Capitolo 8
Gli avvenimenti di diciotto
giorni
1. Dal tre al diciannove settembre
La tenerezza di Miss Adlclyffe per Cytherea, inframmezzata dalla sua irascibilità, aumentò fino a diventare un affetto adorante. Come la natura ai tropici, con gli uragani e la susseguente vegetazione lussureggiante che cancella le devastazioni, Miss Aldclyffe risarciva poi le sue esplosioni con eccessi di generosità. Sembrava totalmente conquistata dal contatto ravvicinato con una giovane donna la cui modestia era completamente intatta e la cui semplicità era tanto perfetta quanto compatibile con la complessità necessaria a creare il debito fascino della femminilità. Cytherea, da parte sua, percepiva con genuina soddisfazione che la sua influenza positiva su Miss Aldclyffe era considerevole. Idee e abitudini caratteristiche della giovane, che all’inizio la donna più matura aveva imitato per puro capriccio, cominciarono a tempo debito a procurarle autentica soddisfazione. Tra le altre cose c’erano le preghiere serali e mattutine, l’abitudine di fantasticare davanti a un paesaggio esterno, di imparare un verso da una poesia mentre si vestiva.
Eppure, per quanto cercasse di forzare la propria simpatia, Cytherea provava solo gratitudine, anche se la provava sempre. La nube misteriosa che gravava sul passato dell’altra donna, del quale la luce incerta che vi era stata gettata sembrava solo rendere più oscuro quello che non era stato ancora penetrato, alimentava in lei una sensazione che era troppo vaga per essere definita timore. Da una natura così mutevole – simile a una fontana, sempre se stessa eppure sempre diversa – avrebbe di gran lunga preferito venire trattata con distacco, come una semplice dipendente. Non riteneva che la sua omonima avesse mai perpetrato un crimine della maggior specie, o che vi avesse preso parte; ma le avventure imprudenti della sua gioventù sembravano connesse con fatti torbidi e non certo trasparenti.
A volte Miss Aldclyffe sembrava sul punto di farle una confidenza appassionata, ma era invariabilmente trattenuta dalla riflessione. Cytherea sperava che, con il tempo, sarebbe arrivata una confidenza di quel genere e che in questo modo potesse placare una mente che aveva evidentemente conosciuto un’enorme sofferenza.
La reticenza di Miss Aldclyffe riguardo al passato non era però imitata da Cytherea. Pur non rivelando di essere a conoscenza che la storia d’amore tra Miss Aldclyffe e suo padre si era conclusa in modo anomalo, la naturale ingenuità della fanciulla su argomenti non protetti da una vigilanza particolare aveva permesso a Miss Aldclyffe di estorcerle, frammento dopo frammento, tutti i dettagli della storia del padre. Cytherea vedeva fino a che punto Miss Aldclyffe simpatizzasse e questo la risarciva, in un certo senso, per il brusco risentimento di altri momenti.
Continuava a vivere in questo modo incerto. I domestici di casa intuirono l’esistenza di un legame segreto tra Miss Aldclyffe e la sua dama di compagnia. Ma si trattava di due donne e non di una donna e di un uomo, i fatti erano evanescenti e ambigui e non era quindi possibile elaborarli in una storia appassionante. Se, come discutono i critici, per un poema epico è incerta l’esigenza di un evento soprannaturale, per uno scandalo è decisamente necessario un intrigo carnale.
Le era giunta un’altra lettera da Edward: molto breve, ma piena di suppliche, che le chiedeva perché non gli scriveva almeno una riga, anche soltanto di fredda amicizia. Allora Cytherea si permise di pensare, gradatamente, che forse era stata troppo dura con lui; e alla fine si chiese se fosse veramente da biasimare per essere fidanzato con un’altra donna. «Ah, Mente, in me c’è una parte più forte di te!», disse. Adesso la fanciulla tirava continuamente fuori la lettera, la leggeva e la rileggeva, quasi piangendo di compassione pensando alla disgraziata incertezza che egli doveva sopportare a causa del suo silenzio, finché il cuore non la rimproverò per la sua crudeltà. Pensò che doveva mandargli una riga, una piccola riga, una sola, minuscola riga per mantenerlo in vita, povera creatura; sospirando come Donna Clara:
Ah, se adesso fosse davanti a
me
Malgrado l’orgoglio ferito
Temo che i miei occhi lo perdonerebbero
Prima che la lingua possa rimproverarlo.45
2. Venti settembre. Dalle tre alle quattro del pomeriggio
Era la terza settimana di settembre, circa cinque settimane dopo l’arrivo di Cytherea, quando Miss Aldclyffe un giorno le chiese di passare per il villaggio di Carriford e aiutarla nella raccolta delle offerte di alcuni abitanti della parrocchia a un’associazione religiosa da lei presieduta. Miss Aldclyffe faceva parte di una di quelle cosiddette Associazioni di Dame dove ogni socia raccoglieva tributi in scellini dai suoi inferiori da aggiungere alla fine alla propria sterlina.
Quel pomeriggio Miss Aldclyffe si interessò particolarmente all’aspetto fisico di Cytherea e l’oggetto della sua attenzione era, in effetti, piacevole da vedere. L’aspetto della ragazza, messo in evidenza da un abito frivolo, da una giacchetta civettuola, da un arioso cappello, da raggi di stelle negli occhi e da un conflitto di gigli e di rose sulle guance, era per la padrona di casa un piacere palpabile e tuttavia un piacere che sembrava più affine alla gratificazione mentale che non alla soddisfazione affettuosa.
Sul bollettino erano otto i nomi che costituivano l’elenco di Miss Aldclyffe e, aggiunto accanto a ciascuno, c’era l’ammontare della somma della sottoscrizione.
«Io riscuoterò i primi quattro, mentre tu farai lo stesso con gli ultimi quattro», disse Miss Aldclyffe.
Nella lista di Cytherea i primi erano i nomi di due commercianti, poi veniva quello di una certa Miss Hinton: ultimo dell’elenco stampato era il vecchio Mr Springrove. Sotto il suo nome era vergato, con la scrittura di Miss Aldclyffe: «Mr Manston».
Manston era arrivato, nel ruolo di sovrintendente, tre o quattro giorni prima e occupava l’antica casa padronale che era stata modificata e ristrutturata per accoglierlo.
«Passa da Mr Manston», disse maestosamente la signora, guardando il nome scritto nella lista di Cytherea.
«Ma lui non sottoscrive ancora».
«Lo so; ma passa e lasciagli un bollettino. Non dimenticarlo».
«Diciamo che sarebbe contenta se sottoscrivesse?».
«Sì, diciamo che sarei contenta se lo facesse», ripeté Miss Aldclyffe, sorridendo. «Addio. Non affrettarti. Se non riesci a finire comodamente oggi, rimanda qualcosa a domani».
Poi ognuna cominciò il suo giro: Cytherea si recò prima di tutto alla vecchia casa padronale. Mr Manston non c’era, il che fu per lei un sollievo. Andò allora a trovare le due mogli degli agricoltori che conclusero in fretta la transazione, freddamente indifferenti alla sua personalità. Un individuo che, socialmente, non esiste viene considerato con sufficienza da chi è come lui e viene invece guardato con maggiore considerazione da chi gli è superiore.
Si diresse poi verso Peakhill Cottage, abitazione di Miss Hinton, che viveva lì abbastanza felicemente in compagnia di una domestica anziana e di un cane da guardia. Il padre, unico genitore rimastole, si era ritirato lì quattro anni prima, dopo aver ricoperto il posto di direttore del «Froominster Chronicle» per diciotto o venti anni. Lì era morto poco dopo e, benché relativamente povero, aveva lasciato la figlia sufficientemente benestante, in possesso di un modesto numero di titoli di stato e di piccoli dividendi che le permettevano di essere padrona a Peakhill.
Quando Cytherea bussò, si udì aprire e richiudere una porta interna e dei passi attraversare il corridoio, esitanti. Un momento dopo Cytherea si trovò faccia a faccia con la signora in persona.
Adelaide Hinton aveva all’incirca ventinove anni. I capelli erano folti, come quelli di Cytherea; i denti eguagliavano quelli di Cytherea per regolarità e bianchezza. Ma era molto più pallida e aveva lineamenti troppo trasparenti per risaltare in mezzo a un ambiente casalingo. La bocca esprimeva amore con meno forza di quella di Cytherea e, come conseguenza naturale della sua maggiore maturità, il passo era meno elastico ed era più padrona di sé.
Era stata una di quelle ragazze che le madri, a mo’ di contrasto, lodano per la loro mancanza di sfacciataggine quando denigrano quelle più nobili per le quali amare è un fine e non un mezzo. Anche gli uomini di quarant’anni ne parlavano come di «una moglie brava e giudiziosa per qualsiasi uomo, se è interessata al matrimonio» e questo desiderio veniva buttato lì come una vaghissima ipotesi, data l’estrema concretezza della ragazza. E tuttavia sarebbe strano se, in questi casi, l’importante argomento del matrimonio dovesse restare escluso dalla manipolazione di mani che sono pronte a prodigarsi concretamente in tutti i settori domestici.
Cytherea era un nuovo acquisto locale e il saluto fu cordiale.
«Buon pomeriggio! Oh sì, Miss Graye di Miss Aldclyffe. L’ho vista in chiesa e sono molto felice che sia venuta a farmi visita! Entri. Mi chiedo se ho spiccioli sufficienti per pagare la mia sottoscrizione». Parlava in modo adolescenziale.
Adelaide, quando era in compagnia di una donna di età inferiore, si adattava sempre all’età della più giovane per un senso di giustizia verso se stessa, come se, benché non della sua età per diritto comune, lo fosse per diritto acquisito.
«Non importa. Ripasserò».
«Sì, in qualsiasi momento; non solo per questa commissione. Ma entri per un minuto. La prego».
«Lo desideravo da alcune settimane».
«Giusto. Adesso deve vedere la mia casa: è isolata,vero, per una donna che vive sola? La gente dice che è strano per una giovane donna come me continuare a tenere una casa; ma che m’importa? Se lei sapesse il piacere di poter chiudere a chiave la porta, con la senzazione di essere regina qui dentro, direbbe che vale la pena correre il rischio di farsi dare della bizzarra. Mr Springrove bada al mio giardino, il cane bada ai ladri e ogni volta che c’è un serpente o un rospo da uccidere se ne occupa Jane».
«Che bello. È meglio che vivere in città».
«Molto meglio. La città mi rende cinica».
Il commento rammentò a Cytherea, in modo un po’ sorprendente, che una sera a Creston Edward aveva usato con lei proprio quelle parole.
Miss Hinton aprì una porta interna e condusse la sua visitatrice in un piccolo salotto che dominava un panorama della campagna che si estendeva per miglia intorno.
La questione missionaria fu presto sistemata; ma la chiacchierata continuò.
«Deve essere molto solitario di notte, qui», disse Cytherea. «Non ha paura?».
«Al principio, un pochino. Ma mi sono abituata alla solitudine. E sa, perfino nel timore s’insinua una specie di buon senso. A volte, di notte, mi dico: “Se non fossi soltanto una donna inoffensiva, tanto che nemmeno il fantasma di un verme si prende la briga di comparirmi davanti, penserei che ogni suono che odo è uno spirito”. Ma deve vedere tutta la casa».
Cytherea era molto interessata.
«Io dico deve fare questo, deve fare quello, come se fosse una bambina», fece notare Adelaide. «Una persona particolarmente amica mi dice che questo uso dell’imperativo viene dal non avere altra compagnia se non la mia».
«Ah sì, suppongo che la sua amica abbia ragione».
Automaticamente, per un’abitudine signorile, Cytherea riteneva che le amicizie fossero tutte di sesso femminile; perché una donna pensa che le “persone amiche” di un’altra donna appartengano al suo stesso sesso, in assenza di informazioni contrarie; proprio come i gatti vengono considerati tutti maschi, finché non ne viene accertato il sesso femminile.
Miss Hinton rise facendo la misteriosa.
«Di tanto in tanto mi arriva un rimprovero scherzoso sull’argomento, glielo assicuro», proseguì.
«“Rimprovero scherzoso”: questo non viene da una donna: chi può rimproverare in modo scherzoso se non un uomo?», fu il pensiero di Cytherea a quel commento. «Sarà suo fratello a rimproverarla», disse quella giovane donna innocente.
«No», rispose Miss Hinton con espressione candida. «È solo un gentiluomo di mia conoscenza». Guardò fuori dalla finestra.
Le donne sono ostinatamente imitative. Il pensiero che il gentiluomo fosse un innamorato non aveva fatto in tempo a balenare nella mente di Cytherea che questa si trasformò in una Miss Aldclyffe in formato minore.
«Immagino che si tratti di un innamorato», disse.
Miss Hinton fece un sorrisino saccente di conferma.
Poche donne, se accusate di avere un ammiratore, sono così prive di vanità da negare l’imputazione, anche se è completamente falsa. Quando si dà il caso che sia vero, distolgono pietosamente lo sguardo da quella persona così ottenebrata da essere arrivata solo a sospettarlo.
«Suvvia, Miss Hinton, lei è fidanzata e prossima a sposarsi!», disse Cytherea in tono accusatorio.
Adelaide fece un cenno d’assenso con espressione pratica. «Ebbene sì», rispose.
La parola «fidanzata» non era ancora uscita dalle labbra di Cytherea che il suono, il semplice suono prodotto dalle labbra, riportò la sua mente al momento e alle circostanze nelle quali Miss Aldclyffe l’aveva usata con lei. Seguì un pensiero malsano, basato solo su un semplice sospetto; e tuttavia la sua presenza scacciò dalla mente di Cytherea tutti gli altri pensieri. Miss Hinton aveva usato le parole di Edward a proposito della città; aveva menzionato che Mr Springrove badava al suo giardino. Era impossibile che l’uomo fosse Edward e che Miss Aldclyffe avesse progettato di rivelarle in quel modo l’identità della rivale!
«Ha intenzione di sposarsi presto?», si informò con una calma che era il risultato di una specie di fascinazione, anche se sembrava indifferenza.
«Non molto... e tuttavia, presto».
«Ahah. Tra meno di tre mesi?», chiese Cytherea.
«Di due».
Adesso che l’argomento era avviato, Adelaide non ebbe più bisogno di incitamenti. «Non lo dirà a nessuno se le mostro una cosa?», disse con un tono misterioso e ardente.
«Oh no, a nessuno. Ma l’uomo è di questa parrocchia?».
«No».
Nulla era ancora dimostrato.
«Come si chiama?», chiese Cytherea in tono piatto. Il respiro e il cuore avevano ripreso a fare i loro vecchi trucchi e andavano e venivano affannosamente. Miss Hinton non poteva vederle il viso.
«Lei che pensa?», disse Miss Hinton.
«George?», rispose Cytherea con ansia ingannevole.
«No», disse Adelaide. «Suvvia, prima lo veda; venga qui», e le fece strada al piano di sopra nella stanza da letto. Lì, sul tavolo da toeletta, in una piccola cornice, c’era l’ignaro ritratto di Edward Springrove.
«Eccolo», disse Miss Hinton, e seguì una pausa di silenzio.
«Lo ama molto?», continuò dopo un po’ l’infelice Cytherea.
«Ma sì, certo che lo amo», rispose l’altra donna, ma con il tono di chi vive nel seno di Abramo per tutto l’anno46 ed è quindi immune da qualsiasi pensiero solenne al riguardo. «È mio cugino ed è nato in questo villaggio. Eravamo fidanzati prima che la morte di mio padre mi lasciasse così sola. Avevo solo vent’anni ed ero molto più bella di come sono oggi. Come può immaginare, ci conosciamo molto bene. Di tanto in tanto gli faccio un po’ la predica».
«Perché?».
«Oh, solo per scherzo. A volte è molto cattivo. In realtà no, sa... ma quando vede un bel visetto lo guarda».
Registrando questa affermazione sulla sua debolezza come un altro motivo per il quale sentirsi infelice quando ne avesse avuto il tempo: «Come fa a saperlo?», chiese Cytherea con il cuore gonfio.
«Be’, sa come fanno le cose a raggiungere l’orecchio di una donna. Un tempo viveva a Creston e faceva l’assistente di un architetto e ho scoperto che una creaturina giovane e sciocca che viveva lì da qualche parte aveva colpito la sua fantasia per un giorno o due. Ma io non mi sento affatto gelosa: il nostro fidanzamento è così realistico che nessuno dei due può essere geloso. Ed è stato un semplice amoreggiamento, era troppo sciocca per lui. Gli piace moltissimo remare e l’ha gentilmente portata fuori per una sera o due. Sono sicura che avranno chiacchierato delle più assolute sciocchezze che si siano mai sentite sotto il sole, tutte cose superficiali, tanto per passare il tempo, proprio come succede sempre nelle stazioni balneari. A nessuno dei due importava nulla dell’altro e quella avrà ridacchiato come un’ochetta...».
Invece che dall’aria, la stanza era pervasa da un’essenza concentrata di donna. «Non è vero! E non erano cose superficiali!», esplose Cytherea con gli occhi traboccanti di lacrime. «Da una parte c’era l’inganno e dall’altra una fiducia totale. Sì, era così!». L’emozione trattenuta era cresciuta e poi ancora cresciuta nella giovane creatura finché l’argine non era più riuscito a contenerla. Nell’istante in cui le parole uscirono, avrebbe dato il mondo intero per poterle ritirare.
«Conosce la ragazza, oppure lui?», disse Miss Hinton, sobbalzando sospettosa per quella manifestazione di fervore.
Le due donne adesso avevano perduto la loro personalità individuale. C’erano in entrambe lo stesso perspicace brillio nello sguardo, lo stesso tremito della bocca, lo stesso pensiero, mentre si guardavano dubbiose ed eccitate. Come succede invariabilmente con le donne quando un uomo a cui tengono è motivo di inquietudine tra loro, la situazione le derubò delle differenze che le distinguevano singolarmente e conservò solo le prerogative comuni, come gli atomi di un sesso.
Cytherea colse l’opportunità concessale di non tradirsi. «Sì, conosco lei», rispose.
«Bene», disse Miss Hinton, «sono davvero contrariata se parlando in modo così leggero di una sua amica ho ferito i suoi sentimenti, ma...».
«Oh, non ci badi», ribatté Cytherea, «non importa, Miss Hinton. Adesso credo di doverla lasciare. Devo recarmi altrove. Sì, devo andare».
Miss Hinton, in uno stato di perplessità, accompagnò educatamente la visitatrice al piano di sotto e poi alla porta. Qui Cytherea le disse frettolosamente addio e attraversò precipitosamente il giardino fino al sentiero.
Proseguì nel suo incarico provando un caparbio piacere nel rendersi infelice, com’era suo solito. Il nome di Mr Springrove era il successivo della lista e si diresse verso la sua abitazione, la Three Tranters Inn.
3. Dalle quattro alle cinque del pomeriggio
I cottage lungo la strada principale di Carriford non erano così vicini l’uno all’altro al punto di non avere, su un lato o sull’altro della strada, una siepe di biancospino o di ligustro al di sopra o attraverso la quale si vedevano giardini o frutteti ricchi di frutti. Era all’incirca a metà della raccolta delle mele e gli alberi carichi venivano scossi a intervalli dai raccoglitori, e il morbido picchiettare dei frutti che cadevano sul terreno erboso si diversificava per il rumore prodotto da quelle che colpivano capricciosamente un’inferriata, una stia, un paniere o il tetto di un capanno, o le schiene curve e chine dei raccoglitori, per lo più bambini, che avrebbero pianto sonoramente nel ricevere colpi così forti da un’altra mano, ma che sorridevano, convinti che fosse divertente se a colpirli erano le mele.
La Three Tranters Inn, un edificio medievale dai molti frontoni, costruito quasi interamente in legno, gesso e paglia, si ergeva sul ciglio della strada, quasi di fronte al sagrato della chiesa, ed era collegato a un serie di cottage sulla sinistra da fabbricati dal tetto di paglia. Era un esemplare insolitamente caratteristico e bello della genuina taverna sulla strada dei tempi passati; ed ergendosi sulla grande strada di comunicazione con il sud-ovest dell’Inghilterra (che attraversava Carriford), era stata a suo tempo teatro di quella che adesso è considerata la romantica e piacevole esperienza del viaggio in diligenza, come qualsiasi altra stazione di posta del paese. La ferrovia aveva assorbito tutto il flusso del traffico che un tempo passava per il villaggio e per la porta dell’antica taverna, costringendo l’oste, rimasto con le mani in mano, e che un tempo coltivava solo qualche appezzamento sul retro della casa, alla necessità di sbarcare il ridotto lunario aumentando l’estensione dell’attività agricola se voleva mantenere la sua posizione sociale. Insieme alla generale immobilità che pervadeva il luogo, la lunga fila di edifici annessi alla casa era la testimonianza più triste e sorprendente delle trascorse fortune della Three Tranters Inn. Era l’agglomerato delle antiche scuderie dove un tempo gli zoccoli di due dozzine di cavalli avevano quotidianamente sferragliato nel cortile acciottolato, avanti e indietro dalle stalle interne; ora l’erba vi cresceva fitta, mentre la fila dei tetti, un tempo uniforme, era sprofondata in larghi avvallamenti sopra gli stalli in rovina al punto da assomigliare alle guance di un vecchio sdentato.
Su un appezzamento verde all’altra estremità dell’edificio crescevano due o tre grandi olmi dai larghi rami ai quali era sospesa l’insegna che rappresentava i tre ambulanti47, fianco a fianco e assolutamente identici, con le venature del legno e i giunti delle tavole visibili sotto il leggero strato di pittura che definiva le loro sagome ulteriormente sfigurate dalle macchie rosse delle scolature dei chiodi rugginosi in alto.
Sotto gli alberi adesso c’era una macina per il sidro e nel punto riparato dai rami erano radunati Mr Springrove in persona, i suoi uomini, il sacrestano, due o tre altri uomini, arrotini, operai soprannumerari, una donna con un neonato tra le braccia, uno stormo di piccioni e alcuni ragazzini con una paglia in bocca che cercavano, ogni volta che gli uomini voltavano le spalle, di rubare un sorso del succo dolce che usciva dal tino.
Edward Springrove il vecchio, il taverniere, adesso soprattutto agricoltore e, per due mesi all’anno, distillatore di sidro, era un datore di lavoro all’antica che lavorava anche lui in mezzo ai suoi uomini. In quel momento era impegnato a stivare con un pestello la polpa di mele nei sacchi di crine di cavallo e Gad Weedy, il suo uomo, era occupato a spalarne dell’altra da una tinozza lì a fianco. La paletta brillava come argento per l’azione del succo e ogni tanto, nel tragitto avanti e indietro, catturava i raggi del sole che tramontava e li rifletteva con aggressivi sfavillii.
Mr Springrove era troppo giovane quando erano finiti per sempre i bei tempi della Three Tranters perché gli rimanesse qualcosa dell’oste. Era un poeta dalla pelle ruvida; una persona che attingeva la sua forza dalle circostanze esterne invece che da una natura intrinseca. Di costituzione troppo gentile per essere molto previdente, non era tuttavia imprudente. Aveva una disposizione quietamente spiritosa che non stonava con una frequente inclinazione malinconica e l’espressione generale del suo viso era assorta. Mentre gli anni aumentavano pensava come Walt Whitman:
io mi aspetto troppo; significa
più
di quello che pensavo.48
Nella presente occasione portava le ghette e un grembiale di cuoio; lavorava con le maniche della camicia arrotolate oltre i gomiti, rivelando braccia più solide e carnose che muscolose. Erano macchiate di sidro e si vedevano appiccicati qui e là in mezzo ai peli due o tre semi di mela marroni provenienti dalla polpa che stava maneggiando.
L’altra figura di spicco era quella di Richard Crickett, il sacrestano, una specie di libertino “espurgato” che mangiava solo quanto mangiava una donna e aveva i reumatismi alla mano sinistra. Il resto del gruppo, contadini dal viso abbronzato, indossava camiciotti ricamati a cuori e denari sulle spalle e stretti in vita da una cinta, e un’altra la portavano intorno al polso destro.
«E ha visto il sovrintendente, Mr Springrove?», chiese il sacrestano.
«Solo un momento; ma è stato sufficiente per farmi capire che non resterà a lungo».
«E perché?».
«Non sopporterà mai i capricci della femmina che tiene le redini, non è il tipo».
«Lo pagherà bene», disse un arrotino, «e i soldi sono soldi».
«Ah, è proprio così», ribatté il sacrestano.
«Sì, sì, amico Crickett», disse Springrove, «ma le verrà una crisi, ormai il male è fatto: la faccenda è conclusa... Sì, quella donna è un tipino», continuò l’agricoltore, facendo una pausa, sollevando lo sguardo e scrutando le forme di una mela lontana.
«Lo è», disse Gad, facendo una pausa anche lui (è meraviglioso come un lavoratore a giornata sia pronto a seguire il padrone quando questi si riposa) e fissando con aria meditabonda il terreno di fronte a sé.
«È vero: è proprio un bel tipo», si unì il sacrestano, scuotendo la testa minacciosamente.
«Ha un tale caratteraccio», disse il coltivatore, «ed è anche ostinata. È più facile fermare il corso di un torrente che farle cambiare idea quando si è messa qualcosa in testa. Preferirei macinare melette verdi tutto il giorno piuttosto che vivere con lei».
«È un bel caratteraccio il suo», ribatté il sacrestano, «e lo dico io che sono un servitore della chiesa. Ma questa volta non le verrà una crisi».
Il gruppo attese che il discorso proseguisse, come se sapessero per esperienza quanto sarebbe durato.
Il sacrestano deglutì il nulla come se fosse un grosso boccone e poi proseguì: «C’è qualcosa tra loro. Badate a quello che dico, cari amici: tra loro c’è qualcosa».
«Dici sul serio?».
«Lo so. È arrivato sabato scorso, vero?».
«Vero», disse Gad Weedy, prendendo contemporaneamente una mela dal tino della macina, mangiandone un pezzo e buttando di nuovo il resto perché venisse macinato per fare il sidro.
«È andato in chiesa, domenica», disse di nuovo il sacrestano.
«Vero».
«E lei gli ha tenuto gli occhi addosso per tutta la funzione, con il viso che passava dal rosso al bianco, senza mai decidersi tra l’uno e l’altro colore».
Mr Springrove annuì e si avvicinò alla pressa.
«Be’», disse il sacrestano, «non la si definisce il genere di donna che commette errori seguendo la funzione del Signore, no? Be’, di regola è precisa come lo sono io».
Mr Springrove annuì di nuovo e diede una botta alla vite della pressa, seguito nel gesto da Gad dall’altro lato; i due arrotini, con la loro espressione molto preoccupata, esprimevano il concetto che, se Miss Aldclyffe era precisa in chiesa come il sacrestano, doveva essere davvero precisa.
«Sì, precisa nel seguire la funzione come lo sono io», ripeté il sacrestano, allungando quella dichiarazione solenne come santa Cecilia. «Ma domenica scorsa, mentre ci trovavamo al decimo comandamento, lei dice: “Induci i nostri cuori a seguire questa legge”, dice, mentre era: “Che la legge entri nei nostri cuori, noi ti preghiamo”, tutti i fedeli insieme. Aveva gli occhi su di lui, era completamente smarrita. “I nostri cuori a seguire questa legge”, dice; quella donna, la decima volta, è andata per semplice imitazione, semplice imitazione. Avreste potuto suggerirle: “Che la legge entri nei nostri cuori, noi ti preghiamo”49, cinquanta volte, non vi avrebbe notato. È innamorata di quell’uomo, ecco cos’è».
«Allora è più stupida di come pensavo», disse Mr Springrove. «Perché è abbastanza vecchia da essere sua madre».
«Se lo litigheranno lei e la giovane ricciuta, vedrete. Non vorrà correre il rischio che quel bel visetto resti nei paraggi».
«Sacrestano Crickett, c’è da pensare che lei sappia tutto di tutti», disse Gad.
«Be’, così stanno le cose», rispose modestamente il sacrestano. «Qualcosina la so. Mi viene facile».
«E io lo so come».
«Ah».
«Sua moglie. È una donna intrigante, senza mancare di rispetto».
«Lo è: ed è anche un tipo vincente. Guardate il marito che le è toccato, che Dio la benedica!».
«Mi chiedo se non starebbe bene al terzo posto di quell’elenco, sacrestano Crickett», disse Mr Springrove.
«Be’, è stato spesso motivo di meraviglia anche per me. Sì, il matrimonio comincia “Cari e amati fratelli” e finisce con “miracolo”50, come dice il rituale. Ma che cosa posso fare, amico Springrovre? È stato stabilito così. Mi ricordo bene che cosa mi disse la sua povera moglie appena mi sposai. “Ah, Mr Crickett”, dice, “sua moglie presto la sistemerà come ha fatto con gli altri due: ecco un bicchiere di rum, perché il prossimo anno, di questi tempi, non vedrò la sua povera faccia”. Io buttai giù il rum e l’anno successivo le ho fatto di nuovo visita e ho detto: “Mrs Springrove, lei l’anno scorso mi ha dato un bicchiere di rum perché stavo per morire, eccomi ancora vivo, come vede”. “Ben detto, sacrestano! E allora ecco per lei due bicchieri”, dice. “Grazie, signora”, dissi e buttai giù il rum. Be’, che io sia dannato, l’anno successivo pensavo di farle di nuovo visita e berne tre. E così le ho fatto visita. Ma quella non me ne ha dato nemmeno un goccio del peggiore. “Eh no, sacrestano”, dice, “lei è troppo tosto per la compassione di una donna...”. Ah, povera donna, era abbastanza vero. Eccomi qui, io che dovevo morire, vivo e vegeto come un pesce, e lei invece sta marcendo nella tomba».
«Ho sempre pensato che il destino di sua moglie fosse quello di non tenersi un marito vivo, quando li ho visti morire così», disse Gad.
«Destino? Sia benedetta la tua semplicità; questo era il suo destino; ma si è data da fare per averne uno, lo voleva e l’ha avuto. Il Fato non esiste davanti agli intrighi di una donna!».
«Suppongo quindi che il Fato sia un uomo, come noi, come il Signore e tutti gli altri lassù», disse Gad, sollevando gli occhi al cielo.
«Ehi! Ecco che arriva la giovane donna di cui parlavamo adesso», disse un arrotino, interrompendolo d’un tratto. «È arrivata fin qui, come io sono vivo!».
I due arrotini fissarono Cytherea come se si trattasse di una nave che entra in porto e per poco non fecero fermare la macina tanto erano interessati.
«Bardatura di classe in testa e intorno alle spalle, ecco la mia opinone», disse il sacrestano. «Riccioli lucidi e molto abbondanti».
«Se in una donna giovane esiste una vanità più scusabile delle altre, è quella dei capelli», disse Mr Springrove.
«Caro mio, la vanità è solo una parte del tutto! Sono sicuro, anche se la ragazza esibisce una bella figura, che non ha neppure un mobile che possa dire suo».
«Suvvia, sacrestano Crickett, lasci che la fanciulla sia una fanciulla finché è ancora fanciulla», disse Mr Springrove con cavalleria.
«Oh», rispose il servitore della chiesa, «non ho niente da dire in contrario. Oh, no!
Sue, la figlia dello
spazzacamino
Così ho sentito dire, Oh,
Non ha un calzino né una scarpetta
Ma si arriccia e si infiora i capelli».51
Cytherea fu piuttosto sconcertata scoprendo che il progressivo rallentamento della pressa era dovuto a lei e, ancora di più, quando vide fissi su di sé tutti gli sguardi degli uomini impegnati a fare il sidro tranne quello di Mr Springrove, trattenuto dalla sua abituale delicatezza. Si avvicinò all’appezzamento d’erba ma, invece di avanzare, restò esitante ai bordi.
Mr Springrove intuì l’imbarazzo della ragazza che si placò vedendo la sua figura anziana e affermata avanzare verso di lei, pulendosi le mani nel grembiale.
«So qual è il suo incarico, Missie», le disse, «e sono felice di vederla e di fare il mio dovere. Entro in casa».
«Se ha da fare, non ho fretta per un minuto o due», rispose Cytherea.
«E allora, se davvero non le dispiace, spremeremo l’ultimo carico per lasciarlo colare durante la notte».
«Affatto. Mi piace guardarvi».
«Stiamo solo macinando le prime mele asprigne e le grifoncine», proseguì l’agricoltore quasi in tono di scusa per essere stato colto da una signora ben vestita nell’atto di fare il sidro. «Marciscono e diventano nere come l’angolo del focolare se le conserviamo finché non arrivano quelle normali». Parlando, ritornò alla pressa e Cytherea restò al suo fianco. «Sono più in ritardo del dovuto», proseguì afferrando una leva per mettere in moto la vite e facendo cenno agli uomini di venire avanti. «La verità è che mio figlio Edward aveva promesso di arrivare oggi e io ho fatto i preparativi; e invece arriva una lettera: “Londra, diciotto settembre, Caro papà”, dice e continua per dirmi che non può. Mi ha un po’ scombussolato».
«Naturalmente», rispose Cytherea.
«Ha un posto di lavoro, credo», disse il sacrestano, avvicinandosi.
«No, povera anima, no. Ha fatto domanda per questo qui, sa, ma non è riuscito a ottenerlo. Non conosco i particolari della faccenda, ma per amore o per forza non lo hanno voluto come sovrintendente. Su, compagni, mettetevi in riga».
Springrove, il sacrestano, gli arrotini e Gad si disposero dietro la leva della vite e camminarono in cerchio, spingendo.
«L’uomo scelto dalla vecchia regina è un tipo sul quale non si può quasi mettere lingua, a quanto sembra», replicò Crickett il sacrestano.
«Una di quelle persone di cui si può continuare a non pensare male anche se ha rubato un cavallo, a differenza di un altro che l’ha solo guardato al di sopra della siepe», disse un arrotino.
«Be’, è molto perspicace come sovrintendente ed è proprio un gentiluomo, non ci sono dubbi in proposito».
«Lo sarebbe stato anche il mio Ted, per questo», disse l’agricoltore.
«È vero: lo era, signore».
«Ho detto, darò a Ted una buona istruzione, dovesse costarmi un occhio, e l’ho fatto».
«Sì, l’ha fatto», confermò il coro di assistenti in tono solenne.
«Lui però si è dedicato ai libri da solo e mi è costato molto poco; e, come conclusione, le donne hanno ordito un matrimonio tra lui e la cugina».
«Quando deve celebrarsi il matrimonio, Mr Springrove?».
«Non si sa, ma suppongo presto. Edward, vedete, sa fare quasi tutto eppure non riesce a guadagnarsi decentemente da vivere. A volte vorrei averlo tenuto qui lasciando perdere le professioni. Ma aveva una vera passione per la lettura».
Lasciò cadere la leva nella siepe e si rivolse alla visitatrice.
«E adesso, Missie, la prego, venga dentro».
Gad Weedy guardò Cytherea con tranquilla espressione critica mentre entrava in casa insieme all’agricoltore.
«Posso dirlo dal modo in cui parla che non ha studiato nel paese», disse sottovoce.
«La ferrovia l’ha lasciata qui da solo», osservò la ragazza quando furono dentro.
A parte le vecchie mosche rinsecchite, addomesticate dalla solitudine, nella casa non c’era un’anima. Sembrava che non ci fosse entrato più nessuno da quando era stato fatto salire l’ultimo passeggero sull’ultima diligenza che era transitata.
«Sì, la taverna e io sembriamo quasi una coppia di fossili», rispose l’agricoltore guardando la stanza e poi se stesso.
«Oh, Mr Springrove», disse Cytherea rammentando all’improvviso. «Le sono molto grata per avermi raccomandata a Miss Aldclyffe». Cominciava a provare simpatia per il vecchio; c’era in lui una gentilezza d’animo che le ricordava il padre.
«Raccomandata? Niente affatto, Miss. Ted, cioè mio figlio... Ted ha detto che un suo collega impiegato aveva una sorella che voleva combinare qualcosa nella vita e io ne ho parlato con la governante, tutto qui. Sì, mio figlio mi manca molto».
La ragazza continuò a dare le spalle alla finestra in modo che non potesse vederla arrossire.
«Sì», continuò il vecchio, «a volte non posso fare a meno di essere in ansia per lui. Sa, non sembra adatto alla vita in città: a volte diventa molto strano a questo proposito, credo. Forse starà meglio quando sarà sposato con Adelaide».
Sentì salire dentro di sé una specie di impazienza, come una persona malata che ode suonare di nuovo da un orologio che resta indietro l’ora appena scoccata. La vita era andata avanti.
«Dipende se la ama o no», disse con voce tremula.
«Un tempo l’amava, adesso non lo dimostra più tanto; questo perché è più maturo. Vede, è stato diversi anni fa che hanno passeggiato per la prima volta da fidanzati. Anche lei è cambiata da quando aveva appena cominciato a corteggiarla».
«E come, signore?».
«Oh, è fin troppo ragionevole. Quando le scriveva, lei risaliva furtivamente il sentierino, si guardava alle spalle e tirava fuori la lettera, la baciava e si guardava di nuovo alle spalle, da una parte e dall’altra, leggeva una parola e restava pensierosa, guardando le colline senza vederle. Poi il cuculo si lamentava, la lettera le scivolava di mano e lei sobbalzava di un palmo per lo spavento solo a sentire quell’uccello e diventava rossa prima che la persona più svelta di questo mondo potesse dire: “Sangue, scorri”».
Avanzò con il denaro e glielo lasciò cadere in mano. Il suo pensiero era ancora rivolto a Edward e, con espressione assente, le afferrò le dita nelle sue dicendo con ardore e ingenuità:
«Mi accade così raramente di trovare una gentildonna con cui parlare, Miss Graye, che non posso fare a meno di parlare con lei dei miei timori per Edward; a volte ho paura che non riuscirà a cavarsela, che morirà povero e disprezzato nelle peggiori condizioni mentali, con la sensazione di essere stato sopravanzato nella corsa da uomini le cui menti sono nulla in confronto alla sua, tutto a causa del suo essere troppo perspicace. Perché non si accontenta dei ripieghi, pensa alla perfezione delle cose e poi però sta male perché non esiste una cosa come la perfezione. Non mi dispiacerà vederlo sposato, perché forse lo sistemerà e gli farà bene... Sì, speriamo per il meglio».
Le lasciò andare la mano e la accompagnò alla porta dicendo: «Se ogni tanto avesse voglia di fare una passeggiata in questa direzione e chiacchierare con un vecchio, per lui sarà una grande felicità, Miss Graye. Buona sera a lei... Ah, guardi! si sta preparando un temporale, si affretti verso casa. Oppure la accompagno?».
«No, grazie, Mr Springrove. Buona sera», disse lei a bassa voce e scappò via. Era posseduta da un pensiero: Edward aveva scherzato con il suo amore.
4. Dalle cinque alle sei del pomeriggio
Seguì la strada che si inoltrava in una macchia di alberi così fitta che il passaggio assomigliava a una tana di coniglio e poco dopo raggiunse un’entrata laterale del parco. Le nubi si erano sollevate più rapidamente di come aveva previsto l’agricoltore: le pecore si spostavano in fila e si lamentavano in modo sconnesso. Livide ombre grigie, come quelle degli artisti francesi moderni, rendevano misteriose le parti remote e buie del panorama e sembravano insistere su una sospensione del respiro. Prima di essere arrivata a metà del parco, il tuono brontolò distintamente.
La direzione in cui doveva andare l’avrebbe portata vicino all’antica casa padronale. L’aria era perfettamente immobile e tra l’uno e l’altro brontolio di tuono alle sue spalle poteva sentire il ruggito della cascata di fronte e il cigolio del motore in mezzo ai cespugli lì accanto. Procedendo in fretta, temendo sempre di più il buio e il temporale che si avvicinava, giunse nei pressi della vecchia casa padronale che adesso si ergeva davanti a lei sullo sfondo del fogliame cupo e del cielo che aveva sfumature stranamente bianche.
Sulla rampa di scalini che scendevano da una terrazza in facciata fino a livello del parco, c’era un uomo. Sembrava, in parte per il rilievo che la posizione dava alla sua figura e in parte perché effettivamente lo era, altissimo. La sua sagoma era scura e stava guardando il cielo con le mani dietro la schiena.
Cytherea doveva necessariamente attraversare direttamente il suo campo visivo. Era così riluttante a farlo che fu sul punto di abbandonare il sentiero, girare tra gli alberi e riprenderlo in un punto oltre la casa; ma l’uomo l’aveva vista ed essa proseguì meccanicamente, girando inconsapevolmente il viso dall’altra parte e abbassando lo sguardo a terra.
I suoi occhi continuarono a indugiare sul sentiero finché la sua attenzione non fu attratta da un altro viottolo che si biforcava in linea retta da quello che stava percorrendo. Partiva dai gradini della casa. «Adesso sono esattamente davanti a lui», pensò, «e il suo sguardo mi attraversa».
Una voce chiara e mascolina disse, nello stesso istante:
«Ha paura?».
Interpretando la domanda secondo i sentimenti che provava in quel momento, Cytherea pensò che ritenesse di essere lui l’oggetto del suo timore, caso mai. «Non credo», balbettò lei.
Sembrò sapere che aveva pensato in quel modo.
«Del tuono, voglio dire», precisò, «non di me».
Adesso le toccò proprio girarsi verso di lui. «Credo che stia per piovere», fece notare tanto per dire qualcosa.
L’uomo non riuscì a nascondere la sorpresa e l’ammirazione per il suo viso e il portamento. Disse cortesemente: «Forse non pioverà prima che lei raggiunga la casa padronale; sta andando lì?».
«Sì».
«Posso accompagnarla? È deserto sotto gli alberi».
«No». Temendo che la sua cortesia nascesse dalla convinzione di rivolgersi a una donna di condizione sociale superiore alla sua, aggiunse: «Sono la dama di compagnia di Miss Aldlcyffe. Non mi dà fastidio la solitudine».
«Oh, la dama di compagnia di Miss Aldclyffe. Allora è così gentile da portarle un’offerta? Questo pomeriggio mi ha mandato a chiedere di contribuire alla sua associazione e io ero fuori. Naturalmente contribuirò, se lo desidera. La sua associazione mi interessa molto».
«Miss Aldclyffe sarà molto felice di sentirglielo dire, lo so».
«Sì: mi lasci vedere: che associazione ha detto che era? Temo di non avere abbastanza denaro in tasca e tuttavia sarebbe contenta di avere la prova concreta della mia disponibilità. Lo vado a prendere e torno in un minuto».
Entrò in casa e fu di nuovo accanto a lei nel tempo che aveva detto. «Ecco», disse in tono simpatico.
Cytherea tese la mano. La punta delle dita morbide dell’uomo sfiorò il palmo del suo guanto posandovi i soldi. Si chiese perché aveva dovuto sfiorarle le dita.
«Credo dopo tutto», proseguì lui, «che la pioggia sia sopra la nostra testa e che la inzupperà prima che riesca a raggiungere casa. Sì, guardi là».
Indicò una macchia rotonda e umida, grande come una foglia di nasturzio che era tutto a un tratto comparsa sulla superficie bianca del gradino.
«Farebbe meglio a venire sotto il portico. Non è ancora notte. Le nubi fanno sembrare che sia più tardi di quanto effettivamente è».
Pesanti gocce di pioggia, seguite immediatamente dal lampo di una saetta e dal brusco brontolio del tuono, la spinsero, volente o nolente, ad accettare il suo invito. Salì i gradini, si mise accanto a lui sotto il portico e, per la prima volta, riuscì a dargli una breve occhiata mentre aspettavano lì in silenzio.
Era un uomo estremamente attraente, con un bel fisico e ben vestito, di un’età che sembrava essere di due o tre anni sotto la trentina.
L’elemento più sorprendente del suo aspetto era la meravigliosa, quasi sovrannaturale trasparenza della pelle. Non era possibile trovare un’imperfezione né una macchiolina di alcun genere a deturpare la compattezza della superficie o la bellezza del colorito. Aveva poi una fronte squadrata e ampia, le sopracciglia diritte e ferme, gli occhi penetranti e chiari. Notando il susseguirsi delle loro espressioni, qualcuno che formulasse delle teorie su questo genere di argomenti si sarebbe fatto l’idea che il loro proprietario aveva una natura che lo portava a lamentarsi inutilmente per quello che non è possibile cambiare; l’ultimo uomo al mondo a rassegnarsi a una condizione perché il Fato sembrava imporglielo; uno che si mette a lottare contro il destino con la determinazione vendicativa di chi combatte contro gli dèi. Gli occhi e la fronte avrebbero entrambi espresso acume intellettivo con un po’ troppa severità per essere gradevoli, se la loro forza non fosse stata controbilanciata dal contorno e dal colore delle labbra. Queste erano carnose e sensuali in modo sorprendente e possedevano una morbidezza femminea nella curvatura e un color rosso rubino molto intenso come per attestare una grande sensibilità del cuore verso la bellezza femminile, una sensibilità che forse rendeva necessario tutto l’equilibrio mentale che gli era stato precedentemente attribuito perché restasse confinata entro limiti ragionevoli.
Il contegno era elegante; il modo di parlare raffinato e spontaneo.
La pausa nel discorso, causata dal brontolio del tuono, non venne interrotta da nessuno dei due per un paio di minuti, durante i quali sembrarono seguire entrambi distrattamente il rombo sordo della cascata mentre la foga sempre maggiore della pioggia sugli alberi e sull’erba del boschetto faceva a gara con quella. Dopo quella breve occhiata, per un po’ Cytherea aveva rivolto lo sguardo verso il viale e adesso, guardando di nuovo l’uomo per un istante, scoprì che era impegnato in un esame metodico, benché garbato, del viso e del corpo di lei.
In quel momento, a causa delle ridotte dimensioni del portico, i loro vestiti si sfiorarono e restarono in contatto.
Per un uomo, i vestiti sono un oggetto esterno; ma per una donna il vestito fa parte del corpo. I movimenti dell’abito sono tutti presenti alla sua mente, se non allo sguardo; nessun uomo sa come ondeggiano le code della giacca. Con una minima iperbole si potrebbe dire che il vestito di una donna ha delle sensazioni. Sgualcite solo l’Ultima Thule52 di una frangia o di una trina e questo la farà soffrire come se le aveste dato un pizzicotto. Su ogni singolo falpalà si ergono antenne delicate o sensori. Sfiorate quello più in alto: lei è lì; calpestate quello più in basso: la bella creatura è lì quasi di fronte a voi.
In questo modo lo sfiorarsi dei vestiti, che per Manston non significò nulla, in Cytherea provocò un brivido quando, oltre tutto, la ragazza si accorse della sua natura di estraneo misterioso. Guardò di nuovo la tempesta, ma sentiva ancora la sua presenza. Alla fine, per sfuggire a questa sensazione, si allontanò, anche se dovette spostarsi leggermente sotto la pioggia.
«Guardi, la pioggia penetra sotto il portico e la bagna», le disse. «Entri».
Cytherea esitò.
«È perfettamente al sicuro, le assicuro», aggiunse lui ridendo e tenendole aperta la porta. «Vedrà in che stato di disorganizzazione mi trovo: scatoloni su scatoloni, mobili, paglia, stoviglie in tutti gli stadi del trasloco. C’è una donna anziana da qualche parte, nelle stanze sul retro, per cominciare a mettere le cose a posto... Suppongo che lei conosca l’interno della casa».
«Non ci sono mai entrata».
«Oh bene, venga. Qui, come vede, hanno fatto una porta per passare; qui hanno messo un tramezzo per dividere il vecchio atrio in due; adesso una parte è il mio salotto; lì hanno messo un soffitto di gesso per nascondere il vecchio tetto di noce scolpito perché era troppo alto e avrebbe fatto freddo; vede, l’atrio originale era aperto fino in cima e qui il padrone di casa e i suoi dipendenti si incontravano e stavano allegri alla luce del fuoco enorme che brillava in quel caminetto gigantesco, adesso rimpicciolito fino alle trascurabili dimensioni del mio focolare, anche se è ancora possibile vedere la vecchia sagoma. Mi sarebbe quasi piaciuto nella sua forma originale».
«Con più romanticismo e minor comodità».
«Sì, esattamente. Be’, forse il desiderio non ha radici molto profonde. Vedrà che le cose stanno tutte alla rinfusa, casse e così via. L’unico pezzo di mobilio ornamentale già sballato è questo qui».
«Un organo?».
«Sì, un organo. L’ho fatto io, a parte le canne. Ho aperto la cassa questo pomeriggio per cominciare subito a calmarmi. Non è molto grande, ma abbastanza per una casa privata. Lei suona, suppongo».
«Il pianoforte. Non sono affatto abituata a un organo».
«Si farebbe presto la mano con l’organo, ma rovinerebbe la tecnica del pianoforte. Non che questo importi molto. Un pianoforte non è un granché come strumento».
«Adesso è di moda dire così. Credo che vada abbastanza bene».
«Non è affatto bello pensare che una cosa vada abbastanza bene».
«No, no. Quello che intendo è che le persone che disprezzano il pianoforte non sono attendibili, lo dicono solo perché è di moda, perché lo hanno detto prima di loro persone più intelligenti, non per un’esperienza di prima mano».
Tutto a un tratto Cytherea arrossì, accorgendosi dell’atteggiamento sprezzante che aveva assunto nell’ansia di spiegarsi. Magnanimamente, egli manifestò con un’occhiata di non essersela presa a male per quella sua mancanza, se mancanza era stata; e questo atteggiamento gli dava una posizione di superiorità mentale che la irritò.
«Suono solo per il mio personale divertimento», disse lui. «Non ho mai appreso in modo scientifico. Tutto quello che so l’ho imparato da solo».
Il tuono, i lampi e la pioggia erano adesso aumentati fino a raggiungere una forza terrificante. Le nubi, dalle quali guizzavano continuamente dardi, saette, fulmini e palle di fuoco sembravano trovarsi a non più di un centinaio di iarde sopra le loro teste e di tanto in tanto un lampo e un tuono causavano un vuoto nelle descrizioni del sovrintendente. Egli si avvicinò all’organo nel bel mezzo di una raffica che sembrò scuotere la casa vetusta dalle fondamenta ai camini.
«Non avrà mica intenzione di suonare adesso?», chiese Cytherea a disagio.
«Oh sì. Perché non adesso?», rispose. «Non può andare a casa e quindi possiamo divertirci, se non le dispiace sedersi su questo scatolone. Le poche sedie che ho sballato sono nell’altra stanza».
Senza aspettare di vedere che lei si sedesse, si girò verso l’organo e cominciò a improvvisare un’armonia che attraversava tutta la gamma delle espressioni dello strumento. Poco dopo smise e cominciò a cercare qualche spartito.
«Che splendido lampo!», disse, quando il fulmine brillò di nuovo attraverso la finestra a montanti che, di dimensioni adatte all’estensione dell’atrio originale, era troppo grande per la stanza attuale. Il tuono brontolò di nuovo. Cytherea, suo malgrado, era spaventata non solo dal temporale, ma dall’atmosfera generale, sovrannaturale e bizzarra, che sembrava circondarla.
«Vorrei che i lampi non fossero così brillanti. Crede che durerà a lungo?».
«Non può durare ancora per molto», mormorò lui senza girarsi, facendo di nuovo correre le dita sui tasti. «Ma questo è niente», continuò, fermandosi all’improvviso e guardandola. «Sembrano più luminosi per le ombre scure sotto quegli alberi laggiù. Non ci badi; adesso guardi me. Mi guardi in faccia, su».
Aveva girato il viso verso la finestra e guardava fissamente il cielo con gli occhi scuri e intensi. Cytherea sembrò spinta a fare come le era stato detto e guardò quel viso dalla bellezza troppo delicata.
Arrivò il lampo; ma egli non si girò né ammiccò, tenendo lo sguardo fisso con la stessa fermezza di prima. «Ecco», disse voltandosi, «ecco come si guarda il lampo».
«Oh, avrebbe potuto accecarla!», esclamò Cytherea.
«Sciocchezze, non un lampo di questo genere; non lo avrei fissato se fosse stato pericoloso. Adesso sono solo bagliori tra le nuvole. Su, vuole che suoni ancora? Questa volta qualcosa da un oratorio?».
«No, grazie, non voglio sentirlo mentre ci sono questi tuoni». Ma lui aveva iniziato senza badare alla sua risposta e lei restò di nuovo immobile, meravigliandosi della stupefacente indifferenza a tutte le circostanze esterne che si manifestava con il totale coinvolgimento nella musica che aveva davanti.
«Perché suona accordi così tristi?», gli chiese alla pausa successiva.
«Hm... suppongo che sia perché mi piacciono», rispose in tono leggero. «Non le piacciono, a volte, le impressioni tristi?».
«Sì, forse a volte».
«Quando è piena di problemi».
«Sì».
«E perché non dovrebbero piacere a me, quando sono pieno di problemi?».
«Ha dei problemi?».
«Ho dei problemi». Lo disse in tono pensieroso e brusco, così brusco che Cytherea non portò avanti il dialogo.
L’uomo adesso suonava con più forza. Cytherea non aveva mai ascoltato la musica nella pienezza della potenza orchestrale, e i toni dell’organo, che riecheggiavano con effetto considerevole nello spazio relativamente piccolo della stanza, messi in risalto dalla lotta elementare tra la luce e il suono che si svolgeva all’esterno, la commossero in modo del tutto sproporzionato all’effettivo potere delle semplici note, per quanto fosse provetta la mano che le produceva. Le varie melodie, ora sonore, ora dolci; semplici, complicate, bizzarre, commoventi, grandiose, turbolente, sommesse, ogni fase distinta e tuttavia modulata nella successiva con un flusso facile e aggraziato, la fecero vibrare e la soggiogarono, come un ruscello impetuoso scuote e piega un’ombra proiettata sulla sua superficie. La forza della musica non si mostrava tanto nell’attirare la sua attenzione sull’argomento del brano, quanto nell’incorporare e sviluppare il poema della sua vita e della sua anima, togliendole di mano i fatti e le intenzioni e tenendoli stretti nelle sue.
Si sentì spinta a formulare pensieri di tipo sentimentale per quello strano uomo davanti a lei; insieme alle nuove armonie giunsero nuovi pensieri dai quali si sentì inondare con un brivido tormentoso. Poi un lampo terribile e un tuono ravvicinato. Si ritrovò involontariamente a indietreggiare e a guardarlo con le labbra dischiuse.
Egli volse lo sguardo e vide quel turbamento che intensificava l’elemento ideale nel viso espressivo della ragazza. Era in quella condizione in cui l’istinto femminile a celarsi ha perduto ogni potere sull’impulso a rivelare; ed egli se ne accorse. Chinando il bel viso su di lei fin quasi a sfiorarle l’orecchio con le labbra, mormorò senza interrompere la musica:
«Le piace molto questo pezzo?».
«Sì, molto», rispose lei.
«Mi sono accorto che ne era colpita. Lo copierò per lei».
«Grazie».
«Glielo porterò a casa domani. Di chi devo chiedere?».
«Oh, non per me. Non lo porti», rispose in fretta. «Non voglio che lo faccia».
«Mi lasci pensare: domani sera alle sette o pochi minuti dopo, passerò dalla cascata tornando a casa. Potrei comodamente darglielo lì e mi farebbe piacere che lo avesse». Modulò il pezzo nella sinfonia pastorale53, sempre guardandola negli occhi.
«Molto bene», gli disse per liberarsi di quello sguardo.
A questo punto il temporale era considerevolmente diminuito di intensità e in sette o dieci minuti il cielo si schiarì parzialmente, le nuvole intorno all’orizzonte occidentale si illuminarono per i raggi del sole che tramontava.
Cytherea fece un lungo respiro di sollievo e si preparò ad andarsene. Era pervasa dall’angosciosa sensazione di non volere affatto trattenersi nell’antica casa padronale e di non desiderare nemmeno quella conoscenza appena instauratasi. Era molto sciocco essere stata provocata e indotta alla franchezza dalle astuzie di uno sconosciuto.
«Mi permetta di venire con lei», disse, accompagnandola alla porta e mostrando di nuovo con il suo comportamento di essere stato colpito intensamente dalla sua persona. L’influenza su di lei era svanita con gli accordi musicali e gli voltò le spalle. «Posso venire?», ripeté lui.
«No, no. Non dista nemmeno trecento iarde, non è davvero necessario, grazie», rispose tranquillamente. E augurandogli la buona sera senza incontrare il suo sguardo, scese i gradini lasciandolo in piedi sulla soglia.
«Oh, come mai quell’uomo mi ha così affascinata?», fu tutto quello che riuscì a pensare. Vedeva se stessa restare seduta incantata davanti a lui. Camminò con passo innaturale perché sapeva che stava tenendo gli occhi fissi su di lei, finché non ebbe superato l’avvallamento accanto alla cascata e, salendo l’erta, si fu nascosta alla sua vista dietro i rami bassi degli alberi.
5. Dalle sei alle sette del pomeriggio
La strada bagnata e luccicante le rifletteva negli occhi il riverbero del bagliore occidentale con una luminosità sgradevole che rendeva ancora più faticoso il suo umore irrequieto. I pensieri vagavano da un’idea all’altra senza che ci fosse tra loro il minimo legame. Un momento si sentiva piena della musica intensa e della scena emozionante vissuta insieme a Manston; quello successivo l’immagine di Edward si ergeva davanti a lei come uno spettro indistinto. Poi gli occhi neri di Manston sembravano trafiggerla di nuovo e appariva quella bocca temeraria e voluttuosa che si muoveva formulando strane parole. Quali potevano essere i problemi ai quali aveva alluso? Forse, al loro fondo, c’era Miss Aldclyffe. Con animo triste proseguì: la sua vita la stava sconcertando.
Giungendo alla presenza di Miss Aldclyffe, Cytherea le raccontò l’incidente, non senza timore che scoppiasse in uno dei suoi ingovernabili attacchi di cattivo umore nell’apprendere la piccola deviazione dal programma. Ma, stranamente, Miss Aldclyffe sembrò contentissima. Seguì il consueto controinterrogatorio.
«E così sei rimasta con lui per tutto il tempo?», le chiese la donna, con finta severità.
«Sì».
«Non ti ho detto di passare due volte dalla vecchia casa padronale».
«Non sono passata, come ho detto. È lui che mi ha fatto riparare sotto il portico».
«Che commenti hai detto che ha fatto?».
«Che i lampi non erano così pericolosi come pensavo io».
«Un’affermazione molto importante, questa. Ha...», volse lo sguardo e fissò la ragazza; esaminandola attentamente, disse:
«Ha detto qualcosa di me?».
«Nulla», rispose Cytherea, restituendole lo sguardo con calma, «tranne che avrei dovuto consegnarle l’offerta».
«Ne sei proprio sicura?».
«Assolutamente».
«Ti credo. Ha detto qualcosa di sbalorditivo o di strano su di sé?».
«Solo una cosa: che aveva dei problemi».
«Problemi!».
Dopo aver detto questa parola, Miss Aldclyffe restò in silenzio. Quasi sempre un comportamento di questo genere si concludeva con una confessione e Cytherea se ne aspettava una. Ma, per una volta, si sbagliava e non venne detto altro.
Quando fu ritornata nella sua stanza, si sedette e vergò una lettera di addio a Edward Springrove, incapace, come qualsiasi giovane donna di diciannove anni eccitabile e traboccante di emozioni, di pensare che l’unica linea di condotta dignitosa in questa circostanza è non fare assolutamente niente. Gli disse che, con dolorosa sorpresa, aveva appreso che il suo fidanzamento con un’altra era una cosa risaputa. Affermò ostinatamente che l’onore gli imponeva di sposare il primo amore, una donna molto migliore della sua indegna persona che meritava solo di essere dimenticata, e lo implorò di ricordare che non doveva più rivederla. Lo accusò di leggerezza e crudeltà per essersi incontrato così spesso a Creston con lei e, soprattutto, per averle rubato quel bacio dalle labbra l’ultima delle loro gite serali in barca. «Non potrò mai, mai dimenticarlo!», disse e poi sentì di aver compiuto il suo dovere e sembrò convincersi che i rimproveri e le esortazioni avevano una forza tale che nessun uomo al quale fossero stati rivolti avrebbe più potuto avvicinarsi a lei.
E invece, del tutto inconsapevolmente, si esprimeva con parole che tradivano una tenerezza amorosa che ancora perdurava in ogni frase spontanea. Come Beatrice che accusa Dante dal carro54, per quanto interpretasse la creatura superiore che disprezza la mera sensualità dello sguardo, tradiva in ogni momento la gelosia di una bella donna per la sua rivale e, con ogni nuovo divieto, forniva al suo antico innamorato velati appigli per discolparsi.
Fatto questo, ancora posseduta da quello stato d’animo concreto, Cytherea si rimproverò la debolezza di aver permesso a un estraneo come Mr Manston di influenzarla come era accaduto quella sera. Che diritto aveva di proporre così tutto a un tratto di incontrarlo alla cascata per consegnarle lo spartito? Avrebbe dato chissà cosa per poter cancellare l’ascendente che aveva avuto su di lei durante quell’incredibile intervallo di suoni melodiosi. Non riuscendo a sopportare l’idea che egli vivesse un altro minuto nella convinzione che si era fatto, prese la penna e scrisse anche a lui:
Knapwater
House
20 settembre
Mi accorgo di non poterla incontrare alle sette accanto alla cascata come avevo promesso. L’emozione provata mi ha fatto dimenticare i problemi pratici.
C. Graye
Un grande statista ci pensa diverse volte, e agisce; una giovane donna agisce e poi ci pensa diverse volte. Quando, qualche minuto dopo, vide il postino portar via la borsa contenente una delle lettere e partire un messaggero con l’altra, per la prima volta si chiese se aveva agito saggiamente scrivendo sia all’uno che all’altro dei due uomini che l’avevano tanto colpita.
45 Da The Duenna (1775) di Richard Brinsley Sheridan (1751-1816).
46 Parafrasi di un verso del sonetto It is a beauteous evening, calm and free di William Wordsworth (1770-1850), che celebra la «cara ragazza» a cui si rivolge nella poesia perché più vicina alla Natura/Dio degli adulti: «Tu giaci nel seno di Abramo per tutto l’anno/e lo adori nel santuario più interno del Tempio». Si veda anche Luca 16,19-31, per la parabola di Lazzaro il mendicante e dell’uomo ricco; dopo essere morti entrambi, Lazzaro è trasportato dagli angeli nel seno di Abramo, mentre il ricco, al cui cancello egli sedeva sempre, va all’inferno.
47 Tranter è voce dialettale e significa, appunto, venditore ambulante. [N.d.T.].
48 Da So Long! (1860-81) di Walt Whitman (1819-1892).
49 Quando i Dieci Comandamenti vengono letti ad alta voce nel corso della funzione eucaristica anglicana, ognuno è seguito dal responsorio: «Signore, abbi misericordia di noi e induci i nostri cuori a seguire la tua legge»; per il decimo comandamento, l’ultima parte del responsorio diventa: «e scrivi tutte le tue leggi nei nostri cuori, noi ti preghiamo».
50 Crickett il sacrestano ancora una volta esibisce la sua conoscenza del Book of Common Prayer e il proprio umorismo: la cerimonia del matrimonio comincia con «Cari e amati fratelli» e finisce con un’esortazione ai doveri del matrimonio, l’ultima delle quali è che le mogli dovrebbero avere «uno spirito mite e tranquillo» e obbedire ai mariti «come Sara obbediva ad Abramo»; le mogli sono figlie di Sara finché «si comportano bene e non temono alcun miracolo» (si veda anche Genesi, 18 e 21).
51 Dalla ballata A New Song Called the Curling of the Hair. Non c’è dubbio che Crickett il sacrestano ha in mente il proprio ruolo di servitore della chiesa perché la strofa che canta è espurgata: «Sue, la figlia dello spazzacamino/Giura di agitare il didietro/Non ha un calzino né una scarpetta/Ma raccoglie e si arriccia i capelli».
52 Espressione per indicare un luogo lontanissimo e misterioso [N.d.T.].
53 Molto probabilmente la Sesta o Sinfonia Pastorale (1808) di Ludwig van Beethoven (1770-1827), dato che incorpora una parte “tempestosa”.
54 Nel Purgatorio della Divina Commedia di Dante (canti XXX-XXXI), quando Dante ha quasi terminato il viaggio nell’inferno e nel purgatorio, la sua amata Beatrice – morta da diversi anni e ormai in paradiso – giunge al confine tra paradiso e purgatorio e lo rimprovera per aver sprecato il suo talento con occupazioni terrene ed essersi allontanato dalla sua influenza.