Capitolo 3
Gli avvenimenti di una settimana

1. Sei marzo

Il mattino successivo fecero la prima mossa del gioco. Cytherea, sotto la copertura di un fitto velo, andò a piedi alla stazione ferroviaria di Froominster e prese il treno per Carriford-Road. Fu con un rinnovato senso di depressione che vide di nuovo gli oggetti che erano familiari al suo sguardo durante il soggiorno sotto il tetto di Miss Aldclyffe: il profilo delle colline, i ruscelli del prato, i vecchi alberi del parco. Si avviò in fretta, per un sentiero solitario, verso la canonica e chiese se Mr Raunham era a casa.

Il curato, pur essendo uno scapolo solitario, era galante e cortese verso il genere femminile quanto un antico spagnolo; inoltre era in particolare amico di Cytherea, molto più di quanto lei immaginasse. Poiché al di fuori delle questioni relative alla parrocchia faceva raramente visita a Miss Aldclyffe, che gli era parente, e ancora più raramente gli faceva visita lei, mentre viveva a Knapwater Cytherea lo aveva frequentato ben poco. La parentela era dal lato paterno e per questo ramo della famiglia la signora non aveva mai manifestato molta simpatia.

Nel riconsiderare la nostra linea di discendenza ci viene istintivo pensare che la nostra vitalità viene dal lato più ricco di tutti i matrimoni ineguali della catena.

Dalla morte del vecchio capitano, i rapporti del curato con Knapwater House erano stati quelli di un estraneo, una circostanza che era l’ultima persona sulla terra a rimpiangere. Questa educata indifferenza era così rigida da entrambe le parti che il curato non si prendeva la briga di pregare per lei, il che era grave per un curato; e lei non si disturbava a considerare scadenti i suoi sermoni, il che per una donna cinica era ancora più grave.

Benché solo cinquantenne, aveva i capelli bianchi come la neve che facevano uno strano contrasto con il colore rosso della pelle, fresca e sana come quella di un ragazzo. Gli occhi luminosi di Cytherea che lo guardavano muti e modesti domenica dopo domenica erano serviti a debellare molti degli umori tristi che si insinuano in un cuore vuoto nelle ore di una vita solitaria; in questo caso, però, quando la ragazza lasciò la parrocchia, furono soppiantati da quelli più dolorosi che accompagnano un cuore troppo gravato. In breve, il curato era stato sul punto di provare per lei quella passione alla quale il suo dignitoso amor proprio non avrebbe dato il suo vero nome pur nell’intimità dei suoi stessi pensieri.

La ricevette con gentilezza; ma la ragazza non era disposta ad essere franca con lui. Egli si accorse del suo desiderio di riservatezza e con genuino buon gusto e buon carattere non fece alcun commento sulla richiesta di poter vedere il «Cronicle» di due anni prima. Le posò davanti i giornali sul tavolo dello studio con una timidezza pari alla sua e poi la lasciò completamente sola.

Cytherea li sfogliò finché non giunse al primo titolo collegato con l’argomento della sua ricerca: «Incendio disastroso e perdita di una vita a Carriford».

Quella vista e le calamitose conseguenze che aveva avuto sulla sua vita le fecero girare a tal punto la testa che, per un po’, non riuscì quasi a decifrare le lettere.

Sforzandosi di soffocare il ricordo, trovò il coraggio di continuare il lavoro e lesse attentamente la colonna. Il resoconto non le fece rammentare nessun altro fatto oltre a quelli già ricordati.

Andò avanti a sfogliare fino alla settimana successiva e al resoconto dell’inchiesta. Dopo una triste ricerca, non riuscì a trovare altro riguardo all’indirizzo di Mrs Manston se non: «Abraham Brown, di Hoxton, Londra, nella cui casa la donna deceduta aveva vissuto, ha deposto ecc.».

Nessun’altra persona di Londra aveva assistito all’inchiesta.

Si alzò per andarsene, ma prima mandò un messaggio di ringraziamento a Mr Raunham che era fuori a occuparsi del giardino.

Egli infisse la vanga nel terreno e la accompagnò al cancello.

«Posso aiutarla in qualcosa, Cytherea?», disse, usando il suo nome di battesimo con l’intuizione che, se l’avesse chiamata Miss Graye dopo averla salutata come Mrs Manston dopo il matrimonio, avrebbe ridestato in lei ricordi sgradevoli. Cytherea capì il motivo e lo apprezzò, ribattendo tuttavia in modo evasivo:

«Mi limito a fare delle ipotesi e ad avere paura».

Egli la guardò di nuovo seriamente.

«Mi prometta che se vuole aiuto e pensa che io possa darglielo, si rivolgerà a me».

«Lo farò», rispose lei.

Il cancello si richiuse tra loro.

«Non vuole che la aiuti adesso, Cytherea?», ripeté lui.

Se avesse detto quello che pensava – «Desidero molto aiutarla, Cytherea, e ho osservato Manston per quanto la riguarda» – la ragazza avrebbe accettato di cuore la sua offerta. Così come stavano le cose, restò perplessa e sollevò lo sguardo verso di lui, non coraggiosamente come prima della disgrazia, ma altrettanto modestamente e con una luminosità ancora sufficiente a seminare distruzione mentre diceva al di sopra del cancello:

«No, grazie».

Ritornò a Palchurch stanca di quella giornata di lavoro. Il saluto di Owen fu molto ansioso:

«Ebbene, Cytherea?».

Gli consegnò le parole del resoconto dell’inchiesta, vergate su un pezzetto di carta.

«Adesso bisogna trovare il nome della strada e il numero», commentò Owen.

«Owen», gli disse, «mi perdonerai per quello che sto per dire? Non credo di poter fare... davvero non lo credo... alcun passo ulteriore per sbrogliare il mistero. Lo reputo ancora un lavoro inutile e non mi sembra che tocchi a me vendicarmi in qualche modo di Mr Manston». Aggiunse in tono più serio: «Occuparmi di queste cose umilia la mia dignità di donna; è tutto il giorno che ho questa impressione».

«Molto bene», rispose il fratello un po’ bruscamente, «allora mi applicherò senza di te. Nella giustizia esiste una dignità». Si accorse del suo viso pallido e tirato e degli occhi dilatati che in lei sempre si accompagnavano alla stanchezza. «Tesoro», continuò con affetto e baciandola, «non dovrai più faticare tanto, sei proprio esausta. Ma devi lasciarmi fare come voglio».

2. Dieci marzo

Il sabato sera Graye si precipitò a Froominster e si recò all’abitazione del giornalista del «Chronicle». Il cronista era a casa e andò incontro a Graye in corridoio. Owen spiegò chi era e cosa voleva e chiese all’uomo se poteva fargli il favore di consultare i suoi appunti dell’inchiesta a Carriford del dicembre di due anni prima, limitandosi ad aggiungere che un problema di famiglia di cui il cronista era probabilmente al corrente lo rendeva ansioso di accertare alcuni ulteriori dettagli sull’evento, se ne esistevano.

«Ma certo», rispose l’altro senza esitare, «anche se temo di non avere molto oltre quello che stampammo all’epoca. Mi lasci vedere... i miei vecchi taccuini stanno nel cassetto dell’ufficio del giornale: se viene con me potrò consultarli lì». La moglie e la famiglia stavano prendendo il tè dentro la stanza, e con l’impronta ovunque della povertà timida e dignitosa, sembrò contento di allontanare quell’estraneo dalla routine domestica.

Attraversarono la strada, entrarono in ufficio e lì si recarono in una stanza interna. Qui, dopo una breve ricerca, fu trovato il libriccino necessario. L’indirizzo preciso, non riferito nel resoconto condensato che era stato stampato, ma appuntato dal cronista, era il seguente:

«Abraham Brown, titolare della pensione al 41 di Charles Square, Hoxton».

Owen lo copiò e diede al cronista una piccola ricompensa. «Al momento voglio tenere questa inchiesta riservata», disse con voce esitante. «Forse capirà il motivo e mi accontenterà».

Il cronista promise. «Le notizie sono il mio pane», rispose, «ed evitare di parlarne è il mio più grande piacere sociale».

Era sera e la stanza della redazione che dava sulla facciata era illuminata da fiammeggianti becchi a gas. Dopo aver fatto il summenzionato commento, il cronista uscì dalle stanze interne in compagnia di Graye, e rispose a un’espressione di ringraziamento di Owen dicendo che non era un problema. Mentre pronunciava queste parole, si chiuse alle spalle la porta tra le due stanze, tenendo ancora in mano il taccuino.

Mentre uscivano, davanti al banco della prima stanza c’era un uomo alto che parlava. Disse al giovane in servizio: «Dato che sono qui prendo il giornale per la settimana, così non c’è bisogno che me lo spediate».

L’estraneo poi girò leggermente la testa, vide Owen e lo riconobbe. Owen passò per uscire senza riconoscere Manston.

Questi guardò il cronista che, dopo avere accompagnato alla porta Owen, era tornato di nuovo indietro per chiudere a chiave i suoi libriccini. Manston non ebbe bisogno di farsi dire che il logoro libriccino dalla copertina marmorizzata che portava in mano, e che si apriva longitudinalmente mostrando alcuni fogli di carta assorbente tra le pagine, era un vecchio taccuino stenografico. Sollevò lo sguardo sul viso del cronista che non era così padrone di sé da non lasciar capire a una persona già un po’ all’erta, com’era Manston, che l’ultima azione aveva un nesso con alcuni avvenimenti nella vita del sovrintendente. Questi non disse altro ma, prendendo il proprio giornale, seguì Owen fuori dall’ufficio e scomparve nell’oscurità della strada.

Adesso Edward Springrove era di nuovo a Londra e quella sera stessa, prima di lasciare Froominster, Owen gli scrisse una lettera prudente, riferendo tutti i fatti che erano venuti a sua conoscenza e implorandolo, dato che aveva cara Cytherea, di fare indagini discrete. Quando lasciò cadere la lettera nella cassetta c’era un uomo alto sotto il lampione, a una mezza dozzina di iarde dall’ufficio postale.

Sempre la stessa notte, per un motivo legato all’incontro con Owen Graye, il sovrintendente ebbe l’idea di recarsi all’improvviso a Londra con il postale che partiva da Froominster alle dieci. Rammentando però che le lettere impostate dopo l’ora in cui Owen aveva ottenuto la sua informazione – qualunque fosse – non sarebbero state consegnate a Londra fino a lunedì mattina, cambiò idea e tornò a Knapwater. Consultandosi confidenzialmente con la moglie, presero provvedimenti per la sua partenza con il postale domenica sera.

3. Undici marzo

Il mattino dopo, uscendo per recarsi in chiesa diversi minuti prima del suo solito, il sovrintendente indugiò intenzionalmente lungo la strada proveniente dal villaggio finché non fu raggiunto dal vecchio Mr Springrove. Manston parlò molto educatamente della mattina e del tempo, chiedendo che cosa segnava il barometro dell’agricoltore e quando sarebbe cambiato il vento. Non era nella natura di Mr Springrove – visto che stava anche andando in chiesa – rispondere con una frase men che educata a domande garbate di quel genere, per quanto i suoi sentimenti potessero essere influenzati dagli avvenimenti recenti. La conversazione venne condotta nei termini della più grande cordialità.

«Ormai si sarà sistemato dopo il violento sfratto che ha subito quella terribile notte di novembre».

«Sì, ma non so in quanto a sentirmi sistemato, Mr Manston. La vecchia finestra nell’angolo del camino della vecchia casa non la dimenticherò mai. Dove sto adesso non c’è nessuna finestra nell’angolo del camino e io ci ero abituato da più di cinquant’anni. Ted dice che per me è una grande perdita e lui sa esattamente quello che penso».

«Credo che suo figlio abbia di nuovo un buon impiego, vero?», disse Manston, imitando quella curiosità verso gli inferiori che passa per raffinatezza tra gli aristocratici di princisbecco dei villaggi di campagna.

«Sì, signore. Spero che lo mantenga, oppure che faccia qualcosa d’altro e non molli».

«Si spera che adesso sarà tenace».

«Lo è sempre stato, glielo assicuro», disse il vecchio in tono mordace.

«Sì... sì... voglio dire intellettualmente tenace. Le intemperanze intellettuali prosperano nel terreno della più rigida moralità».

«Pinzillacchere intellettuali! Ted è abbastanza tenace: è tutto quello che so».

«Ma certo... ma certo. Ha un indirizzo rispettabile? La mia esperienza mi ha dimostrato che per un giovane significa molto vivere da solo a Londra».

«Warwick Street, Charing Cross... ecco dove sta».

«Ma guarda... che strano! Un mio carissimo amico stava al numero cinquantadue di quella stessa strada».

«Edward sta al quarantanove: è quasi la stessa casa», disse il vecchio agricoltore, contento suo malgrado.

«Quasi», rispose Manston. «Bene, suppongo che faremmo meglio a proseguire un po’ più alla svelta, Mr Springrove; la campanella del curato ha appena cominciato a suonare».

«Numero quarantanove», mormorò.

4. Dodici marzo

Edward ricevette la lettera di Owen a tempo debito, ma a causa degli impegni quotidiani non poté soddisfare nessuna delle sue richieste finché l’orologio non ebbe suonato le cinque del pomeriggio. A quell’ora, uscendo di corsa dall’ufficio all’Adelphi, chiamò una carrozza a due ruote e si diresse a Hoxton. Qualche minuto dopo bussava alla porta del numero quarantuno di Charles Square, il vecchio indirizzo di Mrs Manston.

Un uomo alto, che sarebbe stato molto bello se non fosse stato vestito in modo goffo e striminzito con indumenti che erano di foggia troppo antiquata per la sua età, si trovò nello stesso istante all’angolo della piazza tranquilla, sceso anche lui da una vettura a nolo che aveva percorso Old Street al seguito di quella di Edward. Egli sorrise con espressione tranquilla quando Springrove bussò.

Non rispose nessuno. Springrove bussò di nuovo.

Questa volta risposero due persone: una alla porta alla quale aveva bussato, l’altra alla porta accanto sulla destra.

«È a casa Mr Brown?», chiese Springrove.

«No, signore».

«Quando ci sarà?».

«È impossibile saperlo con certezza».

«Può dirmi quando lo posso trovare?».

«No. Oh, eccolo che arriva, signore. Ecco Mr Brown».

Edward guardò lungo il marciapiede nella direzione indicata dalla donna e vide un uomo che si avvicinava. Avanzò di qualche passo per andargli incontro.

Edward era impaziente e, in qualche misura, era ancora un campagnolo che non aveva, secondo gli usi cittadini, soggiogato il naturale impulso a esprimere apertamente il pensiero dominante senza preamboli. Si rivolse all’estraneo con voce tranquilla: «Una parola, la prego: ricorda una donna che è stata per lungo tempo sua inquilina, di nome Mrs Manston?».

Mr Brown socchiuse gli occhi guardando Springrove, un po’ come se guardasse in un telescopio dalla parte sbagliata.

«Non ho mai affittato stanze in vita mia», disse dopo l’esame.

«Non ha assistito a un’inchiesta un anno e mezzo fa, a Carriford?».

«Mai saputo che esistesse un posto simile al mondo, signore; e in quanto a stanze in affitto, negli ultimi trent’anni ho avuto a che fare con dei campi, ma non ne ho mai affittato nemmeno un pollice».

«Suppongo che ci sia uno sbaglio», mormorò Edward e si girò. Lui e Mr Brown erano adesso di fronte alla porta immediatamente vicina a quella alla quale aveva bussato. La donna, che era ancora lì, aveva udito la domanda e la risposta ottenuta.

«Credo che sia l’altro Mr Brown che viveva qui quello che lei desidera, signore», disse. «Il Mr Brown di cui sono venuti a chiedere l’altro giorno».

«È molto probabile che sia lui», disse Edward e il suo interesse si ridestò.

«Non riusciva a sbarcare il lunario affittando stanze e alla fine è andato in Cornovaglia, era originario di lì, dove viveva ancora il fratello che gli aveva chiesto spesso di tornare a casa. Ma ha avuto poca fortuna nel cambiamento; perché dicono che dopo Londra non riuscisse a sopportare i venti piovosi che arrivano lì da occidente ed è morto nel dicembre seguente. Vuole entrare in corridoio?».

«È una sfortuna», disse Edward entrando. «Ma forse lei ricorda una certa Mrs Manston che viveva alla porta accanto?».

«Oh sì», disse la padrona di casa, chiudendo la porta. «La signora che si credeva avesse incontrato un destino tanto orribile e che invece era sempre viva. L’ho vista l’altro giorno».

«Dall’epoca dell’incendio di Carriford?».

«Sì. Il marito è venuto a chiedere se Mr Brown viveva ancora qui... proprio come lei. Sembrava ansioso al riguardo; e poi una sera, una settimana o quindici giorni dopo, quando è venuto di nuovo a chiedere ulteriori informazioni, lei era con lui. Ma io non le ho parlato... si teneva in disparte, come se fosse timida. Io ero interessata, però, perché il vecchio Mr Brown mi aveva raccontato tutto di lei quando era tornato per l’inchiesta».

«Lei aveva conosciuto Mrs Manston prima che la donna passasse l’altro giorno?».

«No. Vede, è stata inquilina di Mr Brown solo per due o tre settimane e io non mi ero accorta che vivesse lì fino quasi al momento in cui stava per andarsene... qui a Londra non facciamo molta attenzione alle persone che vivono alla porta accanto. Mi è dispiaciuto molto di non averla conosciuta quando ho saputo quello che era successo. Questo ha fatto sì che poi con Mr Brown abbiamo parlato molto di lei. Non avrei mai pensato di rivederla viva».

«E quando ha detto che sono stati qui insieme?».

«Non ricordo esattamente il giorno� anche se ricordo un sogno molto bello che ho fatto quella stessa notte; ah, non lo dimenticherò mai! Schiere di inquilini che arrivavano dalla piazza con ali d’angelo e le mani piene di sovrane lucenti e volevano appartamenti ai prezzi del West End106. Non volevano dare di meno; no, nemmeno se�».

«Sì. Quando è andata via da queste stanze per la prima volta Mrs Manston ha lasciato qualcosa, ad esempio delle carte?», chiese Edward, anche se mentre faceva la domanda si sentiva scoraggiato. Aveva l’impressione di essere stato superato in astuzia. Manston e la moglie erano stati lì prima di lui, sgombrando il terreno da ogni traccia.

«Fino ad oggi ho sempre detto “No”», rispose la donna, «pensando che non avrei potuto dire diversamente se avessi dovuto giurare, come pensavo che avrei dovuto fare. Ma parlando come si parla tutti i giorni, adesso che la faccenda è passata, credo che certe cose di non so quale natura (anche se dubito che fossero carte) siano state lasciate in una scatola da lavoro che le apparteneva, perché ne parlò a Mr Brown ed era piuttosto arrabbiata per quello che era accaduto... sa, aveva un caratterino... e così non ho avuto voglia di ricordare alla signora questa scatola da lavoro quando è venuta l’altro giorno insieme al marito».

«E a proposito della scatola da lavoro?».

«Ebbene, da quello che è stato detto casualmente nel corso della conversazione, credo che Mrs Manston avesse qualche pezzo di mobilia che non voleva e che quando stava per andarsene sia stato messo in vendita qui vicino. Fra le altre cose c’erano due scatole da lavoro molto simili. Una di queste intendeva venderla, l’altra no, e Mr Brown, che mise insieme le cose, portò a vendere quella sbagliata».

«Che cosa c’era dentro?».

«Oh, niente di particolare o di prezioso: alcuni conti e il solito necessario per il cucito, credo... niente di più. Non si diede molto da fare per riaverla; disse che i conti non avevano nessun valore né per lei né per nessun altro, ma che le sarebbe piaciuto tenere la scatola perché gliel’aveva regalata il marito appena si erano sposati e se lui scopriva che se n’era separata si sarebbe irritato».

«E Mrs Manston, quando è passata recentemente con il marito, ha accennato a questo, ha chiesto notizie oppure lo ha fatto Mr Manston?».

«No; e me ne sono piuttosto meravigliata. Ma sembrava essersene dimenticata... in effetti non ha fatto nessuna domanda, si è solo limitata a stargli dietro e ad ascoltare quelle che faceva lui; e al marito probabilmente non era stato detto niente».

«A quale asta sono stati portati quegli oggetti?».

«Chi era il banditore? Mr Halway. Il suo locale è nella terza traversa dalla fine di quella strada che vede lì. Tutti conoscono il negozio: c’è scritto il suo nome».

Edward se ne andò e seguì questo indizio con una prontezza che era dettata più dall’ostinata volontà di fare il massimo che dalla speranza di concludere granché. Quando si fu allontanato, l’uomo alto che indossava un mantello e che lo aveva osservato si avvicinò alla porta della donna atteggiandosi a chi è senza fiato per la fretta.

«È venuto un gentiluomo a fare domande su Mrs Manston?».

«Sì; se n’è appena andato».

«Povero me! Ho bisogno di lui».

«È andato al negozio di Mr Halway».

«Credo di potergli dare qualche informazione sull’argomento. Paga bene?».

«Mi ha dato mezza corona».

«Può bastare. Sono un poveraccio e vedrò che cosa ricavo dal mio piccolo contributo. Ma, a proposito, forse lei gli ha già detto quello che so: dove stava prima di venire a vivere qui?».

«Io non sapevo dove stava prima di venire qui. Oh no: ho solo detto quello che Mr Brown aveva detto a me. Sembrava un giovanotto simpatico e gentile, altrimenti non sarei stata così franca come sono stata».

«Adesso lo raggiungo da Mr Halway», disse l’uomo e se ne andò con la stessa fretta con la quale era venuto.

Nel frattempo Edward aveva raggiunto la sala d’aste. Ebbe qualche difficoltà a ottenere l’informazione che gli serviva, a causa dell’apatia di chi ha come incentivo all’azione solo una semplice richiesta, ma alla fine gli venne accordata. Il registro del banditore riportava il nome di Mrs Higgins, 3, Canley Passage, come acquirente del lotto che includeva la scatola da lavoro di Mrs Manston.

Lì si recò Edward, seguito dall’uomo. Sullo stipite figuravano quattro cordoni di campanello, uno sopra l’altro come i bottoni di un panciotto. Edward scosse il primo che gli venne a tiro.

«Chi desidera?», disse una vocina proveniente da un punto indefinito.

Edward guardò in alto e intorno; non si vedeva nessuno.

«Chi desidera?», ripeté la vocina.

Allora scoprì che il suono giungeva da sotto la grata che copriva la finestra del seminterrato. Scrutò attraverso le sbarre e vide il viso pallido di una bimba.

«Chi desidera?», disse la voce per la terza volta, sempre con la stessa languida intonazione.

«Mrs Higgins», disse Edward.

«Terzo campanello in alto», rispose il viso e scomparve.

Egli tirò il terzo campanello dal basso e un’altra bambina lo fece entrare, la figlia della donna che cercava. Diede sei penny alla creaturina e chiese della mamma. La bimba lo condusse di sopra.

Mrs Higgins era la moglie di un carpentiere che un inverno, pur essendo senza lavoro, aveva deciso di sposarsi. In seguito tutti e due avevano cominciato a bere ed erano finiti in condizioni disperate. Qualche sedia e un tavolo erano i principali pezzi di mobilio della stanza al terzo piano con affaccio sul retro che occupavano. Sul pavimento c’era un rotolo di pannolini infantili; lì accanto un cucchiaio incrostato di pappa e un piattino capovolto. Sulla parete un orologio olandese107 era fissato sbilenco e ticchettava freneticamente con le viscere che pendevano sotto il quadrante bianco e le lancette sottili, come gli escrementi di un’arpia; (foedissima ventris proluvies, uncaeque manus, et pallida semper ora)108. Appoggiato ognuno contro una gamba di una sedia c’era un bimbo piccolo che piangeva e l’intera famiglia di sei o sette era abbastanza piccola da essere contenuta dentro una tinozza da bucato. Mrs Higgins sedeva impotente, vestita di un abito che aveva ganci e occhielli in quantità, ma nessuno nella posizione giusta, il che lo rendeva quasi inutile come riparo per il seno. In giro non si vedevano scatole da lavoro.

Era una deprimente immagine di vita coniugale tra gli indigenti di una città. Marito e moglie assaporavano una genuina felicità solo per una breve ora nell’intera giornata: alla sera, quando, dopo aver venduto un pezzo di mobilia del quale avrebbero poi sentito la mancanza, si trovavano sotto l’effetto di una bottiglia di gin.

Di tutte le satire ingegnose e crudeli che, dall’inizio dei tempi, si sono riversate, come coltelli, sul genere femminile, sicuramente non ne esiste una altrettanto distruttiva per loro, e per noi che le amiamo, come la vecchia, trita storia secondo cui gli uomini più disgraziati riescono a trovare, in un batter d’occhi, una donna pronta ad essere ancora più disgraziata pur di avere la loro compagnia.

Edward si affrettò a sbrigare la sua commissione.

Mrs Higgins disse di aver recentemente impegnato la scatola da lavoro insieme ad altri articoli in legno privi di valore. Edward rilevò il duplicato della ricevuta e scese per recarsi al banco dei pegni.

Dietro il tramezzo che divideva un negozio ammuffito, in mezzo all’eterogenea collezione di articoli e odori che affollano invariabilmente quel genere di luoghi, mostrò il biglietto e, con un senso di soddisfazione del tutto sproporzionato al probabile valore del suo acquisto, prese la scatola e se la portò via sotto il braccio. Tentò di sollevare il coperchio mentre camminava, ma scoprì che era chiuso a chiave.

Era l’imbrunire quando Springrove raggiunse il suo alloggio. Entrando nel piccolo salotto, la stanza che dava sulla facciata al pianoterra, accese una luce e cominciò a verificare se esistevano un pezzo di carta oppure un segno dentro o sopra il suo acquisto che lo rendessero utile per le ricerche in corso. Forzando l’apertura del coperchio con un piccolo punteruolo e sollevando il vassoietto interno, guardò ansiosamente sotto e... non trovò nulla.

Poi scoprì che sul lato inferiore del coperchio si formava una tasca o portacarte. Lo aprì e, facendo scivolare la mano all’interno, scoprì che conteneva effettivamente del materiale. Dapprima tirò fuori circa una dozzina di fili di seta e di cotone aggrovigliati. Sotto, c’era un breve conto domestico, un bocciolo di rosa canina secco e un vecchio paio di fotografie stampate in formato cartolina. Una di queste era un ritratto di Mrs Manston, sotto c’era scritto «Eunice» a inchiostro, l’altra raffigurava Manston.

Edward si sedette scoraggiato. Erano quelli gli unici frutti del suo lavoro? Non c’erano nemmeno una lettera, una data, o un indirizzo di alcun genere che lo aiutassero e non era probabile che vi fosse altro.

Pensando però di mandare a Graye quei frammenti, così come stavano, per convincerlo di aver fatto del suo meglio, scarabocchiò una riga e mise tutto, tranne la seta e il cotone, in una busta. Guardando l’orologio scoprì che mancavano venti minuti alle sette; mettendoci un francobollo in più109 avrebbe potuto mandarla con la posta della sera. Scrisse in fretta l’indirizzo sul plico e corse subito all’ufficio postale di Charing Cross.

Al ritorno prese di nuovo la scatola da lavoro per esaminarla con più agio. Scoprì quindi che c’era anche una piccola cavità nel vassoietto sotto il puntaspilli che si poteva togliere grazie a un pezzetto di nastro. Sollevandolo, scoprì un rametto secco di mirto e un foglietto di carta spiegazzato. Il foglio conteneva un paio di versi scritti da una mano maschile. La riconobbe come quella di Manston, avendo visto a casa del padre biglietti e conti inviati da lui. La strofa era di tipo complimentoso, una descrizione della moglie di Manston.

EUNICE

Chiunque per ore o lunghi giorni
Catturi i raggi cangianti del suo aspetto
Per poi andarsene, non riesce a rammentarne alcuno
Se non una galassia che li contiene tutti
In un ritratto confuso;
Illuminato dalla luce di occhi cerulei
Come un giorno estivo da un cielo estivo:
I suoi dolci cambiamenti d’umore sembrano
Una specie di melodia di immagini
E non hanno un contorno definito.
Æ.M.

La naturale conseguenza fu che si mise a scuotere, tirare e saccheggiare la scatola finché non l’ebbe quasi distrutta. Ma non conteneva più niente.

«Di nuovo deluso», disse lasciando cadere la scatola, il pezzetto di carta e il rametto disseccato che erano riposti insieme.

Per quanto la nuova acquisizione fosse priva di valore, ripensandoci considerò che valeva la pena correggere l’affermazione scritta nell’ultimo biglietto a Graye, di aver mandato cioè tutto quello che la scatola conteneva, tranne il filo da cucito. Quindi chiuse i versi e il rametto di mirto in un’altra busta, scrivendo che gli erano sfuggiti nella prima ricerca, e la mise sul tavolo per la posta del giorno dopo.

Nella fretta e concentrato sul problema che occupava la sua attenzione, entrando nella stanza e accendendo la luce Springrove non aveva aspettato di tirare giù la tendina o chiudere le imposte. Di conseguenza, dalla strada era stato possibile vedere tutto quello che faceva. Ma poiché in genere su quel marciapiede tranquillo e a quell’ora della sera non passava nemmeno una persona ogni cinque minuti, la scoperta della sua dimenticanza non lo preoccupò molto.

Ma le cose in realtà erano ben diverse: un uomo alto era rimasto appoggiato al muro di fronte e aveva osservato tutte le sue azioni. Quando Edward era uscito per recarsi all’ufficio postale di Charing Cross, l’uomo lo aveva seguito e lo aveva visto lasciar cadere il plico nella buca. Lo sconosciuto non si era preso la briga di seguire Springrove di nuovo fino alla sua stanza.

Manston adesso sapeva che c’erano delle fotografie nella scatola da lavoro della moglie, e anche se non era abbastanza vicino da vederle, indovinò quali fossero. Un minimo di riflessione gli fece capire a chi erano state mandate.

Si fermò un momento sotto il porticato dell’ufficio postale, guardando i due o tre omnibus che si fermavano e partivano davanti a lui. Poi si precipitò lungo lo Strand, attraversò Holywell Street e proseguì verso Old Boswell Court. Scostando con un calcio i lustrascarpe che cominciarono a importunarlo mentre passava sotto il colonnato, girò nello stretto vicolo che portava all’ufficio che pubblicava il Post Office Directory. Chiese il permesso di consultare per un momento il Directory delle contee sud-occidentali dell’Inghilterra.

L’impiegato gli porse immediatamente il volume tirandolo giù da uno scaffale e Manston si ritirò con il libro sulla panca sotto la finestra. Sfogliò fino alla contea e poi fino alla parrocchia di Palchurch. Alla fine della descrizione storica e topografica del villaggio lesse:

«Proprietaria dell’ufficio postale: Mrs Hurston. Le lettere si ricevono alle 6,30 del mattino portate a piedi da Mundsbury».

Ringraziando, restituì il libro e lasciò l’ufficio, dirigendosi verso un oscuro caffè vicino allo Strand dove consumò una cena leggera. Ma gli sembrava impossibile riposare. Un pensiero che lo assorbiva completamente lo teneva sempre in movimento. Pagò il conto, prese la borsa e uscì a bighellonare per le strade e lungo il fiume finché non arrivò l’ora in cui partiva da Waterloo Station il postale notturno, treno con il quale intendeva tornare a casa.

Esiste una specie di stanza esterna della mente nella quale, quando una persona si occupa della questione più importante della vita, i pensieri casuali e banali hanno il permesso di vagare dolcemente per un po’ di tempo prima di essere completamente banditi. In questo modo, benché concentrato, Manston captava le impressioni delle persone che lo circondavano nel vivace quartiere dello Strand: uomini alti che sembravano insignificanti; uomini piccoli che sembravano grandi e seri; donne perdute dall’infelice reputazione che sembravano felici come pasque; mogli, presumibilmente felici, che sembravano logorate dalle preoccupazioni e infelici. Ciascuno e tutti si assomigliavano per una cosa: seguivano un cammino solitario come i fili tessuti che formano uno stendardo ed erano tutti ugualmente inconsapevoli del complesso significato che tutti insieme producevano.

Alle dieci girò in Lancaster Place, attraversò il fiume ed entrò nella stazione ferroviaria dove si accomodò sul postale diretto fuori città che portò lontano da Londra lui e la lettera di Edward Springrove per Graye.




106 A Hoxton, zona operaia, gli affitti erano considerevolmente più bassi che nel West End, zona tradizionalmente raffinata.

107 Gli orologi olandesi,“Dutch clocks”, erano in realtà degli orologi di legno intagliati a mano provenienti dalla Foresta Nera tedesca, di solito orologi a muro con i pesi a vista; il nome con cui erano popolarmente conosciuti derivava dalla confusione linguistica tra Deutsch, ‘tedesco’ e Dutch, ‘olandese’. Il basso costo fece sì che fossero orologi molto popolari tra gli strati inferiori della popolazione, finché alla fine del diciannovesimo secolo non furono soppiantati dagli orologi americani prodotti in serie.

108 «Lasciano cadere le loro porcherie e hanno le mani sporche; i visi sono sempre pallidi per la fame». Dalla descrizione delle Arpie nell’Eneide di Virgilio (III, 216-18).

109 Quando nel 1840 fu introdotto in Inghilterra il servizio postale con la tariffa da un penny, si previde anche la tariffa per una levata a tarda ora (introdotta in origine nel 1790): i plichi potevano essere consegnati tra le 6 e le 7 di sera pagando un penny in più e tra le 7 e le 7,30 per altri sei penny.