Capitolo 4
Gli avvenimenti di un giorno

1. Tredici marzo. Dalle tre alle sei del mattino

Entrarono nella stazione di Mundsbury – la penultima prima di Froominster, dalla parte di Londra – nell’ora morta e immobile del primo mattino: l’orologio sopra la biglietteria indicava venticinque minuti alle tre. Manston indugiò sotto la pensilina e vide portare fuori i sacchi di posta notando, tanto per passare il tempo, le molte, logore macchie di cera degli innumerevoli sigilli che erano stati apposti sulle loro imboccature. Il capotreno li mise dentro un calesse e lo guidò lungo la strada verso l’ufficio postale.

Era una mattina fredda e umida, disagevole, anche se pioveva ancora poco. Manston bevve una sorsata dalla fiaschetta e si allontanò subito dalla stazione a piedi. Evitò Mundsbury tenendosi su un sentiero che costeggiava la periferia e proseguì nell’oscurità fino a trovarsi dalla parte opposta alla stazione ferroviaria, a una distanza di circa duecento iarde dall’ultima casa nella via.

Qui si stendeva la strada a pedaggio verso la campagna e la prima parte del percorso attraversava una brughiera. Dopo aver scrutato la strada maestra da una parte e dall’altra per assicurarsi della direzione, Manston si dispose metodicamente a camminare avanti e indietro percorrendo da ciascuna parte la distanza raggiunta scagliando un sasso. Anche se il clima primaverile era mite, l’ora e la condizione di incertezza in cui si trovava il sovrintendente fecero sì che lo pervadesse una sensazione di gelo, malgrado il mantello che indossava. La pioggerellina aumentò e le gocce cadevano rumorosamente dagli alberi sulla strada battuta che rifletteva dalla superficie lustra, simile a vetro, il debole alone di luce sospeso sui lampioni della cittadina adiacente.

Qui camminò e indugiò per due ore, senza vedere o sentire anima viva. Poi udì l’orologio del mercato battere le cinque e poco dopo passi rapidi e secchi sul selciato della strada, nella sua direzione. Erano quelli del postino per la zona di Palchurch. Egli raggiunse il fondo della strada, diede un ultimo strattone alle borse, abbandonò il selciato e si diresse di buon passo verso la campagna.

Manston allora girò le spalle alla città e continuò a camminare lentamente. Due minuti dopo brillò su di lui una luce guizzante e fu raggiunto dal postino.

Il nuovo arrivato era un individuo basso e curvo di circa quarantacinque anni, carico da ambedue le parti di borse di cuoio grandi e piccole, e portava attaccata al petto con delle cinghie una piccola lanterna che proiettava un piccolo cono di luce sulla strada davanti a lui.

«Mattinata difficile per i viaggiatori!», esclamò il postino con voce allegra, senza girare la testa o rallentare il passo.

«Sì, davvero», rispose Manston, allungando il passo di fianco a lui. «Tutti i giorni si fa una lunga passeggiata».

«Sì, una lunga passeggiata... perché anche se in linea d’aria sono solo sedici miglia di distanza, cioè otto fino al punto estremo e otto per il ritorno, entrando e uscendo dalle case della gente, per le mie gambe diventano ventidue. Ventidue miglia al giorno, quante all’anno? Un tempo le calcolavo, ma adesso non lo faccio mai. Non mi piace pensare al mio logorio adesso che comincia a farsi sentire».

Così iniziò la conversazione e il postino si mise a raccontare i vari strani eventi che avevano segnato la sua esperienza. Manston diventò molto cordiale.

«Postino, non so quale sia la sua abitudine», disse, dopo un po’. «Ma, che resti tra noi, porto sempre qualcosa di caldo in tasca quando mi trovo fuori in mattine come questa. Lo provi». Gli tese la bottiglia di brandy.

«Se mi perdona, no, grazie. In questi cinque anni non ho mai preso stimolanti».

«Non è mai troppo tardi per rimediare».

«È contro il regolamento, temo».

«Chi lo verrà a sapere?».

«È vero... nessuno lo verrà a sapere. E tuttavia, la miglior politica è l’onestà».

«Ah, certo. Ma, grazie a Dio, sono riuscito a tirare avanti senza. Vorrà sicuramente bere con me, no?».

«Davvero, è quasi troppo presto per questo genere di cose... tuttavia, per far piacere a un amico non dico di no a un goccetto». Il postino bevve e Manston fece lo stesso, molto parcamente. Cinque minuti dopo, quando giunsero a un cancello, la fiaschetta venne tirata di nuovo fuori.

«Ben fatto!», disse il postino, cominciando a risentire gli effetti. «Ma, sulla mia anima, temo che non servirà a niente!».

«A meno che non sia seguita bene, come qualsiasi linea di condotta che viene scelta», rispose Manston. «Inoltre esiste un modo per gustare un sorso di liquore e allo stesso tempo essere buoni... perfino religiosi».

«Sì, per certi tipi tutti ditale-e-bottone110; ma io non sono mai riuscito a farci la mano; no, io no».

«Ebbene, non è necessario che si disturbi; per le classi mentalmente superiori non è necessario essere religiosi: hanno tanto buon senso che possono rischiare di giocare con il fuoco».

«Questo mi si adatta benissimo».

«In effetti, un uomo che conosco, e che non ha mai avuto altro dio che se stesso e ha amato devotamente la moglie del suo vicino, adesso dice che credere è un errore».

«Ebbene, ma certo! Tuttavia e tutto sommato, credere in Dio è un errore che fanno pochissime persone».

«Un commento azzeccato».

«Nessun cristiano della nostra parrocchia camminerebbe per mezzo miglio sotto una pioggia come questa per sapere se le Scritture lo fanno finire in grazia di Dio o in peccato mortale».

«Nemmeno nella mia».

«Ah, può contarci: non ci vorrà molto e si sbarazzeranno completamente della Provvidenza, anche se l’abbiamo avuta tra i piedi per tanti anni».

«Non c’è modo di saperlo».

«E suppongo che allora ci si sbarazzerà anche della regina. Bella roba, quella! Non ci sarà più nessuna testa da mettere sulle lettere; e allora l’onest’uomo che paga il suo penny non si distinguerà dal furfante che non paga. Oh, questo sì che è un popolo!».

«Si riscaldi un po’ il cuore. Ecco la bottiglia che aspetta».

«Per farle piacere, amico».

Rinnovarono la bevuta. Il postino diventava sempre più esuberante man mano che proseguivano e dopo un po’ elargì al sovrintendente una canzone e anche Manston partecipò al coro.

Scagliò il mazzuolo contro il muro,
Disse: «Il signore fa chiese e cappelle perché cadano
E ci sia lavoro per tutti!».
Quando la birra di Joan era nuova, ragazzi,
Quando la birra di Joan era nuova.111

«Sa, amico», aggiunse il postino, «in origine ero un muratore: nessuna offesa se lei è un curato?».

«Nessuna», rispose Manston.

Adesso la pioggia cadeva forte, ma proseguirono il cammino con alacrità e le coltivazioni dei campi in mezzo ai quali si inoltrava il sentiero erano indicate dal suono particolare emesso dalle gocce che cadevano. A volte un sibilo zuppo proclamava che stavano passando accanto a un pascolo, poi un tamburellio rivelava che la pioggia cadeva su una radice commestibile a foglia larga, poi un tonfo melmoso annunciava il nudo arativo e il suono cupo del vento nelle orecchie aumentava e diminuiva a ogni passo che facevano.

Oltre alle borse piccole e riservate alle famiglie della contea, tutte chiuse a chiave, il postino recava il grande sacco generale per il resto degli abitanti che incontrava lungo il cammino. A ogni villaggio o gruppo di casupole dove giungevano, cercava il pacchetto di lettere destinato a quel luogo e lo infilava in una normale buca delle lettere tagliata nella porta del cottage della persona addetta a riceverle, dato che gli uffici postali dei villaggi erano tenuti per lo più da donne anziane che non si erano ancora alzate, anche se le luci che si muovevano alle finestre degli altri cottage mostravano che persone come carrettieri, boscaioli e stallieri erano sveglie già da tempo.

Il postino ormai vacillava notevolmente, ma era ancora troppo consapevole dei suoi doveri per permettere al sovrintendente di frugare nella sua borsa. Manston era perplesso e nei tratti di strada solitari lanciava occhiate penetranti alla figura bassa e china dell’uomo che gli trotterellava a fianco nel fango, come se avesse una mezza idea di correre un rischio davvero molto grosso.

Capitava di frequente che le abitazioni degli agricoltori, degli uomini di chiesa ecc. si trovassero a una breve distanza in su o in giù per un sentierino o un vicolo che si diramavano dall’itinerario del postino. Per risparmiare tempo e distanza, al punto di congiunzione di alcuni di questi sentieri con la strada principale il pilastrino del cancello era scavato per formare una buca delle lettere nella quale il postino depositava le missive al mattino, guardandovi di nuovo alla sera per raccogliere quelle deposte per il ritorno. Il vicariato e la fattoria di Palchurch, distaccati dal villaggio, erano serviti insieme secondo questo principio. Il sovrintendente lo venne a sapere conversando con il postino e la scoperta provocò in Manston un grande sollievo e rese le sue intenzioni più chiare di com’erano agli inizi del viaggio.

Avevano raggiunto la periferia del villaggio. Manston insistette per vuotare la fiaschetta prima di proseguire ulteriormente. Così fecero e salirono sulla collina sabbiosa dalla quale si diramava il sentierino che conduceva alla chiesa, al vicariato e alla fattoria nella quale vivevano Owen e Cytherea.

Il postino si fermò un attimo, annaspò nella borsa, ne tirò fuori alla luce della lanterna una mezza dozzina di lettere e cercò di smistarle. Non riuscì a eseguire l’operazione.

«Credo proprio che siamo diventati discepoli storpi», disse, sospirando e barcollando.

«Non siamo ubriachi, ma allegri come nei giorni di mercato», disse Manston in tono gaio.

«Ben fatto! Se non fossi così debole da non riuscire a vedere le nuvole... figurarsi le lettere. Sulla mia anima, che nessuno parli di me al direttore generale delle poste della regina! Tutta la storia dovrebbe passare per il Parlamento e io finirei processato per alto tradimento, sicuro come la morte, e sarei multato, e chi pagherebbe per un comune mortale? Oh, che mondo!».

«Confidi nel Signore... pagherà lui».

«Pagare lui! Perché dovrebbe, quando non ha bevuto il liquore e il diavolo è amico di chi beve? Pagare un credente! Crede che il tipo sia uno sciocco?».

«Suvvia, suvvia, non avevo intenzione di ferire i suoi sentimenti: come potevo sapere che era così sensibile?».

«È vero... non poteva sapere che ero così sensibile. Ecco un pasticcio con queste lettere! Sulla mia anima, che farà Billy?».

Manston offrì i suoi servigi.

«Bisogna dividerle», rispose l’uomo.

«Come?», chiese Manston.

«Queste, per il villaggio, bisogna portarcele; le eventuali per il vicariato o la fattoria del vicariato devono essere lasciate nella cassetta del pilastrino qui accanto. Questa mattina non ce n’è nessuna per il vicariato, ma ho visto quando ho cominciato che ce n’era una per l’assistente ai lavori della nuova chiesa. È questa, vero?».

Sollevò una grossa busta, indirizzata nella calligrafia di Edward Springrove:

Mr Owen Graye
Assistente ai lavori
Palchurch
vicino Mundsbury

La cassetta delle lettere era scavata in un pilastrino di quercia di circa un piede quadro. Non c’era fessura per inserire le missive per non dare ai ragazzotti di campagna impertinenti l’opportunità di combinare guai in quel punto solitario; ma lateralmente c’era uno sportellino di ferro, tenuto chiuso da una fascetta anch’essa di ferro girevole inserita longitudinalmente e chiusa a chiave. Un lato della fascetta era dipinto di nero, l’altro di bianco, e il bianco o il nero all’esterno significavano rispettivamente che dentro c’erano lettere oppure no.

Il postino aveva preso la chiave dalla tasca e stava tentando di inserirla nella serratura della cassetta. Sfiorava un lato, l’altro, la parte superiore, quella inferiore, ma non riusciva mai a infilarla diritta.

«Lascia che la apra io», disse Manston prendendo la chiave dal postino. Aprì la cassetta e tese l’altra mano per la lettera di Owen.

«No, no. Oh no... no», fece il postino. «In qualità di... funzionari della Corona... curare... la posta di Sua Maestà... il dovere... mettere le lettere... proprie mani». Lentamente e con solennità depose la lettera nella piccola cavità.

«E adesso, la chiave», disse, chiudendo lo sportellino.

Il sovrintendente collocò la sbarretta longitudinalmente, con il lato nero all’esterno che significava «vuota» e girò la chiave.

«Ha messo all’esterno il lato sbagliato!», eslamò il postino. «Non è vuota».

«E mi è caduta la chiave nel fango, così non posso girarla», disse il sovrintendente, lasciando cadere qualcosa.

«Che cosa bizzarra!».

«È davvero una cosa bizzarra».

Si misero entrambi a cercare nel fango che i loro piedi avevano ridotto alla consistenza di una pappa; il postino slacciò dal petto la piccola lanterna e la mosse intorno, vicino al terreno, mentre la pioggia scendeva ancora fitta e a causa delle nubi grevi l’alba era talmente pigra che la luce del giorno sembrava ritardata indefinitamente. Nella nebbiolina fitta i raggi della lanterna si vedevano uno per uno e sembrava quasi che si potessero toccare mentre la attraversavano e svanivano dopo avere illuminato le facce e le ginocchia delle due figure chine, gocciolanti per l’umidità; la cappa del postino, le borse della posta privata e la valigia del sovrintendente luccicavano come se fossero verniciate.

«È caduta sull’erba», disse il postino.

«No, è caduta nel fango», ribatté Manston. Cercarono ancora.

«Temo che con questa luce non la troveremo», disse infine il sovrintendente, pulendosi le dita infangate nell’erba umida della banchina.

«Temo di no», rispose l’altro, tirandosi su.

«Le dico che cosa faremo», propose Manston. «Tornerò indietro da questa strada tra un’ora circa e, visto che è stata tutta colpa mia, guarderò di nuovo, e sono sicuro che alla luce del giorno la troverò. E nasconderò la chiave qui per lei». Indicò un punto dietro il pilastrino. «Allora sarà troppo tardi per girare la striscetta perché i proprietari saranno già passati e quindi è meglio che la cassetta rimanga così com’è. La lettera sarà stata ritardata solo di un giorno e nessuno lo noterà; caso mai può dire che si è sbagliato a collocare la sbarretta e non se n’è accorto e andrà tutto bene».

Il postino convenne che era la cosa migliore da fare, viste le circostanze, e la coppia proseguì. Avevano sorpassato il villaggio ed erano giunti a un crocicchio quando il sovrintendente, dopo aver annunciato al compagno che le loro strade divergevano, girò a sinistra verso Froominster.

Non appena il postino non fu più a portata di occhi e di orecchie, Manston ritornò alla cassetta delle lettere del vicariato, tenendosi dietro una staccionata ed evitando così il villaggio; arrivato lì, tolse la chiave dalla tasca, dove era rimasta nascosta per tutto il tempo, e sottrasse la lettera di Owen. Fatto questo, girò verso casa e riprese il suo solito aspetto, con l’aiuto di quello che portava in valigia mentre si avvicinava alla zona in cui era conosciuto.

Una camminata di un’ora e mezza lo condusse davanti alla sua porta a Knapwater Park.

2. Otto di mattina

Seduto nel suo ufficio privato, inumidì la linguetta della lettera rubata e attese pazientemente finché non fu possibile staccare la gomma adesiva. Tirò fuori il biglietto di Edward, i conti, il bocciolo di rosa e le fotografie, osservandole con vivo interesse e con ansia.

Rimise al loro posto il biglietto, i conti, il bocciolo e la sua fotografia. L’altra la prese con l’indice e il pollice e la tenne rivolta verso le sbarre della grata del caminetto. Ve la tenne per mezzo minuto o più, meditando.

«È un rischio grosso da correre, anche per uno scopo come questo», bofonchiò.

Tutto a un tratto, colto da un’idea brillante, balzò in piedi e uscì dallo studio per entrare in salotto. Prendendo un album di ritratti posato sul tavolo, cercò tre o quattro fotorafie della signora che recentemente aveva preso il posto di Cytherea, sparse in mezzo alla collezione, e le osservò attentamente. Avevano pose e stili diversi ed egli le confrontò singolarmente con quella che teneva in mano. Ne scelse una, la più somigliante alla fotografia sottratta dalla lettera per carattere generale, dimensioni e atteggiamento e ritornò con questa in studio.

Versando dell’acqua in un piatto, vi mise a galleggiare i due ritratti e, sedendosi, cercò di leggere.

Al termine di un quarto d’ora, dopo diversi tentativi infruttuosi, vide che ciascuna fotografia si staccava dal cartoncino sul quale era montata. Fatto questo, buttò nel fuoco il ritratto originale e il cartoncino recente, appiccicò sul cartoncino originale il ritratto recente preso dall’album, lo asciugò davanti al fuoco e lo infilò nella busta insieme agli altri pezzi di carta.

Il risultato ottenuto, quindi, era questo: nella busta c’erano adesso due nuove fotografie, tutte e due con il nome dello stesso fotografo sul retro e numeri consecutivi. In basso a quella che mostrava il ritratto di Manston, era scritto il suo nome; sull’altra, quello della moglie; mentre la figura centrale e l’oggetto al quale il cartoncino e la scritta si riferivano, il ritratto della signora montato lì sopra, erano stati cambiati.

Mrs Manston entrò nella stanza e gli chiese di andare a fare colazione. La seguì e si sedettero. Durante il pasto le raccontò quello che aveva fatto, riferendo scrupolosamente ogni dettaglio, e le mostrò il risultato.

«È in effetti un grosso rischio da correre», gli disse, sorseggiando il tè.

«Ma sarebbe maggiore se non lo facessi».

«Sì».

La busta fu di nuovo chiusa come prima, Manston se la mise in tasca e uscì. Poco dopo lo si vide cavalcare in una direzione che fiancheggiava Froominster, verso Palchurch. Tenendosi il più possibile tra i campi per la maggior parte del percorso, si immise nella strada nei pressi della cassetta delle lettere del vicariato e, guardandosi attentamente intorno per assicurarsi che non ci fosse nessuno nelle vicinanze, rimise la lettera nel suo cantuccio, collocò la chiave nel nascondiglio come aveva promesso al postino e tornò di nuovo a casa a cavallo seguendo un tragitto tortuoso.

3. Pomeriggio

La lettera venne portata a Owen Graye quel pomeriggio stesso da uno dei domestici del vicario che si era recato alla cassetta con un duplicato della chiave, come al solito, a lasciare le lettere per la posta della sera. L’uomo scoprì che quel mattino l’indicatore aveva dichiarato il falso per la prima volta da quando ricordava; ma non si prestò particolare attenzione a quello che fu considerato un errore. I contenuti della busta furono esaminati da Owen e scartati come inutili.

Il mattino successivo portò la seconda lettera di Springrove la cui esistenza Manston non conosceva. Vedere di nuovo la scrittura di Edward suscitò le aspettative di entrambi finché Owen non ebbe aperto la busta e tirato fuori il rametto e i versi.

«Niente che possa esserci minimamente utile», le disse. «Siamo sempre lontanissimi dalla minima prova legale che lo accuserebbe di quello che sono moralmente sicuro che abbia fatto: sposarti sospettando, se non sapendo, che lei era ancora viva».

«Che cosa ha mandato Edward?», chiese Cytherea.

«Versi amatoriali nella scrittura di Manston. Figurarsi», disse con tono amaro, «questa è una canzone che le ha dedicato quando la corteggiava... come ha fatto con te, suppongo».

Le porse i versi e la ragazza lesse:

EUNICE

Chiunque per ore o lunghi giorni
Catturi i raggi cangianti del suo aspetto
Per poi andarsene, non riesce a rammentarne alcuno
Se non una galassia che li contiene tutti
In un ritratto confuso;
Illuminato dalla luce di occhi cerulei
Come un giorno estivo da un cielo estivo:
I suoi dolci cambiamenti d’umore sembrano
Una specie di melodia di immagini
E non hanno un contorno definito.
Æ. M.

Una strana espressione si diffuse sul viso di Cytherea. Aumentò rapidamente fino a trasformarsi in un’angoscia mortale. Buttò via il foglio, afferrò tremando la mano di Owen e si coprì il volto.

«Cytherea! Che cosa c’è, per l’amor del cielo?».

«Owen... credo... Oh, non sai che cosa penso».

«Che cosa?».

«“Dalla luce di occhi cerulei”», ripeté con le labbra grigiastre.

«Ebbene, “dalla luce di occhi cerulei”», disse, sbalordito per il suo comportamento.

«Mrs Morris mi ha detto nella sua lettera che i suoi occhi sono neri!».

«Hm... Mrs Morris deve essersi sbagliata... niente di più probabile».

«No».

«In questa fotografia potrebbero essere sia dell’uno che dell’altro colore», disse Owen, guardando il cartoncino che recava il nome di Mrs Manston.

«In fotografia gli occhi azzurri non verrebbero scuri come quelli», osservò Cytherea. «No, qui sembrano proprio neri».

«Ebbene, allora Manston deve aver fatto un errore scrivendo i suoi versi».

«Possibile? Dicono che un uomo innamorato possa dimenticare il proprio nome, ma non il colore degli occhi della sua donna. Inoltre, leggendoli, lei si sarebbe accorta dell’errore e glielo avrebbe fatto correggere».

«È vero, lo avrebbe fatto», rifletté Owen. «E allora, Cytherea, ne consegue questo: devi essere stata informata erroneamente da Mrs Morris, dato che non esiste altra alternativa».

«Suppongo debba essere andata così».

L’espressione smentiva le parole.

«Che cosa ti rende così strana... sofferente?», chiese di nuovo Owen.

«Non riesco a credere che Mrs Morris si sia sbagliata».

«Ma guarda qui, Cytherea. Se ci è chiaro che la donna aveva gli occhi azzurri due anni fa, deve averli azzurri adesso, a dispetto di qualsiasi cosa Mrs Morris o chiunque altro possano immaginare. A sentirti, si direbbe che Manston sia in grado di modificare il colore degli occhi di una donna».

«Sì», rispose e fece una pausa.

«Dici “sì” come se lo potesse fare», le disse Owen con impazienza.

«Cambiando la donna», esclamò la ragazza. «Owen, non capisci la cosa terribile� quello che temo? Che la donna con cui vive non sia Mrs Manston, che è veramente morta bruciata, e che IO SIA SUA MOGLIE!».

Sotto il peso di questo nuovo problema cercò di mantenere un atteggiamento stoico, ma l’inaspettata ripugnanza per quell’idea fu così travolgente che gli si avvicinò e si appoggiò al suo petto.

Prima di considerare ulteriormente l’argomento, Graye la portò di sopra e la fece distendere. Poi si avvicinò alla finestra e fissò il sentierino all’esterno, sforzandosi vanamente di giungere a una qualche conclusione riguardo al fantastico enigma che gli stava di fronte. La nuova convinzione di Cytherea sembrava incredibile e tuttavia aveva su di lei un effetto tale che sarebbe stato necessario dissiparlo con una prova concreta prima che il fantasma dei suoi timori la tormentasse troppo.

«Cytherea», disse, «così non va. Devi restare qui da sola tutto il pomeriggio mentre io mi reco a Carriford. Quando sarò tornato saprò tutto».

«No, no, non andare!», lo implorò.

«Presto, allora, non subito». Capì il sottile ragionamento della sorella: che era una follia essere savi.

La riflessione lo convinse ulteriormente che sarebbe stato bene perseverare nelle sue intenzioni e disperdere i futili timori della sorella. Qualsiasi cosa era meglio che questo assurdo dubbio della mente. Ma decise di aspettare fino a domenica, il primo giorno sul quale poteva contare per vedere Mrs Manston senza sospetto. Nel frattempo scrisse a Edward Springrove, chiedendogli di recarsi di nuovo al vecchio domicilio di Mrs Manston.




110 L’espressione originale “ago e bottone” era usata in modo dispregiativo per il Parliamentary Army di Cromwell durante la guerra civile inglese (1642-9). Quando i poveri che sostenevano i Parlamentaristi facevano offerte durante le collette per il Parliamentary Army, a volte deponevano sul vassoio della colletta articoli casalinghi come ago e filo invece che denaro.

111 Dalla canzone da taverna The Seven Trades. Ogni strofa si riferisce a un mestiere diverso: i versi del muratore che Hardy mette in bocca al postino sono più sovversivi degli altri e indubbiamente la posizione anticlericale si adatta a Manston (e forse allo stesso Hardy).