Aprile 2013
Quest’anno la primavera si annuncia sontuosa. Eccezionalmente precoce. E dunque Francis Lamblin è di ottimo umore quando, alle sette di mattina, scende dal taxi davanti al Terminal 1 dell’aeroporto JFK, a New York. Davanti a lui, otto ore di volo, un buon romanzo poliziesco che ha nella tasca della giacca, cena quella sera a Parigi in compagnia della bella Laurence, una notte di scopate, e l’indomani riunione dei dirigenti della Bourgsmith, in sede, a Parigi. Farà un figurone, perché i risultati della Bourgsmith Amériques da lui diretta sono migliori di quelli della filiale Europe e della casa madre, in sofferenza per il ristagno economico europeo.
Si dirige verso gli sportelli di registrazione dell’Air France, business class, si avvicina al banco. Due poliziotti in divisa lo affiancano, gli posano la mano sulla spalla, un terzo prende la sua valigia, un quarto gli infila le manette ai polsi. C’è un flash che scatta.
« Signor Lamblin?».
Lui annuisce, incapace di emettere suono.
«Lei è in arresto, ci segua».
A questo punto, Lamblin reagisce.
«Cos’è questa commedia? Dove mi portate?».
«Glielo diranno i superiori, noi eseguiamo gli ordini».
Viene spinto in uno stanzino cieco, dalla parte degli uffici doganali. Due uomini in giacca e cravatta, sulla quarantina e di bell’aspetto, seduti dietro un tavolo, lo stanno visibilmente aspettando e gli fanno segno di sedersi. Un agente gli toglie le manette. Lamblin si sorprende a sfregarsi i polsi con gesto meccanico, come nei telefilm polizieschi.
«Potete dirmi cosa ci faccio, qui, che senso ha questa pagliacciata? Perderò l’aereo...».
«Ci presentiamo, signor Lamblin. Io sono l’agente Morris, e il mio collega è l’agente Wolfram, dell’FBI. Lei è accusato di corruzione nel quadro di un’indagine avviata nel marzo scorso per dei contratti stipulati dalla Bourgsmith in Indonesia, l’appalto Taharan, per il quale la filiale da lei diretta avrebbe fatto da intermediaria».
«Assurdo, rocambolesco, non so niente di niente».
«Non faccia il furbo con noi, signor Lamblin, non è davvero nella posizione migliore. Lei è perfettamente al corrente dell’apertura di questa indagine da parte della giustizia americana, la sua direzione le ha inviato una lettera informativa confidenziale in proposito, una settimana fa».
Lamblin contrae i muscoli della schiena, del ventre, per incassare il colpo.
«Ignoro come vi siate procurati quella lettera. Se l’avete letta sino in fondo - e immagino che l’abbiate fatto -, avete visto che il nostro presidente ci raccomanda il silenzio, in situazioni come questa. Dunque tacerò».
«Libero di farlo, signor Lamblin. Per il momento, le chiedo soltanto di ascoltarmi. Potrei leggerle alcune delle mail che lei ha scambiato con la casa madre, come questa del 12 dicembre 2004, da cui cito: A proposito di Taharan, gli elettricisti non si fidano del nostro vecchio amico. Temono che, dopo il versamento della ricompensa, lasci a loro soltanto gli spiccioli. Sembra opportuno sostituire, per questa parte della trattativa, il nostro vecchio amico con il signor Ginevra. Pagamento scaglionato su dodici mesi, 45% al primo versamento. Cosa ne dite? Conosciamo il vostro vecchio amico. Non molto contento di essere stato messo da parte, ha accettato di testimoniare».
Morris tace, per permettere a Lamblin di ingoiare il rospo. Lui cerca di mantenere la calma. Hanno intercettato tutte le nostre mail. D’accordo, è un disastro. Ma niente panico. Nessuna è stata inviata dal mio computer, nessuna reca la mia firma... Morris riprende:
« Ma ho di meglio da fare che intrattenerla con la lettura. Lei si domanderà: Perché prendersela con me? La corruzione è un fatto così generalizzato, all’interno di tutta l’azienda e su tutti i mercati, perché proprio io...?».
L’agente Wolfram apre la cartellina che è posata sul tavolo davanti a lui, tira fuori una serie di fotografie in bianco e nero che fa scivolare verso Lamblin. Morris continua:
«Guardi queste fotografie, signor Lamblin, le guardi bene. Certo, non sono eccellenti, sono riproduzioni di fotogrammi, ma abbiamo tutto il film, girato nel corso di quella serata intima. Si riconosce in questa, dove sta tirando una pista di coca? E, in quest’altra, la stessa sera, mentre ne prepara una per la bionda spettacolare che se la sniffa come se non avesse mai fatto altro nella vita? E che si aggroviglia con lei sul divano nella foto successiva. Ricorda? Brutta faccenda. La bionda spettacolare ha tredici anni. Lo sapeva? Ingannano, eh, i capezzoli... Se però i genitori sporgono denuncia, come hanno intenzione di fare, e la convocano in tribunale, dove la ragazzina si presenterà in aula con i calzettoni bianchi e un gonnellino a pieghe, l’effetto sarà devastante...».
Lamblin infila le mani nelle tasche dei calzoni, perché Morris non veda che gli tremano. Tic nervoso all’angolo dell’occhio sinistro.
«E non ho ancora detto tutto. Lei è già stato fermato durante una serata di coca, una decina d’anni fa, e per l’occasione è finito in tribunale, senza grandi conseguenze, niente di molto grave. Adesso, però, lei è recidivo. Conoscendo il suo grande capo, un tecnocrate senza coglioni, come tutti i suoi congeneri, non appena saprà quello che c’è a suo carico - e lo saprà, non ne dubito -, l’abbandonerà al suo destino, e lei lo sa perfettamente».
Lamblin crolla. La sua palpebra sinistra batte freneticamente. Morris lo guarda per qualche istante, poi riprende:
«Adesso possiamo discutere».
La città soffoca sotto una cappa d’aria calda e sporca. Al tramonto, però, il cielo ha tinte bellissime e, al calare del buio, l’aria rinfresca un po’.
Nella sede della Bourgsmith, nel quartiere della Défense, Mathieu Barrot gira in tondo nel suo ufficio. È l’uomo di fiducia del presidente della Bourgsmith. Uomo di fiducia ed eminenza grigia. Il suo principale gli ha dato il compito di gestire il momento critico che si profila con la giustizia americana. «Lei è la persona più indicata per farlo» gli ha detto, «dato che ha già messo olio negli ingranaggi dei contratti asiatici». Olio negli ingranaggi: l’espressione indica, nell’azienda, le bustarelle distribuite per i suddetti contratti. E Mathieu Barrot non può fare a meno di pensare che, se le cose si mettono male, si ritroverà in prima linea. «Lei ha gestito i contratti asiatici»: una minaccia appena velata. Eminenza grigia oggi, capro espiatorio assicurato domani. Bisogna stare in campana.
Ha dato appuntamento a due avvocati dell’azienda per quella sera tardi, quando tutti hanno lasciato l’edificio: inutile allarmare i funzionari della casa, ma, per quanto cerchi di dominarsi, è preoccupato. Aspetta, va avanti e indietro per la stanza, torna a fermarsi davanti a un vecchio numero di «USA Today» posato sul tavolo, aperto alla pagina in cui campeggia il dispaccio dell’Agenzia Bloomberg che annuncia l’arresto di Lamblin con questo titolo a caratteri cubitali: «BOURGSMITH, UN’AZIENDA FRANCESE IMPLICATA IN UN CASO DI CORRUZIONE». Con una fotografia. Terrificante. Lamblin fra due poliziotti, manette ai polsi, l’aria smarrita, sgomenta. Come l’ultimo degli scippatori. Che paese è mai quello, dove si ammanetta il dirigente di un’azienda quotata in Borsa? Dove si pubblica la foto del suo arresto sui grandi quotidiani? Lamblin, da anni un collaboratore di fiducia: ciò che capita a lui può capitare a me. Questo poi no, per niente al mondo.
Due colpi discreti alla porta. Barrot ha appena il tempo di far sparire il giornale e la foto, entrano gli avvocati. Appartengono al grande studio Bronson e Smith, la cui sede è a New York e che dà lavoro a più di ventimila avvocati in tutto il mondo. Quei due sono i consulenti della Bourgsmith per i rapporti con le imprese americane, sempre fra New York e Parigi. Barrot ha lavorato molto con loro, che sanno come funziona il mondo degli affari, e uno dei due, il dottor Burgess, ha lavorato al dipartimento di Giustizia americano. Loro troveranno una via d’uscita. Non c’è dubbio. Sono pagati per questo. A peso d’oro.
Breve scambio di convenevoli, poi i tre uomini si siedono in comode poltrone attorno a un tavolino basso su cui sono stati preparati tre ballon, una bottiglia di cognac e una coppa piena di cioccolatini. Barrot conosce i loro gusti. Il dottor Burgess estrae un fascicolo dalla ventiquattrore di pelle nera, lo posa davanti a sé; il dottor Hoffmann, la sua «spalla», prende due cioccolatini e se li succhia con gusto. Barrot non perde tempo.
«Signori, non vi nascondo che la direzione della Bourgsmith è sui carboni ardenti. Non abbiamo notizie di Lamblin, e questo silenzio ci preoccupa. Voi sapete come stanno le cose?».
Burgess prende la parola:
«Un avvocato del nostro studio di New York, il dottor Matheson, si è informato sul caso». (Fa una pausa a effetto, beve un sorso di cognac, gira e rigira in bocca il liquore, Barrot dice a se stesso che forse il denaro della ditta non viene speso invano). «Oggi Lamblin ha accettato di dichiararsi colpevole».
Barrot sente che un buco gli si sta aprendo all’altezza dello stomaco.
«Com’è possibile? Gli ordini erano molto chiari, tassativi. Non dire niente, non firmare niente, e soprattutto nessuna confessione. Ci siamo assunti la sua difesa. Non capisco».
I due avvocati si scambiano un’occhiata, Hoffmann prende la parola:
«Con le debite riserve, pare che Lamblin sia implicato in una brutta faccenda d’immoralità e di droga con una minorenne».
Barrot chiude gli occhi. Rivede la foto, il viso stravolto di Lamblin. Si spiega tutto? Non così in fretta.
«È possibile che si tratti di una manipolazione delle autorità americane?».
«A priori, non possiamo escluderlo».
«Ma questo non cambia niente» s’intromette Burgess, imperioso. «Se le turpitudini reali o inventate di Lamblin comparissero sui giornali newyorchesi, l’effetto sull’immagine della Bourgsmith sarebbe disastroso. Lamblin non è un passacarte qualsiasi, è il presidente di una filiale americana. Bisogna tagliare il ramo marcio finché si è ancora in tempo. E noi contiamo su di lei per farlo capire al suo principale».
Barrot tace per qualche istante, gli occhi socchiusi, le mani intrecciate, concentrato. Quella foto dell'uomo ammanettato... Lamblin è messo male. Fame un capro espiatorio credibile, se la faccenda degenera, e al tempo stesso salvarmi la pelle, forse è una soluzione. Come presentare la cosa? Tentare la sorte? No davvero. Sacrificare un uomo per salvare la nave? Proponibile.
«D’accordo. Parlerò in questo senso. Ma basterà a calmare le acque a New York?».
Hoffmann cerca di essere rassicurante:
«Forse. È probabile. È un po’ presto per dirlo con certezza. Dipende da ciò che ha in mano il procuratore».
Burgess, che nel duo fa la parte del cinico, riprende la parola:
«Non le domando se c’è stata corruzione o no. Sono avvocato d’affari e parliamo di un contratto in Indonesia. Secondo il nostro collega newyorchese, il procuratore avrebbe in mano tutti gli scambi epistolari interni fra le vostre filiali e la sede in cui si fanno riferimenti espliciti agli intermediari corruttori. È possibile?».
Barrot impallidisce:
«Per quel che ne so, la nostra rete intranet è protetta e codificata».
«Intende dire che, in quella rete che immagina sicura, lei ha effettivamente parlato, per iscritto e usando i normali canali dell’azienda, dei suoi rapporti finanziari con intermediari diversi?».
Barrot annuisce, d’improvviso consapevole del disastro imminente. I due avvocati si guardano con aria affranta.
«In questo campo, vige una sola regola, signor Barrot, che non tollera eccezioni di sorta: niente per iscritto, niente nell’ambito dell’azienda. O la sua corrispondenza interna è stata intercettata via satellite - gli americani possono farlo - o è stata piratata con la complicità di un impiegato corrotto che ha introdotto un cavallo di Troia nei suoi programmi. In entrambi i casi, oggi essa si trova sulla scrivania del procuratore. Deve dunque aspettarsi che la giustizia non si fermi qui».
«Cosa significa?».
«Probabilmente il procuratore estenderà l’inchiesta ad altri paesi, ad altri mercati, per aumentare l’entità dell’ammenda che comminerà. E, se trova gli elementi nella corrispondenza che probabilmente è già in suo possesso, chiamerà in causa direttamente i dirigenti, e farà spiccare dei mandati contro di loro».
«Il che significa?».
«La Francia non concede estradizione per i suoi cittadini. Siete relativamente al sicuro. La maggior parte dei paesi con i quali avete rapporti d’affari, però, hanno accordi di estradizione con gli Stati Uniti. Ciò significa che i funzionari più alti in grado dell’azienda non potranno più lasciare il territorio francese».
«Una situazione incresciosa. A cosa mira quel procuratore?».
Burgess fa il suo più bel sorriso.
«A farvi paura, signor Barrot, a lei e a tutta la squadra della Bourgsmith. E, a quanto pare, ci riesce».
Hoffmann prende un ultimo cioccolatino.
«Troveremo una via d’uscita più che onorevole, signor Barrot, può starne certo. Ma non sarà facile. Bisogna che tutti gli assi siano in mano nostra. Forse occorrerà prendere una banca americana come consulente per questa operazione. Una banca che abbia una buona conoscenza del terreno americano e una certa influenza dall’altra parte dell’Atlantico».
«Noi abbiamo già lavorato con la Northern American Trade Bank Europe».
«Lo sappiamo».
«E ci siamo trovati bene».
«La cosa non ci stupisce».
«Proporrò di riprendere i contatti».
«Saggia decisione».
Ottobre
Nonostante la pressione degli avvocati, il presidente della Bourgsmith non è molto entusiasta all’idea di coinvolgere la Northern American Trade Bank in quella faccenda. Teme che la mossa possa essere interpretata dal governo come un primo passo verso la liquidazione dell’azienda. Negli Stati Uniti, però, il fascicolo continua ad appesantirsi. Una società giapponese di servizi, associata alla Bourgsmith nel contratto Taharan, è accusata a sua volta, e decide di collaborare con la giustizia americana. Nomi degli intermediari, dei destinatari, natura delle transazioni, somme versate: sa tutto e spiattella tutto. Se la cava con una piccola ammenda. La giustizia americana estende le sue indagini ai contratti della Bourgsmith in Cina, in India, prendendo di mira la maggior parte delle attività della Bourgsmith fuori dall’Europa.
A Parigi cresce la preoccupazione e, dopo lunghe discussioni con Mathieu Barrot, il presidente prende la decisione di chiedere i consigli degli esperti della Northern American Trade Bank su quel caso.
La prima riunione di lavoro ha luogo una sera tardi, nell’ufficio del presidente, che si è fatto accompagnare dal suo consigliere Mathieu Barrot e dal direttore dell’ufficio legale della Bourgsmith. Sono presenti anche i dottori Burgess e Hoffmann, dello studio Bronson é " Smith. La Northern American Trade Bank ha mandato il suo responsabile per la Francia, Villemont, francoamericano, alto, magro, elegante, capelli e vestito grigi, ben introdotto nel bel mondo dei tecnocrati, banchieri, culturame e politici. Il presidente lo ha incrociato più volte in ogni sorta di salotti, e si danno del tu. Quella sera, però, c’è un ritorno al lei; si tratta di una riunione di lavoro. Villemont è accompagnato dalla signora Sereni, una stupenda quarantenne bionda dalla figura slanciata che lui presenta come sua assistente. La donna saluta Mathieu Barrot con un segno impercettibile del capo, poi s’ingegna con successo a passare inosservata.
Nessun preambolo: tutti e sette si siedono intorno al tavolo della riunione, tirano fuori i loro documenti. Il dottor Hoffmann fa il punto sulla situazione giudiziaria, e non nasconde la sua preoccupazione. Barrot tace, la Sereni prende appunti e studia il comportamento dei partecipanti, Villemont ascolta, concentratissimo. Non appena l’avvocato ha finito, attacca lui: «Lasciamo da parte questi problemi, per il momento, ci torneremo sopra. Parliamo di affari». E fa un quadro più nero che grigio della situazione della Bourgsmith. Il ristagno europeo è destinato a durare. Colpisce l’azienda al cuore. Ciò è tanto più grave in quanto la Bourgsmith ha delle debolezze strutturali. È più piccola delle sue concorrenti, il suo capitale è meno solido, il suo principale azionista vuole vendere le azioni che possiede. Se decide di farlo, sarà un disastro borsistico. L’eccellente padronanza delle tecnologie che l’azienda vanta non basterà a metterla al riparo dalla congiuntura. Andrà incontro a una crisi di liquidità, che si protrarrà nel tempo. La conclusione s’impone da sé: la Bourgsmith non ha i mezzi finanziari per affrontare un processo rovinoso negli Stati Uniti.
«La vostra idea di proclamarvi innocenti poteva essere appoggiata fino a quando il procuratore fosse stato privo di prove materiali. Adesso che ne ha, bisogna collaborare con la giustizia americana al più presto per evitare l’escalation e ridurre al massimo i costi. Senza parlare della minaccia, sempre incombente, di azioni giudiziarie contro i dirigenti».
Le ultime parole del banchiere seminano il gelo. Il presidente si rivolge agli avvocati:
«Questa minaccia sparirebbe, se collaborassimo con la giustizia americana?».
Il dottor Burgess, laconico, risponde:
«Forse».
Silenzio glaciale. Villemont riprende la parola.
«Bisogna vedere le crisi come occasioni per raddoppiare i profitti. Troveremo una scappatoia».
L’incontro si conclude, gli uni e gli altri hanno ripreso i loro incartamenti. Villemont precisa, come di passata:
«Quale che sia la decisione finale, conviene tenere i giornali all’oscuro dell’aspetto giudiziario del caso. La giustizia americana la prenderebbe come una pressione intollerabile».
Burgess concorda con lui: tutto quell’aspetto, lo si dimentica. Chiaro?
Chiarissimo.
Villemont lascia la stanza chiacchierando con il presidente della Bourgsmith e il suo responsabile dell’ufficio legale. I due avvocati si affrettano per prendere l’ascensore con loro. Mathieu si ritrova in coda, solo con la bella signora Sereni, che gli dice sottovoce:
«Dobbiamo vederci, e presto».
Aprono le loro agende.
Novembre
L’appuntamento ha luogo pochi giorni dopo. Juliette Sereni ha invitato Mathieu Barrot a cena al ristorante Casa Bianca, in viale Matignon. «Non pensare che ci sia sotto qualche allusione politica» gli ha detto con un sorriso. «È soltanto la mia “mensa”, il posto dove mangio tutti i giorni».
Arrivano, a piedi, insieme. Ascensore, sesto piano, la coppia entra in un grande spazio aperto, su due piani: tutta la facciata è un’immensa lastra di vetro che dà direttamente sulla notte parigina di un nero profondo punteggiato dalle luci dorate della cupola degli Invalides: quest’ultima, sembra di poterla toccare con mano. L’arredo mescola qualche tocco anni Trenta e uno stile moderno in un insieme in cui predomina il bianco, senza aggressività. Quasi tutti i tavoli sono occupati. Alcune coppie, ma soprattutto una clientela di uomini d’affari, garbate mondanità dopo una giornata di riunioni.
Vengono accolti dal maitre, che domanda:
«Il solito tavolo, signora Sereni?».
E li guida verso alcune alcove ricavate sotto il soppalco, completamente rivestite di pelle. Si siedono l’uno di fronte all’altra. Di punto in bianco, il rumore della sala arriva alle loro orecchie soltanto come un ronzio sordo. Juliette sorride:
«Come puoi constatare, non una parola di quanto diremo uscirà da questo bozzolo. E il colore del cuoio si addice al biondo dei miei capelli». (Un pensiero attraversa la mente di Barrot come un lampo: Bionda naturale..). «Champagne?».
Juliette alza la coppa alla luce della candela, le bollicine scintillano come il rubino al suo dito.
«Brindiamo, Mathieu. A noi e ai nostri sogni».
I bicchieri tintinnano, i due bevitori sorridono.
Il maitre prende velocemente le ordinazioni e si allontana. Niente sotterfugi o giri di parole, Juliette va subito al sodo:
«Mathieu, siamo fra di noi, lontano dai capi, possiamo parlare liberamente. Siamo stati avvicinati dalla UPC, la vostra concorrente americana. È interessata a rilevare la vostra filiale Energie».
«Lo sospettavo fin dall’inizio di questa faccenda. Quando mi hai invitato a cena con tanta discrezione, ho pensato: ci siamo».
«Ti ho invitato per il piacere di passare una serata con te...».
«Ma certo. Piacere condiviso».
«... e per farti questa domanda: come reagireste all’offerta di acquisto della UPC?».
«Non immagini quello che ti risponderò?».
«Guarda dove siamo. È tutto a posto. Niente di ufficiale e nessun orecchio indiscreto. Soltanto tu e io».
«Allora, da te a me: lo stato maggiore è febbrile e in preda al panico. Non fanno altro che leggere e rileggere la loro posta elettronica degli ultimi dieci anni, e scoprono degli orrori. Si vedono già in gattabuia con Lamblin».
«Se alcuni ti mollano, potrebbe capitare anche a te».
«Non rovinarmi la serata, ti prego».
Pausa: il sommelier serve un Saint-Estèphe più che discreto, e il cameriere porta due fricassee di lumache su un letto di passato di crescione. Barrot assaggia, prende un secondo boccone che mastica lentamente, concedersi tutto il tempo: rispetto. Sprofonda nella poltrona, gli occhi socchiusi: benessere. Rivede la foto di Lamblin e risente la frase di Juliette:... «anche a te». La minaccia del carcere come uno stimolante; un’esortazione a godersi l’attimo. Adesso, so che c’è pericolo, so quanto amo questa vita, so che farò tutto ciò che va fatto per preservarla.
Juliette lo ha osservato, come sa fare lei. È il suo ruolo nelle riunioni in cui opera in tandem con Villemont: individuare la maglia debole. Mathieu è maturo. Lei riprende:
«Dunque, un’offerta della UPC che garantisse di far cadere le azioni giudiziarie a carico delle persone fisiche non sarebbe vista come una liberazione?».
«In un certo senso, sì. Ma non sarà possibile».
«Perché?».
«Siamo il numero uno al mondo per le turbine dei reattori atomici, l’indipendenza nucleare della Francia dipende da noi, il governo non permetterà mai che la Bourgsmith finisca negli Stati Uniti. Per il momento, pare che nessuno sia al corrente, ma non durerà, e ci saranno dei blocchi. Con il Ministero della Ripresa Produttiva...».
«Lasciamo da parte questo aspetto. Il tuo ministro non conta. Bisogna avere le giuste conoscenze ai posti giusti, al Ministero delle Finanze e all’Eliseo. E noi le abbiamo. Abbi fede in noi». Altra pausa: il cameriere serve un arrosto di cervo e un filetto di manzo. Cervo: una carne che si scioglie in bocca, un sapore che dura. Juliette ordina una seconda bottiglia di Saint-Estèphe per accompagnare il suo filetto di manzo. La pausa è brevissima: la conversazione è entrata nel vivo, lei ha fretta di continuare, Mathieu sta per cedere.
«Alla Bourgsmith siete troppo fifoni, Mathieu. La crisi non è una tragedia, è una possibilità. Un’occasione unica di creare un magnifico leader mondiale unendo UPC e Bourgsmith. Ecco il sogno. Non è proprio il momento di essere pavidi».
«La crisi, una possibilità: cosa intendi dire con questo?».
«Se fossimo in periodo di massima prosperità, una vendita della Bourgsmith sarebbe vista dal governo e dall’opinione pubblica come una liquidazione, un tradimento, un attentato alla nazione. In periodo di crisi è diverso. La Bourgsmith rischia di fallire...».
«Sai benissimo che non è vero».
«Forse, ma in periodo di crisi ciò diventa credibile, ed è questo che a me importa. La UPC si presenta con la sua offerta d’acquisto, promette la ricapitalizzazione dell’impresa, il mantenimento dei posti di lavoro e appare come una salvezza. Mantenimento del posto di lavoro, ci pensi? Impossibile rifiutare. Perché, se la crisi tocca poco la Bourgsmith, è però più che tangibile in Francia. Non si rifiuta un salvatore. La UPC gioca sul velluto».
«Hai un’idea del contenuto dell’offerta della UPC?».
«Non sono la più indicata per parlarne, e poi è un po’ presto. Una certezza: alla UPC interessa soltanto la filiale Energie...».
«Quella che va meglio».
«La UPC non ha la vocazione di risanare le aziende in crisi. C’è un altro risvolto di cui voglio parlarti. In questa faccenda, anche noi possiamo far soldi, molti soldi, con un po’ di tatto. Se le azioni della Bourgsmith crollano prima che l’offerta della UPC sia resa pubblica...».
Nuovo arrivo del maitre, Juliette lascia la frase in sospeso. Niente formaggio: tutti e due stanno attenti alla linea. Dessert leggeri: fettine sottili di pera su caramello per Juliette, millefoglie per Mathieu. E due coppe di champagne: non c’è niente di meglio con lo zucchero.
Mathieu ha ceduto, è lui a concludere la frase di Juliette:
«La sua offerta sembrerà molto più allettante. E noi, noi compriamo delle azioni al minimo, le rivendiamo alla UPC pochi giorni dopo al prezzo dell’offerta di riacquisto e intaschiamo la differenza. È un argomento che può suscitare l’interesse di qualcuno che ha il potere decisionale».
Juliette fa un gesto con entrambe le mani, per sottolineare l’ovvietà della manovra.
Mathieu si china verso Juliette, le fa posare sul tavolo le mani intrecciate.
«Ne parlerò. Se però la Bourgsmith accetta l’offerta della UPC, tu non puoi lasciarmi allo sbando, senza un posto ufficiale, in un’azienda in ristrutturazione. Mi sento portato per le attività finanziarie...».
Juliette posa le mani sulle sue.
«Sarà un piacere lavorare con te alla Northern American Trade Bank».
Dicembre
Il commissario Daquin arriva all’aeroporto di Roissy, di ritorno dagli Stati Uniti, dove ha appena fatto un giro d’incontri e di seminari. Da quando è andato in pensione, due anni prima, insegna a Scienze Politiche, la sua vecchia facoltà. Argomento delle sue lezioni: «Il nuovo capitalismo criminale». E la tournée americana verteva sul problema più spinoso degli aspetti fraudolenti delle compravendite ad alta frequenza sul mercato finanziario. Stanco, ma contento di essere di ritorno. Sa di essere atteso per cena alla birreria Fio, il ristorante del Terminal 2. Atteso da Marc Jantot, il suo compagno. Non si affretta, si gusta il piacere di aspettare e di essere aspettato.
Marc è seduto in fondo alla sala della birreria, lo sguardo fisso alla porta d’ingresso, beve una birra. Scorge la figura di Daquin, alto, jeans neri stretti, giubbottone foderato di pelliccia, lo stesso colpo al cuore ogni volta che si ritrovano. Come il primo giorno. Allora, Marc era giornalista, rubrica «Cronaca». Ha conosciuto Daquin in occasione di un fattaccio di morti a ripetizione per overdose. E, quel giorno come oggi, colpo al cuore. Quel calore animale, quella violenza tenuta a bada, quel modo che aveva Daquin di dominare e rispettare le persone che lo circondavano... Lui aveva fatto di tutto per portarselo a letto e continua a non pentirsene. Daquin è dimagrito da quando è andato in pensione. E dice, sorridendo soltanto a metà: «Gli ex giocatori di rugby hanno la tendenza a mettere su pancia quando invecchiano: devo stare attento, se voglio continuare ad amarti degnamente». Sul suo volto squadrato, qualche ruga, poco profonda, e capelli brizzolati. Ma ha sempre quella forza d’attrazione inspiegabile che fa addensare gli studenti a grappolo intorno alla sua scrivania, alla fine di ogni lezione, più per stargli vicino che per parlargli. Con lui, Marc ha imparato molto, a letto e nella professione. Oggi, è giornalista d’indagine nel campo dell’economia e della finanza, è apprezzato e il lavoro non manca. Daquin lo ha messo sulla pista della Bourgsmith fin dall’arresto di Lamblin nell’aprile precedente. Gli ha detto: «Non bisogna mai sottovalutare la giustizia americana. Loro non si muovono per niente».
Daquin si è appena seduto davanti a lui, sorride.
«Mi sei mancato. Sono contento di essere qui, con te».
Le effusioni in pubblico non sono mai state il suo forte.
I due uomini ordinano due choucroute, delle birre e, non appena sono stati serviti, Marc domanda:
«Allora, hai assistito alla conferenza stampa del viceprocuratore sul caso Bourgsmith?».
« Sì, avevo un seminario che finiva proprio qualche ora prima, ho dovuto fare la maratona, ma ci sono riuscito. Ho preso degli appunti: te li darò».
«Ho già dato un’occhiata ai giornali americani».
«E i giornali francesi?».
«Non una parola».
«Si sono persi qualcosa. È stato stupefacente. La Bourgsmith ha annunciato che avrebbe collaborato con la giustizia americana, ma la carica del viceprocuratore è stata comunque di una violenza inaudita: sistema di corruzione generalizzato e praticato da cima a fondo in tutta la scala gerarchica».
«Qual è il suo obiettivo?».
«Gettare nel panico i proprietari della Bourgsmith, e senza economia di mezzi».
«Ma perché, cos’ha in mente?».
Daquin riflette per qualche secondo circa il modo in cui formulare la risposta.
«Ricordi quel che ti ho detto quando hanno arrestato quel Lamblin a New York, qualche mese fa? “Buttati su questa storia, gatta ci cova”».
«Mi ricordo».
«Oggi, è tutto chiaro. La Universal Power Company, il solo concorrente americano della Bourgsmith, ha avviato le grandi manovre per accaparrarsi quell’impresa».
«Non è uscito niente in proposito, né sui media né nell’entourage del governo. Sei sicuro di quello che dici?».
«Sì. La UPC ha già acquisito tre o quattro volte delle aziende che la giustizia americana aveva appena messo in difficoltà. È un metodo ben collaudato».
«Parliamo chiaro. Mi stai dicendo che negli Stati Uniti la giustizia è agli ordini del mondo imprenditoriale?».
«No, non ti ho detto questo. È un gioco un po’ più sottile. Il governo americano ritiene che sia suo dovere sostenere l’espansione delle aziende americane. Dal 1977, ha messo al loro servizio un ufficio di collegamento segreto, che si presenta sotto il nome assolutamente insignificante di “Office of Executive Support”, composto da uomini della CIA, della NSA e del dipartimento del Commercio, con notevoli mezzi a disposizione: quelli della NSA e della CIA. La UPC può dunque consegnare alla giustizia dei procedimenti giudiziari “chiavi in mano”. I crimini sono reali, i procuratori devono soltanto dimenticare come sono venuti in possesso dei fascicoli e a cosa serviranno, e, questo, loro sanno farlo con grande eleganza. Si tratta di procedimenti belPe pronti, senza rischi, che velocizzano le carriere dei procuratori che se li accollano. Con in premio, forse, quasi certamente, qualche bella e fruttuosa riconversione».
«Un momento. Guarda qui». Marc tira fuori il portatile, cerca tra i file, mostra una foto, passa il computer a Daquin. L’uomo è Mathieu Barrot, consigliere personale del presidente della Bourgsmith, e la donna è Julie Sereni, l’anima nera del presidente della Northern American Trade Bank Europe. Una banca che ha i piedi in molte staffe: consiglio di agenzie governative francesi, consiglio della Bourgsmith e della UPC».
Sulla foto, l’uomo e la donna sono giovani, belli, seduti l’uno di faccia all’altra a un tavolo di ristorante, e chini l’uno verso l’altra, le mani dell’uomo in quelle della donna. Daquin sorride.
«Odore di flirt molto professionale».
«Ero in quel ristorante per caso, una settimana fa. Un ristorante molto frequentato dagli uomini d’affari».
«Non molto discreto».
«Sì e no. In quell’ambiente, si crede alle virtù dell’intimità. Conosco bene tutt’e due. Dal momento che seguo le vicende della Bourgsmith, ho scattato una foto col portatile: non si può mai sapere. Loro non mi hanno visto. Magari ho assistito alla prima riunione di un negoziato».
«Continuerai a lavorare a questo caso?».
«Sì, certamente».
«Allora, ho un consiglio da darti, tieni d’occhio il corso delle azioni della Bourgsmith in Borsa».
«I dirigenti giocheranno al ribasso?».
«Sì, se accettano di essere acquisiti dalla UPC. Per rendere l’offerta della UPC più allettante. Al rialzo se rifiutano. Non dovremmo tardare a capire la strategia della Bourgsmith».
«La Bourgsmith costerà cara. Sembra che la UPC non abbia davvero problemi di liquidità».
«Le imprese americane si sono organizzate in modo molto professionale per aver accesso ai circuiti di riciclaggio del denaro della criminalità e a quelli del denaro nero che riescono a sottrarre ai controlli e ai prelievi statali».
«Secondo le ultime valutazioni degli esperti che ho letto, 1.600 miliardi di dollari della cocaina riciclati ogni anno e 71.000 miliardi di dollari di fondi neri. In totale, il 25% della massa monetaria mondiale. È vero che questo agevola la vita di coloro che hanno saputo insinuarsi in quei flussi...».
«Gli Stati Uniti sono un paese sorprendente. Dagli anni Cinquanta, perdono tutte le guerre ma vincono, ovvero guadagnano, su tutti i mercati...».
Daquin rimane in silenzio per un po’. Marc nota che d’improvviso ha l’aria stanca. Adesso parla più lentamente, a occhi bassi:
«Ho passato più di trent’anni alla Narcotici. In tutti quegli anni, ho sentito parlare di guerra alla droga. Oggi, tirare le somme è molto semplice: la cocaina è in continua crescita, non conosce crisi. Il lavaggio del denaro della cocaina ha costruito le strutture, le tecniche, le vie e i luoghi della gigantesca fuga di denaro nero su scala planetaria che conosciamo oggi, e che ci lascia esangui. Se parlassimo di una guerra, l’ha vinta la cocaina».
Daquin finisce la birra, posa la mano su quella di Marc e dice con voce roca:
«Andiamo da me. Ho bisogno di te, del tuo corpo, della tua pelle, del tuo calore, del tuo piacere. Andiamo a casa».
Il 21 gennaio 2014, il presidente della Bourgsmith riunisce alcuni giornalisti della stampa economica e annuncia loro che l’impresa ha subito, nel secondo semestre del 2013, una forte «distruzione di cash», in altre parole, l’impresa è a corto di liquido. Dichiarazione tanto più sorprendente in quanto le aziende rendono pubblici i loro bilanci annuali soltanto nel mese di maggio dell’anno successivo.
È un segno preoccupante. L’azione della Bourgsmith crolla da 33 a 22 euro in meno di una settimana. L’agenzia incaricata di sorvegliare i mercati finanziari non batte ciglio. Durante tutto il mese di febbraio, sulla stampa specializzata e anche su quella che lo è meno, si succedono gli articoli sulle difficoltà finanziarie della Bourgsmith. Marc Jantot scrive da free-lance un lungo articolo sui problemi della Bourgsmith con la giustizia americana e le loro possibili conseguenze, articolo che però non trova acquirenti.
Il 24 aprile, un dispaccio dell’Agenzia di stampa americana Bloomberg annuncia che il presidente della Bourgsmith, il 23 aprile, ha assistito all’assemblea generale degli azionisti della UPC e che si è trovato un accordo fra UPC e Bourgsmith. Sorpresa a Parigi, conflitti al governo, agitazioni di ogni genere.
Il 26 aprile, la UPC deposita ufficialmente la sua offerta di acquisto della filiale Energie della Bourgsmith a 35 euro per azione, quando questa vegeta da almeno quattro mesi a quota 22 euro. E il 30 aprile, il consiglio di amministrazione della Bourgsmith l’accetta.
La sera del 30 aprile, Marc va a cena da Daquin, nella sua villetta della Villa des Artistes, nel quattordicesimo arrondissement. Entra senza suonare. Uno stanzone al pianterreno, sotto un’alta vetrata da studio di artista, salotto, sala da pranzo, comfort, mobili in legno e pelle. In fondo alla stanza, dietro un bancone di legno, una cucina a vista. Marc attraversa la stanza, va ad appoggiarsi al bancone, guarda per qualche minuto Daquin che dà gli ultimi tocchi a uno spezzatino di agnello ai carciofi, e finisce col buttare lì:
«Il consiglio di amministrazione ha convalidato l’offerta della UPC. La rottamazione del secolo. E io non ho potuto dire o fare niente».
«La decisione è irreversibile?».
«Sì. Ci sarà un po’ di agitazione qui e là, niente di serio. È andata».
«Gli uomini d’affari americani hanno una padronanza mirabile della tecnica della rapina. È vero che hanno avuto buoni maestri. Per prima cosa, scegliere il bersaglio: valutare il guadagno potenziale e la fattibilità. La Bourgsmith in tempo di crisi: perfetto. Poi, la preparazione, essere scrupolosi, pazienti, non avere fretta: qui, dieci lunghi mesi, senza che niente trapeli. I rapinatori da strapazzo dispongono di rado di altrettanto tempo: fra questi ultimi, i tradimenti sono più frequenti. Far partire l’operazione al momento giusto, quando gli avversari sono maturi, pronti a mollare tutto. E allora, agire molto in fretta. Sei giorni fra la decisione e la fine dell’esecuzione, un record. Copertura delle spalle assicurata dalle complicità mafiose nell’apparato statale, per garantirsi l’impunità. Tanto di cappello. Adesso, non ti rimane altro da fare che prendere nota delle persone che nei prossimi giorni otterranno sostanziose gratifiche o prestigiosi incarichi nel settore privato, per avere l’elenco dei complici».
«Basta. Chiudiamola qui. Ci penserò domani. Dammi da bere, qualsiasi cosa, qualcosa di forte».
In maggio, pochi giorni dopo la convalida dell’acquisizione della Bourgsmith da parte del consiglio di amministrazione, il bilancio dell’azienda venne finalmente reso pubblico. Non vi si notava alcuna «distruzione di cash» nel corso dell’anno 2013. Cosa che passò del tutto inosservata. Come diceva il presidente Mao: «Non si può costringere a bere un asino che non ha sete».
La storia è frutto della mia fantasia, per il che fatti, nomi, persone, luoghi e circostanze sono di pura invenzione. L’ispirazione iniziale è venuta da una vicenda che nel 2014 ha riguardato un accordo nel settore Energia tra il gruppo industriale francese Alstom e la multinazionale statunitense General Electric. Il racconto, tuttavia, si snoda indipendentemente dalla realtà delle cose e con una chiave di lettura del tutto personale.
D. M.