora da ripulire. Si avvicinò cauta alle piante spinose, stringendo fra pollice e indice lo stelo di un piccolo fiore di un giallo intensissimo. Penelope lo recise con un gesto secco, consegnandolo subito dopo nelle mani di Leonard. «Grazie per non essere arrabbiato con me, e scusami per l'altro giorno. Non volevo farti del male, davvero» gli disse con la mano sul cuore.

Bastò soltanto uno sguardo per avere la certezza di essere stata perdonata, e un sorriso di Leonard per sentirsi in pace, almeno con lui.

Penelope rimase a guardare il nipote correre felice in giardino, e poi verso casa, libero come poteva essere solo quando Addison non era nei paraggi; l'ossessione di sua sorella per la salute del figlio stava soffocando anche lui.

Gettò il torsolo della mela in un sacco e riprese a lavorare.

«Non finirò mai» disse appoggiandosi sconsolata al rastrello. Da quando si occupava del giardino aveva sviluppato una forza nuova, ma il lavoro stava mettendo a dura prova il suo fisico.

Avrebbe impiegato ore per insaccare tutto, e una volta finito non aveva idea di come disfarsene.

Aveva chiesto a Ryan, ma lui si era limitato a fare spallucce; si era proposto di contattare qualcuno che smaltisse il materiale, ma il tempo passava e la spazzatura aumentava, e Penelope sentiva sempre più insistente la voce nella testa che le suggeriva un nome a cui chiedere aiuto: Tristan.

Avrebbe potuto chiedergli di indicarle qualcuno che se ne occupasse, magari proprio lui stesso.

Dopotutto Tristan era il solo che non la infastidisse con la sua presenza, al contrario dei vicini di Addison; ogni volta che qualcuno di loro la sorprendeva a lavorare in giardino, Penelope si ritrovava costretta ad arginare interminabili serie di convenevoli che finivano solo per farle perdere tempo e infastidirla, rallentandole un lavoro già di per sé estenuante.

Tristan invece no; lui era diverso, lo sentiva.

Era taciturno, sempre sulle sue, un po' come lei. Lui poteva essere la persona giusta per quel lavoro, ma il solo pensiero di rivolgergli la parola, di tornare a confrontarsi con il brivido che le provocava la vista di quella maledetta cicatrice, la spingeva a rimandare.

Eppure continuava a pensare a lui.

Lo aveva incontrato ancora una volta al cimitero, e un'altra in paese. Lo aveva sorpreso a gettare briciole di pane secco alla coppia di cigni che viveva in quel tratto di fiume, e restare a parlare con loro fino a quando il cielo si era trasformato in un enorme fondale color glicine.

Penelope lo aveva sentito rivolgersi ai due animali come a una vecchia coppia di amici, con una delicatezza che strideva con il suo atteggiamento schivo, quasi rude. Tristan esercitava su di lei un magnetismo che non sperimentava da anni. Precisamente dalla sera in cui Adam l'aveva scorta sulla pista di ghiaccio di una Londra prenatalizia.

Tristan l'aveva notata, immobile sul lungofiume, e le aveva persino sorriso, ma invece di avvicinarsi a lui Penelope era corsa via, con il cuore che le urlava nel petto e le guance in fiamme.

Non sapeva cosa stesse facendo e perché si comportasse in quel modo, ma di una sola cosa era certa: tutto quello che la attraeva in Tristan al contempo la destabilizzava.

Non poteva ignorare i battiti accelerare ogni volta che incrociava il suo sguardo, e nemmeno fingere di non sentire il respiro accorciarsi quando si ritrovavano nella stessa stanza.

Tutta colpa della cicatrice, non aveva dubbi. Era lei a provocarle quel formicolio alla testa quando si avvicinava a Tristan, a spezzarle il fiato, a rendere tutto più difficile e ad attrarla, calamita verso un ignoto in cui era certa di trovare soltanto guai.

Fu ancora lei, sempre la cicatrice, a guidarla di nuovo Sino a Tristan, a un cuore che Penelope sentiva troppo vicino, di un calore che faceva male all'anima.

Lo aveva incontrato nello studio del fisioterapista, qualche giorno dopo; lui era sempre lì, seduto in fondo alla sala in compagnia del suo immancabile Guardian, inconsapevole delle sue manovre.

Penelope si sedette sulla fila di poltrone di fronte, sperando che fosse lui a rompere il ghiaccio; detestava farlo lei, perciò attese fino a quando non lo vide tirare fuori un paio di monete e dirigersi verso il distributore automatico. Solo allora scattò in piedi e lo seguì; un surrogato di caffè era il diversivo perfetto per iniziare una conversazione casuale. Osservandolo leggere il giornale, mentre ripensava alla coppia di cigni del fiume, Penelope aveva capito di volere Tristan nella sua vita. Era sbagliato per centinaia di ragioni, anche l'istinto le diceva che avrebbe finito solo per mettersi nei guai, ma non le importava. Era tipico di lei, che non ragionava mai a fondo sulle cose.

Era andata in quel modo anche con Adam; aveva capito che era lui la persona giusta dopo una chiacchierata durata il tempo di una cioccolata, e così era stato per Tristan. Non importavano le conseguenze, tutto quello che voleva era saperlo nelle sue giornate, non lasciarlo andare via.

Un pretesto, perciò, le sembrò l'unica soluzione per rompere lo strato di diffidenza fra loro.

«Dovrai metterci parecchio zucchero per riuscire a berlo tutto» scherzò infilandosi le mani nelle tasche dei jeans, dietro di lui.

«Ehi, chi si vede» la salutò Tristan, sorpreso. Si voltò verso di lei soltanto per un secondo, un bip lo avvisò che il suo caffè era in arrivo. «Ne vuoi uno anche tu?»

«No grazie, sono a posto così; quello che mi servirebbe davvero è qualche consiglio per il giardino.»

«Mmm.» Tristan buttò giù il caffè bollente, squadrandola; la sola cosa che ricordava di Penelope era il suo nome insolito. A una prima occhiata stimò che le mancasse il pollice verde, perciò dedusse che fosse l'ennesima ragazza di città in cerca del sogno campestre. Tempo una settimana e sarebbe tornata da dove era venuta, ci avrebbe scommesso. «Se posso esserti utile» disse guardandosi intorno.

Un particolare che Penelope non potè fare a meno di notare. Strinse i pugni nelle tasche, affondando gli incisivi nelle labbra; era arrivato il momento di tirare fuori la voce.

«Sono un disastro con le piante» confessò, le mani avanti a voler mettere in chiaro la situazione.

«Però ci sto provando. Sto cercando di aiutare Ryan a ripulire il giardino. La parte antistante la casa è a posto, ma quella che si affaccia sul fiume è in brutte condizioni, e non essendo un asso del giardinaggio mi servirebbe una mano da chi ne sa più di me» disse senza staccare nemmeno per un istante gli occhi da Tristan, che inaspettatamente le sorrise in un modo strano, eppure familiare.

Un modo che faceva male al cuore, ma questo Penelope non lo diede a vedere. Rimase con la testa inclinata, in attesa di una risposta che si faceva aspettare.

«Vedremo» rispose lui, vago. Era sempre diffidente verso i cittadini che si scoprivano amanti del verde, ma in poco tempo Penelope smentì tutti i suoi pregiudizi.

Divorò i testi di botanica e gli articoli che lui le indicò, e non passò giorno che non si presentasse al vivaio con qualche poltiglia maleodorante, esperimenti malriusciti di preparazione casalinga di pesticidi naturali.

Penelope però non mollava, ed era questo l'aspetto di lei che lo colpì maggiormente.

Un giorno lei si era persino presentata in negozio con un barattolo contenente un liquido verdastro e lo aveva sbattuto contrariata sul bancone.

«Adesso spiegami perché questa roba è venuta così» aveva esordito strofinandosi la guancia macchiata di terra. «Il pesticida non è come mi avevi detto; non è verde oliva, sembra fango, e ha un odore pestilenziale!»

«Già, sembra che almeno su questo tu abbia fatto centro» aveva aggiunto Beth arricciando il naso. «Quell'intruglio ha un odore tremendo persino chiuso nel barattolo!»

«Infatti, lo dica a suo nipote!» aveva rincarato la dose lei, arrabbiata.

Tristan, alle prese con il conto di un cliente, aveva alzato gli occhi al cielo e lasciato la consegna alla nonna. Le visite di Penelope non erano mai una faccenda di pochi minuti, e tutto quello cui aspirava per quella serata era una doccia e un cuscino pulito.

Nascose uno sbadiglio dietro il palmo, e le indicò minaccioso l'orologio sopra la porta.

«Dimmi tutto, ma fallo in meno di un quarto d'ora. Non ho intenzione di stare chiuso qui un minuto di più.» Il lampo di un sorriso accese lo sguardo di Penelope, in piedi dall'altra parte del bancone. «Sarò velocissima.» Una smorfia affiorò sul viso stanco di Tristan. «Come no. Me l'hai detto anche due giorni fa, e siamo rimasti chiusi qui fino alle nove» aveva brontolato, fingendosi contrariato.

«Promesso» aveva ribadito lei incrociando le dita sulle labbra come un boyscout, ma le sue erano false promesse. Anche quella sera sarebbero rimasti nel vivaio fino a tardi, ma a lui non importava, non se poteva stare a parlare con Penelope.

Inizialmente aveva pensato che lei fosse solo un'altra ragazza snob preoccupata solo della manicure, ma osservando le sue mani piene di graffi e vesciche si era dovuto ricredere in fretta.

Penelope era diversa, sotto molti aspetti: era determinata, si infuriava quando la pioggia trasformava in fango il lavoro di giorni, ed era curiosa di conoscere tutti i segreti di un giardino florido; smaniava per sapere, ed era questa sua vitalità irrefrenabile ad averlo colpito. Lavorare la terra del resto le piaceva, la faceva sentire bene; le dimostrava che a dispetto di Adam era ancora in grado di gestire qualcosa. Una vita, anche se fatta di linfa e radici, ma la terra fra le sue dita era viva, calda, migliore di quanto non immaginasse.

Lavorando in giardino, inoltre, Penelope scopriva un'autentica simbiosi con la natura; che non parlava, non la stordiva di chiacchiere o silenzi come Addison, e soprattutto non la giudicava.

«Io e te siamo fatte della stessa pasta» ripeteva spesso Penelope trattenendo una manciata di terra nel pugno. Quella del giardino era una terra offesa dall'incuria, abbandonata come la sua anima, per questo Penelope la sentiva così vicina: la loro era una promessa di reciproco aiuto.

Grazie a Tristan aveva avuto la meglio sulle erbe infestanti, perciò presto avrebbe dovuto provvedere alla sistemazione degli spazi; Ryan le aveva già fatto vedere qualche bozzetto delle aiuole e degli alberi che intendeva piantare, ma prima di mettersi al lavoro lei preferì chiedere a Tristan qualche consiglio.

«Secondo me dovresti piantare qualche frangivento» le disse lui scartando una barretta al cioccolato. Da giorni i seminari di giardinaggio si svolgevano al distributore di snack e bevande dello studio medico, il loro ormai era diventato un appuntamento fisso.

Tristan tirò fuori una matita da una tasca interna della giacca per indicarle un punto sul disegno, ma Penelope faticava a mantenere la concentrazione. Quando lui le era vicino, ogni volta che sentiva la stoffa ruvida delle sue camice sfiorarle la pelle, Penelope sentiva il suo cuore ritrarsi sino a diventare una briciola. I pensieri si perdevano, il respiro accelerava, le mani diventavano scivolose.

La cicatrice, Adam, l'odore di Tristan; tutto alimentava il caos dentro di lei.

«Da nordovest arrivano raffiche micidiali, perciò se non proteggi come si deve le tue piante il vento ti manderà tutto all'aria.» Penelope diede una seconda occhiata al progetto di Ryan, mentre Tristan era chino a studiare i disegni dietro la sua spalla; il giardino dei Walker era riuscito a scalzare persino il Guardian.

Lui si appoggiò alla parete, cercando di trovare un nesso fra le linee tracciate da Ryan e la realtà; in quel progetto c'erano parecchie note stonate, spiegò a Penelope, ma s'interruppe non appena un'infermiera lo avverti che avrebbero trattenuto sua nonna più del previsto.

Penelope, che si era fatta da parte, si riavvicinò a piccoli passi, ma quando sollevò lo sguardo si accorse subito della faccia scura dell'amico. «Se vuoi ne riparliamo un'altra volta, ora non mi sembra il momento.»

«Con mia nonna non è mai il momento» tagliò corto lui. Gettò il cioccolato nel cestino, gli occhi grigio azzurri puntati sui neon del soffitto. Se ne stava rigido come se gli avessero legato la schiena a una tavola di legno, i muscoli tesi sotto la maglia. «Certe volte è impossibile.» Penelope si appoggiò contro il muro accanto a lui. «Per caso è imparentata con Addison?» rilanciò con un mezzo sorriso. Lo aveva detto per gioco, ma in fondo la sua non era poi un'idea così folle; Addison le rivolgeva a malapena la parola, e Ryan non faceva che lanciarle occhiate afflitte ogni volta che si ritrovavano nella stessa stanza. Nella famiglia dei Walker Leonard era il solo che ancora la degnasse di considerazione.

Impossibile. Era questa la parola con cui Penelope definiva la sua convivenza con loro.

Tristan si passò la mano fra i capelli, la testa all'indietro, da tutt'altra parte. «Anche Addison è testarda all'inverosimile e convinta di essere la sola a saper stare al mondo?»

«Colpita e affondata» ribatté lei. «Mio nipote e io siamo dei martiri» continuò, sorridendogli.

Iniziarono così, nel corridoio eccessivamente illuminato dello studio medico, ad ampliare i loro argomenti di conversazione. Tra una seduta di fisioterapia e l'altra tirarono fuori tutto quello che non andava nelle loro vite, quello che mancava e quello di cui invece avrebbero voluto disfarsi.

Parlarono a ruota libera di Beth, Addison e Leonard, ma Penelope non pronunciò mai il nome di Adam. Adam era suo, non lo avrebbe diviso con nessun altro.

Nemmeno con Tristan, anche se con lui riscoprì il piacere di chiacchierare. Suo cognato era un buon ascoltatore, ma era talmente preso dai suoi problemi che spesso passava intere giornate chiuso nello studio. E comunque era diverso, la parentela rendeva tutto più complicato; in un modo o nell'altro Penelope aveva sempre l'impressione di parlare con sua sorella anche quando erano soli, o peggio, di metterlo in difficoltà.

Raccontargli di Adam poi era fuori discussione, ma quando dopo giorni di domande e notti insonni lei trovò il coraggio di parlargli dell'incidente, Tristan sembrò il solo capace di cogliere il significato profondo dell'espressione "tagliata fuori dal mondo".

Era stata lei a tirare fuori l'argomento; nel bel mezzo di una discussione sul genere di fiori da piantare per la fioritura primaverile si era ammutolita, era andata a prendersi un tè ed era tornata indietro, iniziando a parlare della sera che le aveva stravolto la vita.

«Mi sento esiliata da me stessa. Tutto quello che mi è appartenuto, che ero, è finito contro quel camion» iniziò puntando la mano verso l'infinito. «Da allora mi limito a sopravvivere, ma ogni alba è una battaglia» continuò, fissando il tè nel bicchiere. Profumava di limone, ma Penelope sapeva che anche quello era solo l'ennesimo trucco, perché ogni sapore aveva abbandonato da tempo la sua vita. C'erano mattine in cui non voleva nemmeno alzarsi dal letto, e interi pomeriggi in cui sarebbe rimasta alla finestra a guardare il vuoto.

L'autunno era esploso nel Kent con una prepotenza che a Londra non si sarebbe mai sognata. Il profumo di legna bruciata per le strade, lo spettacolo degli alberi infiammati di colori, con i tronchi neri che contrastavano l'oro delle foglie e sullo sfondo un cielo carico di temporale.

Il suo unico rimpianto era non poter condividere tutto questo con Adam. Le sarebbe piaciuto fargli provare il punch speziato che le aveva fatto scoprire Tristan, seduto accanto a lei per tutto il tempo, con le spalle che sfioravano le sue.

«Lo so» disse lui, a voce bassa.

Penelope appoggiò il bicchiere a terra, lo sguardo scolorito tra le fughe sporche. «Mi sembra di non fare più parte del mondo,» spiegò «come se una parte di me fosse rimasta indietro mentre il resto del film ha continuato a scorrere sullo schermo. A un certo punto mi sono svegliata e mi sono trovata nel secondo tempo. Così, di colpo» continuò schioccando le dita.

Il silenzio che seguì alle sue parole, però, la lasciò interdetta. Tristan era accanto a lei, con il suo carico di pensieri taciuti.

«Ci sono passato anch'io, qualche tempo fa» ammise cauto.

«Davvero?»

«Sì, una brutta storia.»

«Ti va di parlarne?» gli chiese, sottovoce, ma lui scosse la testa.

«Non ora. Non è questo il punto.» Penelope aggrottò la fronte. «Non ti seguo.» Tristan si guardò le mani callose, cercando fra le linee tracciate sui palmi la forza di parlare.

Inspirò, espirò, mentre il passato tornava ad assediare la sua mente come la marea.

«Il fatto è che tutti ti ripetono che devi andare avanti. Ti dicono che la vita è la cosa migliore che hai, che tanta gente fa sacrifici enormi per sopravvivere, e che quindi tu non puoi puntare i piedi come un ragazzino.»

«Già.»

«Tu sei lì, li ascolti e pensi che sono solo un mucchio di stronzate. Ti ripeti che nessuno capisce, che alla gente non importa come stai; tutto quello che fanno è darti una pacca sulla spalla per mettersi in pace la coscienza, e in parte è così.» Abbassò la testa, la voce pesante come pietra. «Alle persone basta girare l'angolo per dimenticarsi quello che hanno visto trenta secondi prima, ma per te che lo vivi ogni giorno non è la stessa cosa. Tu con il dolore ci devi fare i conti anche quando ti lavi i denti, però quello che ti dice la gente non è tutto falso. Siamo animali che si feriscono e che soffrono, ma in noi c'è un istinto che cerca sempre di metterci in salvo.» Si chinò in avanti, lo sguardo che seguiva il pavimento. «Tutti ce l'hanno. Nessuno vuole morire veramente» continuò.

Prese la mano nella sua, delicatamente; prima le dita lunghe e sottili, poi il palmo ampio, segnato da nuovi graffi. La spina di un cardo, il taglietto di una lama; la mano di Penelope era una geografia complessa, ma Tristan la studiò a fondo, per sentire sotto i polpastrelli le ruvidità di quella pelle delicata a dispetto delle ferite.

Penelope, invece, lo guardava senza capire. Lui non faceva parte della schiera degli sconosciuti che non ascoltava; aveva scelto le parole una a una, e ci credeva, lo vedeva dal modo in cui le pronunciava. Parlava alla sua stessa solitudine, a quel bisogno incontrollabile e rabbioso di stare da sola, di non volere, mai: non voler parlare, non voler rispondere, non voler sentire.

Da un anno lei non faceva che dire «no», ma lui la capiva, anzi; Tristan cercava di guarirla.

«Prima o poi anche il tuo istinto si farà sentire. Devi avere solo un po' di pazienza, ma quando arriverà tutto quello che dovrai fare è lasciar lavorare la tua parte animale» le disse piano. Un paio di fossette comparvero ai lati della sua bocca, a incorniciare il suo sorriso. «Tu lasciati salvare e andrà tutto bene, te lo prometto.» Una promessa.

Era trascorso molto tempo da quando qualcuno gliene aveva fatta una, ma qualcosa nella voce di Tristan, nel modo che aveva di guardarla, di tenerle la mano, la convinse a non fuggire. Per una volta Penelope non rifiutò il contatto, ma lasciò che lui stringesse la presa, lasciò che qualcuno che non era Adam la toccasse.

Un contatto impensabile solo fino a qualche settimana prima.