Capitolo 6
Gli avvenimenti di un giorno e di una notte

1. Ventuno marzo. Mattina

Il mattino successivo il sovrintendente uscì come al solito. Comunicò in breve alla compagna Anne che aveva quasi maturato un progetto e che sarebbe entrato nei particolari quando fosse tornato a casa alla sera. La fortuna che la lettera del curato non richiedesse una risposta immediata gli offriva tempo per riflettere.

Anne Seaway cominciò quindi i lavori di casa. Oltre a dirigere quotidianamente la cuoca e la cameriera, una delle sue incombenze era, a intervalli regolari, spolverare lo studio di Manston con le sue stesse mani dato che una domestica avrebbe potuto mettere inutilmente in disordine i libri e le carte.

Si aggirò sommessamente dal tavolo allo scaffale con lo strofinaccio in mano, sostando poi in mezzo alla stanza e guardandosi intorno per scoprire se le era sfuggito qualche notevole accumulo di polvere.

Le cadde l’occhio su uno strato sottile depostosi sul ripiano di uno stipo antico di castagno, un esemplare dell’artigianato rinascimentale francese, collocato in una nicchia accanto al caminetto. A un’altezza di circa quattro piedi dal pavimento la porzione superiore della parte davanti rientrava, formando la sporgenza di cui si è detto, sulla quale si aprivano, a ciascuna estremità, due piccoli sportelli; lo spazio centrale era riempito da un pannello di dimensioni simili che formava il terzo di tre riquadri.

La polvere sulla sporgenza era quasi a livello degli occhi della donna, e benché insignificante come quantità, spiccava nettamente a causa della prospettiva obliqua. Ora, sullo strato di polvere depositato davanti al pannello centrale c’erano tracce di quarti di circonferenza concentrici che facevano capire che anche quel pannello era uno sportello come gli altri, che di recente era stato aperto e il cui bordo inferiore aveva sfiorato la polvere.

Finalmente, quindi, la sua curiosità veniva un pochino premiata. Perché, a onor del vero, più che da un immediato desiderio di pulizia, Anne era stata spinta a quella esplorazione dello studio di Manston dal desiderio di conoscere la ragione del lungo tempo che vi aveva trascorso rinchiuso dopo l’arrivo della lettera del curato e la successiva discussione.

E tuttavia per Anne non ci sarebbe stato nulla di notevole in quella scoperta se non si fosse ricordata un particolare. Una volta, per caso, Manston le aveva detto che ognuno dei due armadietti laterali occupava metà dello spazio centrale il cui pannello non si apriva ed era stato messo lì solo per simmetria.

Probabilmente la notte prima aveva aperto quello scomparto alla luce di una candela, altrimenti avrebbe visto i segni nella polvere e li avrebbe cancellati per non essere colto in fallo di averle detto una cosa non vera.

Si bilanciò su un piede solo e restò a riflettere. Pensò che era molto irritante e ingiusto che non volesse metterla al corrente del resto dei segreti che lo riguardavano, date le particolari circostanze del suo legame con lui. Si avvicinò allo stipo. Poiché non c’era serratura, doveva essere possibile aprire lo sportello semplicemente con la mano.

I cerchi nella polvere indicavano da che parte esercitare una pressione. Tirò con la punta delle dita, ma il pannello non si spostò.

Andò a prendere una sedia, guardò in cima allo stipo, ma non si vedevano né un chiavistello, né un pomolo, né una molla.

«Oh, non importa», disse la donna in tono indifferente. «Glielo chiederò e lui me lo dirà». Scese e si girò dall’altra parte. Poi, guardando di nuovo, pensò che era assurdo che una sciocchezza del genere dovesse metterla in difficoltà. Tornò sui suoi passi e aprì un cassetto sotto la sporgenza dello stipo, spingendo dentro la mano e toccando il lato inferiore del ripiano.

Qui trovò un piccolo incavo rotondo e lo premette. La pressione non portò nessun risultato. Ritirò la mano e si guardò la punta del dito: era segnata dall’impronta del cerchio e, in più, c’era una riga che lo attraversava diametralmente.

«Che stupida; è la testa di una vite». Quale che fosse in origine il trucco misterioso per aprire il piccolo armadietto dello stipo, a un certo punto si era rotto ed era stato adottato quel rozzo sostituto. Adesso la curiosità non le avrebbe consentito di rinunciare. Andò a prendere un cacciavite, svitò la vite, aprì lo sportellino con un coltello a serramanico e trovò all’interno una cavità di circa dieci pollici quadrati. La cavità conteneva:

Lettere di donne diverse, con firme ignote, solo i nomi di battesimo (dato che a Pafo116 si disprezzano i cognomi).

Lettere della moglie Eunice.

Lettere della stessa Anne, compresa quella scrittagli in risposta all’annuncio.

Un piccolo taccuino.

Vari foglietti.

Sfogliò con indifferenza le lettere delle donne sconosciute identificate dai nomignoli e poi le mise da parte. Erano troppo simili alla sua personale illusione e la curiosità, per eccitarsi, ha bisogno di contrasti.

Esaminò successivamente le lettere della moglie. Risalivano all’epoca del primo incontro di Eunice con Manston e quelle più vecchie, anteriori al matrimonio, contenevano le solite, graziose effusioni tipiche delle donne in quel periodo della loro esistenza. Un po’ di tempo dopo il matrimonio, e quando si era recato a Knapwater, la serie ricominciava e allora il contenuto attirò maggiormente la sua attenzione. Chiuse lo stipo, portò le lettere in salotto, si sdraiò sul divano e le esaminò accuratamente secondo l’ordine delle date.

John Street, 17 ottobre 1864

Carissimo marito,

ho ricevuto il tuo frettoloso biglietto di ieri e ne sono stata ovviamente contenta. Ma perché non mi dici l’indirizzo esatto invece di «Creston – Ufficio Postale»? Questa faccenda è tutta un mistero per me e mi dovresti comunicare i dettagli. Non posso immaginare che sia lo stesso tipo di lavoro al quale sei stato finora abituato. Mi devo attenere al tuo ordine di restare ancora qui per un po’, finché non vedi «come si mettono le cose» e disponi per mandarmi a prendere. Ma se, come dici, un uomo sposato sarebbe stato rifiutato dalla persona che ti ha assunto e quindi la mia esistenza deve essere mantenuta segreta finché non hai consolidato la tua posizione, perché mai hai pensato di andare lì?

La verità è che questo fatto di tenere segreto il nostro matrimonio è per me fastidioso, irritante e gravoso. Vedo per strada la donna più povera di tutte portare apertamente il nome del marito e vivere con lui con agio e semplicità; perché io non dovrei farlo? Vorrei essere di nuovo a Liverpool.

Oggi ho comprato un mantello impermeabile grigio. Credo che sia un po’ troppo lungo per me, ma era economico per la sua qualità. Il tempo è ventoso e tetro e fino a questa mattina non avevo quasi messo i piedi fuori casa da quando sei partito. Ti prego, dimmi quando devo venire.

La tua affezionatissima
Eunice

John Street, 25 ottobre 1864

Caro marito,

perché non scrivi? Mi odi? Quest’ultima settimana non ho avuto il coraggio di fare niente. Che io, tua moglie, debba trovarmi in queste ristrettezze mentre mio marito se la cava bene! I debiti mi hanno costretta a lasciare la prima pensione: fra le altre cose mi hanno messo in conto una quantità di brandy che sicuramente non ho assaggiato. Poi sono andata a Camberwell e anche lì mi hanno scoperta. Me ne sono andata segretamente e ho cambiato nome per la seconda volta. Adesso sono Mrs Rondley. Ma la nuova pensione era la più disgraziata e la più cara nella quale abbia mai messo piede e me ne sono andata dopo esserci rimasta un giorno solo. Adesso sto al numero 20 della stessa strada nella quale mi hai lasciata all’inizio. Tutta la scorsa notte il pannello scorrevole della finestra ha fatto un rumore così terribile che non sono riuscita a dormire, ma non avevo l’energia sufficiente per scendere dal letto e fissarlo. Questa mattina ho camminato, non so quanto, ma tanto da farmi dolere i piedi. Ho guardato l’esterno di due o tre teatri, ma mi sembrano minacciosi se li guardo con gli occhi di un’attrice in cerca di lavoro. Anche se hai detto che non dovevo pensare più al palcoscenico credo che non ti importerebbe di vedermi lì. Ma la mia natura non è quella di un’attrice e l’artificio non mi renderà mai tale. Sono troppo timida e schiva. Ero destinata a sposare un campagnolo. Sicuramente non cercherò di tornare sulle tavole del palcoscenico mentre sono in questo luogo estraneo. Che idea, portarmi fino a Londra per poi lasciarmi qui da sola! Perché non mi hai lasciata a Liverpool? Forse pensavi che avrei potuto dire a qualcuno che il mio vero nome era Mrs Manston. Come se conoscessi anima viva a cui poterlo dire: non ho questa fortuna! Infatti l’amica più intima non è più intima di quella che la maggior parte delle persone definirebbero un’estranea. Ma forse dovrei dirti che una settimana prima che ti scrivessi la mia ultima lettera, dopo aver desiderato che lo zio e la zia di Philadelphia (gli unici parenti stretti che avevo) fossero ancora vivi, mi sono tutto a un tratto decisa a spedire un biglietto a mio cugino James che credo abiti ancora in quella zona. Non mi ha più vista da quando eravamo tutti e due piccoli. Non gli ho detto del mio matrimonio perché ho pensato che avrebbe potuto dispiacerti e ho dato il mio nome da ragazza e l’indirizzo dell’ufficio postale di qui. Ma Dio solo sa se quella lettera lo raggiungerà mai.

Scrivimi una risposta e manda qualcosa.

La tua affezionata moglie
Eunice

Venerdì 28 ottobre

Caro marito,

il vaglia di dieci sterline è appena arrivato e sono davvero contenta di riceverlo. Ma perché scrivere in tono così amaro? Ah� Be’, se solo avessi avuto i soldi, a quest’ora sarei stata in viaggio verso l’America, così non pensare che il mio desiderio sia quello di annoiarti. Chi puoi avere incontrato in quel posto nuovo? Ricorda, dico questo senza malignità, ma sicuramente i fatti dimostrano che mi hai abbandonata! Sei incostante� lo so. Oh, perché sei così? Adesso che ti ho perduto, ti amo anche se mi trascuri. Sono debole e affettuosa: è la mia natura. Temo, nel complesso, di aver sprecato la mia vita. So che c’è un’altra donna che mi ha soppiantata nel tuo cuore� sì, lo so. Vieni da me� ti prego, vieni.

Eunice

41 Charles Square, Hoxton
19 novembre

Caro Æneas,

eccomi qui di nuovo dopo la mia visita. Perché ti sei tanto arrabbiato quando ho trovato il tuo indirizzo esatto? Qualsiasi donna avrebbe provato a farlo� lo sai che lo avrebbe fatto. E nessuna donna avrebbe vissuto sotto falso nome per tanto tempo come ho fatto io. Ti ripeto che non mi sono fatta chiamare Mrs Manston finché non sono arrivata in questa pensione all’inizio del mese� che potevi aspettarti?

Sarei una creatura inetta, se la fortuna non mi avesse inaspettatamente favorita. Bandita dalla tua casa all’alba, non pensavo proprio che un tale insulto potesse condurre a risultati importanti. Invece, attraversando il parco, ho sorpreso la conversazione di un giovanotto e di una donna che si erano alzati presto anche loro. Credo che lei sia la ragazza che ti ha allontanato da me. Ebbene, la loro conversazione riguardava te e Miss Aldclyffe, in un modo molto strano. La cosa notevole è che tu stesso, senza saperlo, mi hai detto quello che, aggiunto alla loro conversazione, mi svela completamente un segreto che né tu né lei comprendete. Due cose negative non hanno mai dato origine a qualcosa di così positivo e rivelatore. Un altro indizio e lo avresti capito anche tu. Un’unica considerazione m’impedisce di rivelarlo qui: non so se la tua ignoranza sia reale o simulata con lo scopo di ingannarmi. Adesso, ti prego: un po’ di educazione.

Eunice

41, Charles Square
martedì 22 novembre

Marito mio carissimo,

lunedì va benissimo per il mio arrivo. Ho agito esattamente secondo le tue istruzioni e ho venduto le mie carabattole al rigattiere della strada accanto. Tutto questo movimento e il trambusto sono per me una felicità dopo le settimane di monotonia che ho sopportato. È un sollievo dare l’addio a questo posto: Londra mi è sempre sembrata molto più estranea di Liverpool. Il treno di mezzogiorno di lunedì andrà benissimo. Domenica sera ti aspetto ansiosamente.

Spero tanto che tu non sia arrabbiato con me per aver scritto a Miss Aldclyffe. Non lo sei, vero, caro? Perdonami.

La tua moglie innamorata
Eunice

Questa era l’ultima delle lettere della moglie al marito. Un’altra, nella scrittura di Mrs Manston e nello stesso pacchetto, era indirizzata diversamente.

Three Tranters Inn
Carriford, vicino Froominster
28 novembre 1864

Caro cugino James,

grazie mille per aver risposto così prontamente alla mia lettera. Quando ieri sono passata all’ufficio postale non pensavo minimamente che ci sarebbe stata una lettera. Ma devo abbandonare questo argomento. Rispondo subito nelle condizioni più tristi e strane che sia possibile immaginare.

Nella mia lettera non ti ho detto che sono una donna sposata. Non biasimarmi: è stato per volere di mio marito. Quasi non so da dove cominciare la mia storia. Ho vissuto separata da lui per un po’, poi mi ha chiamata (questo è stato la scorsa settimana) e io ero contenta di andare da lui. Questo però è quello che ha fatto. Ha promesso di venirmi a prendere e non è venuto� lasciandomi fare il viaggio da sola. Ha promesso di venirmi a prendere alla stazione qui e non è venuto. Mi sono recata, nell’oscurità, a casa sua e ho trovato la porta chiusa a chiave e lui assente. Sono stata costretta a venire qui e ti scrivo da una stanza sconosciuta di una locanda in un villaggio sconosciuto! Scelgo questo momento per scrivere per tenere lontana l’infelicità. Quando lo metti per scritto, il dolore sembra una specie di piacere, per quanto misero.

Ma questo è quello che voglio sapere� e mi vergogno a dirlo. Farei volentieri come dici e verrei da te come governante, ma non ho il denaro nemmeno per una traversata in terza classe. James, mi vuoi al punto� hai compassione di me al punto di mandarmeli? Potrei arrangiarmi e sopravvivere a Londra dei proventi di quanto ho venduto per un altro mese o per sei settimane. Li mandi allo stesso indirizzo presso l’ufficio postale? Ma come faccio a sapere se�

La lettera finiva così. Da alcune grinze della carta era evidente che chi scriveva, arrivata a quel punto, non era più contenta del prodotto e l’aveva accartocciata in mano. Per scriverne un’altra, o per non scriverla affatto?

La cosa successiva che Anne Seaway capì fu che la storia frammentaria che aveva estorto a Manston a furia di blandizie, e cioè che la moglie aveva lasciato l’Inghilterra per andare in America, poteva essere vera, secondo due di quelle lettere e la conferma della testimonianza del facchino ferroviario.

All’inizio però aveva giurato in un accesso d’ira che la moglie era sicuramente morta riarsa nell’incendio.

Se fosse bruciata, quella lettera scritta nella stanza e probabilmente ficcata in tasca quando l’aveva interrotta, sarebbe finita bruciata insieme a lei. Niente era più sicuro di questo.

Perché allora lui diceva che era morta bruciata e non aveva mai mostrato ad Anne quella lettera?

Questa domanda, tutto a un tratto, ne faceva sorgere una nuova e molto più strana, suscitandole un’ondata di stupore. Come aveva fatto Manston a entrare in possesso di quella lettera?

La notizia di quel possesso era sicuramente la rivelazione più notevole di tutte in relazione con la missiva e forse aveva qualcosa a che fare con il motivo per cui non gliel’aveva mai mostrata.

La donna sapeva, grazie a molte prove, che prima del matrimonio con Cytherea e fino al momento della confessione del facchino, Manston credeva – ne era onestamente convinto – che Cytherea fosse la sua legittima sposa e, quindi, che la moglie Eunice fosse morta.

Quindi nessuna comunicazione poteva essere intercorsa tra lui e la moglie dal primo momento che l’aveva creduta morta nella notte dell’incendio, fino al giorno del matrimonio. E tuttavia egli aveva quella lettera.

In che modo, poco dopo, potevano avere comunicato?

Dato che l’esistenza stessa della lettera – se non addirittura più del suo contenuto – implicava che Mrs Manston non era morta bruciata, la certezza di quella disgrazia aveva avuto fine nel momento in cui era entrato in possesso della lettera, se non prima.

Era quindi l’unica soluzione dell’enigma quella che Anne intravvedeva, quella vera? E cioè che egli aveva comunicato con la moglie più o meno all’inizio della convivenza con lei o in un momento qualsiasi dopo?

Era la cosa più improbabile del mondo che una donna che aveva abbandonato il marito acconsentisse al suo piano di impersonarla... sia che si trovasse in America, a Londra o nella zona di Knapwater.

Ecco allora l’annosa e tormentosa domanda: qual era il vero motivo di Manston per rischiare il proprio nome con l’inganno che stava perpetrando usando Anne? Non era possibile che fosse, come aveva sempre dichiarato, semplice passione. I pensieri della donna erano tornati alla lettera di Mr Raunham che richiedeva le prove della sua identità con la Mrs Manston originaria. Non riusciva a vedere nessuna scappatoia per l’uomo che la manteneva. È vero, per come la vedeva lei, e che la peggiore alternativa non era poi così terribile: venir definito un libertino, forse comparire di fronte al tribunale dei divorzi o a un’altra corte e una richiesta di danni. Una rivelazione di questo genere avrebbe ostacolato per un po’ la sua ascesa nel mondo. Ma per lui questa alternativa era, apparentemente, terribile come la morte.

Rimise le lettere nel loro nascondiglio, esaminò di nuovo le altre missive e gli appunti dai quali non riuscì a ottenere nuove informazioni, richiuse lo stipo e lasciò tutto come l’aveva trovato.

La sua mente era turbata. Desiderava ardentemente non aver mai conosciuto Manston. Quando la persona sospettata di una misteriosa ambiguità morale possiede grandi attrattive fisiche e intellettuali, la semplice sensazione dell’incongruità aggiunge alla paura un brivido in più. Lo strano comportamento dell’uomo terrorizzava Anne come aveva terrorizzato Cytherea; perché, con tutte le sue colpe, Anne non era scesa così in basso nella depravazione da partecipare volontariamente a un crimine. Non sapeva neppure che esistesse una moglie vivente da sostituire finché il suo arrivo a Knapwater non aveva messo fuori questione qualsiasi ritirata, e aveva considerato quell’impersonificazione semplicemente come un modo per mantenersi un po’ più piacevole del suo consueto tribolare nell’indigenza e per di più da sola, dopo un’esistenza disordinata e un po’ viziata come governante di una casa allegra.

Non illa colo calathisve Minervae
Foemineas assueta manus.
117

2. Pomeriggio

Mr Raunham e Edward Springrove avevano ormai messo in moto una macchina che speravano producesse risultati importanti.

Per tutta la mattina seguente il curato fu irrequieto e pensieroso. Era evidente, anche ai domestici che lo circondavano, che la comunicazione di Springrove aveva un carattere più serio di tutte quelle che erano state fatte all’anziano magistrato da molti mesi o anni. Il fatto è che era arrivato a quella fase dell’esistenza in cui diventa possibile il difficile atto intellettuale della sospensione del giudizio e in quel momento lo stava mettendo in pratica non senza la pena di uno sforzo consapevole.

Fu solo nel pomeriggio che si decise a fare visita alla sua parente, Miss Aldclyffe, e sondare cautamente la sua conoscenza dell’argomento che lo occupava in modo così totale. Sapeva che Cytherea era ancora molto amata da quella donna solitaria. In privato, Miss Aldclyffe si era informata diverse volte sulla sua antica dama di compagnia e quando menzionava il nome della giovane donna nel suo tono c’era sempre un po’ di tristezza, il che dimostrava che quale che fosse il motivo per cui la Cytherea più anziana aveva rinunciato alla sua omonima beniamina, non era certo per indifferenza verso il suo destino.

«Ha mai avuto alcun motivo per supporre che il suo sovrintendente fosse un uomo men che retto?», chiese alla signora.

«Mai, il benché minimo motivo. Lei sì?», rispose lei contegnosamente.

«Ebbene... sì».

«Qual è?».

«Non posso dire niente di esplicito perché non è stato provato niente. Ma i miei sospetti sono molto forti».

«Vuole dire che era piuttosto freddo verso la moglie quando erano appena sposati e che è stato ingiusto da parte sua abbandonarla? Lo so che era così; ma credo che la sua condotta recente verso di lei abbia fatto ampiamente ammenda di quella trascuratezza».

Egli guardò bene in faccia Miss Aldclyffe. Era evidente che la donna parlava in modo sincero. Non aveva la minima idea che la donna che viveva insieme al sovrintendente potesse essere altri che Mrs Manston... e tanto meno che potesse esserci dietro una faccenda ben più importante.

«Non è questo; vorrei davvero che fosse solo questo. Il mio sospetto è, prima di tutto, che la donna che vive nella vecchia casa padronale non sia la moglie di Mr Manston».

«Non... non sia la moglie di Mr Manston?».

«Appunto».

Miss Aldclyffe guardò il curato con espressione vuota. «Se non è la moglie di Mr Manston... chi altri può essere?», chiese semplicemente.

«Una donna sconveniente di nome Anne Seaway».

Insieme con altre persone, Mr Raunham aveva notato lo straordinario interesse di Miss Aldclyffe per il benessere del suo sovrintendente e aveva tentato di darne varie spiegazioni. La misura in cui fu scossa da quella notizia, pur dimostrando che l’intesa tra lei e Manston non la rendeva partecipe dei suoi segreti, mostrava anche che il legame che la univa a lui era ancora integro. Negli ultimi tempi Mr Raunham aveva cominciato a dubitare di questo fatto e adesso, scoprendo di avere torto, rimpianse di non aver tenuto per sé la propria opinione riguardo alla faccenda. Ormai era troppo tardi per farlo e andò avanti con le sue prove. Riferì in dettaglio a Miss Aldclyffe le ragioni della sua opinione.

Prima che avesse finito, la donna aveva ritrovato il contegno adottato quando lui aveva introdotto l’argomento.

«Potrei forse convincermi che ha ragione, dopo questa elaborata argomentazione», rispose, «se non fosse per un fatto che suggerisce chiaramente la direzione opposta e che solo una prova certa può capovolgere. E cioè che non esiste un motivo concepibile che possa indurre un uomo sano di mente – per non parlare di un uomo della lucidità e integrità di Mr Manston – ad avventurarsi in una linea di condotta di questo genere... nessun motivo al mondo».

«Questa era la mia opinione fino alla visita di un amico ieri sera... un amico mio e della piccola Cytherea».

«Ah... e poi Cytherea», esclamò Miss Aldclyffe, cogliendo al volo l’idea suscitata dal nome. «Che amasse Cytherea... sì, e che la ami ancora adesso, pazzamente e devotamente, ne sono certa come sono sicura che respiro. Cytherea è di molti anni più giovane di Mrs Manston – io la chiamo così – di indole due volte più dolce e tre volte più bella. Avrebbe rinunciato tranquillamente e all’improvviso a lei per una banale p...? Mr Raunham, la sua storia è mostruosa e io non ci credo!». Ardeva di zelo.

Adesso il curato avrebbe potuto avanzare la sua seconda proposta, il possibile movente, ma per motivi personali non lo fece.

«Molto bene, signora. Spero solo che i fatti sostengano la sua opinione. Gli faccia la domanda apertamente, se la donna è sua moglie o no, e veda come la accoglie».

«Domani lo farò sicuramente», rispose. «Lascio sempre che queste cose muoiano per la troppa aria pura, come succede a tutti i funghi velenosi».

Ma non appena il curato si fu allontanato dalla sua presenza, il chicco di senape che aveva seminato diventò un albero118. La smania di tranquillizzarsi non ammetteva l’indugio di una notte. Fu con grandissima difficoltà che riuscì ad aspettare fino all’arrivo della sera per coprire i propri movimenti. Subito dopo che il sole fu calato dietro l’orizzonte e prima che fosse completamente buio, si avvolse nel mantello, uscì silenziosamente di casa e attraversò svelta il parco tetro in direzione della vecchia casa padronale.

In quello stesso minuto due persone erano sedute in parrocchia e condividevano la cena del curato, di consueto solitaria. Uno era un uomo di aspetto assolutamente banale e borghese fatta eccezione per gli occhi. L’altro era Edward Springrove.

La scoperta delle lettere accuratamente nascoste bruciava nella mente di Anne Seaway. La sua natura femminile continuava ad affermare che Manston non aveva il diritto di tenerle segrete tutte le cose che riguardavano la moglie scomparsa. La perplessità aveva suscitato irritazione; l’irritazione risentimento; ma la curiosità era sempre presente. Per tutta la mattina il risentimento e la curiosità continuarono ad aumentare.

Durante il pasto di mezzogiorno il sovrintendente parlò pochissimo con la compagna. Sembrava incurante delle apparenze, quasi indifferente al Fato che poteva essere in serbo per lui. Tutte le sue azioni tradivano la presenza incombente di un elemento sinistro eppure non manifestava nulla di più ancora nulla. Osservando attentamente ogni azione, anche minima, come solo una donna sa fare, alla fine ad Anne venne in mente che avesse intenzione di fuggire segretamente. Ebbe paura per se stessa; la sua conoscenza della legge e della giustizia era vaga e immaginò di poter essere in qualche modo reputata colpevole al posto suo.

Al pomeriggio egli uscì di nuovo e lo osservò allontanarsi in direzione di Froominster. La donna provò il desiderio di recarsi anche lei a Froominster e, dopo un intervallo di mezz’ora, lo seguì a piedi, con il pretesto di fare degli acquisti.

Una delle varie commissioni banali era un piccolo acquisto dal farmacista. Davanti al negozio si trovava la banca della contea. Guardando fuori dalla vetrina del negozio, in mezzo alle bottiglie colorate, vide Manston scendere i gradini della banca facendo il gesto di ritirare la mano dalla tasca e stringersi il cappotto contro la bocca.

È un’abitudine quasi universale delle persone che escono da una banca sistemarsi accuratamente le tasche se hanno ritirato dei soldi; se li hanno versati, le mani pendono rilassate.

Il sovrintendente aveva con tutta probabilità ritirato dei soldi... forse per conto di Miss Aldclyffe: lo faceva continuamente. E poteva avere ritirato i propri, come farebbe uno che intende lasciare il paese.

3. Dalle cinque alle otto di sera

Anne raggiunse di nuovo casa in tempo per presiedere ai preparativi della cena. Manston arrivò mezz’ora dopo. La lampada era accesa, le imposte erano chiuse ed essi si sedettero insieme. Egli era pallido e stanco, quasi tirato.

Il pasto trascorse in un silenzio quasi ininterrotto. Quando la preoccupazione resiste all’influsso di un pasto consumato insieme a una compagnia piacevole, la scena mentale deve essere incomparabilmente vivida. Nel momento in cui si alzò, picchiarono alla porta.

Prima che una cameriera potesse andare ad aprire, Manston attraversò la stanza e rispose lui stesso. La visitatrice era Miss Aldclyffe.

Manston tornò immediatamente e parlò sottovoce ad Anne. «Sarei contento se ti ritirassi nella tua stanza per breve tempo».

«È una sera asciutta e stellata», ribatté. «Se il tuo scopo è solo una conversazione in privato con Miss Aldclyffe, andrò a fare una passeggiatina».

«Molto bene, fallo; i gusti personali sono insondabili», disse lui. Anne scambiò con Miss Aldclyffe poche banalità e salì di sopra a mettersi il cappello e il mantello. Scese, aprì la porta d’ingresso e uscì.

Si guardò intorno per valutare la notte. Era scura, triste e tranquilla. Poi restò immobile. Dal momento in cui Manston le aveva chiesto di assentarsi, si era fatto strada in lei un desiderio intenso e ardente di conoscere l’argomento della conversazione con Miss Aldclyffe. A ispirarla non era esclusivamente la semplice curiosità. I sospetti erano nati dopo la scoperta del mattino. La convinzione che il suo futuro dipendesse dalla capacità di lottare contro un uomo che, in circostanze disperate, le era tutt’altro che amico, le suggerì una mossa strategica per entrare in possesso dell’importante segreto che in quel momento stavano discutendo. Ci pensò e ripensò e fissò gli alberi cupi e indistinti, vagliando ansiosamente il modo in cui la cosa poteva essere portata a termine.

Riaprendo furtivamente la porta d’ingresso entrò nel vestibolo e avanzando e fermandosi alternativamente, si avvicinò alla porta della stanza nella quale Miss Aldclyffe e Manston stavano conversando. Attraverso la serratura o i pannelli non si udiva nulla. Correndo un grosso rischio girò sommessamente il pomolo e aprì la porta di mezzo pollice, eseguendo il gesto con tanta delicatezza che ci vollero almeno tre minuti per completarlo. In quell’istante Miss Aldclyffe disse:

«C’è una corrente d’aria da qualche parte. Credo che la porta sia socchiusa».

Anne si ritrasse silenziosamente sotto la scala. Manston venne a chiudere la porta.

Quella opportunità era ormai esclusa e Anne rifletté di nuovo.

Il salotto, o soggiorno, in cui si svolgeva il colloquio aveva le imposte fissate all’esterno della finestra, come succede di solito nelle stanze delle case di campagna che si affacciano sul retro. Le imposte erano fissate ai cardini su entrambi i lati dell’apertura e si incontravano al centro dove erano fermate da un chiavistello che attraversava i battenti e anche il montante di legno; il chiavistello era poi assicurato all’interno da un perno che era raro che fosse inserito finché Manston e la donna non erano sul punto di ritirarsi per la notte; e a volte non veniva messo per niente.

Se si avvicinava di nuovo alla porta della stanza poteva venire scoperta in qualsiasi momento; era possibile però origliare alla finestra che si affacciava su una parte del giardino che nessuno frequentava dopo il calare della notte e sarebbe stata al riparo da qualsiasi disturbo. Valeva la pena fare un tentativo.

Fece furtivamente il giro fino alla finestra, prese tra il pollice e l’indice la testa del chiavistello e la girò piano fino a rimuoverla completamente dalla sua posizione. Le imposte restarono come prima ma, nel punto in cui il chiavistello era uscito, c’era adesso un orifizio illuminato del diametro di tre quarti di pollice dal quale era possibile vedere il centro della stanza. La donna applicò l’occhio all’orifizio.

Miss Aldclyffe e Manston erano entrambi in piedi; Manston dava le spalle alla finestra, la compagna gli stava di fronte. Il contegno della signora era severo, censorio e altezzoso. Non era possibile vedere altro; Anne si girò di lato, appoggiò la spalla alle imposte e posò l’orecchio sul buco.

«Sai dove», disse Miss Aldclyffe. «E come hai potuto, tu uomo, recitare un doppio inganno come questo?».

«Gli uomini a volte fanno delle cose strane».

«Qual è stata la tua motivazione... suvvia».

«Un semplice capriccio».

«Potrei anche crederci, se la donna fosse più bella di Cytherea, oppure se tu fossi stato sposato con Cytherea da un po’ e ti fossi stancato di lei».

«E non riesci a crederlo neppure in base a queste circostanze: che ho sposato Cytherea, ho rinunciato a lei perché ho saputo che mia moglie era viva, ho scoperto che non sarebbe venuta a vivere con me e allora, perché una donna che amavo come Cytherea non corresse il rischio di essere spodestata e avere la reputazione rovinata se mia moglie avesse ritenuto opportuno ritornare, ho convinto questa donna a venire con me perché era comunque meglio che restare da solo?».

«Non posso crederci. Il tuo amore per Cytherea non era del genere sottinteso da queste giustificazioni. Per te era Cytherea o nessuna. Come oggetto della tua passione non desideravi affatto la compagnia di questa Anne Seaway e sicuramente non al punto di rischiare la reputazione per portarla qui come hai fatto. Ne sono sicura, Æneas».

«Anch’io», rispose lui con semplicità.

Miss Aldclyffe emise un’esclamazione di stupore: la confessione fu così improvvisa da assomigliare a un colpo. Cominciò a rimproverarlo violentemente, versando lacrime.

«Come hai potuto rovinare i miei piani, disonorare l’unica ragazza per la quale ho avuto del rispetto con un comportamento così inesplicabile!... Quella donna deve lasciare questa casa... forse il paese. Cielo! Si verrà a sapere la verità tra un giorno o due!».

«Anne non deve fare nulla di tutto questo e la verità deve essere messa a tacere, in un modo o nell’altro... nessuno sa come. Se io resto qui, o in un luogo qualsiasi del mondo civile, come Æneas Manston, questa donna deve vivere con me come mia moglie, oppure finirò dannato al di là di qualsiasi redenzione!».

«Non ti autorizzo a tenerla qui, quali che siano i tuoi motivi».

«Devi fare qualcosa», mormorò lui. «Devi. Sì, devi».

«Non lo farò mai», rispose lei. «È un atto criminale».

La guardò con franchezza. «Non mi appoggeresti in questo inganno nemmeno se ne andasse della mia vita? Non lo faresti?».

«Sciocchezze! La vita! Per te sarà uno scandalo, ma quella donna deve lasciare la casa. Presto o tardi si verrà a sapere e sarebbe meglio che la rivelazione venisse adesso».

Manston ripeté con voce tetra le stesse parole. «La mia vita dipende dal fatto che tu mi appoggi... la mia stessa vita».

Poi le si avvicinò e le parlò all’orecchio. Parlando, le teneva la testa accostata alla bocca con tutte e due le mani. Sul viso della donna passarono strane espressioni; i movimenti della bocca erano penosi da vedere. Manston continuava a trattenerla e a sussurrare.

Le uniche parole che Anne Seaway riuscì a cogliere, benché l’udito dell’orecchio rivolto all’esterno fosse spesso confuso dal gemito del vento e dalla cascata, furono quelle di Miss Aldclyffe, pronunciate con voce molto tremante:

«Non hanno denaro: che cosa possono dimostrare?».

La donna in ascolto si sforzò moltissimo di cogliere la risposta di lui, ma invano. Del resto del colloquio Anne colse un unico fatto e anche questo per supposizione: che Miss Aldclyffe, da quello che le aveva rivelato, avrebbe complottato anima e corpo nell’interesse di Manston.

Adesso Miss Aldclyffe sembrava non avere più motivo di restare e tuttavia indugiò per qualche minuto come se fosse restia a lasciarlo. Quando, infine, la signora, umiliata e agitata, si preparò per andarsene, Anne inserì rapidamente il chiavistello, fece il giro di corsa verso l’entrata sormontata da un arco e scese i gradini che portavano nel parco. Qui si mise vicina al tronco di un’enorme limetta che dissimulò la sua sagoma scura nella propria.

Dopo pochi minuti vide Manston, con Miss Aldclyffe appoggiata al braccio, attraversare la radura davanti a lei e procedere nella direzione della casa padronale. Li osservò salire il pendio e avanzare, come due macchie nere, verso l’edificio. La comparsa di una luce oblunga nella massa scura dei muri indicò che la porta si era aperta. Su quello sfondo si vide il profilo di Miss Aldclyffe, poi la porta la inghiottì e fu di nuovo l’oscurità. La sagoma di Manston che tornava da solo si distaccò dal buio e passò davanti ad Anne nel suo nascondiglio.

Dopo avere atteso fuori ancora un quarto d’ora, in modo da non suscitare alcun sospetto, Anne tornò alla vecchia casa padronale.

4. Dalle otto alle undici di sera

Quella sera Manston fu molto cordiale. Era evidente, adesso che la donna era al corrente delle cose, che stava facendo sforzi disperati per dissimulare il suo vero stato mentale.

Il terrore che le incuteva non diminuì. Si sedettero a cena e Manston chiacchierò allegramente. Ma che cosa c’è di più perspicace dell’occhio di una donna diffidente? L’astuzia di un uomo, al confronto, è quello che fu l’armatura di Sisara contro il sottile piolo da tenda119. Anne scoprì, malgrado l’abilità di Manston, che non stava tentando semplicemente di mascherare i propri sentimenti. Stava cercando di distrarre la sua attenzione, in modo da far passare inosservati alcuni movimenti particolari delle mani.

Che momento fu per lei, quello! Si fece attenta con tutto il corpo. Non gli lasciò nessuna opportunità. Conosciamo la condizione duplice di occasioni come questa: quando l’esistenza si divide in due e la parte chiacchierona, apparentemente innocente, si mette davanti come un’altra persona, per nascondere la spia timorosa.

Manston stava giocando lo stesso gioco, ma in modo più palpabile. Il pasto era quasi finito quando sembrò farsi venire una nuova idea sul modo di ottenere il suo scopo. Inclinò la sedia all’indietro con espressione pensosa e guardò fissamente l’orologio contro la parete di fronte a sé. Disse in tono pedante:

«Poche facce riescono ad essere più espressive del quadrante di un orologio con la sua evidenza muta120. Lo puoi vedere in tutte le sfumature: dolcemente seducente, incurante, pronto all’azione».

«Ebbene, e come?», chiese Anne. Non capiva ancora dove volesse andare a parare.

«Suvvia, ad esempio: guarda l’espressione fredda, metodica, antiromantica, concreta di tutte le posizioni ad angolo retto delle lancette. Fanno sì che uno si metta, suo malgrado, al lavoro. Poi guarda la piccante timidezza del quadrante quando le lancette sono una sull’altra. Molte posizioni implicano “sii pronto”. Il “sii pronto” delle dodici meno dieci è diverso dal “sii pronto” dell’una meno dieci, come la gioventù è diversa dalla vecchiaia. “Alzati e va”, dicono le dieci e trentacinque. Mezzogiorno o mezzanotte esprimono distintamente “fatto”. L’avrai sicuramente notato, no?».

«Sì».

Egli continuò quella sua leziosa stravaganza:

«Il facile balzo delle sette e dieci, la disinvolta noncuranza delle sette e un quarto, la stanchezza cadente dei venticinque la devono avere notata tutti».

«Se anche c’è un po’ di verità, nella tua fantasticheria c’è una buona dose di immaginazione», gli disse.

Manston continuava a contemplare l’orologio.

«E poi, ancora, la generale rifinitura del quadrante ha un grande effetto sull’occhio. Questo qui all’antica, con il quadrante di ottone, la parte superiore ad arco, la fessura a mezzaluna per il giorno del mese e il dondolio da imbarcazione nella parte superiore mi dà l’idea che sia un vecchio cinico che solleva le sopracciglia e i cui pensieri si possono vedere oscillare tra il bene e il male».

In quel momento Anne ebbe un’illuminazione: l’orologio era alle sue spalle e lui voleva farla girare. Aveva paura ma, per non fargli sospettare che stava in guardia, mentre lui parlava gettò una rapida occhiata all’orologio dietro di sé e riprese all’istante la posizione di prima. Il tempo non era stato sufficiente per un’azione qualsiasi da parte sua.

«Ah», commentò lui casualmente e, nello stesso momento, cominciò a versarle un bicchiere di vino. «Parlando dell’orologio mi è venuto in mente che la carica deve essere quasi finita. Ricordati di farlo caricare, questa sera. E se lo facessi adesso, mia cara?».

Non era possibile evitare il gesto. Anne si girò risoluta a eseguire l’operazione: qualsiasi cosa era meglio del suo sospetto. Era un orologio all’antica, da caricare ogni otto giorni, di fattura appropriata con il resto della mobilia antica che Manston aveva radunato lì, e durante la carica faceva molto rumore.

Anne aveva rinunciato del tutto all’idea di osservarlo in quell’intervallo di tempo e il rumore degli ingranaggi le impedì di rendersi conto di qualcosa grazie all’udito. Ma, mentre dava la carica, scorse la sua ombra sulla parete alla sua destra.

Che cosa stava facendo?

Stava facendo il gesto di versare qualcosa nel suo bicchiere di vino.

Completò la manovra prima che lei avesse finito di dare la carica. Anne chiuse metodicamente la cassa dell’orologio e si girò di nuovo. Quando lo ebbe nuovamente di fronte, era seduto sulla sedia come prima che lei si alzasse.

In una scena familiare che fino a quel momento è stata piacevole, è difficile rendersi conto che un elemento aggiunto e che non ne altera l’aspetto può averla fatta diventare paurosa. La donna pensò che il gesto di Manston doveva essere stato dettato solo dall’intenzione di avvelenarla, eppure non riuscì immediatamente a temere per la propria situazione.

E prima di avere colto queste conseguenze, un’altra ipotesi le fece considerare la prima improbabile, se non assurda. Era il gesto di un pazzo toglierle la vita in un modo così facile da scoprire, a meno che non esistessero ben altre ragioni per il crimine di quelle che poteva avere Manston.

Adulterandole il vino, non era semplicemente sua intenzione farla dormire profondamente quella notte? Questo concordava con il suo primo sospetto, che intendesse fuggire di nascosto. Ad ogni buon conto voleva accingersi a un’azione furtiva della quale lei doveva essere tenuta all’oscuro. La difficoltà adesso era evitare di bere il vino.

Grazie prima a un pretesto e poi a un altro, rimandò di prendere il bicchiere per quasi cinque minuti, ma lui la osservava troppo spesso per riuscire a gettare la pozione sotto la grata del caminetto. Diventò necessario bere un sorso. Lo fece e trovò un’opportunità per farlo assorbire dal fazzoletto.

Era evidente che Manston non si era accorto delle sue contromosse. Il piano gli sembrava in pieno svolgimento e si girò per attizzare il fuoco. Anne afferrò all’istante il bicchiere e si versò il contenuto nella scollatura. Quando egli si girò di nuovo verso di lei, teneva il bicchiere vuoto contro le labbra.

A tempo debito Manston chiuse a chiave le porte e controllò che le imposte fossero sbarrate. La donna si occupò di qualche ultimo dettaglio domestico e qualche minuto più tardi si ritirarono per la notte.

5. Dalle undici a mezzanotte

Quando Manston si convinse, grazie alla simulata pesantezza del respiro, che Anne Seaway era addormentata, si alzò furtivamente e si vestì al buio.

Tendendo il più possibile le orecchie, la donna lo udì portare a termine questa operazione; poi prese qualcosa dalla tasca, lo mise nel cassetto del tavolino da toeletta, andò alla porta e scese le scale. Anne scivolò fuori dal letto e guardò nel cassetto. Aveva solo rimesso a posto una piccola fiala che aveva già visto lì. L’etichetta diceva: «Soluzione di Oppio Battley». Si sentì sollevata che non avesse attentato alla sua vita. Quella avrebbe dovuto essere la sua pozione soporifera.

Non c’era tempo da perdere se voleva tenergli degnamente testa. Lo seguì in camicia da notte. Quando raggiunse il fondo delle scale egli era nello studio e aveva chiuso la porta sotto la quale un debole bagliore indicava che si era procurato una luce.

Si avvicinò lentamente alla porta, ma non si azzardò ad aprirla, nemmeno di una minima fessura. Posando l’orecchio contro il pannello, lo sentì stracciare delle carte, e un raggio di luce più vivido e tremulo proveniente dalla soglia un istante dopo le fece capire che le stava bruciando. Grazie al rumore leggero dei suoi passi sul pavimento privo di tappeto, immaginò che si stesse avvicinando alla porta. Ritornò in gran fretta al piano di sopra e si infilò furtivamente a letto.

Subito dopo Manston ritornò nella stanza e rientrò senza la luce. Restò immobile per un istante per assicurarsi che la donna dormisse ancora, si avvicinò al cassetto nel quale tenevano il contante e tolse lo scrigno che lo conteneva. L’orecchio di Anne colse distintamente il fruscio delle banconote e il tintinnio dell’oro mentre maneggiava il denaro. Una parte se la mise in tasca, il rimanente lo rimise a posto.

Restò in piedi a pensare, come se stesse valutando una possibilità. Mentre indugiava in quella posizione, notò nello specchio l’immagine riflessa del proprio viso: pallida e spettrale nella sua indeterminatezza. Quella vista sembrò la goccia che fa traboccare il vaso dell’indecisione: respirò profondamente, uscì dalla stanza e scese al piano di sotto. Lo udì togliere la sbarra alla porta sul retro e uscire in cortile.

Sentendosi tranquilla per aver concluso che non intendeva ritornare in camera da letto, Anne si alzò e si vestì in fretta. Andando alla porta della stanza scoprì che se l’era chiusa alle spalle con la chiave. «Una precauzione... non può essere altro», bofonchiò. E tuttavia proprio per questo si sentì ancora più perplessa e turbata. Se avesse avuto l’intenzione di lasciare immediatamente la casa, non si sarebbe certo dato la pena di chiuderla dentro, convinto com’era che fosse in preda al sonno indotto dalla pozione.

La serratura scorreva in una bocchetta e quindi non era possibile spingere indietro il chiavistello. Come lo avrebbe seguito? Facile.

Nella stanza da letto si apriva uno stanzino interno: era grande e in precedenza a volte era stato usato come spogliatoio o bagno, ma era scomodo perché non aveva altra uscita sul pianerottolo. La finestra di questa stanzetta si affacciava sul tetto del portico che era piatto e ricoperto di piombi. Anne prese un cuscino dal letto, aprì piano il telaio della stanza interna e uscì sul tetto a terrazza. Lì, sporgendosi oltre il bordo del piccolo parapetto che ornava il porticato, lasciò cadere il guanciale sul sentiero di ghiaia e si lasciò andare oltre il parapetto tenendosi con le mani finché le punte dei piedi non ondeggiarono a circa due piedi dal terreno. Da questa posizione atterrò agilmente sul guanciale e si trovò sul sentiero.

Da quando era rientrata dalla passeggiata all’inizio della serata era sorta la luna. Ma le fitte nubi che ricoprivano il paesaggio facevano sì che la luce fioca fosse diffusa e grigia; sembrava una qualità dell’aria.

Anne girò furtivamente intorno al retro della casa, ascoltando attentamente. Il sovrintendente aveva almeno dieci minuti di vantaggio su di lei. Aveva aspettato il tempo che avrebbe impiegato per contare fino a cinquanta, quando udì un movimento nel fabbricato annesso, una parte un tempo unita all’edificio principale. Questa dépendance era suddivisa in una stanza esterna e una sul retro; quest’ultima era una cucina con retrocucina prima che la parte di fabbricato che univa i due edifici venisse buttata giù, ma adesso erano usate rispettivamente come distilleria e laboratorio e l’unico modo di accedere a quest’ultimo era attraverso la distilleria. La porta esterna di questa prima stanza di solito era chiusa da un lucchetto esterno. In quel momento era chiusa, ma non a chiave. Evidentemente Manston si trovava nella dépendance.

La donna mosse leggermente la porta. L’interno della distilleria era avvolto nell’oscurità, ma dalla porta della stanza interna o laboratorio, non del tutto chiusa, una riga di luce attraversava il pavimento nella sua direzione. Quella luce fu una sorpresa, perché non se n’era vista traccia filtrare dai buchi o dalle crepe. Guardando dentro, Anne scoprì che Manston aveva coperto le varie aperture con stracci e stuoie e aveva appeso un sacco alla finestra per impedire che uscisse anche il minimo raggio. Dal punto dove si trovava riuscì anche a vedere che la striscia di luce cadeva sulla caldaia per la fermentazione subito fuori dalla porta interna e che lì sopra c’era la chiave della camera da letto.

Dalla sua posizione era parzialmente visibile anche l’interno illuminato del laboratorio, attraverso le due porte semiaperte. Manston era impegnato a svuotare un grosso armadietto di tutti gli utensili, i vasetti smaltati e i ferri vecchi che conteneva. Quando fu completamente sgombro, prese uno scalpello e con esso cominciò a togliere i ganci e le viti a perno che fermavano lo stipo al muro. Dopo averle allentate tutte, alzò le braccia, sollevò di peso l’armadietto dai supporti sottostanti e lo posò sul pavimento accanto a sé.

La porzione di muro nascosta dall’armadietto era rimasta nuda. Sembrava essere stato stuccato più di recente del resto della cubatura della dépendance. Manston scalzò lo stucco aiutandosi con un utensile qualsiasi, lanciando i frammenti in un cesto man mano che cadevano. Dopo aver ripulito una superficie di muro di due piedi circa, inserì un pie’ di porco tra le giunzioni dei mattoni sotto, muovendolo piano finché non ne ebbe allentati diversi. In questo modo si rivelò l’imboccatura di un vecchio forno che a quanto pareva era stato progettato nello spessore del muro e, una volta caduto in disuso, era stato chiuso con i mattoni. Era disegnato secondo la semplice foggia in cui si costruivano anticamente i forni: una nuda cavità schiacciata ai poli priva di canna fumaria.

Manston infilò il braccio dentro al forno, ne tirò fuori un oggetto pesante di grandi dimensioni e lo lasciò scivolare per terra. La donna che lo osservava vide chiaramente l’oggetto. Era un banale sacco per il grano, quasi pieno e legato all’imboccatura nel modo consueto.

Una o due volte il sovrintendente aveva sussultato, come se avesse udito dei suoni, e i suoi movimenti diventarono ancora più felini. D’un tratto spense la luce. Anne non aveva fatto rumore e tuttavia si era sicuramente prodotto un qualche suono estraneo nella parte di edificio in mezzo. La donna lo udì. «Un ratto», pensò.

Manston sembrò riprendersi presto dall’agitazione, ma cambiò completamente tattica. Non accese la candela, proseguendo il suo lavoro al buio. La donna adesso poteva basarsi solo sui suoni e, a giudicare da questi, sembrava che l’uomo stesse impilando i mattoni che chiudevano l’imboccatura del forno come erano prima che li spostasse. Il quesito che non aveva abbandonato la sua mente durante la perlustrazione, come ritornare di nuovo in camera da letto, trovò in quel momento una soluzione. Mentre lui rimetteva a posto lo stipo, lei avrebbe attraversato furtivamente la distilleria, avrebbe preso la chiave da sopra la caldaia, sarebbe corsa di sopra, avrebbe aperto la porta e riportato indietro la chiave: se lui fosse ritornato a letto, cosa improbabile, avrebbe pensato che la serratura non era riuscita a inserirsi nella bocchetta. Il pensiero e il proposito, formulati con queste poche parole, si accesero istantaneamente nella sua mente senza quasi turbare il fortissimo desiderio di restare per conoscere il significato di quelle azioni nel laboratorio.

Camminando di lato oltrepassò la prima porta e, chiudendosela alle spalle, avanzò nell’oscurità verso la seconda, facendo ogni passo con la massima attenzione per paura che i frammenti di sporcizia sul pavimento scricchiolassero sotto il suo peso. In breve fu vicina alla caldaia e a non più di un piede di distanza dalla porta della stanza occupata da Manston; da quella posizione lo sentiva respirare distintamente tra uno sforzo e l’altro, anche se era troppo scuro per distinguere alcunché.

Afferrare la chiave della stanza fu la sua prima preoccupazione e, di conseguenza, allungò cautamente la mano verso il punto dove si trovava l’oggetto.

Invece di toccare la chiave, le sue dita entrarono in contatto con il piede di un essere umano.

Si sentì svenire, in preda ai sudori freddi.

Era il piede di un uomo o di una donna immobile sulla caldaia di fermentazione dove prima c’era la chiave. Era un piede caldo, coperto da uno stivale liscio.

Quella scoperta stupefacente la terrorizzò al punto che per poco non le sfuggì un’esclamazione. Ritrasse la mano rapida come una freccia. Il suo gesto fu leggero e il cuoio sembrava abbastanza spesso da mantenere il proprietario del piede nella più completa ignoranza; forse il rumore fatto da Manston mentre scrostava era stato sufficiente a coprire il lieve fruscio dei suoi abiti.

Era evidente che la persona non era il sovrintendente: lui era ancora indaffarato. Era qualcuno che, dal momento in cui era stata spenta la luce, aveva sfruttato l’oscurità per abbandonare un angolo buio della distilleria e salire sulla base di mattoni della caldaia.

La paura che al momento l’aveva paralizzata diminuì quando cominciò a rendersi conto che era del tutto inutile: si trovava in una posizione disperata e doveva conformarsi al corso degli eventi. La persona immobile sulla caldaia era, come Manston, del tutto ignara della vicinanza della donna e quindi Anne si azzardò ad allungare di nuovo la mano, tastando dietro il piede finché non trovò la chiave. Nel tragitto di ritorno verso il fianco, la punta del dito sfiorò l’orlo inferiore di un pantalone.

La persona in piedi era quindi un uomo. Avvicinarsi alla porta in quel momento era inopportuno e la donna si ritirò in un angolo riparato ad aspettare.

La relativa certezza di non venire scoperta che la nuova posizione le assicurava, ridestò la ragione e le consentì di formulare alcune deduzioni logiche:

1. L’uomo in piedi sulla caldaia aveva sfruttato l’oscurità per arrivare fin lì, come lei per entrare.

2. L’uomo doveva essere già nascosto nella dépendance prima che lei raggiungesse la porta.

3. Stava spiando Manston con grande astuzia e in modo sistematico, per uno scopo del tutto personale.

Dai rumori, adesso era in grado di capire che Manston aveva finito di rimontare l’armadietto. Lo udì ricollocare gli oggetti che aveva contenuto, bottiglia dopo bottiglia, utensile dopo utensile, dopo di che entrò nella distilleria, andò alla finestra e tirò giù gli stracci che la coprivano; ma poiché era piuttosto piccola questo gesto non servì quasi a mitigare l’oscurità dell’interno.

Tornò nel laboratorio, con un movimento energico si caricò un oggetto sulla schiena e cercò qualcos’altro a tastoni per la stanza. Trovatolo, uscì dalla porta interna, attraversò la distilleria e si recò in cortile. Appena fu uscito, Anne vide la sua sagoma alla debole luce della luna coperta dalle nubi. Si era issato il sacco sulla schiena e in mano recava una vanga.

Anne attese nel suo angolo le azioni dell’altro uomo, in preda a un’ansiosa incertezza. Nel giro di mezzo minuto circa lo udì scendere dalla caldaia, e poi il vano squadrato della porta mostrò la sagoma di quest’altro osservatore mentre usciva a sua volta. Era il profilo di un uomo dalle spalle larghe avviluppato in un lungo cappotto. Sparì dietro il sovrintendente.

La donna diede libero sfogo a un sospiro di sollievo e si mosse per seguirli. Nello stesso momento scoprì che l’osservatore il cui piede aveva sfiorato era a sua volta osservato e anche seguito.

Si trattava di una donna. Anne Seaway indietreggiò di nuovo.

La donna sconosciuta avanzò dal lato più lontano del cortile ed esitò un momento per riflettere. Alta, scura e strettamente avviluppata in un mantello, si ergeva dritta come un cipresso. Si mosse, attraversò il cortile senza produrre il minimo rumore con i suoi passi e si avviò nella direzione presa dagli altri.

Anne aspettò ancora un minuto, poi seguì a sua volta l’ultima donna senza fare rumore.

Ma quelle persone nascoste le avevano comunicato un’impressione tale che, uscendo dal cortile, girò la testa per vedere se qualcuno seguiva lei nello stesso modo. Non vide nessuno, ma distinse, dietro l’angolo della stalla, il calessino e il cavallo di Manston, pronti e bardati.

Quindi, dopo tutto, intendeva fuggire, pensò. Doveva aver preparato il cavallo nell’intervallo tra il momento in cui era uscito di casa e quello in cui lei era scappata dalla finestra.

Comunque, non c’era tempo per valutare questi nuovi sviluppi negli eventi della notte. Si girò di nuovo e proseguì sulle tracce degli altri tre.

6. Da mezzanotte all’una e mezza di notte

L’attenzione permeava ogni cosa; la notte stessa sembrava essere diventata osservatrice.

Le quattro persone attraversarono la radura ed entrarono nel bosco del parco a una distanza di settanta iarde circa l’una dall’altra. Qui il terreno, completamente sovrastato dal fogliame, era ricoperto da un fitto muschio che sotto i loro piedi era morbido come velluto. Il primo osservatore, cioè l’uomo che camminava immediatamente alle spalle di Manston, restò indietro quando Anne, conoscendo il terreno piuttosto bene, si precipitò in mezzo agli alberi per aggirarli e arrivò direttamente alle spalle del sovrintendente che, ingombro del suo carico, aveva camminato lentamente. Adesso l’altra donna sembrava trovarsi all’incirca di fronte ad Anne o un poco più avanti, ma dall’altro lato di Manston.

Egli raggiunse una fossa, a metà strada tra la cascata e la rimessa della pompa. Qui si fermò, si asciugò il viso e restò in ascolto.

In questa fossa si erano accumulate innumerevoli generazioni di foglie secche, colmandola per metà. Fogliame di quercia, faggio, castagno, tutto marcio e marrone allo stesso modo, si mescolava in un’unica massa fibrosa. Manston scese lì in mezzo, posò il sacco per terra e, rastrellando le foglie da una parte in un grande mucchio, cominciò a scavare. Anne si avvicinò piano, si insinuò in un cespuglio e, girando la testa per osservare il resto delle persone, notò l’assenza dell’uomo che era rimasto indietro e che abbiamo definito primo osservatore. Concludendo che si fosse nascosto anche lui, rivolse la sua attenzione al secondo osservatore, l’altra donna, che nel frattempo si era avvicinata al punto in cui era nascosta Anne e ora si sedette dietro un albero, ancora più vicina di lei al sovrintendente.

Anne restò nascosta lì. Percepiva chiaramente il rumore crepitante della vanga del sovrintendente quando intaccava il soffice terriccio vegetale, ogni volta che la pausa periodica tra i cigolii della pompa coincideva con un momento di calma della brezza che altrimenti trasportava il rombo soffocato della cascata dal lato più lontano della sponda che la nascondeva. Un grosso buco, profondo quattro o cinque piedi, venne scavato da Manston all’incirca in venti minuti. Vi collocò subito il sacco e poi cominciò a riempirlo di terra, calpestandola. In ultimo, rastrellò accuratamente l’intera massa delle foglie secche e morte in mezzo alla fossa, ricoprendo il terriccio con quelle come prima.

Quel punto era un nascondiglio impareggiabile. Lo spesso cumulo di foglie che da secoli non veniva disturbato poteva restare intatto per secoli a venire, mentre gli strati inferiori si decomponevano e si andavano ad aggiungere al terriccio sottostante.

Quando l’operazione fu terminata il cielo era diventato più chiaro e Anne poté vedere distintamente il viso dell’altra donna che si protendeva da dietro l’albero, apparentemente dimentica della sua posizione nell’attenta contemplazione delle azioni del sovrintendente. Il viso era pallido e immobile.

Era impossibile che Manston non la notasse. Al termine della fatica egli si girò e la vide.

«Ehilà... laggiù!», esclamò.

«Non credere che ti stessi spiando», gli rispose con un bisbiglio implorante. Anne riconobbe la voce di Miss Aldclyffe.

Tremando, la signora aggiunse in fretta un’altra osservazione che finì perduta nel cigolio ricorrente della pompa lì accanto. Il primo osservatore, se non si era avvicinato un po’ dalla sua posizione originaria, era troppo lontano per sentire qualcosa del dialogo a causa del rombo dell’acqua che cadeva, che lo raggiungeva non essendo impedito dalla sponda.

L’osservazione di Miss Aldclyffe a Manston riguardava evidentemente il primo osservatore, perché Manston si precipitò immediatamente con la vanga verso il punto dove si nascondeva l’uomo e, prima che quest’ultimo potesse liberarsi dai rami, lo colpì sulla testa con la lama dell’utensile. L’uomo cadde a terra.

«Fuggi!», disse Miss Aldclyffe a Manston. Manston scomparve in mezzo agli alberi. Miss Aldclyffe si allontanò nella direzione opposta.

Anne Seaway stava per scappare nello stesso modo, quando si girò e guardò l’uomo caduto. Giaceva a faccia in giù, immobile.

Molte di queste donne che non hanno un codice morale dimostrano considerevole magnanimità quando vedono una persona in difficoltà. Agire in modo giusto solo perché è nostro dovere è opportuno; ma una buona azione che non è conseguenza di nessuna riflessione brilla ancora di più.

Gli si avvicinò e lo girò gentilmente, al che l’uomo cominciò a mostrare segni di vita. Con il suo aiuto fu presto in grado di mettersi in piedi.

Si guardò intorno con espressione perplessa, sforzandosi di raccogliere le idee. «Chi è lei?», chiese alla donna, meccanicamente.

Era una cattiva strategia, adesso, tentare di dissimulare. «Sono la presunta Mrs Manston», rispose. «E lei chi è?».

«Sono l’investigatore assunto da Mr Raunham per passare al vaglio questo mistero... che potrebbe essere criminoso». Stirò le membra, si premette la testa e sembrò rendersi gradatamente conto di essere stato incauto nella sua dichiarazione. «Non badi a chi sono io», proseguì. «Be’... adesso non importa... non sarà più un segreto».

Si chinò a prendere il cappello e corse nella direzione presa dal sovrintendente... facendo ritorno dopo un minuto.

«È solo un’aggressione con aggravante, dopo tutto», disse in fretta, «finché non avremo scoperto con sicurezza che cosa è seppellito qui. Può essere solo un sacco di detriti da costruzione; ma può essere qualcosa di più. Venga ad aiutarmi a scavare». Afferrò la vanga con la goffaggine di un uomo di città ed entrò nella fossa, proseguendo il discorso bofonchiando. «Non serve che gli corra dietro da solo», disse. «A questo punto è lontano. La cosa migliore da farsi è vedere che cosa c’è qui».

Fu molto più facile per l’investigatore riaprire la buca che per Manston scavarla. Le foglie vennero rastrellate, il terriccio grasso spalato e il sacco fu tirato fuori.

«Tenga questa», disse ad Anne che la curiosità faceva restare ancora lì. L’uomo accese una lanterna cieca che si era portato e gliela diede in mano.

Lo spago che legava l’imboccatura venne tagliato. L’investigatore posò il sacco su un fianco, lo afferrò per il fondo e ne fece uscire il contenuto con uno strattone. Venne fuori un grosso pacco, accuratamente avvolto in tela cerata impermeabile, anch’esso ben legato.

L’uomo era sul punto di aprire l’involto a un’estremità, quando un filo di colore chiaro che pendeva fuori catturò il suo sguardo. Ci posò la mano sopra: dava una sensazione viscosa e gli aderì alle dita. «Avvicini la luce», disse.

La donna gliela avvicinò. Egli sollevò la mano verso il vetro e tutti e due scrutarono un filamento quasi impalpabile che l’uomo teneva tra il pollice e l’indice. Era un lungo capello; un capello di donna.

«Dio! Non potevo crederci... no, non potevo crederci!», sussurrò l’investigatore, al colmo dell’orrore. «E adesso, per la mia incredulità, ho perduto l’uomo. Andiamo in un luogo riparato... Aspetti un minuto mentre verifico una cosa».

Ficcò la mano nella tasca del panciotto e ne tirò fuori un minuscolo pacchetto di carta marrone. Aprendolo, rivelò, arrotolato al centro, un altro lungo capello. Era il capello che la moglie del sacrestano aveva trovato sul guanciale di Manston nove giorni prima dell’incendio di Carriford.

Egli avvicinò i due capelli alla luce: erano entrambi di una sfumatura castano chiaro. Li tenne paralleli e tese le braccia: erano perfettamente della stessa lunghezza. L’investigatore si girò verso Anne.

«È il corpo della prima moglie», disse piano. «L’ha uccisa, come sospettavano Mr Springrove e il curato... ma come e quando Dio solo lo sa».

«E io!», esclamò Anne Seaway, mentre una probabile e naturale sequenza degli eventi e delle motivazioni che spiegavano il crimine, eventi e motivazioni adombrati dalla lettera, il fatto stesso che Manston ne fosse in possesso, la sua rinuncia a Cytherea e l’insediamento di Anne, le si presentò alla mente con la rapidità del fulmine.

«Ah, vedo», disse l’investigatore, avvicinandosi in modo un po’ strano. La donna si ritrovò una manetta intorno al polso. «Lei deve venire con me, signora. Sapere di un delitto segreto quello che sa solo Dio è una cosa molto sospetta; non la rende divina... tutt’altro». Inclinò verso il suo volto l’oblò della lanterna.

«Puah, vada avanti», disse sprezzante, «e non perda l’attore principale per torturare una povera spalla come me».

Le liberò la mano, le diede il braccio e la trascinò fuori dalla radura, facendola correre con lui finché non ebbero raggiunto la parrocchia. Vi ardeva una luce e c’era un ausiliario dell’investigatore ad attenderlo: fuori era pronto un cavallo attaccato a un carro molleggiato.

«Sei venuto: mi sarebbe piaciuto saperlo», disse l’investigatore all’assistente, in fretta e con rabbia. «Ebbene, abbiamo commesso un errore grossolano: se n’è andato... avresti dovuto essere qui, come avevo detto! Sono stato tradito da quella donna, Miss Aldclyffe... mi ha spiato». Diede frettolose indicazioni sottovoce al suo uomo. Le parole conclusive furono: «Entra dal curato... è in piedi. Trattieni Miss Aldclyffe. Io, nel frattempo, vado con il carro a Froominster insieme a questa qui e cerco aiuto. Saremo sicuri di prenderlo quando farà luce».

Aiutò Anne a salire sul veicolo e partì con lei. Mentre procedevano, la strada chiara e asciutta era visibile davanti a loro in mezzo agli spazi erbosi su ciascun lato, come un nastro bianco, e rendeva facile il viaggio. Giunsero a Churchway Bower dove la strada principale, per una certa distanza, era sovrastata da fitti abeti su entrambi i lati. Lì era completamente buio.

Un urto: un colpo violento. Nel bel mezzo di quel tratto, nel punto in cui la strada cominciava a scendere giù per una collina, l’investigatore finì contro qualcosa con un sobbalzo che per poco non li fece cadere tutti e due a terra.

L’uomo si riprese, sistemò Anne sul sedile e sporse la mano. Scoprì che la ruota esterna del carretto era incastrata in quella di un altro veicolo.

«Olà», disse il funzionario.

Nessuno rispose.

«Olà, lei che dorme laggiù!», disse di nuovo.

Nessuna risposta.

«Ebbene, questo è strano: ecco che cosa succede per la follia di viaggiare senza lanterne perché si aspetta l’alba». Balzò a terra e accese la lanterna.

Ecco in mezzo alla strada il calesse che li aveva bloccati; c’era attaccato un cavallo sfinito, ma nessun essere umano dentro o nei pressi del veicolo.

«Sa di chi è questo calesse?», chiese alla donna.

«No», rispose lei imbronciata. E invece lo riconobbe per quello del sovrintendente.

«Giuro che è quello di Manston. Suvvia, lo sento dal tono. E comunque non deve dire nulla che possa incriminarla. Che accortezza deve avere avuto quell’uomo... come deve avere considerato con attenzione le possibili eventualità! Deve avere preparato il calesse e il cavallo prima di accingersi a spostare il corpo».

Restò in ascolto aspettando di sentire un suono in mezzo agli alberi. Non si udiva niente se non di tanto in tanto lo scalpiccio di un coniglio sulle foglie secche. Egli proiettò la luce della lanterna attraverso un varco nella siepe, ma non riuscì a vedere nulla oltre un impenetrabile boschetto. Era evidente che Manston non era a molte iarde di distanza, ma il problema era come trovarlo. In quel momento l’investigatore non poteva fare niente, impacciato com’era dal cavallo e da Anne. Se si fosse addentrato nel boschetto per una ricerca senza alcun aiuto, Manston avrebbe potuto balzar fuori non visto da un cespuglio e assassinarlo con la più grande facilità. In effetti in quel momento e in quelle circostanze Manston aveva tali e tanti motivi per una prodezza di quel genere che il suo inseguitore ritenne che fosse azzardato restare ancora lì dove si trovava.

Legò in fretta la testa del cavallo di Manston al retro del proprio veicolo, in modo da privare il sovrintendente dell’uso di qualsiasi mezzo di fuga che non fossero le sue gambe e continuò il viaggio verso Froominster insieme con la sua prigioniera. Arrivato lì la sistemò alla stazione di polizia e prese immediatamente dei provvedimenti per la cattura di Manston.




116 Antica città dell’isola di Cipro, nota per il tempio ad Afrodite, dea dell’amore.

117 «Non avendo ella abituato le sue mani di donna alla rocca e ai cesti della lana di Minerva...», dall’Eneide di Virgilio, VII, 805-806.

118 Si confronti con Matteo, 13, 31-2.

119 Si confronti con Giudici, 4, 21.

120 Gioco di parole intraducibile; in inglese il quadrante dell’orologio si dice face come ‘faccia, volto’. [N.d.T.].